FIORETTI A DUE: GIUSEPPE ALLAMANO – GIACOMO CAMISASSA
Spigoliamo qua e là alcuni fioretti che riguardano assieme sia l’Allamano che il Camisassa, la cui intesa
sacerdotale è durata ben 42 anni. Tra i Missionari e le Missionarie della Consolata è sempre viva la figura
del Camisassa, loro Confondatore. Ogni anno, il 18 agosto, anniversario della sua morte, ne fanno cordiale memoria con la
preghiera e qualche iniziativa. In suo omaggio e ricordo, riportiamo qui alcuni episodi che testimoniano come
l’Allamano, in quel lontano agosto 1922, abbia reagito alla morte del suo amico e più stretto collaboratore.
Alla fine, riportiamo anche alcuni esempi di lavori diretti dal Camisassa per le missioni, che dimostrano come egli abbia
saputo aiutare l’Allamano con il dinamismo e la competenza nelle cose pratiche che tutti gli hanno ampiamente
riconosciuto.
HO PERDUTO TUTTE DUE LE BRACCIA
Alla morte del Camisassa, l’Allamano ha molto
sofferto ed ha pure umilmente confessato che, in quel momento, aveva come «perduto tutte due le braccia».
«Se non avessi avuto al mio fianco il Can. Camisassa, non avrei fatto quello che ho fatto». Quanti erano
vicini all’Allamano si erano resi subito conto che gli era venuto improvvisamente a mancare non solo un amico
fraterno, ma anche il più valido aiuto nei molteplici impegni apostolici. Tuttavia sono stati impressionati dalla
sua fortezza d’animo e dal suo spirito di fede. A quando si erano offerti di tenergli compagnia perché non
rimanesse solo in quella circostanza, disse: «Mi basta il Signore!». E poi: «Eppure un giorno vedremo
che questo era per il meglio».
«PRORUPPE IN UN PIANTO DIROTTO»
Il can.
Nicola Baravalle così esprime la propria ammirazione per l’Allamano, con il quale aveva collaborato molti
anni: «In modo particolare dimostrò questa sua fortezza nella dolorosa occasione della morte del Can.
Camisassa, che era l’esecutore fedele delle sue volontà e che aveva concentrato in sé tutto quanto
riguardava la gestione materiale e anche intellettuale delle Missioni. Ricordo quella sera nella quale eravamo tutti
addoloratissimi, sia per la perdita del grande Can. Camisassa, come per la ripercussione che tale dipartita avrebbe avuto
sul Servo di Dio. Assistette all’agonia ed alla morte senza una lacrima. E poi, portatosi in chiesa, appena
inginocchiato proruppe in un pianto dirottissimo e restò parecchio assorto in Dio. Rialzatosi, prese le
disposizioni del caso; restò per qualche tempo impressionato, ma non ebbe più una lacrima, e non
ritornò più sul fatto. Solo si rese più appartato, dovendo supplire a quanto faceva il
Camisassa». È l’unica volta che viene ricordato un “pianto a dirotto” del nostro Fondatore.
Ci fa piacere constatare che era un uomo molto sensibile. Anche Gesù ha pianto per la morte dell’amico
Lazzaro.
«NON MI SEMBRA VERO CHE NON CI SIA PIÙ»
Anche le Missionarie
della Consolata hanno saputo cogliere le reazioni dell’Allamano dopo la morte del Camisassa. Durante le conferenze,
oltre a trascrivere le parole del Fondatore, le suore annotavano, tra parentesi, anche i suoi atteggiamenti, dai quali ne
intuivano i sentimenti. Ecco il resoconto di una conferenza datata agosto 1922, senza indicare il giorno: «
(Questa è la prima conferenza che [il Fondatore] ci tenne dopo…[la morte del Camisassa] […]. Non si
può dire la forza che si fece. Parlò di quello che il Card. Laurenti disse del Signor Vice Rettore.
Direttamente non parlò del Sig. Vice Rettore, ma cadeva sempre lì). […] Certamente il Signore ci vuol
bene anche in questo; dobbiamo tirare diritto, non ragionare. Il Signore vuole solo essere Lui a far le cose,
perché ci toglie gli appoggi; l’ho detto alla Madonna: s’aggiusti se vuole fare bancarotta…Ma
non la fa perché l’opera è del Signore. […] (Qui, avendogli noi detto che pregheremo il Signore
a conservarci lui tanto, lasciò capire che non ce n’era bisogno, poi:) Del resto, non mi sono mai creduto
necessario. […] E così noi diciamo il nostro fiat».
Nel breve incontro alla Consolata del
3 settembre 1922, l’amanuense annota, tra parentesi «(Andiamo noi alla Consolata perché pioveva)
», e poi al termine delle poche righe: «(Ritornando a parlare del Sig. Vice Rettore) Sì, non mi sembra
vero che non ci sia più, ma penso che c’è il suo spirito. Pensate a far tutto come voleva lui, e
pregate per lui».
Il 3 dicembre successivo, festa di S. Francesco Saverio, dopo aver parlato a lungo del
santo, ad un certo punto si interrompe e dice: «Oggi sono venuto con l’idea di far così: ho visto che
cos’è questo mondo! Che cosa ci resterà dopo? Resterò io davanti al Signore: nessuno
avrò, né a destra né a sinistra…C’era un po’ il Sig. Vice Rettore per me…ma
ci siamo solo sempre amati nel Signore…(nel dir questo il nostro amatissimo Padre posa lo sguardo sulla fotografia
del nostro carissimo Sig. Vice Rettore, appesa alla parete, e prende un aspetto mesto e profondamente addolorato)».
«MI TREMA LA MANO…»
È bello sapere che l’Allamano non si è
vergognato di lasciar trasparire la sua sofferenza, usando espressioni molto umane. Ecco quanto confida all’inizio
della lettera scritta ai missionari e alle missionarie in quell’occasione: «Mi trema la mano, il cuore si
gonfia e gli occhi versano amare lacrime nell’indirizzarvi questa breve lettera. Il caro nostro Vice Rettore e Vice
Superiore non è più fra noi, e non lo rivedremo che in Paradiso. […] Era maturo per il
Cielo…Aveva compiuto la Sua santa e laboriosa giornata; e poteva dire con S. Paolo: Ho terminato la mia
corsa…è in serbo per me la corona di giustizia. Pronunciate con me il “fiat” alla
imperscrutabile volontà di Dio; e sia in suffragio della bell’anima».
I suoi figli e
figlie, anche quelli lontani, hanno compreso perfettamente e condiviso lo stato d’animo del loro padre. A nome di
tutti loro, così scriveva dal Kenya il vicario apostolico mons. F. Perlo all’Allamano: «[…] il
suo buon esempio non può non apportare anche a noi conforto e incoraggiamento. Grazie anche per questo».
CAMISASSA: UOMO CONCRETO
Per il laboratorio facciamo tra noi Non fa meraviglia sentire
dall’Allamano che, con la morte del Camisassa, ha provato la sensazione di avere «perduto tutte due le
braccia». Il Camisassa, di fatto, era il dinamismo in persona, con una competenza spiccata per le “cose
pratiche”. Premesso che l’Allamano si fidava di lui ed era al corrente di tutto, praticamente tutta
l’organizzazione materiale delle prime missioni (preparazione del corredo per i missionari, spedizione di casse,
progetti per la costruzione di case, fornitura di attrezzi di lavoro, ecc) dipendeva dal Camisassa. Ecco la testimonianza
di uno dei primi missionari, il p. A. Borda Bossana: «Il salone del Convitto sopra la sacrestia divenne in bazar di
ogni cosa necessaria alla vita dei missionari. È lui (il Camisassa) che pensava a tutto e tutto
provvedeva…lui che si recava nei negozi a scegliere e contrattare le merci…l’economo Gunetti ed i
preti addetti al Santuario alle sue dipendenze erano tutto il giorno di corsa per eseguire le sue commissioni, massime
quando s’approssimava il tempo di spedizione delle merci».
C’è un particolare,
però, che esprime bene l’animo con cui il Camisassa operava. Pur dirigendo lui i lavori, sapeva tenersi
spontaneamente al secondo posto su tutto ciò che si riferiva alla vita, alla formazione, allo spirito dei
missionari. Su tutto ciò la prima e definitiva parola spettava sempre e solo all’Allamano. Ecco due esempi
scelti tra tanti. Scrivendo al coadiutore Benedetto Falda, il 18 settembre 1903, così concludeva: «Del tuo
spirituale e del resto scriverai al Sig. Rettore (e scrivigli più spesso), ma per questo del laboratorio facciamo
tra noi». E l’8 marzo 1904, in una lunga lettera allo stesso missionario: «[…] Ma adesso finisco,
e ti aggiungo solo una raccomandazione da parte del Sig. Rettore. Egli lesse con gran piacere le tue lettere a lui ed a
me, e oltre all’esser soddisfatto del vostro lavoro, fu però contento di sapere che tu avevi già un
nero che cominciava a darti sollievo nel maneggio della sega. Vuol dire dunque che questi si va affezionando a te e al
lavoro, ed è ciò che tu devi cercar d’ottenere da tutti gli africani che ti aiutano. Cioè di
affezionarteli, e poi anche sul lavoro dir loro qualche parola di Dio, della felicità di chi vive secondo la legge
di Dio, della soddisfazione che si trova nel lavoro, come non si senta quasi più la fatica quando si lavora pel
paradiso ecc. ecc. Sono poche massime brevissime che il tuo angelo custode ti suggerirà e che dette così di
sfuggita ma con gran convinzione, fanno breccia in quei cuori semplici, e così tu sarai doppiamente apostolo: col
lavoro, e colla parola. Questo ti dice il Sig. Rettore». Questo era l’uomo che stava a fianco
dell’Allamano. Riportiamo alcuni esempi che spiegano lo stile con cui il Camisassa sapeva dirigere i lavori nelle
missioni del Kenya.
Altarino portatile. Nell’archivio dell’Istituto è
conservata copia del disegno di un altare portatile, opera del Camisassa. Si noti come sono indicate in dettaglio tutte le
suppellettili, indice del carattere sempre preciso del Camisassa. Al disegno è allegato un foglio con un elenco di
22 pezzi che compongono il corredo, intitolato: «Altarino portatile completo». Circa questo altarino
portatile, c’è una deposizione interessante del p. T. Gays, il quale afferma dell’Allamano: «Sua
preoccupazione continua era che i missionari potessero celebrare quotidianamente la santa Messa. Allo scopo studiò
a lungo un sistema di altarino portatile resistente alle intemperie, fornito di tutto il necessario perché i Padri
potessero, pure in carovana, celebrare la santa Messa. Così, mentre, come notai, altri missionari non essendo
attrezzati per questo rimanevano nell’impossibilità di celebrare, i Missionari della Consolata invece, per
suo merito, potevano fin dall’inizio offrire il santo Sacrificio ogni giorno, con un altarino genialmente ideato e
completamente attrezzato; ciò si potè vantaggiosamente ottenere per iniziativa del Servo di Dio (Allamano),
attuato con precisione e diligenza dal suo collaboratore tanto prezioso, quanto nascosto, il can. Giacomo
Camisassa».
Macchinari e attrezzi di lavoro. In diverse lettere autografe del Camisassa ai
missionari si notano, tracciati a penna, rapidi schizzi di macchinari o di attrezzi di lavoro. Prima di spedire il
materiale in Africa, a volte progettato sulla base delle indicazioni dei missionari stessi, il Camisassa si preoccupava di
istruire per lettera gli interessati che lo avrebbero dovuto adoperare. Sono particolarmente dense di questi disegni le
lettere che il Camisassa ha scritto, nel 1911, durante la sua visita alle missioni del Kenya, perché poteva
constatare di persona le necessità e controllare i lavori. Possediamo una nutrita corrispondenza tra il Camisassa e
il nipote p. Luigi Perlo, che era il suo riferente a Torino per i lavori. Riportiamo brani di una lunga lettera, per fare
vedere quale estrema cura poneva il Camisassa nel seguire i lavori e nel dare istruzioni per la confezione delle
attrezzature necessarie. Anche se, oggi, questi progetti, con le annesse istruzioni, ci possono sembrare artigianali e
approssimativi, nei primi anni del secolo scorso e per quei luoghi, i suggerimenti del Camisassa si sono dimostrati
estremamente validi.
In una lettera dell’11 agosto 1911, il Camisassa dava istruzioni al nipote per una
pompa da installare in un pozzo nella fattoria di Nyeri. Il 14 successivo, gli scrive dalla missione di Fort Hall (oggi:
Murang’a) una seconda lettera di cui riportiamo la prima pagina. Si noti l’attenzione del Camisassa per la
sicurezza degli operai e, nello stesso tempo, la quasi pignoleria nel descrivere, con parole e disegni, l’attrezzo
da fabbricare e poi inviare in Kenya: «Carissimo D. Luigi, son qui di passaggio per recarmi a Mogoiri pei
premi… battesimi ecc. ecc. al Collegio Catechisti e ne profitto per inviarti la presente. Al macchinario del pozzo
occorrerebbe fare un’aggiunta e ciò per la sicurezza personale degli addetti al laboratorio, per cui bisogna
poter d’un colpo fermar tutte le macchine… e ciò con maniglie pendenti in diversi punti del
laboratorio. A tal uopo occorre un “disgrano” di cui ti accludo un disegno copiato dalle ultime pagine del
catalogo Gordon, colla variante che il nostro disgrano deve essere, da una parte, scorrevole sull’albero coulissando
sul medesimo. E ne capirai il perché da questo schizzo che rappresenta l’estremità di
quell’albero lungo 40 metri nel punto in cui è più grosso [disegno].
Il gran volante B
fatto in legno qui sul posto, mediante i 2 rosettoni che già ti ordinai, va fiancheggiato da 2 cuscinetti. Al
cuscinetto D è subito attigua la parte C del disgrano, la quale con buona chiavetta deve esser fissa
all’albero in questo punto. Quest’albero, appena uscito dal C, è tagliato, e dopo il taglio
l’albero prosegue, mentre ivi stesso è la 2a parte E del disgrano. Questa ha il buco interno un po’
più grande della grossezza dell’albero in modo che possa scorrere parallelamente sul medesimo. E per impedire
che essa giri coll’albero, si mettono 2 chiavette = coulisse A, le quali debbono essere, mediante incanalature,
fissate nell’albero stesso. Sicché il prospetto o meglio il taglio dell’albero e del disgrano in questo
punto presenta come qui [disegno]. Pertanto mettendo una forchetta in F alla parte mobile E del disgrano, forchetta con
manico lungo e imperniata in alto, con un semplice strappo si può staccare la parte mobile E del disgrano dalla
parte fissa C e così il pezzo corto d’albero G continuerà a girare col suo gran volante; mentre
l’albero H lungo 40 metri s’arresterà di botto. S’intende poi che subito dopo la parte mobile E
del disgrano, si dovrà mettere un altro cuscinetto autolubrificante L.
Questo disgrano dovendo essere
fortissimo per lo sforzo dei 30 cavalli, è necessario sia d’acciaio e non di ghisa. Perciò non bisogna
farlo eseguire da Ballari, ma andarlo a comprare da Ansaldi o dalle Officine Savigliano, od anche fartelo eseguire dalla
fabbrica delle automobili Fiat: o forse ancor meglio mandarlo a prendere da Gordon indicandogli la precisa grossezza
dell’albero. Ballari poi non avrà da farvi altro che mettervi le chiavette-coulisse A esse pure
d’acciaio.
Bisogna notare (e far notare ai provveditori) che questo disgrano è solo destinato a
disgranare, cioè a distaccare il movimento in caso di disgrazie; perché essi te lo daranno in modo che sia
facile questo distacco. Può darsi che Ballari ti proponga di non tagliare l’albero in A, ma di fare
semplicemente il mozzo del volantone B mobile, in modo che ingrani esso nella parte fissa del disgrano, e poi per fermar
le macchine staccare semplicemente il disgrano-volante; ciò non va, per tante ragioni che non sto ad esporti,
quindi tu farai la cosa precisamente come te l’ho descritta […]».
Case prefabbricate. Nella segheria installata nella foresta di Thudu, Kenya, sotto la guida del coadiutore Benedetto Falda, si sono
costruite diverse case prefabbricate, che furono le prime abitazioni in legno per il personale delle missioni. Di queste
case si conserva un unico esemplare, nella parrocchia del Tigania, diocesi di Meru, usato dai missionari fino a pochi anni
fa, ora adibito a magazzino. Riportiamo una lettera del Camisassa, del 1904, indirizzata al coadiutore Benedetto Falda,
nella quale si danno istruzioni appunto per queste case.
«Caro Benedetto, come vedi dall’accluso
tuo foglio ti sei dimenticato di dirmi la grossezza della vite là dove essa entra nel mandarino. Dunque noi abbiam
studiato un po’ e poi l’abbiam fatta di 2 centim. Forse sarà abbondante: in tal caso Ballari dice che
ti faccia tu stesso un pettine d’acciajo temprato, come usano per le viti di ottone, e poi sul tornio diminuirai la
grossezza di questa vite.
Te la feci lunga 8 centim. dove tu la segnasti solo 2 perché pensavo che tu
puoi così scostare molto tra loro (mediante le rosette) le due frese destinate a fare il maschio, e così
fare dei maschi grossi anche 4 o 5 centimetri. La femmina poi potrai anche ottenerla larga 4 o 5 centim. appaiando le due
suddette frese che ti servono far i maschi. Per tal modo nei piantoni delle case puoi risparmiare i tanti listellini
necessari a fermare gli assi tra stanza e stanza e quindi in pianta far i piantoni così [disegno] invece di
così come te li avevo segnati [disegno].
Prima ancora di questa lettera riceverai il pacco postale che
ti ho spedito lo scorso venerdì con quel ferro ed altra roba, come ti scrissi. Non ho tempo a scrivere di
più – Tanti saluti al carissimo T. Cagliero ed a tutti gli altri della Sega, come pure al caro D. Vignoli.
Tuo aff.mo C. Camisassa».