RELAZIONI CON LE SUORE MISSIONARIE DELLA CONSOLATA

11 aprile 1915
Quad. X, 23
Domenica in Albis.
Nostre relazioni colle nostre Suore: di sorelle e non serve, ecc.
P.P. Albertone, quad. VI, 99—106
11 Aprile
Vi ho da leggere lettere; Vi leggerò prima la lettera dell'andata al Kaffa. La cosa è più difficile di quello che si crede. Il diavolo è in possesso millenario, e noi dobbiamo vincerlo.
(Lesse quindi una lettera di Mons. Perlo che dava relazione delle molte difficoltà sorte per la entrata nel Kaffa, da parte del Governo di là e del Go­verno Italiano).
Le cose sono a questo punto. Vedete ciò che rimane a fare. Ecco vedremo se sarete buoni ad ottenere dal Signore questa grazia. Certo il Signore è inte­ressato lui, da 2000 anni è interessato, ma è disposizione della sua divina Prov­videnza di andare secondo noi lo pressiamo. Sta a noi farla andare avanti que­sta cosa. Quel Giorgis (?) (o un nome consimile, nome di uno citato nella so­praddetta lettera, come favorevole all'entrata nostra) pare un capo, non so... essi, abbiamo bisogno di uno che ci faccia entrare. Ad ogni modo l'essenziale è di essere in casa nostra, entrare dove ci hanno mandati. Siamo stati troppo tranquilli finora, credevamo che fosse tutto fatto. Cominciando da domani diremo di nuovo la Salve Regina durante la Messa, finché riceveremo la noti­zia che sono entrati definitivamente nel Kaffa. Questa Salve Regina deve esse­re onnipotente presso la Madonna e la Madonna deve essere onnipotente presso il Signore. Ma questo non basta; lo sapete, non basta la preghiera e la mor­tificazione. Qui si può quasi dire che è come l'altro di cui avevam parlato, non ejicitur nisi in oratione et jejunio. Perciò avevamo detto che ora eravamo noi in carnevale; noi non abbiamo fatto il carnevale allora e lo facciamo adesso; ma tuttavia sta il carnevale e la mortificazione. Ecco: chi ha il coroncino lo tiri fuori, lo usi; e poi piccoli sacrifici; e chi non l'ha lo faremo fare. E intanto fac­cia contare dall'angelo custode; noi non possiamo fare digiuni in pane ed ac­qua, non possiamo portare la disciplina, il cilicio, cioè darci la disciplina, quelle cose lì, sì che porterebbero via le grazie al Signore. Come faceva il no­stro Venerabile quando doveva convertire qualche condannato a morte. Non andava a dormire e andava a pregare, e così il letto restava già bell’e fatto; e poi lo squinternava un poco perché il domestico non se ne accorgesse; ma il domestico era più furbo e se ne accorgeva lo stesso. Vedete i santi facevano così.
Voi non potendo fare così, i superiori non ve lo permettono, dovete fare tanti piccoli sacrifizi, che uniti insieme facciano come quei grossi. Sapete in comunità quanti piccoli sacrifizi si possono fare. Quando si è al lavoro, invece di lavorare blandamente; energia! Così dal mattino alla sera, quanti sacrifici; tanti soldi fanno la lira; e tante lire fanno il resto. Così tanti piccoli sacrifizi moltiplicati sono come grossi sacrifizi. Facciamoli, finché non siamo sicuri che i nostri siano arrivati in Kaffa... a tavola un po' di arsura, potete soppor­tarla per amor di Dio. E sapete, si fanno mica solo qui dei sacrifizi, si fanno anche là in missione, anche là si sente l'influsso di questa guerra; c'è stata l'al­tro anno un po' di carestia, poco grano e quello che è venuto è stato mangiato dagli uccelli, e non si trova neppure più meliga. E così sono obbligati ad adat­tarsi ai cibi degli altri, dei neri. Così si mette in pratica quello che scrive la S. Congregazione «Non appetere cibos ultramarinos». Sapersi adattare ai cibi indigeni; farsi Kikuiu coi kikuiu. Sapersi adattare a quello che c'è; quei là so­no nati là, e invece noi siamo nati qui, e tuttavia non essere di quelli che pensa­no sempre: Oh, avessi quello che avevo là. E così per gli astigiani, ah se si avesse un po' di barbera! e invece, un po' d'acqua, e se non è buona si fa bolli­re. Dunque avete capito. Bisogna addirittura che otteniamo questa grazia. La cosa è seria sapete, seria davvero. Massime che il Colli di Felizzano (il console probabilmente Italiano in Abissinia. Qui legit, videat ipse) è contrario alla no­stra entrata; è lui che ci ostacola; e quando il Dottor Cavicchioni ci ha fatto le raccomandazioni perché potessimo entrare, l'hanno rimproverato a Roma. E allora il Sig. Vice Rettore ha scritto a Roma per iscusa, ma lui di là ha rispo­sto: «ho fatto quello che dovevo fare; se non posso fare del bene per i miei, se non vogliono che io faccia il mio dovere, piuttosto me ne vado». Quelli sono uomini di carattere. Non sono tanto dall'Abissinia le difficoltà, ma da Roma. Ma lasciamo stare questo: ad ogni modo, certo dobbiamo entrare come mer­canti; e quella (il facente funzioni italiano in Abissinia) ha paura che andiamo a vedere cosa fa: ha paura che andiamo a ficcare il naso, e di avere qualche seccatura. Ma non andiamo a cercare... è il diavolo! Non sono gli uomini, è il diavolo! non andiamo a cercare un altro motivo. Sebbene tante volte si calun­nii il diavolo quando si dice: Mi ha fatto peccare! Siamo noi che siamo cattivi e che pecchiamo, e poi calunniarne il diavolo. Sono io che pecco! Ma qui tut­tavia fa di tutto. Fa di tutto perché ha paura che andiamo a strappargli le ani­me. Ma voialtri, in oratione et jejunio dovete vincerlo. Tutti, tutti insieme, neppure uno eccettuato, preghiere e sacrifizi. E fare ciò che costa di più. E ve­dete, si fa un po' di là e un po' di qua. Adesso vi farò vedere quello che fanno quei là (in Africa); tutti con impegno per ottenere dal Signore questa grazia. Vi ho già detto che le cose vanno male, sia là, sia qui; ecco, qui c'è P. Olivero che scrive dal Karema, dove sono andati a fare gli esercizi spirituali per prepa­rarsi per fare i voti, e c'è P. Olivero, P. Passino, Coad. Carlino e Coad. Do­menico. P. Olivero, P. Passino, Coad. Carlino per prepararsi ai voti perpetui, Coad. Domenico per i temporali.
(Qui segue la lettera di P. Olivero, in cui si dà relazione della crisi mate­riale, per carestia, e guerra, per cui sono privati fino di farina di meliga; e ciò che è più delle cose necessario per la celebrazione, e sono costretti in questo a grandi economie).
Vedete le cose come stanno. Lo sapete che anche Mons. ha già scritto che anche loro là mangiano pane di fagiuoli e di meliga. La guerra si sente anche là. Anche là se ne sente il contraccolpo. Pregare il Signore che ci aiuti, che se­condi il Papa..., il Papa ha concesso di nuovo tutti i favori che aveva già con­cesso alla recita di quella preghiera per tutto il mese di Maggio; ma vedremo poi, ne parleremo. Pare sempre che da quest'oggi in domani anche noi si deb­ba partire, e allora?! guai! siamo giorno per giorno lì lì... Mi contavano che nel Trentino si dà il pane ad once per ogni individuo. Ed in Inghilterra, comin­ciando dal Re, non si bevono più i liquori; e in Germania hanno fissata una ra­zione per ognuno; e anche noi ora hanno cominciato a fissare il pane, la quali­tà, e si farà così finché potremo, e poi si mangerà quello che ci sarà. Non dob­biamo dire che non ci riguarda; stiamo tranquilli! Questo ci tocca tutti. E sa­pete come si fa a vivere nel Belgio? Qui c'è un piccolo articoletto; sono cose che fanno orrore... l'ho voluto portare apposta. Ah sì, neh! (seguì la lettura di un articolo sulle disastrose condizioni del Belgio; sulla Voce dell'Operaio). Neh! Cose che fanno orrore. E i Tedeschi stanno ancora attenti a vedere se possono prenderne! (Così risulta dall'articolo sopracitato). Oltre i milioni che ha già imposto da pagare ad ogni provincia. Ad ogni modo sia chi si vuole;
fatto sta ed è che le cose sono a questo punto e noi non andiamo a cercare il come ecc... Vedete, dalla Francia la S. Infanzia ha mandato quasi nulla quest'anno, e non si può fare di più; così qualche cosetta ha mandato la Pro­pagazione della fede, sperando di poter mandare di nuovo qualche cosa. E co­sì fanno tanto bene a soccorrere i poveri Belgi. E così vanno le cose; e le Mis­sioni certo ne soffrono, e dobbiamo soffrirne tutti.
Non dico che non dobbiamo più mangiare; sta ai superiori a pensare quando debbano togliere una pietanza; la frutta, il vino; ma voi dovete avere la disposizione; essere disposti ad essere privati di queste cose quando il Signo­re vorrà che facciamo questo. È così; facciamo sacrifizi per poter soccorrere quei là lassù, vedete è una borsa sola. Basta; questo lo faremo quando consul­tato prudentemente il Signore ci dirà di dover fare così. Ma tuttavia voi dovete avere fin d'ora la disposizione; essere contenti che manchi qualche cosa; non lamentarsi quando la minestra sa di fumo; invece di borbottare non borbotto; il Superiore si, è incaricato di vedere che tutto vada bene, ma l'individuo no. Dobbiamo pensare che stiamo ancora meglio di tanti altri. Non lamentarci per tutte le più piccole cose: e a questo proposito una cosa; un'osservazione: qual­che volta è capitato da qualcuno, in passato più che adesso, è avvenuto che si trattano male le suore, quasi fossero serventone; si trattano le suore con un po' di disprezzo; vedete: anche esse hanno bisogno di andare in cortile; di par­lare, e diciamolo, di gridare un po' non devono come non dovete voi, ma non sta a voi a fare queste osservazioni; alle volte c'è da aspettare un poco, e si fa subito osservazioni; si domanda ed esse hanno l'ordine di non dare e non vo­glio che ... qui dentro c'è un poco questo...; e ve lo provo storicamente.
Quando si era ancora alla Consolatina, vivevano lì assieme, erano ancora poche, e si sacrificavano veramente per la comunità, rappezzavano o aggiusta­vano, lavavano, certo non davano due quando c'era solo bisogno di uno; e pa­revano crudeli. Gli uomini non son fatti per questo, sono le donne che sono fatte per queste cose; per non lasciare guastare di più; per aggiustare subito, non lasciare che la roba sia tutta lacera; alle volte una cosa si comincia a strac­ciare, e se si dice subito si aggiusta in poco; e alle volte io lo dicevo; le suore sono più ubbidienti dei Missionari; e qualcuno mordeva la catena. Eppure è così: dico una cosa, e le suore la fanno subito. Sarà il Sacrestano, sarà l'infer­miere; ecc. sarà chi sarà, si tratta colle suore in modo che non va. E questa sto­ria ve l'ho mai contata e ve la conto ora. E ci ho pensato prima, lo dico mica per ira, ci ho pensato prima di venire. E le suore sono venute persino un poco ... s'intende. Là, non bisogna quasi strappare loro la roba di mano. Avere paura che abbiano più di noi; e se avviene qualche volta che esse non abbiano una cosa e noi l'abbiamo, tenerla lì stretta, paura che l'abbiano loro. E ... le suore sono fatte per quello. Vedete, in Africa a capo del magazzino ci sono le suore, e non voglio che il missionario borbotti. E si va là a domandare due sacchi di roba, e la suora s'intende domanda il perché ecc.; perché esse devono scrivere tutto quello che va via. Quando invece di una si domandano quattro camicie per volta, e la suora ne da solo una. C'era un Missionario che chiama­va, chiamava e Mons. ha fissato, e allora qualcuno mordeva. E, dicono, il Rettore è ricco ! Ricco !... fossi anche ricco non voglio sprecare un centesimo... Ma, è spirito di fratelli e sorelle? Dobbiamo cercare il risparmio e lo spirito di povertà comune. Vedete, si danno ordini di lì e di qua. Perché tutto vada be­ne; pure è doloroso sapere che alle volte si tenta di nascondere. Sì, qualcuno le tratta in un modo che non va.
E voglio parlare umanamente, come diceva S. Paolo. Vedete, le suore non hanno nulla da fare coi missionari ecco! Voi quando venite qui, portate de­nari? No, e se ne avete, ve li tenete; li usate sotto l'ubbidienza, ma ve li tenete; e le suore? Subito, tanto per la pensione; e poi se ne riceve consegna. È un vo­to più povero del vostro. Dote ed eredità, tutto resta nella comunità. E ad esse resta niente. E dopo morte? Se uno di voi muore, lascia quei denari che avete a chi vuole; sarebbe sconoscenza, ma potete; potete lasciare l'eredità a chi vole­te, ne avete il diritto; sebbene i bravi missionari non facciano così. E loro inve­ce? Vedete, parliamo da uomini; S. Paolo fa l'omaggio di sé e perciò posso parlare, credete voi che quelle siano serventoni? Una è entrata e i suoi hanno dato subito 9000 lire; un'altra è entrata ed ha portato 30.000 lire subito. E ce n'è di quelle patentate: la superiora che c'era prima e che è partita per l'Africa aveva 7 patenti; non sette lauree, ma sette patenti. Ed io non l'ho mai saputo;
fino a quando è partita che ci aveva ancora un pacchettino e non sapeva se do­veva prenderlo, e così ha dovuto dirmelo. Oh, non credete, non siete voi che manteniate le suore. Ma le suore che mantengono voi. E esse quello che consu­mano se lo pagano; tanto mangiano e tanto pagano. Giustizia vuole che ciò che lavorano glielo si paghi. Avviene come alla Consolata, voi non sapete ha (sic) dividere gli uffizi; alla Consolata, gli stipendiati, altri sono gli stipendiati del Santuario, come quel di sacrestia, il sacrestano, ecc.; vi sono poi quelli pa­gati dal Convitto; il Rettore, l'Economo, e quelli pagati metà di qua e metà di là, come il Rettore, non che io mangi due volte. Così anche qui le cose sono di­vise: e non crediate che siano obbligate a stare coi Missionari: sono suore mis­sionarie, e quando i Missionari non le trattassero bene, li salutano, e del luogo ne trovano. Ci sono già stati i Missionari di ... che me le hanno chiamate.
Basta, non vi ho mai fatto un discorso simile. Ebbene ho creduto bene di farvelo. Vedete, anche quel lì è un ceto, approvato dal vescovo, e che ha la sua personalità. Non voglio questo metodo. Vedete le suore di D. Bosco: Salesiani da una parte suore di Maria Ausiliatrice dall'altra. Certo esse cercano confes­sori Salesiani, direttori spirituali salesiani, se il Vescovo crede bene; vedete? Eppure sono anche dello stesso Padre. Così le Suore bigie, figlie della carità, suore di Carità sono anche tutte di S. Vincenzo. Eppure le Cornette così dette dipendono dal Superiore dei lazzaristi, dei Signori della Missione; e le altre di­pendono dal Vescovo.
E la conclusione di tutto questo sproloquio? Che ci pensiate; occuparsi di noi e non guardare le suore; ma rispettarle e non credere di tenerle lì tanto co­sì. Non ho mai creduto che cominciassi un'istituzione di serventone. Per esse­re delle nostre suore ci vuole testa, e testa equilibrata: vedete; non si accettano persone di servizio. Oh, è più quelle che dobbiamo mandare via perché non vogliamo accettare che quelle che si accettano. E ce n'è una che mi ha scritto, ma domani risponderò negativamente. N. Signore non ha voluto certuni a se­guirlo. Ci vogliono persone idonee, testa, cuore ed educazione,... Certo esse non lo sospettano neppure questo, e non è che si siano lamentate; ma tuttavia, principiis obsta. Voglio una barriera a questa cosa. Loro non possono venire di qua, e voi non potete andare di là; eccetto che si dimentichi di chiudere il sacrestano o altri, e così loro. Voi non dovete sapere chi ci sia in cucina o altro, tanto meno poi sapere che c'è la suora tale o tal'altra.
Se non facciamo economia, se si vuole mettere tutto fuori, come si fa? se facciamo così qui, che cosa manderemo in Africa? Dobbiamo usare il puro necessario, non tener lì tutto per noi. Come adesso è stato regalato un para­mento nuovo per questa funzione che s'è fatta (la vestizione delle suore fatta da Mons. di Mondovì) ebbene si deve lasciare dalle suore. E l'useremo o no, o lo manderemo in Africa come crederemo. Così han regalato un mulino e l'ab­biamo mandato in Africa.
Siamo in famiglia, fratelli e sorelle e dobbiamo amarci. Credo che abbia­te capito: loro di tutto devono rendere conto solo ai superiori, e voi ai vostri, e così ciascuno per la sua strada. Così si fa al convitto: le suore sono sotto, e c'è chi serve a tavola, e chi provvede; e se uno pigliasse due volte il caffè, si faces­se dare due volte il caffè, lo piglio e gli dò una lavata di quelle che so dare io qualche volta.
E si deve ubbidire anche quando i sudditi sono lasciati dai superiori a diri­gere. Così se uno non ubbidisce all'infermiere fa male. Sia superiore o no, non' importa, basta che abbia l'uffizio di superiore.
Ma così basta; ho già detto troppo.
Ora un'altra cosetta. P. Cagnolo che scrive e parla dei suoi seminaristi (seguì una lettera di P. Cagnolo sul Seminario africano di 6 seminaristi e 4 aspiranti; indi una lettera latina al Sig. Rettore, scritta dai seminaristi stessi); E.. Consola!... Quando sarete vecchi colla barba bianca avrete già dei giovanetti che corrono.