PARLANO I TESTIMONI A cura di p. Antonio
Bellagamba, Vice Superiore Generale
In una predica tenuta ad Alba (Cuneo) nel 1924, il venerabile Giacomo
Alberione, Fondatore della Pia Società S. Paolo, si esprimeva in questi termini parlando ai seminaristi:
«Volete incontrare dei santi viventi? Andate a Torino e visitate il canonico Allamano e don Rinaldi; andate in
Liguria e troverete padre Semeria; spingetevi in Sicilia e ancora potete incontrare il canonico Di Francia”
(testimonianza di don Lorenzo Berteca). I santi si riconoscono facilmente tra di loro, perché sono sensibili alle
cose dello spirito. Se si è attenti, è possibile riconoscere i santi viventi, perché da essi emana
una luce ed una forza che si impone e attrae al bene.
Parlando dell’Allamano, si deve ammettere che,
anche mentre era ancora in vita, veniva considerato come un sacerdote di qualità superiore, un vero santo. Questa
fama di santità si è mantenuta, anzi è addirittura accresciuta dopo la sua morte. La Chiesa
l’ha ufficialmente riconosciuta elevandolo agli onori degli altari e proponendolo come protettore e modello di vita
non solo per i suoi missionari e missionarie, ma anche per tutti i cristiani.
Crediamo di fare cosa utile e
gradita a coloro che conoscono il beato Allamano, apprezzano e seguono la sua spiritualità, pubblicando parti
scelte delle testimonianze, rilasciate al processo canonico, che si è concluso con la sua beatificazione. Si tratta
di preziose memorie di testimoni ufficialmente convocati, che hanno vissuto con lui o che lo hanno conosciuto da
vicino. Inizieremo dalle testimonianze di sacerdoti diocesani e di laici. In un altro numero della rivista,
proseguiremo con quelle di Missionari e di Missionarie della Consolata. Ovviamente, si dovranno fare delle scelte,
perché i testimoni sono molti, cercando di valorizzare, volta per volta, il pensiero di persone differenti, al fine
di poter allargare il più possibile l’orizzonte delle informazioni.
Per facilitare la lettura di
queste pagine, facciamo presente che tutti i testimoni ad un processo canonico devono rispondere sotto giuramento sugli
stessi quesiti, che hanno come obiettivo di indagare su tutto l’arco della vita del servo di Dio, di cui si deve
provare la santità e cioè: sulla sua personalità, il genere di vita, le attività,
l’esercizio eroico delle virtù, la fama di santità di cui era ed è circondato, ecc. La Chiesa
vuole rendersi conto, attraverso testimoni prescelti, informati e oggettivamente credibili, sia favorevoli che contrari,
di che cosa pensa il popolo di Dio, assistito dallo Spirito, su un candidato agli onori degli altari.
PARLANO I SACERDOTI DI TORINO
Mons. Edoardo Bosia (†1949), sacerdote torinese,
Prefetto della Basilica di Superga, che ebbe l’Allamano come direttore spirituale in seminario e poi consigliere per
tutta la vita: «La sua morte suscitò grande rimpianto. La voce unanime che correva sopra ogni bocca, ed anche
da me ripetuta, era questa: che sarebbe stato santificato. Ricordo che lo visitai poco prima dell’ultima
malattia, quando era già alquanto indisposto, ed avendogli manifestato il rincrescimento generale che la sua opera
di sacerdote non potesse più esplicarsi, egli mi disse: ‘non si fa mai tanto, come quando si fa la
volontà del Signore’. Fin da quando il Servo di Dio era ancora in vita, godeva larga fama di santità
presso ogni ceto di persone. Io posso attestare che questa fama, la quale andava continuamente aumentando a grado a grado
che il Servo di Dio andava avanti in età, era veramente meritata. Dopo la sua morte, tale fama non solo si
è mantenuta, che anzi è andata continuamente aumentando, senza che per nulla sia stata artificiosamente
promossa da veruno. Anche oggi questa fama vige presso ogni ceto di persone»
Mons. Emilio Feliciano
Vacha (†1955), sacerdote torinese, parroco dell’Immacolata Concezione in Torino: «Se io imparai ad
amarlo e stimarlo ancor prima di conoscerlo, ciò fu per le lodi che sentivo da tutti, e particolarmente dal
predetto Prevosto di Busano. […]. Ricordo la Messa d’oro celebrata nel settembre 1923 dal can. Allamano al
Santuario della Consolata. La pietà con cui lo vidi celebrare, la numerosa corona di compagni superstiti e di
Sacerdoti Torinesi, il magnifico discorso di occasione del suo compagno di corso mons. Ressia di Mon-dovì, mi
rimasero profondamente impressi nella memoria, e mi confermarono la stima e la venerazione di cui il Servo di Dio era
circondato».
Can. Giuseppe Cappella (†1946), sacerdote torinese, scelto dall’Allamano come
collaboratore al Santuario della Consolata e poi divenuto suo successore quale Rettore del Santuario stesso:
«Durante la malattia, il Servo di Dio dimostrò perfetta rassegnazione alla volontà del Signore;
desiderava di rimanere solo, per potersi meglio concentrare nella preghiera. Ogni mattina, io celebravo la Santa Messa
nella camera vicina alla sua. Egli vi assisteva, e faceva ogni mattina la santa comunione, dopo la quale mi diceva:
‘Ah! La Comunione è una gran cosa, ma quale sacrificio per me, non poter celebrare la Messa’.
[…] La sua preghiera preferita in quell’ultimo periodo era la invocazione: ‘Maria Madre di grazia,
dolce Madre di clemenza, proteggici dal nemico ed accoglici nell’ora della morte’, che ripeteva con maggior
frequenza, man mano che si avvicinava al momento del trapasso. […] La morte del Servo di Dio avvenne alle ore
4,10 del giorno 16 febbraio 1926, presenti noi sacerdoti della Casa, qualche missionario e alcune suore. La sua fu
veramente una morte da santo […]. I visitatori dimostravano la loro grande venerazione verso il Servo di Dio,
facendo toccare alla sua salma oggetti religiosi e anche cercando di asportare delle reliquie, tanto che fu dovuto mettere
un servizio apposito onde non avvenissero a crearsi disordini. La salma era esposta di fronte all’altare sul quale
spiccava il quadro del beato Cafasso. Sembrava che lo zio guardasse al nipote con senso di compiacenza. […]
Particolare degno di nota è questo: che lo stagnino, nel chiudere il feretro, suggerì che fosse costrutto a
doppio spessore, perché, diceva, non deve fermarsi al camposanto, ma dovrà essere trasportato, alludendo con
questo alla convinzione che aveva nella di lui elevazione agli onori dell’altare. […] Il concorso dei
Torinesi a visitare la salma del Servo di Dio e ai suoi funerali fu veramente imponente, e assolutamente spontaneo. Si
udirono molti esclamare: È morto un santo! È morto il santo della Consolata! […] Si può
dire che la grande maggioranza del clero diocesano ricorreva a lui per consiglio. Nei ceti popolari poi, godeva fama di
sacerdote intemerato, di un vero Servo di Dio. Ne era prova il largo concorso di penitenti che accorreva al suo
confessionale, e l’affluenza di gente che ricorreva a lui per consiglio e conforto. […] Questa fama, che
era veramente spontanea mentre il Servo di Dio era in vita, non solo non andò scemando dopo la sua morte, ma
andò invece aumentando in ogni ceto di persone. […] ed è anche confermata dal fatto che molte persone
ragguardevoli, di quando in quando si rivolgevano al Santuario chiedendo quando si sarebbe iniziato il processo di
beatificazione».
Can. mons. Nicola Baravalle (†1957), sacerdote torinese, uno dei figli
spirituali più cari dell’Allamano, a cui successe nel canonicato, suo stretto collaboratore al Santuario e
successore come Rettore del Santuario stesso: «Io visitai parecchie volte, durante la sua esposizione, la salma del
Servo di Dio. Sentii molti a dire: ‘Sembra un Santo! Era un Santo’. Sentii magnificare la sua carità ed
il suo zelo. E coloro che dicevano essere morto un Santo erano persone colte, sacerdoti, parroci, e anche qualche
canonico. A proposito della fama di santità, di cui era già circondato in vita il Servo di Dio, ricordo
il seguente episodio. Mons. F. Perlo subito dopo la sua consacrazione episcopale venne a Caramagna (paese nativo), ove
fece la prima assistenza pontificale […]. Dopo le funzioni pomeridiane vi fu il solito ricevimento in casa mia. Il
Servo di Dio, intervenuto a questo ricevimento, si tenne alquanto in disparte, e sedutosi accanto a mia madre, la
interpellò se era contenta che io mi fossi fermato alla Consolata, perché così potevo svolgere la mia
missione sotto lo sguardo della Madonna. […] Mia madre ricordò sempre questo suo incontro e questo discorso,
dicendo che era persuasa di aver parlato con un santo. Altra prova della stima e venerazione in cui era tenuto il
Servo di Dio, l’ebbi in occasione della beatificazione del Cafasso[…]. Notai che il S. Padre lo accolse molto
affabilmente […]. Nell’uscire poi dalla Basilica, fu circondato da una vera ondata di ammiratori, sia
ecclesiastici che laici, i quali lo portavano quasi in trionfo fuori della Basilica e andavano a gara per baciargli le
mani. Dopo la sua morte, questa fama non solo si è mantenuta ma si può dire che è andata
aumentando. Per conto mio posso attestare, che essendo succeduto al Servo di Dio nella mansione di Rettore del Santuario,
la prima notte che dormii nell’appartamento del Rettore, dato il mio temperamento molto sensibile, nel pensare alle
virtù, alle fasi dell’ultima malattia, e alla morte del Servo di Dio, […] fui sorpreso da tale
apprensione, che non mi permise di prendere sonno. La mattina seguente, pregai il Servo di Dio di ottenermi dalla
Consolata la serenità e la tranquillità necessaria per attendere ai doveri del mio ufficio. E da quel giorno
non ebbi più apprensioni di sorta. Ed io attribuisco questa calma e serenità ad intercessione del Servo di
Dio».
PARLANO I LAICI
Sig. Cesare Scrovero (†1951), di Passerano
(Asti), sposato e padre di famiglia, per 26 anni domestico personale dell’Allamano alla Consolata: «Fin da
quando era in vita, il Servo di Dio era circondato da larga fama di santità. Ricordo con quanta deferenza si
presentavano a lui personaggi di grande importanza, quali vescovi, principi, ecclesiastici illustri, e membri insigni del
laicato cattolico. Questa fama a mio giudizio, era ben meritata per le virtù che brillavano nel Servo di Dio.
Ritengo che detta fama dopo la morte non sia scomparsa, ma continui tuttora […] Come ho detto, io nutro devozione
per il Servo di Dio; mi sono fatto da me stesso una preghiera con cui ogni giorno imploro la sua intercessione».
Sig.na Pia Clotilde Allamano († 1966), figlia del fratello Ottavio; rimasta orfana di padre molto giovane,
ebbe lo zio come tutore. Fu insegnante a Castelnuovo: «L’impressione che riportai nel trovarmi accanto a lui,
si è che egli non solo fosse un sacerdote zelante e pio, ma altamente dotato di spirito soprannaturale,
delicatissimo e sapientissimo nel dare consigli. […] Crescendo in età, questa mia impressione si
andò maggiormente confermando in me nei molteplici incontri e contatti che ebbi con lui. Sentii parlare del Servo
di Dio dalla mia mamma, la quale lo ritenne un sacerdote veramente santo; e così da tutti i congiunti non solo, ma
da tutti i conoscenti del paese, i quali lo ritenevano un sacerdote di preclare virtù, ed al quale professavano la
stima più illimitata . […] Ricordo a questo proposito, che essendosi recato il Servo di Dio a
Castelnuovo per le feste della beatificazione del Cafasso, una donna, vedendo moltissime persone ad ossequiarlo
[…], stupita ebbe a chiedere: ‘Ma…è più canonico che non vescovo?’. In Castelnuovo
poi egli era ritenuto un degno e fedele imitatore del Santo suo zio. E gli stessi suoi coetanei avevano il massimo
concetto di lui e delle sue virtù. Dopo la sua morte, questa fama è andata e va continuamente crescendo
presso ogni ceto di persone”.