12. GLI OSTACOLI ALLA SANTITA'

Mancanza di buon spirito

La mancanza di buon spirito ossia di spirito religioso, in contrasto con l'obbligo che abbiamo di tendere alla perfezione, può dipendere da varie cause. Accennerò ad alcune che più spesso si riscontrano nelle comunità religiose.

1. FINE NON RETTO - Di questo abbiamo diffusamente parlato. Il Signore non può benedire chi entra nell'Istituto con fine non buono. Impossibile quindi che costui avanzi nella santità, allo stesso modo che non può germogliare il seme gettato in terreno non adatto.

Ciò vale anche quando il fine non è per sé cattivo, ma non è quello dell'Istituto: ad esempio, se uno di voi pensasse di farsi religioso di altra Congregazione, non avrebbe dovuto entrare nell'Istituto; ora poi non dovrebbe restarvi, per non contrarre un grave obbligo verso l'Istituto stesso e per non privarsi dei mezzi di santificazione. Qui il Signore ha posto le grazie per la sola santificazione di quelli chiamati ad essere Missionari della Consolata, non per gli altri.

2. SPIRITO MONDANO: non lasciato fuori dell'Istituto, ma portato dentro; non rigettato ma coltivato. Può infatti avvenire che, dopo aver rinunziato al mondo, se ne conservi lo spirito. Invece di obliare il mondo si vive in esso con la mente; invece di abbominarlo lo si segue nelle sue massime e vanità. Non così ci ha insegnato Nostro Signore, il quale esige una separazione netta: Voi non siete del mondo, ma Io vi ho scelto dal mondo (174); la stessa separazione ch'Egli pose fra Sé e il mondo: Io non sono di questo mondo (175).

Gesù vuole dunque il distacco assoluto: o siamo con Lui, tutti suoi fino in un pensiero, fino nella più recondita fibra del cuore, o siamo contro di Lui. Non possiamo servire a due padroni: a Gesù e al mondo. Tanto meno possiamo desiderare efficacemente la santità, fino a che conserviamo alcun desiderio del mondo.

Esaminatevi. Vi sono taluni che si perdono dietro le notizie e le novità del mondo. Ciò avviene specialmente in parlatorio, dove costoro s'interessano un po' di tutto e di tutti, dove parlano più mondanamente che religiosamente, lasciando cattiva impressione persino nei parenti, che poi se ne lamentano. E intanto si esce di lì con la testa piena di mondo e la si porta così piena, allo studio e in cappella, persino alla santa Comunione. Come è possibile che uno possa pregar bene, vivere una vita d'intimità con Gesù? e come potrà santificarsi?

Questo spirito si manifesta inoltre nella smania di scrivere lettere o di uscire di casa senza necessità, o di leggere avidamente tutti i pezzi di giornali che capitano fra mano. Tutto spirito mondano, miei cari dal quale la perfezione religiosa dista come la luce dalle tenebre, come il fuoco dal freddo. Che bisogno c'è di queste cose? Vi sono per questo i Superiori, e anch'essi non vi si perdono dietro; due minuti e basta; come faceva S. G. Cafasso, il quale, quando gli si portava il giornale, domandava: "C'è qualche cosa per me?" - "No". E allora non lo leggeva neppure. State tranquilli che non ammalerete per questo.

Domandiamoci: quid hoc ad aeternitatem? Ah, che proprio non serve a nulla; se mai servirà ad allungarci il purgatorio. E alla mia santificazione che giova tutto questo? Nulla, piuttosto mi disturba, mi distrae, mi dissipa, mi allontana da essa. Son qui per farmi santo, santo missionario; voglio attendere unicamente a questo, non voglio curarmi d'altro. Quid ad te? Tu me sequere (176). Che importa a te del mondo, di ciò che avviene nel mondo, di ciò che si dice nel mondo. Seguire Gesù: ecco il nostro dovere. Seguirlo da vicino, con amore e fedeltà: ecco ciò che veramente porta alla santificazione ed ecco perciò la nostra unica occupazione.

3. SPIRITO DI DISSIPAZIONE - E' la conseguenza dello spirito mondano. Presenti nell'Istituto col corpo, si è fuori con la mente. Invece di tener la mente a bada e di chiuderla ad ogni rumore esterno, la si tramuta in una pubblica piazza, dove si danno convegno tutti i pensieri, i ricordi, le immaginazioni, le fantasie. Si passano così intere giornate con la mente a divago, col cuore vuoto di Dio, con lo spirito freddo per tutto ciò che è pietà, con la volontà fiacca in tutto ciò che e servizio di Dio e adempimento del proprio dovere. Impossibile, in tale stato di dissipazione, amare e coltivare lo spirito di preghiera, mantenersi nel fervore. Come possono costoro ascoltare ancora i movimenti e le ispirazioni della grazia?

Questo spirito di dissipazione, inoltre, è quasi sempre accompagnato dallo spirito di leggerezza, che fa sorvolare su quanto qui dentro è ordinato alla santificazione; e dallo spirito buffonesco, che mette tutto in ridicolo, persino le prediche. Purtroppo questo difetto non è tanto raro! Si lascia quanto di buono si è udito, non si pensa che ad ogni modo è sempre parola di Dio, della quale si dovrà rendere conto, e si va a cercare la pagliuzza, per gettare il ridicolo su tutto. Quanto male fa questo spirito buffonesco!

Esso è favorito dal fatto che, nelle comunità, regna purtroppo quel maledetto rispetto umano, per cui nelle conversazioni non si ha il coraggio di introdurre una buona parola, far entrare un discorso spirituale o almeno utile, per tema d'apparire singolare o che gli altri pensino che la si vuol fare da maestro.

4. SPIRITO DI CRITICA - Su questo punto è bene che diciamo le cose proprio come sono, come io le sento. Vedete, non voglio farvi un rimprovero, no, ma è per prevenire, affinché non entri qui dentro questo pessimo spirito. Taluni pensano sempre al contrario dei superiori. Appena i superiori prendono una disposizione, danno un ordine, essi subito trovano a ridire. Ora questo brutto vizio di giudicare gli altri e soprattutto i Superiori, di borbottare su ciò che noi facciamo, non lo voglio, non voglio che entri nell'Istituto.

E' proprio da compiangere che nelle comunità vi sia sempre chi ha questo spirito. "Io farei così... se fossi io non farei così... io... io...". Tutta superbia, superbia grossa. Ne avviene che in Missione si trova poi a ridire su tutti i Superiori, su tutti gli ordini, a borbottare su tutto. Ecco perché non si fanno miracoli!

State attenti. Guai a coloro che pronunziano o anche solo ascoltano con compiacenza parole di critica! No, no, per carità! Ricordatevi del castigo gravissimo con cui Dio punì la sorella di Mosè per le sue mormorazioni. Guai alle comunità nelle quali entra questo spirito! È il principio della fine, lo dico sempre.

Non si vuol dire che dobbiate affatto disinteressarvi della Casa. No, il bene e il male dell'Istituto riguarda tutti indistintamente; quindi chi scorge qualche disordine, fa bene a riferirne al Superiore. Non è far la spia questo, ma è una carità, un dovere. Ma borbottare, mormorare di nascosto, trovare a ridire coi compagni, no, no!

Io faccio le cose più grosse di quel che sono, perché son sicuro che qui dentro questo spirito non c'è, o almeno non è così radicato. Ma, ripeto, è per prevenire. Dunque, cacciamo via lo spirito di critica, così dannoso a chi l'ha e a tutta la comunità. Su qualunque disposizione prendano i Superiori, nessuno s'arroghi il diritto di giudicare. Non tocca a voi. Preghiamo invece, sì, e tanto, perché Gesù ci faccia umili di cuore e di spirito; preghiamo la SS. Consolata che tenga lontano dal nostro Istituto questa peste - che è lo spirito di critica - e allora tutto andrà bene e il Signore benedirà, e le cose dell'Istituto prospereranno.

5. SPIRITO DI PARTITO - Questo spirito è per lo più effetto di antipatie per diversità di caratteri o di simpatie. Si va con questo e non con quello, si parla all'uno e non all'altro. Tutti siamo uguali, disposto ognuno a passeggiare con tutti: vincendo, per amore ed esercizio di perfezione, la ripugnanza che si sentisse nel frequentare qualche compagno, a motivo del suo carattere o dei suoi difetti.

Non vi sia nessuna distinzione o di paese o d'altro, non simpatie o antipatie, ma un cuor solo in una perfetta uguaglianza. Siete tutti fratelli che dovrete vivere insieme tutta la vita. Quindi, anche per carità fraterna, non pretendere che gli altri non abbiano difetti. Emendiamo i nostri e sopportiamo quelli del prossimo.

Non di rado questo spirito nasce da una certa invidia, da un po' di gelosia. Non già che sia una mancanza il "sentire" invidia, ma dobbiamo reagire per non lasciarla entrare e che si cambi in mal animo verso qualche compagno.

6. SPIRITO DI CAPARBIETA' - Tratteremo a suo tempo della superbia e della virtù opposta. Qui accenno a quello spirito di ostinazione nelle proprie idee, per cui uno vuol sempre averla vinta, sempre dominare e non ammette che possa sbagliare; quindi mai il torto da parte sua, e guai a contraddirlo! Chi non combatte questo spirito non farà mai dei progressi nella via della perfezione. Che se poi si credesse già perfetto sarebbe un grande illuso ed un infelice.

Ancora una parola: come regolarci con gl'individui che sono manifestamente privi di buon spirito? Ecco: frequentarli il meno possibile. Voi lo capite: non è questione di avversione o di antipatie o d'altro. Si tratta con essi con carità, si prestano loro quei servigi che richiedono, si prega per essi, si procura anche di far loro del bene con il buon esempio, ma poi evitare il più possibile la loro compagnia, di modo che lo stesso isolamento in cui vengono a trovarsi, serva a scuoterli, a farli ravvedere. Ove tutti si comportassero così, dovrà infatti avvenire che costoro, volendo godere la compagnia di qualcuno, dovranno per forza cambiare il loro modo di pensare e di agire, per adattarsi a quello degli altri. E intanto resta evitato il pericolo di contrarre, da un troppo frequente contatto quel contagioso morbo della mancanza di buon spirito.

La tiepidezza

E' questo uno degli argomenti che amo sia trattato sempre negli esercizi spirituali al Clero e più ancora in quelli che si dettano a voi. Perché, vedete, se non la tiepidezza abituale, almeno per qualche giorno o settimana possiamo averla, e allora certe considerazioni servono a scuoterci.

Il Martini, nel commento al capo terzo dell'Apocalisse, chiama tiepido colui che ondeggia tra la virtù e il vizio; colui che vorrebbe fuggire i peccati, essere fedele a tutto, e intanto non si risolve mai a combattere coraggiosamente, perché teme la fatica della virtù. Vorrebbe essere santo, ma portato. E' come il pigro che vuole e non vuole. Non è questa una definizione della tiepidezza, ma una semplice spiegazione. Del resto la tiepidezza, come anche il fervore, non si possono definire; si comprendono meglio dai sintomi rivelatori di tali stati d'animo. Accenneremo ai principali di questi sintomi.

a) Cadere abitualmente e deliberatamente in peccati veniali e non farne caso; mentre il fervoroso evita con somma cura le stesse imperfezioni.

b) Omettere facilmente le preghiere d'obbligo, trovando sempre una scusa e aggrappandosi alle sentenze più larghe di morale. I fervorosi, al contrario, vi si mantengono scrupolosamente fedeli e, dovendo omettere qualche pratica di pietà, ne sentono pena e procurano di supplirvi in tutto o in parte.

c) Strapazzare le stesse pratiche di pietà, facendole per mestiere, per necessità, senza vivificarle con l'attenzione della mente, con l'affetto del cuore. Non parlo di aridità o di distrazioni involontarie, parlo di volontà. Invece il fervoroso gode di andare in chiesa, non si annoia a restarvi a lungo, prega con divozione, fa della preghiera - e soprattutto della santa Comunione - il cibo sostanziale dell'anima sua.

d) Perdere la stima e l'amore al proprio stato, quasi si fosse pentiti del passo fatto; quindi si cercano svaghi, distrazioni nel mondo e nelle conversazioni mondane, o negli interessi mondani. I fervorosi, all'opposto, procedono con crescente amore alla propria vocazione, ringraziandone ogni giorno il Signore e riconoscendosi indegni di tanta grazia.

Lo stato del tiepido è sommamente pericoloso. Si può più facilmente vedere uomini freddi e carnali giungere al fervore dello spirito, che non dei tiepidi riprendere il perduto fervore; specialmente quando la tiepidezza è già avanzata. Il P. Faber paragona la tiepidezza dell'anima all'etisia del corpo e voi sapete quanto sia difficile guarire di tale malattia (177). I danni della tiepidezza si possono inoltre rilevare dalle parole che nell'Apocalisse sono rivolte all'angelo della Chiesa di Laodicea: Mi sono note le tue opere, come non sei né freddo né caldo. Oh, fossi tu freddo o caldo! Ma perché sei tiepido, e né freddo né caldo, comincierò a vomitarti dalla mia bocca (178).

Quali i rimedi per un sì deplorevole stato? Li troviamo indicati nell'Apocalisse al luogo citato:

a) Rientrare sinceramente in noi e chiedere al Signore la grazia di ben conoscere noi stessi: Perocché vai dicendo: sono ricco e dovizioso e nulla mi manca. E non sai che sei un meschino e miserabile povero e cieco e nudo (179).

b) Risvegliare in noi un ardente amore di Dio soprattutto con la preghiera ben fatta e la meditazione quotidiana, che è il fuoco in cui l'anima si riscalda: Ti consiglio a comperare da me dell'oro passato e provato nel fuoco, onde tu arricchisca (180).

c) Fare guerra continua, implacabile ai peccati veniali, confessandosi sovente e bene, e far uso dei sacramentali: Onde tu sia vestito delle vesti bianche e affinché non comparisca la vergogna della tua nudità (181).

d) Far bene gli esami di coscienza, per scoprire le radici dei difetti ed estirparle: E ungi con un collirio i tuoi occhi, acciò tu vegga (182).

e) Soprattutto volere seriamente, volere fortemente, volere costantemente, a costo di qualsiasi sforzo e sacrificio: Io, quelli che amo, li riprendo e castigo. Abbi dunque zelo e fa penitenza. Ecco che Io sto alla porta e picchio (183).

f) Possiamo aggiungere la divozione al Cuore di Gesù con giaculatorie lungo il giorno e tutto indirizzando a Sua consolazione, poiché Egli promise a Santa M. Margherita Alacoque, per i suoi divoti: I tiepidi diverranno fervorosi.

La rilassatezza

Molto affine allo stato di tiepidezza nella vita spirituale, è lo stato di rilassatezza nella via della perfezione. Questa porta a quella. La nostra fragile natura c'inclina a decadere dal primo fervore e da quella buona volontà che già avevamo. E' così facile scendere in basso, lasciarci rimorchiare verso il male! Esaminiamo i sintomi e le cause di questo rilassarsi nella vita dello spirito.

a) La poca stima di certi punti delle costituzioni, del regolamento, della vita comune; quindi negligenza nell'osservarli e facilità nell'ometterli.

b) Le scuse addotte contro le infrazioni della Regola e quando si è corretti.

c) Soffrire o anche burlarsi del fervore dei compagni, perché rimprovero alle nostre freddezze.

d) Lasciar passare tante ispirazioni e grazie di Dio inutilmente, mentre un po' di buona volontà ci farebbe attenti a non perderne neppur una.

e) Dissiparsi, lasciare volontariamente che il pensiero corra dietro alle cose del mondo. Dovremmo fare con questi pensieri come si fa coi cani, che non si lasciano entrare in chiesa perché disturbano.

f) Operare senza riflessione o per un fine puramente umano, invece di far tutto per un fine soprannaturale.

g) Mancanza di energia nel vincere la passione dominante, nel tendere alla perfezione. Talora sembra a noi che vogliamo vincerci, ma ci manca la volontà di ferro. Il Signore dà la grazia, ma bisogna che cooperiamo.

h) Far comunella coi meno perfetti, per poter vivere e parlare più liberamente.

I rimedi contro la rilassatezza sono gli stessi già indicati per la tiepidezza: scuoterci e riprendere il primiero fervore, costi quel che costi.

Il peccato veniale

Poiché la tiepidezza è in pratica la risultante di peccati veniali deliberati e scusati, ad evitare quella, dobbiamo concepire un vero e profondo aborrimento del peccato veniale.

Dei peccati veniali, gli uni si dicono di fragilità: un atto primo-primo, un momento di sorpresa, uno scatto d'impazienza, ecc. Sono miserie nostre, sono infermità. Non sarebbero neppur peccati, se non ci fosse niente di volontà. Di questi non possiamo liberarci perfettamente senza uno speciale aiuto di Dio. Possiamo però diminuirne il numero e la volontarietà, con più attenzione su noi medesimi e con maggior fervore nel servizio di Dio. Queste miserie non c'impediscono di farci santi, possono anzi essere mezzi di avanzare nella via della perfezione, se noi sappiamo valercene per gettare più profonde le radici dell'umiltà, per stringerci vieppiù a Dio mediante l'amore e la confidenza.

Gli altri, i veri peccati veniali, sono volontari. Ad esempio: so che è male conservare quel po' di rancore contro un compagno e tuttavia non faccio nessuno sforzo per vincermi; so che, affermando o negando la tal cosa, mentisco e lo faccio ugualmente, ecc. Ove poi questi peccati veniali pienamente deliberati siano anche abituali, fatti cioè con una certa frequenza, peggio poi se scusati, costituiscono, come abbiam detto, il peggiore stato di tiepidezza, il segno certo che il Religioso ha rinunziato ad ogni efficace proposito di perfezione.

La malizia del peccato veniale deve misurarsi in rapporto a Dio che viene offeso; quindi il peccato veniale non differisce dal mortale se non per la minor gravità dell'offesa. Ne consegue che, dopo il peccato mortale, quello veniale è il maggior male che esista. Si suol fare al riguardo delle supposizioni, che fanno assai bene comprendere la gravità di questo male.

1. - Tutti i mali del mondo: malattie, devastazioni, guerre, ecc., anche presi assieme, non bastano ad uguagliare il male che è un peccato veniale. La cosa è evidente: essendo tutti quei mali d'ordine puramente naturale, mentre il peccato veniale è d'ordine soprannaturale, perché offende Dio.

2. - Supponiamo, per impossibile, che con un peccato veniale si potessero liberare tutte le anime del Purgatorio e tutte quelle cadute nell'inferno dal principio del mondo sino al momento attuale: ebbene, non lo si potrebbe fare. L'offesa che fa a Dio il peccato veniale non può essere riparata da tutto quel bene che abbiam supposto.

3. - Supponiamo, per impossibile, che gli Angeli e i Santi commettessero un solo peccato veniale. Ebbene, Dio sarebbe obbligato ad espellerli dal Paradiso fino a che non se ne fossero liberati e ne avessero scontata la pena.

4. - Iddio, per il peccato veniale, anche solo per la pena che gli è dovuta (come per la pena temporale dovuta al peccato mortale già perdonato) creò il Purgatorio, la cui esistenza è di fede.

5. - Basta aver commesso un solo peccato veniale per poter ricevere il Sacramento della Penitenza tutti i giorni, né sarebbe sufficiente tutta la vita per piangere l'offesa fatta con esso a Dio.

Tutte queste cose le sappiamo e anche le ripetiamo agli altri, ma ce ne dimostriamo praticamente convinti? Convinti n'erano i Santi, che avrebbero preferito mille volte la morte e le stesse pene eterne dell'inferno, piuttosto che commettere un solo peccato veniale deliberato.

A parte ogni altra considerazione, non dimentichiamo che i peccati veniali dispongono al mortale. Non si vuol dire che molti peccati veniali, presi insieme, equivalgano al mortale, no; ma colui che non fa caso dei peccati veniali, commettendoli a occhi aperti e con frequenza, finirà per cadere nel mortale. E ciò per tre ragioni: a) Perché a poco a poco si perde l'orrore del peccato mortale: come chi non cura una malattia per sé leggera si espone, per il lento aggravarsi di essa, alla morte. - b) Perché d'ordinario Iddio non dà più le grazie abbondanti e speciali che concede ai fervorosi. - c) Perché il demonio potrà più facilmente tentarci e farci cadere, essendo noi men preparati alla tentazione, più deboli nella resistenza.

D'altronde, chi ti dice che quello che tu credi solo peccato veniale, sia proprio tale? Chi conosce il limite tra il veniale e il mortale? E come puoi tu essere sicuro di mai oltrepassarlo? Le angustie di certe anime anche non scrupolose, pel timore di aver commesso un peccato mortale, prova questa verità; né i Moralisti sciolgono altrimenti il caso che con la presunzione del nostro stato abituale di coscienza. Non è dunque miglior consiglio scuoterci, stare attenti alle nostre passioni, alle nostre parole e azioni, castigare in noi le piccole voglie difettose, darsi con coraggio alla virtù? Sì, voglio salvarmi e voglio santificarmi: questo debbo dire di continuo a me stesso. Lo voglio perché lo posso, essendo che qui dentro i mezzi a ciò sono sovrabbondanti; lo voglio perché lo debbo, essendo che proprio per questo ho abbracciato lo stato religioso e missionario.

I demoni

Tutti questi ostacoli alla nostra perfezione per lo più son mossi e coordinati dal nemico dell'anima nostra, il demonio. Può quindi tornar utile, per stimolarci alla vigilanza, il richiamare alla mente quello che la Chiesa insegna riguardo agli angeli ribelli. Avete già studiato in teologia - e gli altri lo studieranno - quale sia stato il loro peccato. A noi importa soprattutto conoscere i rapporti ch'essi hanno con l'uomo, nonché i mezzi per combattere le loro insidie.

Come gli angeli buoni hanno con gli uomini relazioni d'amore e di sollecitudine per promuovere il bene, così gli angeli cattivi hanno con gli uomini relazioni di odio e di sollecitudine per promuovere il male. Gli angeli buoni esercitano il loro ufficio d'amore per mezzo della custodia che hanno di noi; i demoni sfogano il loro odio per mezzo delle infestazioni. Queste sono morali o fisiche, secondo che tentano di nuocere alle anime o ai corpi. Le prime si dicono tentazioni, le seconde ossessioni.

Per tentazioni demoniache s'intendono tutti quegli atti con cui i demoni si sforzano d'indurre gli uomini al peccato e così impedir loro di conseguire la beatitudine eterna. A ciò son mossi dall'odio che hanno contro Dio, il quale chiama gli uomini a prendere i posti lasciati vuoti da essi in Cielo; nonché dall'odio contro gli uomini, che essi vorrebbero con sé nell'inferno. Questa è dottrina certa, cattolica, fondata sulla divina rivelazione. Basti ricordare, fra i fatti Scritturali, le tentazioni di Eva, di Giobbe, di Giuda e dello stesso Nostro Signore Gesù Cristo. Tra i testi scritturali basti citare quello di S. Paolo: Rivestitevi di tutta l'armatura di Dio, affinché possiate resistere alle insidie del demonio. E quello di S. Pietro: Siate temperanti e vigilate, perché il diavolo vostro avversario, come leone che rugge, va attorno cercando chi divorare (184).

Come gli uomini cattivi possono tentare gli altri uomini, tanto più lo possono fare i demoni, che son creature più intelligenti e di natura più perfetta; e lo vogliono fare per odio contro Dio e contro l'uomo.

I demoni non possono tentare directe, costringendo l'umana volontà a cedere, a peccare: ma solamente indirecte, cioè facendo qualche cosa per cui la volontà umana sia sollecitata al peccato. E ciò in due modi: per un'azione estrinseca, o con un'azione interna, producendo movimenti negli organi corporei, per cui si eccitano cattivi fantasmi e moti disordinati. Come il Signore, nei suoi imperscrutabili disegni, permette le tentazioni degli uomini contro altri uomini, così può permettere che i demoni tentino gli uomini, mai però oltre le nostre forze. Fedele è Dio il quale non permetterà che voi siate tentati oltre il vostro potere, ma darà con la tentazione lo scampo, affinché la possiate sostenere (185). Frattanto Egli ci avverte, ci esorta e ci sostiene con la sua grazia e anche per mezzo degli Angeli Custodi.

Da parte loro, gli uomini per vincere le tentazioni debbono vivere vigilanti, per scoprire a tempo e fuggire le insidie diaboliche; non esporsi alle tentazioni pericolose; invocare con prontezza, umiltà e fiducia l'aiuto di Dio, raccomandarsi al patrocinio della SS. Vergine, dell'Angelo Custode e dei Santi. La Chiesa ci esorta a ciò fare nelle litanie dei Santi: Ab insidiis diaboli, libera nos Domine. E nelle preghiere del dopo Messa: O santo Michele Arcangelo, difendici nella lotta, sii nostro presidio contro la malizia e le insidie del demonio. E ancora nella bella preghiera di ogni giorno, a Compieta: Visita questa casa, o Signore, te ne preghiamo, e scaccia lontano da essa tutte le insidie del nemico, cioè del demonio, al quale la Chiesa oppone l'assistenza e la potenza degli angeli buoni: Che i tuoi santi angeli vi abitino e ci custodiscano nella pace.

Ancora una parola sulle ossessioni. I demoni possono, sempre per permissione di Dio, non solo nuocere all'anima degli uomini, ma anche al corpo e ai beni materiali. Questi mali si chiamano ossessioni o possessioni diaboliche. Quando il demonio prende reale possesso di un corpo entrandovi, dimorandovi e muovendolo, è vera ossessione o insessione, e il paziente si chiama energumeno. Quando invece si limita ad atti transeunti - e direi esterni - di molestare l'uomo nel corpo o nei beni materiali, è "possessione". Noto che nell'ossessione restano intatte le facoltà dell'anima, intatto il rapporto tra l'anima e il corpo; quindi il demonio non è sostanzialmente unito all'ossesso, ma unito solo estrinsecamente.

Le ossessioni sono possibili. Come infatti gli uomini più robusti possono imporsi ai più deboli, così, permettendolo Iddio, possono i demoni valersi della loro maggior forza a danno degli uomini; essendo spiriti, possono entrare nei corpi e vessarli. Moralmente poi lo possono perché desiderosi di far del male all'uomo anche nel corpo. Fin dai tempi più antichi si hanno esempi di ossessioni vere e proprie, come lo prova la Scrittura. Numerosi poi i fatti riportati dal Vangelo e dagli Atti degli Apostoli. Leggiamo in S. Marco che Nostro Signore curò molti infermi e cacciò molti demoni (186). Notate che qui si distinguono gli infermi dagli ossessi. La stessa potestà Nostro Signore la diede agli Apostoli e ai loro successori, i quali la esercitarono in tutti i tempi. A questo scopo la Chiesa istituì l'Ordine dell'Esorcistato. Anche al presente non mancano i casi di vera ossessione e già vi è noto quello di una donna liberata dal demonio con la medaglia della SS. Consolata. Come caso di possessione diabolica posso attestare, e con piena certezza, di altra persona che il demonio molto maltrattava, trasportandola or qua or là in diversi luoghi fuori della città. Questa prova durò per più anni e quell'anima ne soffriva terribilmente (187).

I segni per discernere la vera ossessione dalle malattie epilettiche, ciarlatanerie, ecc. sono di più specie. Segni di sospetto: istinti ferini, consacrazione di sé al demonio, ecc. Segni di probabilità: vociferazioni insolite, urla di belve, contrazioni strane delle membra, ecc. Segni di certezza: manifestazione di cose occulte, parlare lingue ignote o cose sublimi, orrore a toccare cose sacre e ad invocare i nomi di Gesù e di Maria, ecc.

Il Signore può permettere questi fatti per più fini. Anzitutto per provare i giusti e punire i colpevoli: Ut justi exerceantur et mali puniantur. Poi perché serva di ammonimento: imparino cioè gli uomini, dai mali del corpo, a temere i mali morali: Ut ex malis corporalibus discant homines timere mala moralia. In terzo luogo per manifestare la sua divina potenza nella liberazione degli ossessi: Ad manifestandam Dei virtutem in liberandis. Così, ai tempi di Nostro Signore e della primitiva Chiesa, queste liberazioni erano appunto una prova della divinità di Gesù e del Vangelo: Se io col dito scaccio i demoni, certamente a voi è venuto il regno di Dio (188).

Qual'è la conclusione pratica per noi? Quella di conservarci puri di anima e di corpo, per non cadere nel potere di colui che può perdere l'anima e il corpo eternamente nella geenna.

giuseppeallamano.consolata.org