Nei primi anni, dopo la
morte dell’Allamano, le “Commemorazioni del Fondatore”, ogni 16 febbraio, erano di una
spontaneità sorprendente. Chi parlava lo aveva conosciuto da vicino e manifestava non solo la buona conoscenza del
Padre Fondatore, ma specialmente la stima e il profondo amore di figlio. Nel nostro archivio generale sono custodite tante
e interessanti commemorazioni. Alcune sono piuttosto di tipo ufficiale, molto impegnate, tenute da confratelli o da
sacerdoti diocesani, molte della quali sono già state pubblicate. Ci sono, però, anche diverse brevi
“composizioni”, fatte, sempre in occasione del 16 febbraio, o da allievi, o da fratelli coadiutori, magari
scritte a mano su fogli da quaderno, senza pretese di ufficialità, ma che emanano un profumo di freschezza molto
gradevole. Le ho chiamate “commemorazioni minori”, solo perché sono brevi. Anche queste meritano di
essere conosciute. Dopo aver pubblicato nel numero precedente di questo inserto la commemorazione tenuta in occasione
della “Trigesima” nel santuario della Consolata da Mons. G.B. Ressia, ecco due interventi”minori”
degli anni successivi.
LA PREGHIERA DELL’ULTIMA CENA
Il primo
è stato letto alla comunità di Torino, il 16 febbraio 1930, a quattro anni dalla morte dell’Allamano,
dall’allora chierico Mario Chiabrera (1909 – 1989), poi missionario in Kenya, in Etiopia e in Brasile. In esso
si scorge la preparazione dello studente di teologia, che svolge il suo intervento sulla falsa riga della preghiera
sacerdotale di Gesù riportata nel capitolo 17 del vangelo secondo Giovanni. Emerge bene anche il ricordo affettuoso
di un figlio.
"Così parlò Gesù, ed elevati gli occhi al cielo, disse:
“Padre…”. Così, con semplicità meravigliosa, il Prediletto di Gesù presenta al
mondo la sublime “Preghiera Sacerdotale”, che il Maestro divino rivolse al Padre, nell’ora ultima
dell’intimità sua ai pochi scelti a seminar nelle anime la semenza evangelica della vita eterna.
Gli Apostoli aggruppati attorno al Maestro, un po’ spauriti per l’annunzio della prossima sua dipartita, mai
si erano sentiti così avvinti a Lui, come in quegli istanti dell’addio supremo, prima della separazione
dolorosa. E l’occhio scorre sulle parole sante di Gesù, mentre si trattiene il respiro, il cuore pulsa
con più violenza ed un senso nostalgico di cielo pervade l’animo…: “Padre Santo, conserva nel
tuo nome quelli che mi hai dato, perché siano una cosa sola come noi. Quando ero con loro, li ho conservati nel tuo
nome. Li hai dati a me, li ho custoditi…adesso vengo a Te…”.
Ricordate
fratelli? Cogli occhi fissi su di Lui, sul nostro Padre morente, con l’angoscia in cuore, un nodo di pianto alla
gola, sentivamo quale catena d’amore ci stringesse a Lui. Iddio a Lui ci aveva dati. Ei ci ricevè
ringraziando, e diventammo quasi il respiro della sua vita.
Chi può dire le sue
cure, le sue attenzioni per noi? Oh, le indimenticabili conferenze tenute nell’intimità dell’amore dal
Padre ai figli! Ci pareva impossibile che non si dovessero un giorno bramare. Eppure fu così. Venne l’ora
dell’addio, e rivolto al Padre che sta nei cielo, rese di sé testimonianza: “Padre santo, trovandomi
insieme con quelli che mi hai dato, li ho custoditi nel tuo nome,…ora però vengo a Te”.
Nulla aveva lasciato di intentato per conservare i figli da Dio ricevuti. Il suo lavoro diretto per
noi era terminato ed a Dio restituiva, perché Egli stesso volesse continuare il lavoro: “Padre santo conserva
Tu, nel tuo nome, quelli che mi hai dati”. E li lasciò.
Per gli Apostoli fu
uno schianto la morte di Gesù. Però li consolava alquanto la promessa del Maestro: “Verrò di
nuovo da voi…”. A noi pure lo disse il Padre nostro: “Ritornerò”, e ritornò. Lo
ricevemmo con espansività gioiosa, sebben mista con un po’ di tristezza e di timore. Ma non forse così
anche gli Apostoli, quando dopo la risurrezione, a lor tornò Gesù, apportator di pace: “La pace sia
con voi”? Ma che importa la tristezza ed il timore? Egli è tornato ed ora riuniti nuovamente attorno a Lui
ricordiamo il suo amore, ricordiamo la sua vigilanza, ricordiamo soprattutto la sua parola. A noi il non dimenticarlo, il
non lasciarlo, vivendo per Lui, che visse unicamente per noi.
Ed ai piedi del trono d’Iddio, felice nella
sua eterna contemplazione dell’eterno Padre, a noi guardando per noi pregherà: “Padre, voglio che
quanti mi hai dato siano ove io sono, insieme con me; e veggano la gloria che tu mi hai dato”".
"IN PARADISO POTRÒ FARE MOLTO DI PIÙ PER VOI"
"Sei anni sono già passati dacché il cielo ci ha rapito il nostro veneratissimo Padre Fondatore
Can. Giuseppe Allamano. Celebriamo questa me-morabile data, non con dolore per ricordare tanta perdita, ma con vera gioia
e profonda letizia per dirci che il nostro Ven.mo Padre vive proprio vicino a noi ed è in mezzo a noi della sua
famiglia missionaria sempre, ma in modo tutto particolare lo è in questo momento.
Siamo riuniti per
meglio ricordarcelo e far risuonare alle nostre orecchie ed al nostro cuore le sue indimenticabili parole, consigli ed
esortazioni per meglio far vivere in noi il suo spirito, che lo Spirito Santo dettò per meglio raggiungere il
nostro scopo e quello dell’Istituto, per cui il Signore ci ha chiamati a fare parte dei Missionari della
Consolata.
Io mi limiterò solo ad accennare a qualche sua parola, udita durante i pochi mesi che ho
avuto la fortuna, da postulante, di fermarmi qui in Casa Madre, e poi quando mi recavo da Camerletto a Rivoli, dove nei
mesi di estate egli veniva a passare le vacanze nella sua villa. Mi domandava come mi trovavo e desiderava sapere di tutte
le singole azioni della giornata, e si tratteneva molto volentieri, anzi desiderava che andassi da Lui tutte le volte che
si presentava l’occasione. Diceva: “Voialtri coadiutori siete i miei beniamini”. Quasi ci guardava e ci
trattava come le pupille stesse degli occhi suoi. Soggiungeva: “Perché il vostro ministero è
più difficile che non quello del Sacerdote, e siete stimati di fronte al mondo, ed anche dai confratelli stessi,
per gente da poco, mentre avete tutti i doveri che hanno quelli che, per la loro vocazione, sono messi più in alto
di voi. Perciò vi necessita maggior virtù, e bisogna essere sempre stretti al Signore, per corrispondere
alla vostra vocazione. Io ammiro la vostra sorte, per cui potete farvi maggiori meriti del missionario Sacerdote. Ancora
perché il vostro ministero è umile, e quando credete di fare qualche cosa che meriterebbe lode, non ricevete
che ingratitudine dagli uomini. Allora bisogna sempre sprofondarsi nell’umiltà e la vostra corona sarà
così più bella in Paradiso”. E finiva dicendo: “Io sono già vecchio, non voglio biasimare
la vocazione sacerdotale che è divina ed è il massimo dei doni che il Signore possa fare ad una creatura,
quella di essere sacerdote, ma voialtri la uguagliate, se non nell’altezza, nella profondità. Ed ora non mi
rimane che me ne vada in Paradiso. Qui sulla terra non posso più fare tanto. Ho sempre cercato di fare del mio
meglio per servire il Signore. In Paradiso potrò fare molto di più per voi. E di lassù vi
vedrò tutti, anche quelli dell’Africa, e se non fate bene, vi tirerò le orecchie!”.
Prima di andare in noviziato (che si faceva nella casa di Sanfrè), salutandolo ci raccomandò di imparare a
fare bene la meditazione, dicendoci che la vocazione si conserva se si medita, aggiungendo che tutti i santi si sono fatti
tali per avere imparato a fare la meditazione, ed in modo speciale: “la meditazione è fatta più per
voi che per i Sacerdoti. I Sacerdoti devono meditare perché il loro ministero li porta a meditare, ma poi essi
hanno la S. Messa da celebrare, il breviario e poi tante altre belle preghiere. Ma per il missionario coadiutore (la
meditazione) deve essere il suo pane”.
Infine ci diede la sua Santa Paterna Benedizione, dicendoci di
volere Lui pure venire a Sanfrè per vedere la nuova casa, che quindi ci avrebbe di nuovo veduti. “Altrimenti
ci rivedremo in Paradiso”. Infatti nel mese di ottobre venne a Sanfrè ed era rimasto contento di trovarsi in
mezzo ai suoi figli novizi, dicendoci che se non morrà verrà qui a passare l’estate, ed a tale
proposta il Rev.mo Padre Maestro gli aveva fatto preparare un appartamentino apposta per Lui.
Ma purtroppo dopo pochi mesi, e precisamente sul finire del mese di gennaio si ammalò; poi
sembrava che si ristabilisse di nuovo, ma ai primi di febbraio, una sera, il Rev.mo Padre Maestro ci disse di pregare per
il Padre Fondatore che era gravemente ammalato, ed a tale scopo si incominciò un triduo di preghiere, e poi un
secondo. Il Signore, verso la fine di questo triduo, lo volle prendere Seco e trapiantarlo nella sua aiuola eletta dei
santi in Paradiso, lasciando noi tutti suoi figli orfani nel dolore.
Dolore che si mischiò con
allegrezza, sicuri di averlo in Paradiso vicino al Cuore di Gesù ed alla SS. Consolata sua e nostra Celeste Madre,
ed al suo zio Beato Giuseppe Cafasso, intercederà presso il trono di Dio e della SS. Consolata per tutte quelle
grazie delle quali ciascuno di noi ed in modo speciale l’Istituto abbisognano. Beati i morti che muoiono nel
Signore, perché riceveranno il premio delle loro fatiche e benedizioni sulle loro opere.
Come figli di
tanto Padre cerchiamo di farne rivivere lo spirito col praticare quelle virtù che ci ha insegnato col suo esempio,
facendo sempre la volontà di Dio riconosciuta nella voce dei Superiori. Così saremo sicuri di continuare
bene l’opera sua in questa terra e di formare poi un giorno la sua più bella corona in Paradiso".