19. LA CARITA'

Necessità ed eccellenza

L'edificio della nostra santità, secondo S. Agostino, si perfeziona con la carità: diligendo perficitur (282). Dio e il prossimo sono due oggetti, o un oggetto unico sotto due aspetti, della carità: Dio in sé e per sé, il prossimo per Dio e in Dio. Notate, con S. Tommaso, che la carità significa qualcosa di più che l'amore; essa suppone che la persona amata corrisponda, che vi sia una vicendevole dilezione e una certa mutua comunicazione (283). Quindi fra noi l'amore non è sempre carità; con Dio invece è sempre carità: Io amo chi mi ama (284).

La carità verso Dio consiste non tanto nel sentimento, quanto nella volontà. Si può amare assai e non sentire, o anche provarne ripugnanza; mentre si può molto sentire e anche piangere di tenerezza, e non amare.

La carità verso Dio forma il primo grande comandamento. Gli Ebrei, usi a discutere la legge, più che ad osservarla, discutevano se fosse più l'amor di Dio o il fare sacrifici. Di qui la domanda di quel Dottore della legge a Gesù : Maestro, qual'è il più grande comandamento? Gesù a lui: Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente. Fin qui S. Matteo (285). S. Marco aggiunge: Ex tota virtute tua (286), cioè con tutta la tua forza.

Nella carità consiste essenzialmente la santità, secondo che insegna lo stesso S. Tommaso: "La perfezione della vita cristiana per sé ed essenzialmente consiste nella carità" (287). S. Francesco di Sales conferma: "La vera santità consiste nell'amore di Dio; quanto più uno ama Dio tanto più è santo" (288). E S. Agostino: "Ama e fa quel che vuoi" (289). Chi ama Dio non lo offende, ma lo serve fedelmente. La carità è perciò il compendio di tutte le virtù e ne è la perfezione. La carità è santità; amare e farsi santi è la stessa cosa. Quando vi è amore, vi è tutto. Le altre virtù teologali sono necessarie perché inseparabilmente congiunte alla carità: non si può amare senza prima credere e si spera ciò che si ama. Le virtù morali, poi, servono a rimuovere gli ostacoli che si oppongono all'infusione della carità, quali sono le passioni sregolate, gli attacchi alle creature, ecc.

Ecco perché S. Paolo chiama la carità: la pienezza della legge (290) e il vincolo della perfezione (291); ed ecco perché non dubita d'affermare che, se non abbiamo la carità, tutto il resto serve a nulla. Anche se parlassimo le lingue degli angeli, anche se avessimo il dono della profezia e conoscessimo tutti i misteri, anche se possedessimo tutta la scienza, anche se avessimo la fede da trasportare le montagne, anche se offrissimo il nostro corpo ad essere bruciato vivo. Nihil prodest! (292).

La carità verso Dio è necessaria in modo particolarissimo a noi, che abbiamo ricevuto la vocazione e la missione di comunicarla alle anime: Sono venuto a portare il fuoco sulla terra e che cosa voglio se non che si accenda? (293). Come potremo comunicare questo sacro fuoco alle anime, se non ne siamo ripieni noi per primi? Nostro Signore, prima di affidare a S. Pietro la cura delle anime, gli richiese tre attestazioni di amore. Gesù non affida l'opera della conversione delle anime se non a chi lo ama, a chi lo ama molto, a chi lo ama moltissimo. Non basta che lo amiamo in modo qualsiasi, ci vuole un amore superlativo. Solo un grande amore ci renderà zelanti, ci farà sopportare volentieri i sacrifici della vita apostolica e assicurerà il frutto alle nostre fatiche.

Come amare Dio

Come amare Dio? Gesù nel Vangelo ci fa fare al riguardo un buon esame di coscienza. Sarebbe bastato che Egli avesse detto: Amerai il Signore tuo Dio. S Agostino si stupiva già che Nostro Signore ci avesse fatto un comando di amarlo, mentre sarebbe stata una grande degnazione che ce lo avesse anche solo permesso. Ma Gesù, che ben conosceva l'estrema debolezza umana, non solo confermò questo primo grande comandamento della Legge, ma ne confermò altresì i singoli punti. Vedete, non è che noi non amiamo il Signore, ma non lo amiamo nel modo e nella misura con cui Egli vuol essere amato da noi. Non lo amiamo totalmente: con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutta la forza. Se Gesù in questo momento rivolgesse a ciascuno di noi la domanda fatta a San Pietro: Mi ami più di tutti questi? (294), cioè di tanti buoni e pii cristiani, che cosa potremmo rispondergli? Ecco l'esame di coscienza che vi propongo.

CON TUTTO IL CUORE - Egli, il nostro cuore lo vuole tutto. Nella S. Scrittura si legge che il Signore è un Dio geloso, non ammette divisioni, non s'accontenta del cuore a metà. Il nostro cuore è già così piccolo, che non dobbiamo dividerlo fra Dio e le creature. "ci hai creato per te - diceva S. Agostino - e il nostro cuore non trova riposo che in te" (295). S. Francesco di Sales diceva che se avesse trovato anche solo una fibra, nel cuor suo, che non fosse per Dio, l'avrebbe strappata senza misericordia. E noi? Amiamo il Signore proprio con tutto il cuore? Figliuolo, dammi il tuo cuore (296). Al Signore poco importa tutto il resto, è il cuore che vuole. Ora, c'è proprio nessun altro nel nostro cuore? Non bisogna aver paura di scandagliarlo a fondo. Talora qualcosa vi è lì fra le pieghe del nostro cuore; e per non volerci esaminare a fondo, ci illudiamo di amare Iddio con tutto il cuore. Esaminiamoci sovente su questo punto, specialmente noi Religiosi-missionari: se il nostro cuore è libero, se non è diviso, se è costante. Guai se il Signore lo vedesse diviso! Egli si è dato e si dà tutto a noi, e noi vogliamo fare delle riserve nel darci a Lui?

CON TUTTA L' ANIMA: cioè con tutta la volontà, come si spiega presso S. Tommaso (297). La volontà noi la diamo tutta a Dio, non volendo che ciò ch'Egli vuole e come lo vuole. Sovente c'inganniamo nella pratica, specialmente nelle avversità che ci capitano o nel tempo di aridità. Già il Salmista diceva: Io dicevo nella mia prosperità: non barcollerò in eterno!... Tu, o Signore, rivolgesti da me la tua faccia e fui sconvolto (298). Non dunque espansione puramente sensibile o gioia o consolazione, ma amore di volontà: che resiste a tutto, che sta saldo anche in mezzo alle prove, aridità e desolazioni. Eh, amare il Signore quando tutto va a gonfie vele, quando cioè c'è la consolazione, è tanto comodo! Ma amarlo quando si è nelle tenebre, nel buio dello spirito, e il cuore sembra di gelo, allora sì che è vero amore! Facciamo nostre le parole di S. Paolo: Chi mi separerà dall'amore di Cristo? La tribulazione? L'angustia? Nessuna creatura potrà separarmi dall'amore di Dio in Cristo Gesù Signor Nostro (299).

CON TUTTA LA MENTE: cioè, secondo S. Agostino, con tutto l'intelletto. E qui esaminiamoci: quali sono i nostri pensieri? i nostri giudizi? Sono tutti di Dio o per Iddio? O non piuttosto umani, terreni e peggio? Quanto pochi, anche fra i Religiosi, pensano e giudicano mossi da puro amore di Dio! Amare Dio con tutta la mente vuol dire ancora far tutto con purità di intenzione: tutto per Lui, niente per noi.

CON TUTTA LA FORZA: il che vuol dire che questi sentimenti, questi affetti del cuore, della mente e della volontà dobbiamo portarli più su che possiamo. Amare il Signore più che sia possibile, senza tema di amarlo troppo. Sovente è l'amore di noi, l'amor proprio che ci riempie il cuore. Se il cuore è pieno di amor di Dio, si manifesta talora anche all'esterno, come avveniva a S. Francesco d'Assisi, che doveva rinfrescarsi, ecc. Non sono tuttavia queste cose esterne che hanno importanza, purché vi sia l'amore interno. Bisogna amare il buon Dio con ardore, con vivacità. S. Teresa del Bambino Gesù a 24 anni era già bruciata dall'amore di Dio. E noi Missionari? Ah, ricordatelo: chi non arde, non potrà far ardere.

I caratteri della vera carità

Siccome, secondo S. Tommaso, la carità è un'amicizia tra Dio e l'uomo, essa deve avere tutti i caratteri della vera amicizia. Ora i contrassegni dell'amicizia, quale specie della carità, sono: preferire l'amato ad ogni altro; compiacersi di lui e delle sue doti; volergli del bene ed essergli grati per i benefici ricevuti; conformarsi in tutto a lui. Sono come tante parti o estrinsecazioni della carità.

AMORE DI PREFERENZA - Dio ci ha preferiti fin dall'eternità. Di un amore eterno ti ho amato (300). Ci ha preferiti a tante creature possibili; ci preferì ai pagani, con farci nascere in paesi cristiani; specialmente ci preferì a tanti nostri compagni con chiamarci alla Religione, al sacerdozio, all'apostolato. E noi abbiamo sempre preferito Dio? Non così quando peccammo. Non così quando a Lui anteponiamo i nostri difetti, le nostre piccole voglie. Dobbiamo dunque dimostrargli il nostro amore con fuggire il male e cercare il più perfetto. Così fece, ad esempio, S. Tommaso Moro, che preferì Dio a tutto il resto. La moglie e i figli lo scongiuravano ad aver pietà di essi. Ed egli: "Quanto tempo potrei ancora vivere?". Gli risposero: "Anche vent'anni!". Ed egli: "Vent'anni? e dopo vent'anni andar eternamente perduto?". E sacrificò per Dio la sua vita.

AMORE DI COMPIACENZA - Il Signore pone le sue compiacenze in noi. Le mie delizie essere coi figli degli uomini (301). E noi godiamo di Dio, ci gloriamo di Lui, come un buon servitore del proprio padrone? Tu solus sanctus, tu solus Dominus, tu solus altissimus! San Francesco di Sales diceva: "Se il mio niente potesse servire a far più grande Iddio, vorrei essere niente perché Lui sia più grande! ". S. Geltrude un giorno si sfogava in affetti di compiacenza verso il Signore; Gesù le comparve e le disse: "Io mi compiaccio tanto di questa contentezza che tu provi delle mie perfezioni, come se queste mi venissero da te".

AMORE DI BENEVOLENZA - Dio ci vuole effettivamente bene; ci dà grazie continue per sostenerci nel bene e farci santi; e se pecchiamo, ci perdona. E noi desideriamo che Nostro Signore sia conosciuto, amato, glorificato? Sanctificetur nomen tuum!... Adveniat regnum tuum! S. Antonio Abate lasciò la grotta che da tanto tempo abitava, per andar a combattere gli Ariani. Così noi dobbiamo prepararci con le virtù e con lo studio alle Missioni, per poter salvare un maggior numero di anime e così glorificare il Signore.

AMORE DI COMPASSIONE - Egli dice: Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi ed Io vi ristorerò (302). Quando siamo afflitti, dobbiamo ricorrere a Lui. S. Ignazio diceva che nulla l'avrebbe potuto turbare, fosse pure la soppressione della Compagnia; ma che sarebbe bastato un quarto d'ora di visita a Gesù Sacramentato, per rimettere il cuore in pace (303). A nostra volta, però, dobbiamo consolare Gesù, riparando le offese a Lui fatte, come Egli stesso chiese a S. Maria Margherita Alacoque e come essa faceva.

AMORE DI GRATITUDINE - Egli ci ha dato tutto quello che abbiamo, pur non avendo bisogno di noi; e nello stesso tempo è riconoscente per ogni atto di virtù che gli offriamo, e lo ricambia con maggiori grazie. Anche noi dobbiamo essergli riconoscenti, col ripetere sovente: Agimus tibi gratias... Gratias agamus Domino Deo nostro!

AMORE DI CONFORMITÀ - S. Girolamo insegna che: "il volere e il non volere ciò che l'amico vuole o non vuole, è segno di vera amicizia" (304). Il Signore in tutto ciò che permette vuole sempre e solo il nostro bene. Diciamogli dunque di cuore: Fiat voluntas tua! E non solo conformità, ma uniformità alla volontà di Dio, il che è più perfetto. Omnia vincit amor! L'amore vince tutto, supera tutto. Quando facciamo la Visita a Gesù Sacramentato, fermiamo la nostra considerazione in qualcuno di questi punti, e amiamo. Così, prima della Comunione, meditiamo questo grande amore di Dio per noi e diamogli amore; allora state certi che le vostre Comunioni sono ben fatte.

Come accrescere in noi la carità

Accenniamo ora brevemente ad alcuni mezzi per ottenere ed accrescere in noi la carità.

PREGHIERA - Chiedere sovente a Dio questa virtù, che è la regina di tutte le virtù. S. Agostino ripeteva: Domine, ut amem Te! (305). E S. Ignazio: "Dammi, o Signore, il tuo amore con la tua grazia, e ne ho a sufficienza!" (306). Interporre la mediazione di Maria SS., Madre del santo amore, e di quei Santi o Sante che si distinsero in questo amore: S. Francesco d'Assisi, S. Teresa, S. Francesco di Sales, ecc. Leggere la vita di questi Santi, dove si sente veramente l'unzione del Divino Amore. Così leggendo l'Imitazione di Cristo, non si può non esclamare: "Come costui amava il Signore! ".

MEDITAZIONE - Meditare bene; nella meditazione il cuore si accende di amore. Meditare specialmente la Passione di Nostro Signore. S. Francesco di Sales diceva "che il Calvario è il teatro degli amanti".

ATTI DI AMORE - Fare tanti atti di amore. Ogni frase del Padre Nostro è un atto d'amor di Dio; così ogni frase del Tantum ergo. Per esempio le parole: veneremur cernui formano un atto d'amore, perché la vera adorazione è amore. Praestet fides supplementum sensuum defectui: ci dichiariamo felici, contenti di nulla vedere, nulla sentire coi sensi, perché così abbiamo modo di prestare fede alla parola di Lui, e anche questo è amore. Genitori, Genitoque laus et jubilatio... Quanti atti d'amore! Che Dio sia lodato, che tutti lo amino; volere e godere che da tutte le parti sia conosciuta la grandezza di Dio! Tutto questo è amore, puro amore; però bisogna che queste belle espressioni le facciamo sgorgare dal cuore.

OPERE - Fare opere che piacciano a Dio, poiché, come insegna S. Gregorio Magno: Probatio charitatis exhibitio est operis (307). E Gesù ci ha detto: Se mi amate, osservate i miei comandamenti (308). Il termometro per conoscere il grado del nostro amore per Iddio sta nelle opere. Non contentiamoci dunque di parole, ma veniamo alla pratica.

Noi in particolare, a dimostrare a Dio il nostro amore, dobbiamo avere sete di anime, come l'ebbe Nostro Signore. Anche attraverso le azioni comuni di ogni giorno potete salvare anime. Tutto qui è ordinato per poter un giorno fare del bene nelle Missioni; e in Missione si deve avere il cuore aperto ad ogni miseria e quindi pieno di amor di Dio. S. Francesco Zaverio ardeva di questo amore e perciò ardeva di zelo. Chi non ama, non riuscirà mai a fare alcunché di bene. Voi fortunati che avrete agio di salvare tante anime, se sarete santi! E in tanto sarete santi, in quanto sarete ripieni di amor di Dio.

Far tutto per amore di Dio

La purità d'intenzione è un atto di carità, per mezzo del quale si riferiscono a Dio, nostro ultimo fine, tutte le nostre azioni; riferirle alla sua gloria, non avendo di mira che Dio solo. Deus meus et omnia. Nostro Signore è geloso che tutto si faccia per Lui solo. Le nostre opere in tanto trovano la sua compiacenza, in quanto son fatte per Lui, per suo amore. Voi studiate in Teologia che è il fine per cui si agisce che conta presso Dio; le opere esterne, in quanto tali, non aggiungono sostanzialmente all'atto interno della volontà. Quanto più perfetto è il fine, tanto più perfetta riesce l'opera. Nostro Signore ci ha detto nel Vangelo: Se il tuo occhio (cioè la tua intenzione) è sano, tutto il tuo corpo sarà illuminato (cioè tutta la tua opera è buona davanti a Dio). Ma se il tuo occhio è malato tutto il tuo corpo sarà tenebroso (309).

E' vero che noi riferiamo a Dio ogni mattina tutti i nostri pensieri, affetti ed azioni, ma per la perfezione ciò non basta. E' necessario rinnovare sovente quest'intenzione durante il giorno. Delle nostre azioni, alcune sono buone in sé e, se fatte in stato di grazia, vanno a Dio e sono meritorie; se però interviene l'intenzione attuale di farle per amore di Dio, si raddoppia - a così esprimerci - il profitto e il merito. Le stesse azioni per sé indifferenti, come mangiare, dormire, ecc., se fatte per amore di Dio, diventano buone e meritorie; altrimenti sono inutili. Tutte poi le nostre azioni, anche le buone, restano guaste se fatte con fine cattivo, quale sarebbe la vanagloria. Se tale fine è principale, le guasta sostanzialmente e toglie ogni merito; se è solo concomitante, non vizia totalmente l'opera, ma ne diminuisce il valore e il merito.

Ora, la retta intenzione possiamo metterla in tre modi:

INTENZIONE ABITUALE: come quando la mettiamo al mattino per tutta la giornata. Il riferire le azioni, così alla lunga, al Signore è buona cosa, ma in pratica, quante evasioni lungo la giornata! Ond'è che la sola intenzione abituale, benché buona, non basta per noi.

INTENZIONE VIRTUALE: quando si offre a Dio il fine e la causa di una determinata azione che si prolunga. Così chi avesse da fare una lunga passeggiata, supponiamo fino a Superga, se l'offre al Signore, non è più necessario che ad ogni passo rinnovi tale intenzione; basta averla messa all'inizio dell'azione. Lo stesso dicasi dell'azione del mangiare: non è necessario ripetere ad ogni boccone: "Signore, è per voi!"; se ne fa l'offerta a Dio di tanto in tanto, se uno si dimentica, è già inteso che l'offerta fatta da principio perdura. Questa intenzione basta perché un'azione, per sé indifferente, venga soprannaturalizzata.

INTENZIONE ATTUALE: quando si riferisce a Dio l'intenzione nel momento in cui si compie l'azione. S. Francesco di Sales può dirsi il modello di quelli che agiscono con quest'ultima intenzione. Chi è più raccolto, di questi atti d'intenzione attuale ne fa di più, rendendo più meritorie tutte le sue azioni. L'intenzione attuale è molto più conveniente e da desiderare. I Santi in Paradiso continuano a dar onore e gloria a Dio. Non essere perciò di quelli che, all'esame della sera, s'accorgono di aver passata quasi tutta la giornata senza aver pensato al Signore. Bisogna procurare di valorizzare con l'intenzione attuale almeno le azioni principali della giornata.

L'intenzione attuale, oltre che ad accrescere il merito dell'azione, serve a rintuzzare ogni tentazione di vanagloria. La vanagloria è un vizio che aumenta col nostro profitto spirituale. Più uno si sforza di farsi buono, studioso, e più il demonio lo tenta: "Come hai fatto bene!". Così faceva a S. Bernardo: "Come predichi bene!" (310). Queste tentazioni vengono più facilmente nelle cose buone. Uno che si metta a pregare con un po' di fervore, che provi un po' di sensibilità... oh, allora gli sembra di andare in estasi e gli vien quasi da esclamare: "Sono ormai un S. Paolo!". Dobbiamo essere continuamente attenti a rintuzzare la tentazione, con purificare la nostra intenzione. Dio solo! Soli Deo honor et gloria! Sì, stiamo attenti alla vanagloria; bisogna che abbiamo paura di far qualcosa a capriccio, di attribuirci qualcosa.

Vedete la Madonna: lodata da S. Elisabetta, invece di insuperbirsi o far cerimonie, riferisce tutto al Signore. Così noi: se abbiamo un po' d'ingegno (ne abbiamo sempre meno di quanto crediamo), ebbene riferiamo tutto a Dio solo. Non Dio e io, ma Dio solo. S. Tommaso diceva: "Se ne sapessi poco, direi che sono io; ma ne so troppo, quindi questa scienza non viene da me". E alla domanda rivoltagli dal Signore a Tommaso, hai scritto bene di me, qual mercede vuoi?", rispose da furbo, cioè da santo: "Nient'altro che te, Signore!". Voi ricordate che una scopa, una zappa, ecc. valgono quanto i volumi di S. Tommaso, davanti a Dio, se v'è purità d'intenzione.

La vanagloria rovina tutto. Quanti, in fin di vita, dopo aver lavorato, predicato, si troveranno a mani vuote! Diranno: "Eppure abbiamo fatto molto!". Si, ma non per il Signore. Hanno già ricevuto la loro mercede (311). Se lavoriamo senza pensare al Signore, senza offrirgli le nostre azioni, raccoglieremo nulla o quasi nulla; se invece lavoriamo con Lui, uniti a Lui con la retta intenzione, acquisteremo meriti immensi.

Rinnoviamo dunque sovente la purità d'intenzione. Con S. Ignazio diciamo pur noi di voler operare per la gloria di Dio. Ad majorem Dei gloriam! Questa ed altre simili espressioni ci aiuteranno. Oh, quanto saremmo felici se riferissimo tutto e solo al Signore! Egli solo può benedirci, consolarci, far prosperare le nostre opere. Questo punto è molto importante, ricordatelo. E' questione di trovarci poi pieni di meriti o privi di essi. Due fanno la stessa azione: uno può guadagnare molto, l'altro poco o niente. Tutto dipende dalla maggiore o minore purità d'intenzione, dal far tutto con più o meno amor di Dio.

Far sempre la volontà di Dio

Il nostro cuore è così fatto, che ha bisogno di attaccarsi a qualche cosa. Se si attacca alla terra, terra est; se si attacca a Dio, Deus est. Giusta è l'osservazione del P. Ventura: "che il demonio disse bene ai nostri progenitori: sarete come dei (312), perché questo è il nostro naturale sospiro: di sempre più avvicinarci a Dio, trasformarci in Lui. Lo sbaglio fu nel tempo: di volerlo anticipare; e nel modo: di opporre volontà contraria a quella di Dio". Invece questa nostra aspirazione si realizza con conformare la nostra volontà a quella di Dio, con "deiformare" la nostra volontà.

Vi sono infatti tre gradi di perfezione nell'esercizio del fare la volontà di Dio. Il primo è la conformità, che vuol dire conformare la nostra volontà alla volontà ai Dio. Il secondo è l'uniformità, che significa fare della volontà di Dio una sola cosa con la nostra. Il terzo è la deiformità, che è sopprimere la nostra volontà, perché solo esista in noi la volontà di Dio. S, G. Cafasso spiegava così l'unione della nostra volontà a quella di Dio: "Volere ciò che Dio vuole; volerlo in quel modo, in quel tempo, in quelle circostanze ch'Egli vuole, e tutto ciò volerlo non per altro, se non perché così vuole Iddio" (313).

Nostro Signore Gesù Cristo, come già abbiamo veduto, ce ne diede l'esempio colle parole e coi fatti. Se pregava, se lavorava, se predicava, era sempre per fare la volontà del Padre. Sulla Croce, dopo aver dichiarato compiuti i voleri del Padre suo, chinò il capo, come ad indicare che anche in quell'ultimo atto della morte, faceva la volontà del Padre.

Nel fare la volontà di Dio si trova la santità più perfetta. Tutti i Santi divennero tali uniformandosi alla volontà di Dio, sia nelle gioie che nelle pene. S. Francesco di Sales dice che chi vive e muore perfettamente uniformato alla volontà di Dio, è impossibile che il Signore non lo ammetta subito in Paradiso. S. Paolo, appena convertito, abbracciò in pieno la volontà di Dio: Signore, che vuoi che io faccia? (314).

Nel fare la volontà di Dio si trova inoltre la più completa felicità. S. Basilio afferma che il segreto per essere felici anche in questo mondo, è di fare la volontà di Dio. Chi più felice dei martiri, pur in mezzo a tanti patimenti? Chi più felice di una S. Liduina, che passò più di trenta anni inchiodata su di un letto? E' perché sapevano e volevano fare la volontà di Dio. Se uno si unisce alla volontà di Dio, vede le cose come le vede Lui; e se capitano disgrazie, le accetta senza lamentarsi, perché vede in esse la volontà di Dio. Davide, mentre Semei scagliava contro di lui sassi e maledizioni, rispondeva a chi avrebbe voluto uccidere l'insensato: "Lasciate, è Dio che vuole così" (315) Perché Dio permette tante persecuzioni contro la Chiesa e il Papa? Perché permette che vi siano nel mondo tanti cattivi? Risponde S. Agostino: "Affinché i giusti si esercitino nel bene e i cattivi si convertano". Il Signore sa sempre trarre bene dal male.

Non stiamo dunque a discutere nelle varie evenienze, se sia stata volontà positiva o permissiva di Dio. Se il Signore ci manda una malattia, possiamo farci molti meriti e sarà tanto di meno che avremo da soffrire in Purgatorio. S. Alfonso aveva ripugnanza a divenire Vescovo, ma quando il Papa glielo impose per obbedienza, accettò e disse: "Sì, voglio essere Vescovo!". Aveva riconosciuta la volontà di Dio in quella del Papa e l'aveva fatta sua.

Attenti però che non di rado l'amor proprio ci fa parere volontà di Dio quello che non è. Facciamo tante cose nell'illusione di essere nella volontà di Dio, ma spesso v'è il tarlo dell'amor proprio. Bisogna sempre esaminarci spassionatamente; bisogna che di tanto in tanto ci mettiamo davanti al Signore: "Signore, che io conosca Te e il tuo volere! Noverim Te" (316), perché l'amor proprio ce lo nasconde. Voi fortunati che siete Religiosi! Il Beato Avila, ch'era prete secolare, sempre che vedeva un Religioso, lo diceva fortunato e santamente lo invidiava, perché il Religioso, facendo l'obbedienza, è sempre sicuro di fare la volontà di Dio. Un bravo predicatore parlando ai sacerdoti negli esercizi spirituali, dava loro le norme per conoscere la volontà di Dio e diceva` loro: "C'è l'ubbidienza, c'è la carità, c'è la giustizia ossia la necessità ma la più sicura è l'ubbidienza".

S. Geltrude recitava ogni giorno più volte questa giaculatoria: "Amabilissimo Gesù, non si faccia la mia, ma la tua volontà". Diciamola anche noi qualche volta, specialmente nelle cose avverse. Nel Padre Nostro chiediamo che si dilati il regno di Dio e, subito dopo, che si faccia la sua santa volontà in terra, come gli Angeli e i Beati la fanno in Cielo. E' meglio pensare a fare la volontà di Dio che cercare la sua gloria; perché nel fare la volontà di Dio c'è sempre la gloria di Lui, mentre non sempre chi dice di cercare la gloria di Dio, opera in conformità alla volontà di Lui. Procuriamo perciò di vivere continuamente nella volontà di Dio.

Tutto ciò naturalmente costa; ma, come dicono i Santi, è solo l'inizio che costa, perché dopo si gode. Bisogna staccarci dalla nostra volontà; se no, in qualunque posto i Superiori ci metteranno, non saremo mai contenti. Se sentiamo ripugnanza in ciò che ci comandano, siamo più sicuri di fare la volontà di Dio; questa ripugnanza, da noi non voluta, aumenta il merito. Uno che faccia sempre la volontà di Dio, oltre a godere pace perfetta, quanti meriti si fa!

Esaminiamoci sul serio, perché è facile dire nei momenti di fervore: fiat voluntas tua! Ma praticamente, amiamo sempre di fare in tutto la volontà di Dio? Quando uno è al comando, ha un ufficio che gli va a genio, magari crede di essere staccato da tutto, pronto a tutti i sacrifici; ma provate a toglierlo da quell'ufficio e si vedrà se non si lamenta. Non è quindi male che, qui e in Africa, si cambino le cariche e che colui che comandava, ritorni ad obbedire; perché così uno si avvezza a cercare e a fare praticamente la volontà di Dio, a operare unicamente per Dio. Interrogatevi in ogni azione: "E' proprio questo che Dio vuole da me?". Ripeto: voi fortunati che, nella Religione avete l'ubbidienza, la campana, le Regole; e se fate tutto e tutto bene, alla sera potrete dire di aver trascorsa la giornata nella volontà di Dio.

Ricordate dunque: conformarci alla volontà di Dio è qualcosa; uniformarci alla volontà di Dio è di più deiformarci è la massima perfezione. Chi fa questo fa tutto.

Per conoscere se cerchiamo solo Dio e la sua volontà

Accennerò ad alcuni segni o mezzi per conoscere se, nelle nostre azioni, cerchiamo solo Dio e la sua santa volontà.

1. - Se, nel por mano all'opera, siamo indifferenti a questa o a quella, solo volendo quella che si conosce essere attualmente volontà di Dio. In altre parole: se siamo santamente indifferenti a qualsiasi cosa voglia da noi l'ubbidienza, ugualmente disposti ad esercitare gli uffici alti ed onorifici, come quelli bassi ed umili, a studiare come a lavorare, ecc. S. Teresa dice che in comunità nessun impiego è vile, nessuno è più onorifico di un altro. Applicare perciò il detto di S. Francesco di Sales: "Nulla chiedere e nulla rifiutare" (317). La ripugnanza che uno può sentire, - ripeto - non conta; purché si combatta e si operi per amor di Dio.

2. - Se, nell'esecuzione, ci applichiamo con diligenza e con la stessa buona volontà: sia che l'opera sia conforme al nostro gusto o non lo sia; lasciando perciò gli affanni e la fretta, i quali fanno sì che ciò che s'incomincia per Dio, si prosegua per volontà propria.

3. - Se operiamo allo stesso modo sia nelle cose grandi che nelle cose piccole, sia in pubblico che in privato. Così agiva il Card. Baronio: sia quando faceva il cuoco, come quando scriveva i suoi poderosi volumi, tenendo la mente e il cuore sul lavoro attuale; appunto perché riconosceva in quella particolare azione la volontà di Dio, la quale vuol sempre essere fatta con perfezione.

4. - Se, dopo aver compiuta l'opera, non si aspetta l'approvazione degli uomini. I Superiori mi lodino o no, non importa; basta la lode del Signore. Che bisogno di dar fiato alle trombe, per far sapere a tutti che quella data azione l'abbiamo fatta noi? Far le cose bene, senza aspettarsi nulla dagli altri. Dire a noi stessi: Ed ora chi è la mia speranza? Non forse il Signore? (318). Quand'ero Direttore in seminario, a tutti quelli che facevano qualche lavoro durante le vacanze, Mons. Gastaldi dava qualche regalo. Alcuni, vedendo che a me (che pure avevo più lavoro) non dava mai niente, si meravigliavano e un giorno gliene chiesero la ragione. Ed egli: "E perché lo stimo troppo; lui per lavorare non ha bisogno né di regali né di lodi". Come vedete, ho provato e lo so. Che bisogno delle lodi dei Superiori? Se non dicono niente, è segno che va bene... Dio solo mi basta!

5. - Se non badiamo all'esito delle opere e quindi non ci turbiamo quando questo non corrisponde allo sforzo fatto. La santa volontà di Dio sia fatta e tanto basta. Dio premierà secundum laborem e non secondo l'esito che il Signore talvolta permette che sia meschino o nullo per umiliarci.

6. - Se godiamo del bene: sia che venga fatto da noi che da altri. E', così facile, vedendo altri a far bene, che ci vengano sentimenti di gelosia! Quando succede così, pregare per quel confratello, umiliarci e intanto purificare la nostra intenzione, dicendo a noi stessi: "Purché il bene si faccia in comunità e ne sia glorificato il Signore!". Oh, teniamo gli occhi fissi in alto. La nostra mira è là: Dio solo!

Esaminiamo noi stessi se nei casi pratici ci regoliamo secondo questi principi. Se cosi faremo, il Signore si servirà di noi per far molto bene, come si servì di S. Francesco Zaverio. Il Signore, ve l'ho detto, è geloso e non si serve di chi non opera per Lui, ma cerca se stesso. Inoltre, se faremo sempre la volontà di Dio con purità d'intenzione, i nostri giorni saranno veramente pieni, perché dal mattino alla sera è un continuo accumulare tesori pel Cielo. Procuriamo che sia così; allora, alla fine della vita troveremo di aver fatto molto, anche se al presente ci sembra di far poco.

Amore di riconoscenza: il "Deo gratias!"

La prima preghiera vocale che pronunciamo nel giorno in comune è il Deo gratias! in risposta al Benedicamus Domino. E' ben giusto che, dopo la notte, benediciamo il Signore che ci ha conservati in vita, mentre tanti morirono nella stessa notte e forse di morte improvvisa. Dio ci diede buon riposo, mentre tanti passarono la notte tra pene e dolori, come negli ospedali. Tanti in quella notte peccarono e noi siamo stati da Dio, per mezzo dell'Angelo Custode, preservati dai peccati; e se tentati, siamo usciti vittoriosi. Il Signore da questo Deo gratias sarà mosso a benedirci tutto il giorno.

Questa breve giaculatoria deve esserci familiare, risuonare sovente sulle nostre labbra, anche durante il giorno. Dice S. Agostino: "Che cosa di meglio possiamo concepire o dire o scrivere, del Deo gratias? Nulla di più breve a dirsi, di più dolce a udirsi, di più grato a concepirsi, di più prezioso a farsi" (319). Questa santa usanza l'ebbe pure S. Giuseppe Cottolengo e la trasmise alla Piccola Casa della Divina Provvidenza. Il Santo la usava specialmente nel ringraziare i benefattori, rivolgendo così il bene al Signore e ricordando loro che erano strumenti di Dio e facessero perciò il bene per amore di Lui. Diciamola sovente almeno col cuore, per tanti nostri benefattori e Dio sarà mosso a moltiplicarli secondo i nostri bisogni.

Gli anniversari

Nel mondo si usa commemorare il centenario degli avvenimenti straordinari, come quello della scoperta dell'America, della nascita o morte di uomini illustri. Anche coram Ecclesia si celebrano centenari, come fu, per noi, quello dell'invenzione dell'immagine della nostra Consolata. Si celebrano pure centenari, venticinquenni o anche solo decenni di Istituzioni, di lavoro parrocchiale o sacerdotale, ecc. Ognuno poi ricorda e festeggia ogni anno il proprio onomastico.

Noi commemoriamo gli anniversari dei punti più salienti della nostra vita. Come CRISTIANI: il giorno della nostra nascita, del santo battesimo, della santa Cresima, della prima Comunione. Come RELIGIOSI: quello dell'entrata nell'Istituto, della vestizione religiosa, della prima e seconda professione. Come SACERDOTI: il giorno in cui ricevemmo la tonsura, gli Ordini Minori, il Diaconato e il Presbiterato. Come MISSIONARI: il giorno della partenza ed entrata in Missione.

Abbiamo, è vero, degli anniversari in comune: come gli esercizi spirituali, le feste, ecc., ma gli altri sono propri di ciascuno, privati, da festeggiarsi in quei dati giorni, che sono per lo più diversi per ciascuno di noi.

Ma perché commemorarli ? In ciascuno di questi casi si tratta di una grazia ricevuta da Dio, di cui lo si vuole ringraziare; e quindi rinnovare in noi lo spirito e le virtù che la grazia deve produrre.

Veniamo, ad esempio, alla considerazione della nascita. Io tanti anni fa non esistevo... C'erano altre persone, ma nessuno pensava a me, neppure i miei genitori... Ma Voi, o Signore, da tutta l'eternità pensavate a me; Voi avete stabilito da tutta l'eternità il giorno e mi avete fatto nascere in luogo di tante altre creature possibili, in luogo di tanti altri che avrebbero corrisposto meglio di me... Quale degnazione da parte di Dio!... Quanta riconoscenza da parte nostra!

Così il Battesimo per mezzo del quale ci venne tolto il peccato originale, fummo ristabiliti nell'ordine soprannaturale, fatti coeredi con Nostro Signore Gesù Cristo del Paradiso. Vedete la preziosità del santo Battesimo! Che merito avevamo noi di essere preferiti a tanti infedeli ?... E quanti morirono senza il Battesimo?... Noi Missionari soprattutto dobbiamo considerare la grande grazia del Battesimo. Apprezziamola questa grazia e, compenetrati della sua importanza, eccitiamoci a salvare molte anime. Meditando sull'eccellenza di essere cristiani, sforziamoci di farci santi, perché salveremo anime in proporzione della nostra santità.

Non passo in rassegna il giorno della prima Comunione (chi non ricordasse la data, potrebbe fissare il giorno del Giovedì Santo o del Corpus Domini), né quello della santa Cresima. Di questa però possiamo saper la data, perché se ne tien nota nei registri parrocchiali. E un grande Sacramento che, come il Battesimo, riceviamo una sola volta. Ringraziamo il Signore che ci ha fatti soldati di Gesù e procuriamo di risuscitare in noi la grazia ricevuta, con scuoterci e metterci di buon animo.

Che dire della grazia dell'Ordinazione sacerdotale? Quale festa in quel giorno, e più quale fervore! Con l'animo ripieno di affetto e di riconoscenza verso Dio, promettemmo di ben adempiere le obbligazioni del nostro stato, a costo di qualsiasi sacrificio. Ma, sbollito il primo entusiasmo, ci lasciammo prendere dall'abitudine, ci raffreddammo e la nostra corrispondenza diminuì. A rialzare lo spirito e ritornarlo al primo fervore vengono i santi spirituali esercizi, i ritiri mensili e tante altre pratiche di comunità; ma se questi mezzi ci servono ad infervorarci in genere sul nostro obbligo di santificarci, non ci ricordano però i singoli doveri assunti e quindi il bisogno di rinnovarci nelle speciali grazie ricevute. San Paolo ricordava in particolare al suo Timoteo di risuscitare in se la grazia della S. Ordinazione: Ti rammento di ravvivare la grazia di Dio che è in te per l'imposizione delle mie mani (320).

E come celebrarli? Vi propongo alcune norme pratiche:

1. - Notiamo sul taccuino delle memorie spirituali tutti i nostri anniversari, quali occorrono lungo l'anno: quasi un piccolo calendario tutto nostro; sono come tante pietre miliari, sono tante oasi in cui respirare un po' d'aria buona.

2. - La sera precedente, prepariamoci col Veni Creator e pensiamoci andando a letto.

3. - Subito alzandoci, indirizziamo la giornata secondo lo spirito dell'anniversario, specialmente la meditazione e la santa Comunione.

4. - Possibilmente ai piedi di Gesù Sacramentato, consideriamo la grazia ricevuta e perciò portiamoci in spirito a quell'anno, giorno, ora... leggendo anche ciò che sta scritto nel Pontificale, nel rituale o nel formulario dei Religiosi. Ringraziamo, pentiamoci delle nostre incorrispondenze, preghiamo sia per noi e sia per quelli che assistettero o cooperarono a quella grazia: genitori, padrini, Vescovo, Superiori, ecc.

5 - Terminiamo la giornata con propositi di meglio corrispondere al donum Dei.

E' tanto bello festeggiare in questo modo gli anniversari degli eventi principali della nostra vita! E' una festa intima, vissuta tra Dio e noi. E' una cara festa che ci ricorda il gran bene che Dio ci vuole, gli immensi benefici che ci ha elargiti, benché fossimo molto indegni. Essa viene a ravvivare la nostra fede e la nostra carità; è come uno sprone alla santità, a rinnovare in noi lo spirito.

Alcuni potranno chiamar minuzie queste cose, ma intorno a un soggetto così importante anche le minuzie sono importanti, anzi importantissime. Dobbiamo servirci di tutto per aiutarci nella divozione; e il celebrare gli anniversari è uno dei mezzi che ci aiuta per tutta la vita. Tra tutte queste date, ne avremo per quasi tutti i mesi e, siccome è difficile che ci incontriamo ad avere una stessa data nello stesso giorno, tutti i giorni dell'anno, o dall'uno o dall'altro, s'innalzerà nell'Istituto un ringraziamento al Signore.

Io desidero che questa pratica ci sia nell'Istituto e che la teniate sino alla morte.

Nel giorno genetliaco

Vi ho radunati, come il padre fa coi suoi figli, per dirvi che oggi è il mio anniversario di nascita; proprio adesso, alle sei di sera. E' una bella notizia, mentre è una grazia di Dio. So che quest'oggi avete pregato per me e ve ne ringrazio. Quand'ero piccolino, non avrei mai creduto che il Signore volesse conservarmi in vita così a lungo! Ero il più "miserabile" della famiglia e il Signore ha conservato me. Anche voi ringraziate il Signore di questo: di avermi creato, conservato e anche perché, quantunque debole di salute, posso fare ancora quello che il Signore vuole da me. E poi tutte le altre grazie materiali e spirituali! Voi non potete ancora capire, ma io vedo una catena di grazie!

Di un amore eterno ti ho amato, e perciò ti ho a me attratto pieno di compassione (321). Iddio da tutta l'eternità ha pensato a noi. Non avevamo noi alcun merito, perché eravamo niente, eppure il Signore ha sempre pensato a noi e ci ha amati. Dilexi te: proprio te non un altro. Il Signore non aveva bisogno di noi; sapeva che non avremmo corrisposto pienamente, eppure dilexi te! Poteva creare tanti S. Luigi, che avrebbero assai meglio corrisposto alle sue grazie; invece no: te. E questo per pura misericordia: miserans tui!

Poi tutte le altre grazie, specialmente quella della vocazione. A tanti altri non l'ha data, ad altri anche l'ha tolta; invece a noi l'ha data e la conserva. Vedete, il Signore mi ha condotto attraverso avvenimenti che parevano casuali. Avrò avuto dieci anni, se pur li avevo, e non vedevo chiaro sul mio avvenire; avevo l'idea di studiare e da più giorni ne parlavo con la mamma. Un Sacerdote, in compagnia del sindaco, venne a trovarmi e disse alla mamma, accennando a : "Siamo venuti per dirvi che questo ragazzo deve studiare! ".

E poi grazia su grazia; e gli studi sono riusciti proprio bene; non tocca a me fare gli elogi, ma... I fratelli non volevano che prendessi l'abito ecclesiastico, volevano che facessi prima il liceo con loro e io, per accontentarli, leggevo i loro libri. Ma un giorno li gettai via da me e dissi: "Ah, vado in seminario! Il Signore mi chiama oggi, chissà se fra tre anni mi chiamerà ancora?!".

E lì, nel seminario, in quella cappella, quante grazie! Non posso contarle. Poi alla Consolata... e sono ormai tanti anni!... Voglio che lo sappiate (non c'è nulla da gloriarsi): è per voi che sono qui vivo ancora; dovrei già essere morto e in Paradiso. Fu un miracolo perché il sangue era già decomposto... Il Signore poteva servirsi di un altro, che certamente avrebbe fatto meglio di me, che avrebbe avuto maggior tempo di occuparsi di voi, ma un altro che vi voglia bene più di me, non credo.

Domani poi è il dì del mio Battesimo. Stetti una sola notte "ebreo". Una volta si badava a queste cose; adesso o si aspetta il padrino, o il tale o il tal'altro... e intanto si perdono le grazie, i meriti della Comunione dei Santi. Domani pregate per me. Bisogna dare importanza al Battesimo!

Più di tutto ringraziate il Signore della vocazione al Sacerdozio. Al Signore tutto l'onore e la gloria, a me la confusione... Ma quando si va avanti e non si devia, Egli aggiusta anche gli sbagli. Quel che mi consola di più è che ho sempre fatto quel che il Signore voleva da me; mi consola il sapere che ho mai deviato. Quando Mons. Gastaldi mi nominò Direttore spirituale in seminario, andai da lui e gli dissi: "Sono troppo giovane e poi speravo di essere un giorno un umile parroco, ma sono figlio dell'obbedienza". Ed egli: "Vuoi essere parroco? Ti dò la prima parrocchia di Torino: il seminario". Quando mi mandò alla Consolata, io non avevo ancora trent'anni e là c'era un Ospizio di preti vecchi. Gli domandai: "E' proprio volontà di Dio? Non ho ancora trent'anni, non ho esperienza" - "Vedi, - mi rispose - l'essere giovane è un difetto che si corregge un po' per volta. Gli sbagli, poi, appunto perché sei giovane, hai tempo a rimediarli". Vedete, bisogna essere là dove il Signore ci vuole. Se io non avessi accettato, Mons. Gastaldi avrebbe accolto il mio "no", ma io non avrei preso la strada nella quale il Signore mi voleva.

Ringraziamo dunque il Signore e procuriamo di corrispondere alle sue grazie. E' certo che non si corrisponderà mai abbastanza, ma facciamo quello che possiamo e il Signore aggiusterà Lui il resto, se in noi vede la buona volontà. Egli conosce la nostra miseria, il fango di cui siamo impastati.

Quest'oggi, naturalmente, ho fatto il ritiro mensile, ho ringraziato il Signore, l'ho supplicato a perdonarmi per quando dovrò rendere conto di tante grazie. Ne ho dei rendiconti col Signore, sapete! Tuttavia non mi affliggo per questo. Ho sempre fatto la volontà di Dio, non ne dubito. Dunque, Signore, supplite voi! Di questo sono certo: che ho sempre cercato di fare la volontà di Dio, senza guardare in faccia a nessuno. Ad ogni modo non intendo fare il mio elogio; non c'è che da ringraziare il Signore.

Un Religioso oggi mi diceva: "Non avrei mai creduto che lei giungesse a quest'età!". Bel complimento, vi pare? E veramente da chierico ho fatto una gravissima malattia, e poi la famosa del 1900... ma, come diceva il Card. Agostino Richelmy, il Signore mi ha conservato per voi. Invero, perché non potevo morire allora? Avevo proprio l'età di S. G. Cafasso, senza però averne i meriti. Ma il Signore non ha voluto. Charitate perpetua dilexi te, anche in questo. Si, anche a questo pensava il Signore da tutta l'eternità: a darmi le forze sufficienti. Col suo aiuto ho lavorato sia alla Consolata che qui e per l'Africa. Adesso sta a voi a compiere i disegni di Dio. Non posso fare io tutto, a ciascuno la sua parte. Ciascuno deve divenire un apostolo del Signore, un Missionario della Consolata e quindi corrispondere a tutte le grazie che il Signore ci ha destinate da tutta l'eternità. Pensateci a queste cose, allora non vi sarà facile perdervi per via.

Basta, ho fatto un po' il mio panegirico. Anche San Paolo un giorno fece il suo, ma poi terminava: Per la grazia di Dio sono quel che sono (322). Tutta grazia di Dio e, senza di essa, sarei un bel nulla!

Nel primo decennio della fondazione morale dell'Istituto (24 aprile 1910)

E' trascorso un decennio di vita dell'Istituto, poiché la fondazione di un Istituto non si conta da quando comincia ad aver vita, ma da quando se ne stabilisce definitivamente la fondazione. E sono appunto dieci anni ad oggi che si è decisa la fondazione del nostro Istituto. Queste cose i più anziani le sanno, ma conviene che le ripeta qui a tutti: non per me, ma per manifestare le opere del Signore a sua gloria; e perché le ricordino quelli che celebreranno il 25° anniversario il 50°, il centenario.

Dieci anni fa caddi gravemente ammalato da giungere alle porte dell'eternità. Il nostro arcivescovo, Card. Richelmy, veniva a trovarmi quasi tutte le sere e siccome avevamo già parlato di questa istituzione gli dissi: "Ormai all'Istituto ci penserà un altro"; e glielo dissi contento, forse per pigrizia di non sobbarcarmi a un tal peso. Egli però mi rispose: "No, guarirai e lo farai tu". E son guarito.

Andai poi a Rivoli e il giorno di S. Fedele da Sigmaringa (24 aprile), di cui sono sempre stato divoto in modo particolare fin dal seminario, posi sull'altare una lunga lettera, in cui si decideva la fondazione. Celebrai la santa Messa in onore del Santo, quindi feci recapitare la lettera all'Arcivescovo. E fu decisa la fondazione. In quello stesso anno si licenziò la Scuola Normale che aveva sede nella palazzina di Corso Duca di Genova e l'anno seguente si cominciò effettivamente l'Istituto in detta palazzina. L'8 maggio 1902 partiva la prima spedizione per le Missioni, composta di Mons. Filippo Perlo, P. Tommaso Gays e due Coadiutori. Quindi dalla prima partenza sono solo otto anni, ma dalla fondazione sono dieci.

Ora vedete quante grazie ci ha concesse il Signore in questo primo decennio: grazie generali a tutto l'Istituto e grazie particolari a ogni individuo; sicché ognuno può dire: singulariter sum ego! I profani ed anche le persone buone sono meravigliate di tale rapido progresso, e S. E. Mons. Tasso, Vescovo d'Aosta, ha detto che quest'opera è nata gigante. Veramente è nata molto piccola, ma certo che il Signore l'ha ricolmata di grazie straordinarie. Prima la Missione indipendente del Kenya (perché prima non eravamo a casa nostra); poi, saltando il grado di Prefettura, subito il Vicariato col primo Vescovo; infine l'approvazione col Decretum laudis, che d'ordinario non si guisa concedere così presto.

Ora di tutte queste grazie e di moltissime altre dobbiamo ringraziare il Signore che ce le ha concesse, e pregarlo a volerle continuare in un altro decennio, anzi a darcene delle maggiori ancora, come domanda la Chiesa nell'Oremus del Te Deum. Bisogna però che noi non vi mettiamo alcun impedimento. Talora bastano pochi "amaleciti" a far cessare le grazie del Signore su di una Comunità.

Che cosa dunque dobbiamo fare perché il Signore continui a spargere su di noi le sue grazie? Mi pare che sia detto nel Vangelo di oggi: Ego sum vitis, vos palmites... sine me nihil potestis facere (323). Ecco il Signore è la pianta che dà la vita e la comunica alle varie suddivisioni di rami; i tralci staccati dalla vite sono morti e non servono più a nulla, se non ad essere bruciati. Noi quindi bisogna che stiamo ben attaccati a Nostro Signore che è là nel SS. Sacramento; che riconosciamo che tutto viene da Lui. Nella prima Casamadre c'erano già, ed in questa le faremo scrivere più in grande, le parole: Protegam eum quoniam cognovit nomen meum (324). Lo proteggerò perché ha riconosciuto il mio nome e cioè, in linguaggio biblico, ha riconosciuta la mia virtù, la mia potenza, che sono Io che faccio tutto.

Nelle opere di Dio bisogna procedere così: pregare per conoscere la volontà di Dio; consultare e consigliarsi; soprattutto l'ubbidienza, stare alle disposizioni dei superiori. Perciò quando da Rivoli tornai a Torino a prendere la risposta di quella lettera (nella quale, come disse l'Arcivescovo, avevo accumulato più ragioni contro che in favore della fondazione), dissi al Cardinale: "Dunque, Eminenza, in verbo tuo laxabo rete!". Ed egli: "Sì, sì!". Allora, vedete, se l'opera fallisse, sarebbe sempre il Signore che mancherebbe. Ma il Signore non manca mai; finora ci ha sempre provveduto il necessario.

Come conclusione, ringraziamo il Signore delle grazie conceduteci in questo decennio, ché sono tutta roba sua. Soli Deo honor et gloria! E intanto procuriamo di non impedire che il Signore ce ne conceda sempre di nuove nel prossimo avvenire.

giuseppeallamano.consolata.org