Il 16 febbraio 1935,
nove anni dopo la morte dell’Alla-mano, il fratello coadiutore Bartolomeo Liberini (1890 – 1960) tenne una
commemorazione del Fondatore alla comunità della Certosa di Pesio, che l’Istituto aveva acquistato
l’anno prima. Questa commemorazione merita di essere riletta, proprio per la sua spontaneità, ricca
com’è di stima e di affetto per il Fondatore. Sembra di leggere una pagina dei fioretti di S. Francesco,
tanto profuma di semplicità evangelica. Fr. Bartolomeo, missionario in Kenya ed in Mozambico, morì a
Nova Freixo (Mozambico), all’età di 70 anni, a seguito della caduta da una scala, mentre lavorava in chiesa.
Quanti lo hanno conosciuto lo ricordano come un santo missionario, che merita di essere proposto alla venerazione e
all’imitazione del popolo di Dio. «Sento che invecchio – scriveva poco prima della morte ai
parenti – e vorrei fare ancora molto, per salvare tante anime». Riportiamo questa commemorazione tale quale
l’ha pronunciata fr. Bartolomeo, senza ritoccare il suo italiano a volte incerto, ma pur sempre vivace e piacevole.
È veramente per me una grande consolazione, un bisogno impellente del cuore il parlare del Ven.mo
P. Fondatore. Beati, sì, gli occhi che lo videro e le orecchie che ascoltarono le sue parole tutte ispirate e
sante.
Oh sì, io purtroppo assai poco potei godere della Sua santa compagnia, perché, dopo pochi
mesi dall’entrata nel caro Istituto, partivo per l’Africa. Così pure, al mio ritorno,
l’obbedienza sempre mi volle in case lontane da Casa Madre. Ma pur tuttavia, in quei momenti che potevo essergli
vicino, approfittando sempre d’ogni momento libero, correvo presso il buon Padre, sempre accolto colla più
grande affabilità e carità; ché dimostrava la più grande tenerezza paterna, in modo
particolare coi cari coadiutori, che soleva chiamare i suoi beniamini. E lo dimostrava con i fatti, con le preferenze che
ci riservava nei confronti dei Rev.di Padri e Chierici. Quanta dilezione particolare aveva per noi!
Mi
è pur sempre presente quel giorno che, ritornato dall’Africa, andai con S.E. Mons. F. Perlo a trovarlo.
Entrati nella sua camera tutti due insieme, egli corse ad abbracciare e baciare me prima di Monsignore – al che io
rimasi confuso e vergognato per tale preferenza, o forse sbaglio che cosa fosse stato – il fatto però si
è che fu così… E, dopo il mio ritorno dall’Africa, finché fui a Torino, se lasciavo
passare un giorno senza andarlo a trovare – risiedeva sempre al Santuario della Consolata – il giorno dopo mi
diceva: “E che? Ti eri dimenticato di Tuo Padre?” – Al che io, commosso per tanta bontà, non
avevo più parole per scusare la mia mancata visita, se non era per motivi gravi che non avevo potuto andare.
Oh sì, quale consolazione per me, quando mi faceva sedere accanto a Lui e, prendendomi una mano nella Sua,
mi dava tanti avvertimenti e consigli – e mi guardava con occhio di compiacenza e poi mi dava la sua benedizione,
premendo la sua mano sulla testa, infondeva sempre nuovo coraggio ed energia e grande amore alla nostra santa vocazione.
Queste tenerezze, come le faceva con me, le faceva con tutti i cari coadiutori i suoi beniamini!, e così tutti i
dolci che gli regalavano erano in particolare per noi sempre…come veramente fa la mamma coi più piccolini.
Ci metteva Egli sovente la mano sulla fronte, dicendo che a Lui bastavano quattro dita di questa, intendendo
dire che voleva solo la nostra volontà e questa gli bastava, che, senza volontà propria, il missionario
sarebbe stato completo e santo.
Un motivo che lo portava ad amare di più i cari coadiutori, si era che
conosceva il duro lavoro, le fatiche, i grandi sacrifici che avevano da compiere, tante volte senza le consolazioni che,
invece, può avere il Sacerdote nell’esercizio del suo ministero, nell’amministrare i santi Sacramenti,
ecc… Il Ven.mo Padre conosceva perfettamente tutto questo e voleva così, col suo amore più intenso
per noi, supplire alla privazione di queste consolazioni. Sovente ci incoraggiava ed encomiava tutte le opere e le fatiche
dei cari coadiutori, dicendo che pure essi avrebbero avuto un merito ed un premio uguale ai sacerdoti, e anche di
più in proporzione dell’amore.
Insisteva sempre sulla grande purità d’intenzione nel
compiere le nostre opere con vero spirito di fede, sempre in unione con Dio, e per Dio solo, ad imitazione di S. Giuseppe,
del quale ci voleva devotissimi e che insisteva che lo avessimo per modello, per la sua unione con Dio, per il suo lavoro
nascosto, in unione con Maria Santissima. Non un giorno, diceva, deve passare in cui dobbiamo lamentarci di non aver
fatto il nostro dovere e dover dire: oggi, non una giaculatoria, non una comunione spirituale, non mi sono sollevato un
poco col pensiero in Dio! Tutto il nostro lavoro, diceva, non deve essere intento ad altro che a Dio, e bisogna che ci
pensiamo, e badar bene alle cose; altrimenti che missionari saremo, come salveremo le anime?
Nell’ubbidienza poi, ad imitazione di S. Giuseppe, ci voleva perfetti; e abbiamo caro se il nostro P. Direttore
(P. Bisio) insiste su ciò che è veramente la volontà del nostro Padre, il quale non temeva di dire
sovente che l’ubbidienza perfetta vale quanto un atto di carità perfetta, cioè la vita eterna, il
Paradiso…Un passo fatto per ubbidienza, diceva, è come un diamante prezioso per la nostra corona.
Ma poi non è mia intenzione ora narrare tutto ciò che a questo riguardo ci diceva, perché troppo
bene tutte queste cose ci vengono spiegate nelle conferenze del R. P. Direttore e nelle meditazioni; basta mettere tutta
l’attenzione a ciò e mettere in pratica quanto con tanto amore ci viene insegnato…e figurarci che sia
il Ven.mo P. Fondatore, vivente in mezzo a noi, quando parla e ricorda le sue istruzioni, i suoi consigli, i suoi
ammonimenti; e Lui teneramente dal Cielo ci benedirà, ci aiuterà ad essere fedeli, costanti, grati e
generosi a tante grazie che il Signore ci fa; e saremo sempre i suoi beniamini cari, ed il suo spirito aleggerà su
noi, per plasmarci quali il suo cuore ci desidera.
Oh sì, quante volte penso con dolore e rammarico
grande di non essere quale Egli mi voleva…e di questo chiedo perdono a tutti i presenti. Ogni qualvolta andavo da
Lui con qualche confratello, diceva: “ecco il vostro specchio” ed io, voltando la cosa in facezia, chinavo la
testa additando lo specchio… ma Egli tra il serio e il sorridente me lo aveva detto e me lo voleva dire. Ma,
perdono o Padre Venerato, se non sono sempre stato fedele ai vostri comandi e desideri e fui in mezzo ai miei confratelli
uno specchio opaco, che non rifletteva i vostri consigli e insegnamenti. A Voi sì, Padre santo, sono noti i miei
desideri, l’amor mio più caro per Voi. E Voi mi diceste tante volte in vita: “caro Bartolomeo, quando
sarò in cielo, non mi nasconderete più niente e vedrò tutto quello che fate qui e in Africa –
ed allora se non farete bene, sì che vi bastonerò!, come veramente fece.
Vediamo sì il
nostro buon e amato Padre in mezzo a noi, che ci guarda ed assiste nella preghiera, nel lavoro, in ogni nostra singola
azione. Abituiamoci a vederlo sempre nell’adempimento del nostro dovere, nel sacrificio e nell’ubbidienza da
compiere, quando è facile e quando ci costa, e così Egli si compiacerà di noi – e non
rattristiamolo colle nostre infedeltà, col nostro poco amore.
Oh sì, preghiamolo che ci ottenga
tante grazie, la perseveranza nella nostra santa vocazione, e ci dimostrerà che è pur sempre, anche dal
Cielo, il Padre amato dei figli beniamini; e lo è veramente e tocchiamo con mano quanto Egli ci ami. Preghiamolo e
sforziamolo a far grazie e miracoli in mezzo a noi, miracoli di vera santità.
La vista sua, anche solo
in fotografia, faceva miracoli nei suoi figli quando era ancora vivente. Al riguardo vi racconto un fatto. Nei miei anni
d’Africa un nostro confratello coadiutore, chissà che cosa aveva visto, si era assolutamente deciso di
tornare a casa sua e lasciare la vocazione. Inutili e vane tante parole e osservazioni a persuaderlo a rimanere e starsene
tranquillo. Ormai era deciso. Quando mi balenò un’idea, corsi nella mia stanza, presi una fotografia del
Ven.mo Padre e, tornato al fratello, gli dico, presentandogli l’immagine: «se ha il coraggio di disgustare
così il nostro buon Padre…che tanto l’ama, parta pure». Queste parole furono come un fulmine.
Egli prese la fotografia, la baciò, pianse dirottamente…era conquistato, e mai più si parlò di
uscire. Anche oggi si trova in Missione e fa molto bene, contento ed attivissimo nel compiere il suo dovere.
Imitiamo questi eroismi. Amiamo d’un amore grande e verace il nostro buon Padre e rendiamoci degni suoi figli, ed
ora che dal Cielo vede ogni nostra azione ed intenzione, deh! sia mai che abbia a lamentarsi di noi e voglia Iddio che non
abbia – come diceva – ad adoperare un giorno o l’altro il bastone.