13. LE CONDIZIONI PER LA SANTITA'

Volontà perfetta

Dopo aver considerato i motivi di farci santi e gli ostacoli che vi si frappongono, trattiamo ora di alcune disposizioni d'animo necessarie a chi vuol seriamente tendere alla perfezione.

La prima di queste disposizioni - condizione assolutamente necessaria per tutti e in ogni tempo - è il desiderio, la volontà di santificarsi. Mancando questa, non si farà mai nulla, e a nulla varranno tutte le grazie di Dio, a nulla i mezzi che l'Istituto ci offre perché o non li useremo, o li useremo solo a meta, il che in pratica è come non usarli. I maestri di spirito sono qui tutti d'accordo: si fa santo colui che vuole.

Non basta tuttavia un desiderio qualsiasi. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia (189). Questo si richiede: aver fame e sete della santità; desiderarla quindi con la stessa forza con cui l'affamato desidera il cibo, l'assetato la fonte d'acqua fresca. Allora il Signore viene incontro alla creatura e la satolla: quoniam ipsi saturabuntur. Sì, per quanto attualmente possiamo ancora trovarci imperfetti, se proprio il Signore vede in noi questa buona volontà, farà Lui colmando a poco a poco i vuoti, togliendo a uno a uno i nostri difetti e mettendo al loro posto l'abbondanza di ogni dono perfetto. Ha ricolmato di beni gli affamati (190). Ciò che conta davanti a Dio è la volontà. S. Tommaso insegna che chi ha volontà perfetta, ha davanti a Dio il merito di ciò che vorrebbe fare.

1. VOLONTA' PIENA - Volontà perfetta vuol dire anzitutto una volontà piena, cioè non deficiente, che non mette limiti, che non teme le altezze, il troppo. Taluni sembrano aver paura di essere messi sugli altari! Non pensiamoci, non è affar nostro; se mai, ci penseranno gli altri. Noi però dobbiamo tendere là, alla santità da altare.

I doni di Dio non si possono rifiutare, ma devonsi accettare, e Dio vuole da noi questa santità perfetta. Nessuno quindi dica: "Mi contento di essere buono e lascio agli altri queste grandi aspirazioni". No, no, guai! L'aria di questa Casa è uguale per tutti ed è un aria che fa santi. Non tutti purtroppo lo sono, ma potrebbero esserlo con un po' di buona volontà. Non è presunzione il volersi far santo e grande santo, come S. Francesco Zaverio e anche più di lui (salvo lo straordinario). Presunzione sarebbe il credere di giungere a questo senza l'aiuto di Dio. Il timore di presunzione viene per lo più dal demonio o è un pretesto addotto dalla nostra accidia.

Chi pertanto vuol mettere limiti alla santità, chi crede di poter misurare la sua corrispondenza alle grazie di santificazione, si persuada che non raggiungerà mai nemmeno una santità comune. No, col Signore non si mercanteggia: o tutto o niente. O ci faremo santi come vuole Lui, o non ci faremo affatto. Nel primo caso avremo fatto tutto, nel secondo caso l'avremo sbagliata su tutta la linea.

2. VOLONTA' ENERGICA - In secondo luogo, volontà perfetta vuol dire volontà forte, decisa, energica, volontà di ferro. Le volontà fiacche, le mezze volontà riusciranno mai a nulla, faranno mai un sol passo nella via della perfezione; sono gli spiritualmente pigri, che si baloccano con il volere e il non volere. Il pigro vuole e non vuole (191). Oggi sì, domani no. Scambiano la volontà con la velleità. Non rifiutano la santità, purché non costi sforzo, sacrificio. Costoro non mancano nelle comunità. Voi li vedete: sono molli, sempre gli ultimi, par che facciano una carità a studiare, a pregare; e, dopo tanti anni dacché sono nell'Istituto, dopo tante e tante grazie, non si sa ancora se siano freddi o caldi, se vadano avanti volentieri o no.

A me questi caratteri fiacchi, infingardi, queste mezze volontà non piacciono. Costoro, ove non scuotano il loro naturale che li porta alla mollezza, a operare tutto con negligenza, saranno tratti dal demonio a vizi abominevoli. E ciò perché una mezza volontà non può mantenersi tale: o la si completa o si cade del tutto. "Volli, sempre volli, fortissimamente volli" diceva Vittorio Alfieri. Questa ferrea volontà ch'egli s'impose per riuscire sommo tragediografo, possiamo ben metterla noi per riuscire nella santità, che è qualcosa di più.

Ciascuno dica a se stesso: Voglio, fortissimamente voglio farmi santo, perciò mi lego talmente all'Istituto, alle Regole, all'adempimento dei miei doveri, da non aver quasi più libertà di mancarvi. Allora il Signore aiuta. Ricordate ciò che S. Tommaso rispondeva a sua sorella che gli aveva domandato che cosa dovesse fare per diventare santa. Le rispose: "Di' a te stessa: voglio farmi santa, grande santa, presto santa".

3. VOLONTA' COSTANTE - In terzo luogo, volontà perfetta vuol dire volontà costante, per cui uno non si perde mai di coraggio. La instabilità è purtroppo connaturale in noi. Siam fatti così che abbiamo sempre bisogno che ci spingano, che ci scuotano. Basta un nonnulla per abbatterci; basta un po' di aridità, un sacrificio un po' costoso per fermarci nella nostra ascesa spirituale. S. Teresa , durante i lunghi anni di assoluta aridità di spirito, non solo non venne meno alla vocazione, ma a nessuno dei suoi propositi. E a quante prove non andò soggetta S. Margherita Alacoque? La sua vita non è che un intreccio di prove una più dolorosa dell'altra. Ma non si smarrì e tutte le superò con eroica costanza. Che se queste donne poterono perseverare nel molto soffrire perché non potremo noi perseverare in quelle piccole rinunzie, in quegli atti di fedeltà che richiede la nostra santificazione? La grazia di Dio, che sorresse queste Sante e tutti i Santi, a noi non manca e, con essa, anche noi possiamo salire al più alto grado di perfezione.

Diffidenza e confidenza

L'importante nella via della santificazione è di non scoraggiarci per le nostre miserie, per trovarci sempre distanti da quella perfezione a cui sinceramente e con tutte le forze aspiriamo. La diffidenza, vedete, è tale un ostacolo che basta da sola a fermare l'anima anche la più ben avviata, a impedirle di proseguire, a farla talora indietreggiare nella buona via. L'anima diffidente è come un uccello a cui sono state tarpate le ali, che perciò non può alzarsi a volo.

Sapete da che cosa proviene la diffidenza e quindi lo scoraggiamento? Dal confidare troppo in noi stessi, nelle nostre forze. Lo Scupoli, nell'aureo libretto del Combattimento spirituale, dice al riguardo: "Ciò ti si imprima bene nella mente: imperocché noi siamo troppo facili ed inclinati dalla natura corrotta ad una falsa stima di noi stessi, che essendo veramente non altro che nulla, ci diamo pure ad intendere che siamo qualcosa e, senza fondamento veruno, delle proprie forze presumiamo. Questo è difetto assai difficile a conoscersi e molto dispiace agli occhi di Dio, che ama e vuole in noi una cognizione certissima di questa verità: che ogni grazia e virtù deriva da Lui solo, che è fonte di ogni bene, e che da noi nessuna cosa, neppure un buon pensiero può venire, che grato gli sia" (192).

Prima cosa, dunque, pregare il Signore che ci dia la conoscenza perfetta del nostro nulla. Non si tratta di farci più cattivi di quello che siamo, ce n'è già di che star ben umili; se c'insuperbiamo, è appunto perché non ci conosciamo. I grandi ingegni e i grandi Santi, come S. Tommaso (193), si può dire che non sentissero nemmeno più le tentazioni d'invanirsi, appunto perché, conoscendo a fondo se stessi, il loro nulla, sapevano riferire tutto il bene a Dio solo. Sono soltanto i mediocri e gli imperfetti che si credono qualcosa; e allora il Signore, con umilianti cadute, li richiama alla verità, cioè al conoscimento di se stessi.

Non bisogna però che ci fermiamo qui. La conoscenza del proprio nulla e quindi la diffidenza di noi stessi, non dev'essere che il punto d'appoggio per salire alla confidenza in Dio. Scrive il predetto Autore: "La diffidenza, se l'avremo sola, fa sì che o ci daremo alla fuga o resteremo vinti, superati dai nemici. Epperò, oltre a questa, ci vuole la totale confidenza in Dio, da lui solo sperando e aspettando qualunque bene, aiuto e vittoria" (194).

Così faceva S. Filippo Neri, che andava gridando per le vie di Roma: "Sono disperato, sono disperato! ". E a chi gliene faceva rimostranza, rispondeva: "Sono disperato di me, per confidare tutto in Dio!". Il segreto di tutti i Santi, della loro santità e delle loro opere fu sempre questo: diffidare di sé e confidare in Dio. Ma confidare sempre, in ogni occasione; confidare soprattutto dopo le nostre mancanze, purché ci sia in noi la buona volontà di amarlo e di servirlo con perfezione. Mai dunque scoraggiarci delle nostre miserie che non vogliamo, ma attaccarci a Lui, abbandonarci in Lui che non solo vuole e può farci santi, ma essendo onnipotente, può costruire la nostra santificazione sulle nostre miserie; purché, ripeto, sia in noi il desiderio sincero, la volontà ferma di corrispondere alle sue grazie.

Modellare il temperamento

Per riuscire vittoriosi nell'agone della santità, è inoltre necessario prendere di mira il nostro temperamento per formarlo alla virtù. Per il peccato originale, tutti partecipiamo alla natura corrotta e maligna e anche il nostro temperamento ne porta le conseguenze. Fin qui nulla di male, perché ciò non dipende da noi; dipende però da noi il dominarlo e non lasciarci da esso dominare.

Alcuni scusano i loro difetti con dire: "E' il mio temperamento!". Ciò non scusa. Non è che si debba distruggere il proprio temperamento; ma va corretto, cioè spogliato di quanto di cattivo eredità dal peccato originale o dai parenti, e di quanto contrasse di erroneo per l'educazione o propria incuria o malizia. S. G. Cafasso, al dire di Mons. Bertagna, era un fiammifero (brichet), eppure tanto si dominava, che lo si sarebbe detto insensibile. Così S. Francesco di Sales, al quale questo lavorio sul proprio temperamento, tutto fuoco e impulsivo, costò molti anni di continui sforzi. E' un lavorio lungo e costoso, ma necessario, se vogliamo rendere buono il nostro temperamento e che non sia di peso agli altri.

A tal fine è necessario, in primo luogo, non aver paura di esaminarci a fondo, per scoprire il lato difettoso del nostro temperamento, e quindi il bisogno che abbiamo di correggerlo. Avviene in comunità che tutti ci conoscono per invidiosi, caparbi, collerici, e solo noi non ci conosciamo per tali o, meglio, non vogliamo credere di essere tali... e guai a chi ci avvertisse di queste nostre manchevolezze! E io vi dico per esperienza che se non emendate il vostro temperamento durante gli anni della vostra preparazione, in Missione non lo correggerete più; anzi aumenterà il lato difettoso del medesimo e sarete di peso ai confratelli, nonché di scandalo agli africani.

Che nessuno dunque si scusi del poco profitto nella perfezione col motivo del suo temperamento; accusi piuttosto la propria pigrizia. Nessun temperamento può, per se stesso, impedirci di tendere e di raggiungere la santità. Di Santi ve ne furono di ogni temperamento, come di ogni indole. Tutto sta nella buona volontà, nello sforzo continuato e generoso di combatterne le cattive tendenze. Se ci sarà più da combattere, ci sarà anche maggior merito.

Non lasciarsi rimorchiare

Un'altra condizione necessaria per giungere alla santità è quella di non lasciarsi rimorchiare dai meno fervorosi o da considerazioni umane. Non dire perciò che non tocca a voi essere i primi nel fervore, nella puntualità, nell'osservanza; che tocca ai più anziani dare il buon esempio e precedervi nel bene. Sì, coloro che sono avanti negli anni dovrebbero precedere gli altri nelle virtù e nel buon esempio: di modo che supponendo che venga a mancare la Regola scritta, Si possa dire: "Guardate come fa un professo, un anziano". Ognun d'essi dovrebbe essere la Regola vivente. Ma ciò avvenga o no, nessuno è dispensato dal tendere alla perfezione, nessuno è scusato se non lo fa.

Ciascuno pertanto pensi a sé, all'obbligo che si è assunto entrando nell'Istituto; pensi alla voce di Dio che lo chiama ad essere perfetto; pensi allo strettissimo rendiconto che dovrà rendere a Dio di se stesso non degli altri.

Talora si sente a dire: "Credevo trovare tutti santi qui dentro, invece!...". E non pensa costui ch'egli è il primo a non essere santo, a non tendere alla santità; come pure dimentica che il Signore permette certi difetti, per dar modo di acquistare meriti nell'esercizio della virtù. Chi di voi, esaminandosi davanti a Dio, può affermare in coscienza di aver nulla a rimproverarsi? Che ciascuno cominci dunque da se stesso. Se io pretendo la perfezione negli altri, è troppo giusto che la procuri a me stesso, affinché quelli che verranno dopo di me l'abbiano a riscontrare in me. Non vi pare che se ciascuno facesse questo proposito di santificar se stesso, sareste in breve tutti santi?

Mi diceva un santo Sacerdote, Superiore della Piccola Casa della Divina Provvidenza: "Molti s'ingannano sulla realtà delle cose nella nostra comunità. Ci credono tutti santi; credono che, qui giunti, non abbiano a trovare difetti negli altri, non abbiano a commetterne essi stessi. Si sbagliano costoro, e a torto si lamentano di non trovare qui il Paradiso. L'aria qui è buona per tutti e chi vuole vi trova i mezzi di farsi santo, nonostante tutte le miserie che ci sono". Lo stesso dico io a voi: se volete davvero farvi santi, l'Istituto ve ne dà i mezzi, ed anche le miserie vostre e degli altri possono aiutarvi a conseguire il fine. Noi sappiamo - scrive S. Paolo - che tutte le cose tornano a bene per coloro che amano Dio, per coloro che, secondo il proposito di Lui, sono stati chiamati santi (195). E voi siete precisamente di questi chiamati alla santità e ad una santità singolare. Fate dunque che tutte le cose, anche i difetti altrui, cooperino al vostro bene.

Ciascuno di voi, anche l'ultimo arrivato, cammini con fermezza nell'acquisto delle virtù, senza quella misera paura che talvolta s'incontra nelle comunità, di apparire singolare e d'essere mostrato a dito dagli imperfetti. Siate forti e costanti nel bene, nel tenore di vita santa che avete abbracciata. Non è chi bene incomincia che sarà premiato, ma chi persevera sino alla fine. Ogni giorno nella santa Comunione e nella Visita a Gesù Sacramentato, sprofondandovi nel vostro nulla e gettandovi con illimitata confidenza nel suo Divin Cuore, rinnovategli il vostro proposito: "Voglio farmi santo, voglio farmi gran santo, voglio farmi presto santo. Lo posso, lo debbo, quindi lo voglio!".

Alcuni pensieri sui difetti

I difetti che non vi dovrebbero essere sono quelli sostanzialmente contrari alla vocazione. Ammetto difetti di temperamento, purché ci sia il proposito di emendarsi.

Desidero soprattutto che un soggetto sia di buone qualità, non finto; che si lasci formare, che si emendi; non già che non abbia difetti.

Non si è mai mandato a casa nessuno, solo perché avesse dei difetti.

Non sono i difetti che ci impediscono di farci santi, ma lo stare nei difetti.

Se Nostro Signore non ci lasciasse dei difetti, non avremmo più nulla da fare.

Non è tanto il non cadere che importa, ma è il sollevarsi; bisogna sempre ricominciare, senza stancarsi mai.

Facciamo un po' di carità a noi stessi, non facciamoci più cattivi di quel che siamo; lo siamo già abbastanza!

Sovente ci vediamo peggiori, ma non è a credere che abbiamo fatto regressi; piuttosto, con lo studiarci meglio, incominciamo a conoscere i difetti; molte cose che prima non apparivano ora vengono alla luce.

Se si vince perfettamente un difetto, se ne vincono molti altri assieme, poiché un difetto ha sempre molte radici in altre imperfezioni.

La Madonna copre con il suo amplissimo manto i nostri difetti, se però noi li combattiamo strenuamente.

Siate contenti che i Superiori conoscano i vostri difetti e li correggano; corrispondendo procederete a passi da gigante.

giuseppeallamano.consolata.org