LA SUA CONSOLATA

FondatoreQuadroCompleto

COMUNIONE PERSONALE

DELL’ALLAMANO CON LA SS. CONSOLATA 

 

Introduzione. Il rapporto personale di fede e di amore tra l’Allamano e la SS. Consolata non può essere descritto in modo adeguato, perché fa parte di quella sfera speciale che è totalmente riservata agli interessati. Tuttavia, tentiamo almeno di intravederlo ascoltando le parole riferite da P. L. Sales: «Accennava spesso a quel suo posto preferito “dal quale si vede così bene la Consolata e le si è tanto vicini!”. Dopo averci un giorno parlato della Consolata, concludeva: “Che volete!…è una devozione che va al cuore. Se avessi da fare la storia delle consolazioni ricevute dalla Madonna in questi quarant’anni che sono al santuario, direi che sono quarant’anni di consolazione. Non è che non abbia avuto da soffrire; lo sa Iddio quanto! Ma lì, ai piedi della Consolata, si è sempre aggiustato tutto».1

 

I. LE SUE CONVINZIONI

1. Segretario e Tesoriere della Consolata. Immaginare di avere un rapporto privilegiato di collaborazione con Maria, quasi prolungando la sua funzione di dispensare i favori di Dio, è sicuramente è un atto di grande coraggio da parte dell’Allamano. Dobbiamo, però, riconoscere che egli lo ha compiuto, dichiarando di essere il “tesoriere”, non di Dio, ma della Consolata.2 La sua attiva e prolungata presenza di primo responsabile al Santuario, corroborata dall’esperienza personale di grazie concesse dalla Madonna dietro sue preghiere, forse lo avrà indotto a convincersi che tra la Consolata e lui si erano come create un’intesa e una collaborazione speciali. Difatti, risulta che egli usava questi termini quando era già abbastanza avanzato in età e non da giovane. Si noti, però, che l’Allamano per lo più faceva precedere al titolo di “tesoriere” quello di “segretario”, forse proprio per precisare questa sua funzione di totale subordine. In pratica, pensava di aiutare la Consolata a concedere i favori alla gente, prendendo nota delle varie necessità.

Questa convinzione era teologicamente sostenuta dalla fede nel ruolo di “Corredentrice” e di “Mediatrice” di Maria, cui l’Allamano ricorreva per spiegare la necessità di ricorrere a lei nella preghiera. E illustrava questa necessità soprattutto quando commentava l’oremus della Consolata: «[…] per Genitricem tuam Mariam omnia nos habere disposuisti […]».3 Ecco le sue parole: «Maria SS. può, e vuole concederci tutte le grazie per salvarci. […] Lo vuole, perché desidera come corredentrice la salvezza delle anime, per cui il suo Gesù sofferse».4 E ancora: «Omnia nos habere disposuisti […] Ella è regina e come regina comanda. [… La Madonna in Dio, con Dio può tutto. Essa è corredentrice del genere umano, perché ha sofferto col suo Figliuolo, ha partecipato alla sua Passione».5

Per comprendere in quale contesto l’Allamano si è attribuito i coraggiosi titoli di “tesoriere” e “segretario” della Consolata, propongo una situazione che ci può chiarire che cosa egli intendesse, ma che non è l’unica. Durante la novena della Consolata del 1922, l’Allamano chiedeva alle suore che pregassero la Madonna per due intenzioni, che in quel periodo gli stavano a cuore: perché la Santa Sede approvasse il miracolo per la beatificazione del Cafasso e, inoltre, perché approvasse definitivamente le Costituzioni dell’Istituto. Ecco le sue parole, che sembrano quasi uno sfogo a motivo del ritardo che gli pareva di notare: «Pregate la Madonna che ci faccia questo regolalo. Del resto non perderemo la pace per quello se la Madonna non crede di darcelo. In sostanza io sono qui (al Santuario) tesoriere, segretario, e dovrei avere il diritto di prendere le grazie principali ed invece…Tutti vengono a dire: Io ho ricevuto questa grazia…; io ha avuto questa… Ed io? Io registro sempre… Ma pregate che il Signore faccia la sua santa volontà: è poi tutto lì, vedete!».6 Come appare evidente, è un santo che si confida con le sue figlie, preoccupato sì, ma totalmente affidato alla volontà di Dio.

 

2. È Lei la vera Fondatrice dell’Istituto. In tutti i fondatori è chiara la coscienza che la loro istituzione è “opera di Dio” e che essi sono soltanto “strumenti” nelle sue mani. Con pochi altri7, però, l’Allamano scorge all’inizio dei nostri Istituti anche una speciale presenza della Consolata. Questa convinzione era frutto più di esperienza che di ragionamento, in quanto il nostro Padre ha come dato vita ai suoi figli e figlie ai piedi della Consolata. Chissà quante volte ha parlato di noi alla Madonna, in quel coretto, prima ancora di fondare gli Istituti. La sua avventura missionaria, come pure la nostra, è iniziata indubbiamente di lì. È evidente che, anche in rapporto alla fondazione dei suoi due Istituti, l’Allamano si considera solo come “collaboratore” (segretario, tesoriere) della Consolata. La sua attività di fondatore e di educatore di missionari e missionarie ha un senso solo a partire e in relazione alla Consolata.

L’Allamano voleva che considerassimo la Consolata come la vera “Fondatrice”. Nella sua convinzione, la Madonna non è solo “Patrona”, ma entra nell’identità dell’Istituto come causa efficiente, assieme a Dio. Ecco una della sue espressioni più significative: «Questa casa l’ha posseduta nostro Signore fin da principio, ed è proprio sua come un campo è del proprietario; quindi non dite bugie col dire che il tale o il tal altro l’ha fondata. No, no, è la Madonna che l’ha fondata ed il principio è venuto da nostro Signore».8 Questa convinzione è stata radicata nell’Allamano fin dall’inizio della sua opera. Sono significative le sue parole pronunciate addirittura già il 2 febbraio 1908: «Quando lodano, sono sciocchezze…Fondatore, fondatore…alla Consolata tanti favori…O Signore, siete voi che avete fatto tutto!».9 E in altra occasione: «Quando sento che mi dicono fondatore… e tutte queste cose, mi fa l’effetto contrario».10

 

3. Nessuno si fa santo se non è devoto della Madonna. Per l’Allamano, dopo Gesù, la Madonna è il modello per eccellenza di vita, soprattutto per il “bene fatto bene nelle cose ordinarie, senza rumore”. Inoltre, la Madonna è la “Mediatrice” di tutte le grazie, per cui il cammino verso la santità è strettamente legato alla pietà mariana. La dottrina dell’Allamano è lineare, come emerge dalle conferenza del 2 maggio 1915: «E abbiamo bisogno di crescere sempre più nella devozione alla Madonna. Nessuno si fa santo se non è devoto della Madonna. Tutti i cristiani per vivere da buoni cristiani devono essere devoti della Madonna e tutti i santi lo furono fino dai primi secoli. E tanto più i religiosi. Questo è il carattere distintivo di tutti i santi. Leggete pure le loro vite. E questa devozione serve non solo per vivere da buoni cristiani, ma anche per salire a perfezione è necessario essere devoti della Madonna. La Madonna, dice S. Bernardo, è un acquedotto e una fontana. Una fontana perché tutte le grazie ci vengono di lì. Omnia nos habere voluisti per Mariam. Così abbiamo nell’oremus della Consolata. […] Tutto da questa fontana. De plenitudine eius accepimus omnes. E poi un acquedotto perché tutto deve passare di lì. […] Dunque la Madonna è insieme fontana e canale. Da essa dobbiamo ricevere tutte le grazie; persuadiamoci che senza una vera devozione alla Madonna non possiamo farci veramente santi».11

Sulla necessità della devozione alla Madonna per tendere alla perfezione l’Allamano è tornato più volte, durante tutto l’arco della sua attività educatrice: «È la devozione a Maria SS.? Oh, (con vivo accento di devozione, d’affetto, di convinzione). […] Se questa devozione è moralmente necessaria per salvarsi, a tutti i cristiani, che diremo d’un religioso il quale deve inoltre sempre tendere alla perfezione?».12 «La vera e solida devozione a Maria SS. è segno di salvarci e di santificarci. Questa è la volontà di Dio. Se siamo sempre gli stessi, se siamo incostanti nel bene, è perché non ricorriamo con confidenza a Maria SS. Se volete salvarvi, santificarvi, e salvare tante anime, uno dei mezzi principali è la devozione a Maria SS.».13 Ecco la conclusione: «Tutti i Santi sono devotissimi della Madonna. […] È necessaria questa devozione per farci più santi […], per giungere alla perfezione più alta».14

 

II. LE SUE CONFIDENZE

1. Il suo cuore. on dimentichiamo che il Fondatore aveva una devozione tenera verso la Consolata. Certamente, sia per carattere che per formazione, egli non tendeva al sentimento, ma all’impegno coerente della vita.15 Tuttavia, conosciamo molte sue espressioni che indicano l’intensità del suo amore verso Maria, fino alla tenerezza più profonda. Eccone alcune.

«Mancherei al mio dovere ed al bisogno del mio cuore se lasciassi passare il mese di Maria senza dirvi qualche parola, per eccitarvi a sempre più stimare ed amare sì buona madre». «Questo amore (alla Madonna) è di essenza tenero, bisogna ricorrere lungo la giornata a lei, proprio come ad una madre»;16 «Se la Madonna mi dicesse: Vuoi sentirla la mia voce? – No, no, direi, la sentirò poi in Paradiso: Se vuol venire ad assistermi in punto di morte, bene; questo lo desidero, ma per sentire la sua voce, no, no, la sentirò poi in Paradiso»;17«Io dico sempre la Messa della Consolata, quando non è proibita. Quando io dico che voglio bene alla Consolata, cosa devo dire…dirò sempre quello».18

 

2. La “cara” Consolata

La tenerezza del Fondatore verso la Consolata si manifesta, in modo spontaneo, quando, quasi senza accorgersene, si riferisce a lei con il delicato e affettuoso aggettivo di “cara”. Per lui la Consolata è “cara”. Lo notiamo particolarmente quando conclude le sue lettere a noi. A P. U. Costa prefetto della casa madre, il 20 agosto 1914: «Il Signore vi benedica, come io prego per tutti ai piedi della cara Consolata».19 A Sr. Maria degli Angeli, superiora delle suore, mentre era in convalescenza a Zoverallo, il 14 febbraio 1917: «Prego la cara Consolata di compiere presto la tua guarigione».20 A Sr, Giuseppina Battaglia, in famiglia per ragioni di salute, il 22 novembre 1918: «Ti benedico ai piedi della cara Consolata».21

L’aggettivo “cara”, riferito alla Consolata, gli usciva dalle labbra anche quando parlava. Per esempio, così inizia la conferenza del 30 aprile 1916, in preparazione al mese di maggio: «Mancherei al mio dovere se non prendessi tutte le occasioni propizie per parlarvi della cara Madonna».22 Esprime ancora meglio i suoi sentimenti, nella conferenza del 1 giugno 1919, a conclusione del mese di maggio: «Crederei di mancare al mio dovere, ed al mio speciale affetto alla SS. Vergine se finisse questo mese senza parlarvi di proposito della nostra cara Madre».23

Il nostro Padre, vivo in cielo e spiritualmente vicino, dice certamente anche a noi, come ha scritto alle suore missionarie della prefettura apostolica di Iringa, il 10 novembre 1924: «Non vi dimentico mai presso la cara Consolata, e La prego che vi assista, consoli e renda fruttuose le vostra fatiche».24

 

3. Se fate bella figura, siete Voi

Il rapporto, per così dire operativo e di collaborazione, tra l’Allamano e la Consolata non si è mai alterato, neppure nei momenti difficili. Appare evidente che l’intesa era profonda e l’Allamano non dubitava mai della Madonna. Si fidava più di lei che di quando lui stesso riusciva a comprendere ed a fare. Illustro questo aspetto con alcuni esempi.

Il primo risale all’inizio dell’Istituto, quando, partito il primo gruppo di quattro missionari, i rimasti, chi per un motivo e chi per un altro, se ne sono andati, lasciando la casa vuota. Le testimonianze dei suoi collaboratori sono unanimi nell’attestare la sua fortezza d’animo e lo spirito di fede dimostrato in quella occasione. Sentiamo quella del Can. Cappella: «Ricordo al riguardo, che dopo la prima spedizione Missionaria, avvenuta nel giorno dell’Ascensione del 1902, l’Istituto ebbe a perdere tutti i suoi soggetti che ancora si trovavano nella Casa Madre, i quali tutti se ne andarono. La prova era certamente grave, ma il Servo di Dio seppe superarla da forte. […] Fatto sta ed è che il Servo di Dio fu costretto a chiudere la Casa, si pose la chiave in tasca, e ritornato al Santuario della Consolata, e prostrandosi ai suoi piedi, le confidò il suo dolore e le sue pene, terminando: “SS. Vergine della Consolata l’Istituto delle Missioni è opera vostra: pensateci Voi!”. E dopo qualche tempo venne a tavola con noi, senza dimostrare neppure l’ombra di accasciamento».25

Sentiamo anche il suo commento, che suona come una cordiale confidenza ai suoi figli. Incoraggiando gli allievi ad impegnarsi con serietà, il 17 gennaio 1917, così concludeva: «Il numero non mi ha mai dato pensiero. Vedete, quando sono partiti per l’Africa i primi Missionari, dopo la casa è stata vuota. Mi sono spaventato? Niente affatto; ha pregato la Madonna: “questa è tutta opera vostra, pensateci voi” – ed ecco che otto nuovi sacerdoti sono entrati in questo Istituto, incominciando dal Signor Prefetto».26 È molto bella pure la testimonianza di P. C. Saroglia rilasciata il 12 giugno 1948, che riporta queste parole del Fondatore: «Partiti i primi Missionari per l’Africa, partirono anche subito per le loro case i pochi rimasti…così la piccola Casa-Madre rimase vuota; dopo alcuni giorni io ho chiuso la porta, mi sono messo le chiavi in tasca, le presentai alla Madonna alla Consolata, e pregando ogni giorno ai suoi piedi, Le dissi che l’Opera era sua, le chiavi erano sue, le Missioni era state da Lei volute, che pensasse Lei ad ispirare vocazioni missionarie, a riaprire la Casa. Così nella preghiera io passavo tranquillamente i miei giorni aspettando di vedere ciò che la SS. Consolata avrebbe fatto per le sue Missioni…Però avendo anche un po’ di trepidazione per i cari Missionari partiti, e temevo di non potere poi presto aiutarli con altro personale […]. Per più di un mese la Consolatina rimase chiusa e vuota».27

Un secondo esempio lo troviamo in occasione della requisizione della casa madre durante la prima guerra mondiale. Sappiamo quanto il Fondatore ha fatto per impedire la requisizione di un edificio costato tante preoccupazioni e denaro, terminato da poco. Ha fatto i passi dovuti, ma soprattutto ha affidato la questione alla Consolata. Ecco il suo commento, quando ormai non c’era più nulla da fare e parte della casa era stata destinata ad ospedale militare: «Siamo stati costretti a cedere una parte della casa ai soldati; con ciò non è detto che siamo contenti: non volevo che fosse contaminata! […] Io il miracolo non l’ho chiesto alla Madonna, ma ho lasciato tutto nelle sue mani e la Madre sa quello che fa…Se ha permesso così, il suo giudizio è retto».28

Il terzo esempio lo desumo dalla sua confidenza nella protezione della Consolata per tutte le necessità, comprese quelle di carattere economico. Risentiamo il testo più famoso, desunto dalla conferenza del 10 giugno 1915: «La Consolata ha fatto per questo Istituto dei miracoli quotidiani; ha fatto parlare le pietre, non avete visto ha fatto nevicare denari, non avete visto, voi dormivate. Nei momenti dolorosi la Madonna interveniva in modo straordinario, ho visto molto molto […]. Il non aver mai lasciato accadere nessuna disgrazia, il pane quotidiano…e…anche per questo vedete, lascio l’incarico alla Madonna, per le spese ingenti per la Casa, e per le Missioni, vedete, non ho mica mai perduto il sonno o l’appetito, glielo dico, pensateci voi, se fate bella figura siete voi, io me ne vado».29

 

4. Il segreto di una visione

C’è un momento particolare nella vita dell’Allamano, che rimane come avvolto da un velo di mistero. Si tratta della prodigiosa guarigione dalla grave malattia che lo ha colpito nel 1900. Anche lui fu vittima dell’epidemia influenzale, che ben presto si cambiò in polmonite doppia. Giunse in punto di morte, causando in tutta Torino una grande apprensione, come appare anche dai giornali dell’epoca e da varie testimonianze.30

Ho detto che attorno alla guarigione da questa grave malattia c’è un velo di mistero, che tocca proprio il rapporto personale tra il Fondatore e la Consolata. Per l’Allamano sembra di no. Secondo lui, la sua guarigione era semplicemente collegata al progetto della fondazione dell’Istituto, che Dio gli aveva affidato e che toccava proprio a lui realizzare.31 Ma per coloro che gli erano vicini il mistero rimaneva. Si pensava che l’Allamano fosse guarito dopo aver avuto una visione della Madonna Consolata. Tra le suore questo discorso circolava, probabilmente incoraggiato dal Camisassa stesso. Ci sono varie testimonianze al riguardo.3

C’è un’interessante testimonianza di Sr. Teresa Grosso, resa l’11 febbraio 1944: «Verso la fine del 1910 il Can. Camisassa avrebbe detto: “La Madonna il P. Fondatore l’ha vista e l’ha guarito, d’altro non interrogatemi più perché non posso parlare di più, perché non posso rompere il segreto”, e ciò diceva con un senso di mestizia, perché non poteva accontentarci; “Provate voi a domandare a lui (all’Allamano), voi che siete le beniamine e chissà che ve lo dica; tutto è scritto e in ordine; un giorno si saprà tutto, tutto”. Io penso che il Vice Rettore, avesse scritto ciò che riguardava questa visione […] e che poi l’avrebbe potuto dire dopo la morte del Fondatore, ma essendo morto prima il Vice Rettore questi scritti sono capitati in mano del Padre e lui per la sua umiltà li abbia distrutti»33:

Sono particolarmente toccanti le parole del Can. Cappella dette in un memorabile indirizzo rivolto al Fondatore nel 10° anniversario della guarigione: «Sì la Consolata aveva operato il miracolo […].Viene il momento della S. Comunione ed egli riprende nuova vita, i suoi occhi si illuminano, il volto quasi si accende, il cuore si agita e ricevuto il suo Dio si ricompone dolcemente in calma, lo si crede assopito…Che cosa sia successo durante quell’abbastanza prolungato assopimento o sonno che lo si voglia chiamare, egli solo forse potrebbe dircelo…fin ora appena solo qualche sprazzo di luce ha rotto quelle sacre tenebre; e nessuno forse saprà mai nettamente che cosa sia in quel momento prezioso passato tra lui, il suo Dio e la Vergine Consolata. Quello fu un sonno operativo di grandi cose».34

 

III. PARLANO LE OPERE

L’intensità della comunione del Fondatore con le Consolata la valutiamo concretamente nelle sue attività apostoliche. Possiamo dire che la Consolata, da quando è stato nominato Rettore del Santuario, è diventata la sua principale fonte di ispirazione. Praticamente tutte le sue principali attività apostoliche hanno assunto una colorazione mariana, proprio a partire dal Santuario della Consolata. In sintesi, possiamo dire che tutte le opere dell’Allamano parlano del suo amore per la Madonna. Vediamo come.

 

1. Come Rettore del Santuario della Consolata

La spinta mariana, in questo servizio al celebre Santuario, la scorgiamo fin dall’inizio, a partire da quando ha dovuto scegliere il principale collaboratore. Ecco con quali ragioni cerca di convincere il Camisassa ad accettare la nomina ad economo del Santuario, nella famosa lettera, scritta dall’Eremo Torinese nel settembre del 1880: «Veda, mio caro, faremo d’accordo un po’ di bene […] e procureremo d’onorare col S. Culto la cara nostra madre Maria Consolatrice».35

Sappiamo come l’Allamano abbia accettato l’incarico di Rettore solo per obbedienza al suo Arcivescovo36. Ma, una volta entrato in carica, si è assunto tutte le sue responsabilità. Secondo la deposizione del Baravalle, l’Allamano «appena nominato Rettore, rilevò subito lo stato deplorevole in cui si trovava il Santuario della Consolata, tanto dal lato materiale, quanto dal lato spirituale».37 Sulla base di questa constatazione, si mise al lavoro, prima per il rinnovamento pastorale e poi per il decoro dell’edificio. Sono “prima” e “poi” logici, perché l’Allamano intraprese subito e contemporaneamente entrambi gli impegni.

Per quanto riguarda il grande capitolo dei restauri del santuario, che l’Allamano intraprese subito, nonostante le difficoltà finanziarie,38 il risultato è sotto gli occhi di tutti, ancora oggi. Così depone P. Sales: «Nel 1883 il Servo di Dio iniziava i restauri esterni del Santuario, ultimati nel 1885. Si spesero 125.000 lire allora. Senza riposare sugli allori, alla distanza di pochi anni intraprendeva l’opera ben più grandiosa e dispendiosa dell’ampliamento del Santuario. All’architetto conte Ceppi che gli faceva presente che non sarebbe bastato un milione, il Servo di Dio rispondeva: “Ne metteremo due, tre, purché Torino abbia un Santuario degno della sua Patrona”. I lavori, iniziati nel 1899 furono ultimati nel 1904. La spesa, come attestava lo stesso Servo di Dio, superò il milione».39

Per il rinnovamento pastorale del Santuario, quanti gli sono stati vicini sono concordi nel testimoniare, con abbondanza di particolari, l’impulso al culto della Madonna impresso dall’Allamano con generosità, spinto dal suo amore per la Consolata.40 Appare evidente che l’Allamano cercava di trasfondere nei fedeli l’intensità della sua devozione mariana. E vi riuscì, impegnandosi personalmente e valorizzando i collaboratori, soprattutto i giovani sacerdoti.

Il Can. Baravalle, nella sua deposizione al processo canonico, afferma: «Le sacre funzioni, anche minime, dovevano essere compiute in modo inappuntabile. “Tutto, diceva il Servo di Dio, in chiesa deve essere perfetto”».41 E ancora: «Il Servo di Dio si prendeva personalmente cura di tutto quello che riguardava il Santuario, specialmente quanto concerne il culto del Signore e della Madonna».42

Il Can. Cappella, così riassume la sua lunga deposizione sull’attività dell’Allamano al Santuario: «Se così evidente era lo zelo del Servo di Dio per l’abbellimento del Santuario, anche maggiore era quello per lo sviluppo del culto e della devozione alla Vergine SS. Consolatrice».43

Molti dei Testimoni al processo canonico depongono in favore della sua pietà mariana adducendo come prova anche i lavori di restauro al Santuario e l’impulso dato al culto della Vergine, come risulterà nella parte IV di questo studio.

L’Allamano era convinto di “fare la Volontà di Dio” come Rettore del Santuario. Diceva: «Se non avessi accettato (la nomina) […] non avrei presa la strada sulla quale mi voleva il Signore».44 Ed era riconoscente per questo suo servizio: «Certo ho potuto fare del bene […] alla Consolata, e sono già trentotto anni che ci sono alla Consolata, dal 1880. […] Da parte mia riconoscenza al Signore per i benefizi che mi ha fatto».45

 

2. Come Rettore del Convitto Ecclesiastico

Le vicende che hanno riportato i convittori al Santuario della Consolata, nel 1882, dopo quattro anni dal loro trasferimento nel seminario, sono note. In esse l’Allamano ha avuto una parte determinante. P. Bona scrive: «La realizzazione di questo progetto, appena due anni dopo la nomina a rettore, costituisce forse il capolavoro della sua vita».46

Certamente la ragione principale che ha spinto il Fondatore a compiere un passo, che gli avrebbe arrecato un ulteriore grosso impegno, era di carattere educativo in favore del giovane clero, come emerge bene dalla lettera che il Fondatore ha scritto all’Arcivescovo Mons. Lorenzo Gastaldi.47 Tuttavia, non erano assenti ragioni pastorali in favore del Santuario. L’ingresso di un gruppo di forze giovanili ed entusiaste avrebbe sicuramente dato impulso al buon funzionamento del Santuario e al culto della Vergine. Lo ha detto espressamente l’Allamano al suo Arcivescovo: «Nel Santuario incominciano a mancare le Messe; non mi rimangono attorno ormai a condividere il grave peso che pochi giovani i quali mentre godo vedermi affezionatissimi ed animati meco da un solo spirito, m’accorgo pure che si vanno di giorno in giorno scoraggiando per non scorgere un indirizzo certo di questa casa».48

Le testimonianze sono concordi nel lodare questa iniziativa dell’Allamano, anche in funzione del culto mariano. Per esempio, il Can. Cappella depone: «Così pure per merito del Servo di Dio, il Convitto venne riaperto presso il Santuario ed i giovani Sacerdoti convittori vennero destinati al suo funzionamento. Con questa schiera di giovani Sacerdoti che preparava per il sacro ministero, il Servo di Dio portò il Santuario ad uno sviluppo veramente eccezionale».49

Anche il Convitto, con la sua comunità sacerdotale animata dall’Allamano, è stato una testimonianza dell’amore del nostro Padre per la Consolata.

 

3. Come Fondatore di Istituti Missionari

Quanto è stato detto sulla Consolata come vera Fondatrice fa parte di questo discorso. L’Allamano è stato senza dubbio spinto dalla sua comunione con la Madonna nel coinvolgere i due Istituti Missionari da lui fondati così profondamente nel clima mariano del Santuario.

A quanto già detto sulla Consolata come “vera Fondatrice”, voglio aggiungere un’altra riflessione, che credo interessante. L’Allamano, dopo la fondazione degli Istituti Missionari, spontaneamente sentiva che i suoi figli e figlie appartenevano alla Consolata e che la Consolata apparteneva a loro in modo speciale. In pratica, penso che il Fondatore ci ha come integrati nel clima mariano che era suo proprio e che lui viveva così profondamente. Il suo intenso rapporto con la Consolata “doveva” necessariamente essere anche nostro, perché eravamo suoi figli e figlie. Mi pare che questa era la sua logica.

Altrimenti come potremmo comprendere tante sue espressioni, che altri forse ritengono esagerate se non addirittura errate? Cerchiamo di capire che cosa immaginava l’Allamano quando diceva frasi come queste: «Noi, figli prediletti della Consolata, e non solo a parole, ma in realtà»;50 «Sotto questo titolo è particolarmente nostra Madre particolare. […] Sotto questi titolo è nostra festa, è tutta particolare nostra»;51 «Ieri è stata la festa nostra…Vi piacque? […] Quante buone persone vogliono bene alla nostra Madonna! […] Ma è in modo speciale nostra la Consolata»;52 «Vi farei un torto a parlarvi di fare bene la novena alla Consolata, della vostra cara Mamma, il cuore stesso vi deve insegnare. Noi siamo Consolatini».53 Queste citazioni si potrebbero moltiplicare all’indefinito. Come si vede, per l’Allamano la Consolata è indifferentemente “mia” (cioà “sua”, perché ne era segretario e tesoriere), “nostra”, “vostra”. È un nostro coinvolgimento pieno, ma insieme a lui!

Abbiamo una comprova di ciò da come il Fondatore ha vissuto le feste centenarie del Santuario, che sono state come l’apogeo di un lungo impegno di rinnovamento pastorale e di abbellimento del Santuario. Scrivendo ai missionari del Kenya, il 27 gennaio 1905, ebbe a dire: «Se i chierici vostri confratelli furono giustamente orgogliosi di assumersi in quei giorni la rappresentanza di voi ai piedi della Consolata, io me ne feci un dovere specialissimo. Lasciai in certo modo da parte le altre mie attribuzioni per non ricordare che la mia qualità di padre di questa nuova famiglia, e come tale vi presentai tutti insieme, e ciascuno di voi in particolare, a questa buona Madre chiedendole instantantemente non tanto l’incremento materiale dell’Istituto, quanto la grazia che continuasse anzi crescesse in voi la volontà e l’impegno di santificare voi stessi, mentre zelate la conversione dei poveri infedeli»54. Accanto alla Consolata solennemente incoronata, durante quelle grandiose feste, delle quali era l’artefice principale, l’Allamano ha preferito pensare di essere non tanto il “Rettore”, quanto il “Padre” di una famiglia missionaria appena nata, ma già tanto importante per il suo cuore!

C’è ancora un elemento da aggiungere a queste riflessioni, ed è il motto che il Fondatore ci ha dato come indirizzo della nostra missione: “Et ennuntiabunt gloriam meam gentibus”. Per capire questo motto, bisogna tenere conto che, per l’Allamano, l’identità del Missionario della Consolata è la sua integrale consacrazione «alla maggior gloria di Dio e per la salute delle anime»55. Lo scopo preciso della sua azione è «zelare la gloria di Dio colla salute delle anime»56. Nella salvezza realizzata attraverso la missione, oltre alla centralità di Cristo, l’Allamano coglie bene il ruolo subordinato di Maria.

Il motto di Isaia, senza alcun dubbio, è parte della nostra tradizione originaria. Figura all’inizio del Regolamento del 1891, del Regolamento del 1901 e delle Costituzioni del 1909. Fu scelto, molto probabilmente, per il riferimento esplicito all’Africa, che, nell’idea del Fondatore, doveva essere il campo di apostolato dei Missionari della Consolata: “Dicit Dominus:…Mittam ex eis, qui salvati fuerint, ad gentes in mare, in Africam,…ad insulas longe, ad eos, qui non audierint de me, et non videbunt gloriam meam. Et annuntiabunt gloriam meam gentibus”. Dopo il 1909, l’Allamano ha dovuto togliere questa citazione perché non era più consentito per disposizione della Santa Sede, ma esso restò nel ricordo e nella sensibilità dell’Istituto57.

Nella mente del Fondatore, questo motto ha appunto una valenza “soteriologia” di carattere universale e un riferimento mariano, sia pure in senso devozionale: i Missionari della Consolata, nella sua convinzione, avrebbero dovuto impegnarsi per la gloria di Dio, congiuntamente e subordinatamente per la gloria di Maria, attraverso la salvezza delle anime.

La riflessione più recente dell’Istituto ha approfondito teologicamente il rapporto “Consolata-Missione” ed ha sviluppato un dato molto interessante, che io esprimo con le stesse parole del Papa nel Messaggio per il centenario: «Con l’aiuto della Consolata, carissimi Fratelli, diffondete la vera “consolazione”, la salvezza cioè che è Cristo Gesù, Salvatore dell’uomo»58.

Chi più di lui ha annunciato le glorie della Consolata? Lo ha fatto personalmente e attraverso i suoi figlie e figlie. Oggi, se la Consolata è conosciuta e pregata in tante parti del mondo, bisogna dire grazie soprattutto a lui, perché la spinta alla missione, in tonalità mariana, è partita dal suo cuore.

 

IV. LE TRESTIMONIANZE

Quanti hanno conosciuto l’Allamano fino a che punto sono stati in grado di penetrare in profondità nella sua personale comunione con la Consolata? Sentiamo alcune testimonianze al processo canonico. Scegliamo, tra tutte, quelle rilasciate dalle donne inserite nell’elenco dei testimoni, in quanto hanno il vantaggio di esprimere i concetti con la particolare sensibilità femminile59.

 

1. Sr. Francesca Giuseppina Tempo (1893 - 1966) professa Missionaria della Consolata, fino al mese di marzo 1926, poi passata all’Ordine della Visitazione nel monastero di Torino. Assistette l’Allamano durante l’ultima malattia. Rimase figlia affezionata all’Allamano per tutta la vita: «Il Servo di Dio, si può dire che non viveva che per la Madonna e della Madonna. I suoi pensieri, i suoi desideri, le sue attività, tutto dirigeva alla maggior glorificazione della Vergine SS.ma alla quale, si può dire, aveva consacrato tutta la sua vita, e della quale si considerava figlio devoto ed amatissimo.

[…] Quando poi parlava della Madonna, si entusiasmava tanto, da quasi trasfigurarsi. Ce ne parlava sovente, con grande calore; non lasciava mai di tenerci dei fervorini in suo onore in ogni ricorrenza di sue novene e delle sue festività […]. È ancora a lui che si deve ascrivere d’aver iniziato la processione annuale del 20 Giugno, che riesce sempre uno dei più importanti avvenimenti religiosi per la città di Torino. Godeva poi immensamente perché la processione della Consolata riusciva veramente un trionfo […] e diceva “sono cose queste che veramente consolano”.

Negli ultimi anni della sua vita, aveva fatto dono all’Istituto di una statua grande della Consolata […], onde fosse collocata nella parte superiore centrale della facciata della Casa Madre. Sul piedestallo, era stata posta la seguente iscrizione: “Et annuntiabunt gloriam meam gentibus” [“E annunzieranno la mia gloria alle genti”]. Ed egli […] con accenti che denotavano tutta la sua intima convinzione, ci ricordava che era preciso dovere di ogni membro dell’Istituto delle Missioni della Consolata, di annunziare, promuovere, e magnificare le glorie di Lei in mezzo ai popoli infedeli, per farla conoscere a farla amare […].

Ricordo che mi furono particolarmente impressi nel mio ricordo i commenti che egli ci fece un giorno sul Magnificat, che chiamava l’inno più bello e più sublime che abbiamo. Facendoci notare l’Onnipotenza di Dio e la nullità della creatura, e che questo nulla tutto può in Dio».60

 

2. Sr. Emerenziana Tealdi (1901 - 1985), entrata nell’Istituto nel 1920, missionaria in Etiopia per 16 anni , tornata in Italia a causa della guerra, svolse il servizio di superiora in diverse comunità: «Il servo di Dio nutriva tenerissima devozione alla Madonna. La dimostrava con le preghiere ardentissime che innalzava continuamente, colla recita del Santo Rosario di cui aveva sempre in mano la corona. […] Non amava che si introducessero altre devozioni; preferiva che si recitasse abitualmente il Santo Rosario; e nella comunità introdusse la pratica della recita quotidiana del Rosario intero.

Ho già detto come da un’apparizione della Madonna ebbe l’ispirazione di fondare il nostro Istituto. E in quella visione avrebbe avuto come indicazione il Kaffa che sarebbe il campo di missione dei suoi figli; ed anche l’abito da assegnare alle religiose. Il Vice Rettore Can. Camisassa diceva a me di stimare molto il santo abito appunto perché gli era stato indicato dalla Madonna.

Soleva il Servo di Dio ricordare che il Beato Cafasso era solito recitare un’Ave Maria per ottenere la grazia di vedere la Madonna in punto di morte; ci suggeriva di fare altrettanto per avere anche noi quella grazia segnalatissima».61

 

3. Sr. Chiara Strapazzon (1890 - 1955) assistente delle postulanti, maestra delle novizie e poi Superiora dell’Istituto a Torino al tempo del Fondatore. Missionaria in Tanzania e, in seguito, Consigliera Generale: «È impossibile esprimere l’amor filiale ed ardente che il Servo di Dio nutriva verso la Madonna. Ce ne parlava in quasi tutte le conferenze e soleva dirci: “Non avere mai paura di amare troppo la Madonna, e di onorarla troppo. Se non siamo divoti della Madonna, non faremo mai niente…Come non poter sentire il gusto della Madonna? Lo si sente della mamma terrena, e per la Celeste?…Fra tutti quelli che onorano la Madonna, dovete essere le prime […].Il suo amore alla Madonna lo indusse a comporre col Sig. vice Rettore [il Can. G. Camisassa] l’Ufficio della Consolata […]. Ci esortava continuamente a dire bene il Santo Rosario ed a meditare i misteri, ed esclamava: “Passibile che uno si stanchi a dire l’Ave Maria…Si starebbe in estasi un giorno, due, tre, solo a dire l’Ave Maria.

[…] Al Sabato della Passione, prima che si coprisse il quadro della Madonna cercava di essere presente per dare l’ultimo saputo alla Vergine. Così al Sabato Santo voleva essere il primo a rivederla; dal suo atteggiamento si comprendeva l’incontenibile desiderio di contemplare l’amabile volto della Madre Celeste […]. Sarebbe impossibile esprimere l’amore che portava alla Consolata: voleva che noi pure l’amassimo di amore singolare, invocandola sotto questo titolo. “L’Istituto prende il nome di Maria Consolata – diceva – c’è da gloriarsi di questo titolo: è la vostra Fondatrice!” […]. Voleva che ci prendessimo la Madonna come modello. “vedendo voi – diceva – si dovrebbe poter dire: Ecco la Madonna”. Quanto fosse grande l’amore che egli nutri per la Vergine, lo dimostrano soprattutto i due Istituti a Lei intitolati».62

 

4. Sr. Maria degli Angeli Vassallo (1884 - 1974), per 6 anni superiora di Casa Madre, al tempo del Fondatore, missionaria in Kenya, Superiora Generale per 13 anni e, infine, Vicaria Generale: «Il Servo di Dio era figlialmente devoto della SS.ma Vergine. Basta pensare quello che fece per l’abbellimento del Santuario, sia per la diffusione della sua devozione nella città di Torino, nel Piemonte, e nel mondo. Si compiaceva assai del titolo che qualcuno gli aveva dato di “Segretario e Tesoriere della Consolata”. Ce ne parlava con una tenerezza indicibile, tutta figliale. La sentiva Madre in tutta l’estensione della parola […]. Teneva in massima venerazione il quadro che il Servo di Dio avrebbe visto la Madonna quando guarì miracolosamente dalla gravissima malattia in cui era caduto, e al momento della guarigione si sarebbe animato […]. Quando Mons. Nipote ne fece richiesta al Servo di Dio [per il noviziato], questi si intenerì, lo baciò con molta effusione, dimostrando di distaccarsene con molto rammarico.

Mi pare cosa soverchia ricordare qui come la sua intensissima devozione alla Vergine SS.ma lo portasse alla recita quotidiana del santo Rosario, e alle frequenti visite al suo Santuario. Ricorderò invece, come egli ci dicesse di meravigliarsi assai che ci si potesse stancarsi nel recitare l’Ave Maria, pensando che si saluta la Madonna. […] Celebrava poi con grande devozione, e con fervore particolare tutte le feste della Madonna. Quella dell’Assunzione poi, era per lui una delle più care […]. Onorava poi la SS.ma Vergine sotto il titolo di Addolorata, poiché diceva che la Madonna, prima di essere Consolata era stata Addolorata. Anche la festa dell’Immacolata era celebrata da lui con un fervore tutto particolare.

[…] Nelle sue conferenze e nei suoi discorsi, ci parlava sovente della Madonna, e noi osservavamo e notavamo che egli parlando della Madonna si commoveva grandemente, tanto era l’entusiasmo di affetto che il suo cuore nutriva per la Santa Madonna».63

 

5. Sr. Margherita Demaria (1887 - 1964) la prima responsabile dell’Istituto, assieme all’Allamano, a Torino, dal 1913 in Kenya e, dal 1947 al 1958, Superiora Generale: «La devozione del Servo di Dio alla Madonna era commovente; una devozione tenera, figliale, un bisogno del cuore. Parlare della Madonna, era un trasformarsi. Si vedeva che era impregnato di amore per la Madonna, che chiamava coi titoli più dolci, più belli. Voleva che amassimo tanto la Madonna. Diceva: “La Madonna non si ama mai abbastanza”. Amava chiamare se stesso il guardiano, il tesoriere della Madonna, e voleva anche essere il beniamino. Quanto non fece per ravvivare nei Torinesi l’amore e il culto per la Madonna. Per l’abbellimento del suo Santuario non badò a spese ingenti, sicuro di ottenere, anche con un miracolo, se fosse stato necessario, il modo di pagarle. Ripeteva: “Faremo mai troppo per la Madonna”.

Non vi era festa della Madonna, anche la più semplice, durante tutto l’anno, che non fosse da lui ricordata, e sempre ne approfittava per parlarci di qualche prerogativa della Madonna, per farcela amare sempre più. In modo particolare amava la Madonna sotto il titolo di Immacolata, Addolorata, e della Consolata […].

Godeva molto sentire come i neri amassero la Madonna, e che questa devozione penetrasse bene nel cuore dei catecumeni e dei neofiti. Ci faceva apprezzare il privilegio di annunziare le glorie di Maria SS.ma alle genti. Ci portava gli esempi dei Santi più devoti della Madonna, quali S. Filippo Neri, S. Francesco di Sales, S. Alfonso, S. Bernardo e persino S. Girolamo. “Avrei mai pensato – diceva – che quel santone fosse così tenero della Madonna, come lo dimostra in una delle sue più belle Omelie».64

 

6. Sr. Eleonora Carpinello (1893 – 1955) professa dell’Istituto delle Suore Vincenzine di Maria Immacolata dell’Istituto Albert, al servizio nel Convitto per 10 anni, fino al 1923: «Il Servo di Dio fu davvero un figlio devotissimo della Madonna. Lo dimostrò anzitutto con la cura che ebbe per il Santuario della Consolata, coi grandiosi restauri che fece, colle funzioni che istituì, e colla vigilanza che impiegava perché ognuno compisse il proprio dovere. […] Diede grande impulso alla celebrazione della solennità annuale della Consolata.

[…] Voleva diffusa e conosciuta la venerata effigie della Madonna della Consolata, e perciò ne diffondeva in gran copia le imagini ed anche i quadri. […] Ricordo che ci donò un bel quadro della Consolata, e venne ad accertarsi che fosse ben collocato […].

Anche ai Missionari che partivano per l’Africa consegnava un quadro della Consolata, onde ne stabilissero e ne diffondessero la devozione nelle singole stazioni di Missione […].

Poneva ogni fiducia nella valida protezione della Consolata, alla quale faceva ricorso coll’ardore della sua preghiera. Mi sovviene che nel 1919 – se non erro – nelle giornate che furono denominate “rosse” il Servo di Dio era molto preoccupato per la sicurezza della Sacra Immagine. Ordinò perciò una cassetta di sicurezza, onde impedire ogni profanazione. Fece portare il quadro nella sala dei Vescovi, e mentre anch’io mi prestavo per allogarlo nel congegno si sicurezza mi disse: “Lavori volentieri per la Consolata. Vedrà che le farà delle grazie speciale”.65

 

7. Pia Clotilde Allamano (1878 – 1966) nipote dell’Allamanpo, figlia del fratello Ottavio. Orfana di padre molto giovane, ebbe lo zio come tutore, con il quale mantenne sempre ottime relazioni. Fu insegnante a Castelnuovo: «Il Servo di Dio professava una devozione figliare alla Vergine SS.ma. Si può affermare che questa devozione fu la vita della sua vita. È a tutti noto come egli l’abbia promossa con ogni mezzo a sua disposizione nel Santuario della Consolata, e come l’abbia divulgata non solo in Torino, ma in tutto il Piemonte e nell’Italia e anche oltre i confini di questa nostra patria stessa.

Godeva di immensa gioia che ella fosse conosciuta, amata, venerata, glorificata ed esaltata. Perciò non risparmiò fatiche di sorta per promuoverne ovunque il culto e la venerazione più profonda; non ebbe riguardo a spese anche ingenti per il suo Santuario che desiderò e volle che fosse una reggia meno indegna della sua augustissima Regina […]. E la sua devozione alla Vergine SS.ma non era limitata alla Consolata, ma diretta alla SS.ma Vergine, quale Madre Celeste dei Cristiani. Epperciò egli la venerava sotto qualunque titolo gli fosse presentata. Ricordo perciò come, e con quale profonda devozione egli venerasse la Madonna del Castello in Castelnuovo.

Come testimonianza di questa sua profondissima devozione alla SS.ma Vergine, ricordo le parole rivoltegli dal Card. Gamba poche ore prima della sua morte: “Canonico, la Consolata che ella ha servito per quarantatré anni, è sulla soglia del Paradiso che lo attende”. Ed egli sorrideva guardandone l’effigie».66

 

CONCLUSIONE

Come conclusione, rileggiamo una delicata e curiosa preghiera di ringraziamento del nostro Fondatore, riportata al termine della conferenza alle suore67 del 10 giugno 1915: «(Preghiera del Ven.mo Padre) Vi ringrazio, mio Dio, di avermi creato, fatto nascere da parenti buoni e cristiani, di avermi fatto ricevere il Battesimo, una buona educazione. Vi ringrazio di avermi lasciato passare l’infanzia in questi tempi burrascosi senza vedere tanto male; vi ringrazio dei Sacramenti, delle tante grazie ricevute, dell’Ordinazione sacerdotale. Ringrazio più voi, o Maria, che il Signore di essere già da 35 anni vostro custode. Che cosa ho fatto in questi 35 anni? Se fosse stato un altro al mio posto, che cosa avrebbe fatto? Ma non voglio investigare; se fossi tanto cattivo, non mi avreste tenuto per tanti anni: è questo certamente un segno di predilezione. Se ho fatto male, pensateci, aggiustate voi, e che sia finita; accettate tutto come se l’avessi fatto perfettamente. Non voglio sofisticare, prendete le cose come sono; mi avete tenuto, dunque dovete essere contenta. – E mi pare che la Madonna abbia sorriso».68

INDICE

INTRODUZIONE 1

I. LE SUE CONVINZIONI 1

1. Segretario e Tesoriere della Consolata 1

2. È Lei la vera Fondatrice dell’Istituto 3

3. Nessuno si fa santo se non è devoto della Madonna 3

II. LE SUE CONFIDENZE 4

1. Il suo cuore 4

2. La “cara” Consolata 5

3. Se fate bella figura siete Voi 6

4. Il segreto di una visione 7

III. PARLANO LE OPERE 8

1. Come Rettore del Santuario della Consolata 8

2. Come Rettore del Convitto Ecclesiastico 10

3. Come Fondatore di due Istituti Missionari 11

IV. LE TESTIMONIANZE 12

1. Sr. Giuseppina Tempo 12

2. Sr. Emerenziana Tealdi 13

3. Sr. Chiara Strapazzon 13

4. Sr. Maria degli Angeli Vassallo 14

5. Sr. Margherita Demaria 14

6. Sr. Eleonora Carpinello 15

7. Pia Clotilde Allamano 15

CONCLUSIONE 16

SCHEDA PER RIFLESSIONE 16

1 SALES L., Il Servo di Dio Can. Giuseppe Allamano, Torino 1944, 457.

2P. L. Sales afferma: «Questo titolo d’onore conferitogli dal popolo, a significare la missione che egli compì quaggiù e che ora continua dal cielo: o.c., 516. L’idea è condivisa da TUBALDO I., Giuseppe Allamano..., I, 541, n.161.

3 Cf. Conf. IMC, I, 289; 396; II, 271; 438; III, 197.

4 Conf. IMC, I, 396.

5 Conf. MC, II, 594 – 595.

6 Conf. MC, III, 436.

7 Anche i Sette Fondatori dei Servi di Maria erano su questa linea, come attestano le “Leggenda” sull’Ordine, «il quale risulta così edificato principalmente dalla Madonna».

8 Conf. MC, I, 442.

9 Conf. IMC, I, 250.

10 Conf. IMC, III, 128. P. G. Chiomio depone che il 19 marzo 1912, rispondendo agli auguri per S. Giuseppe, l’Allamano ebbe a dire: «Ma non dite più Fondatore, questo è uno sproposito: Fondatrice è la Madonna». E P. D. Ferrero depone che l’Allamano scherzosamente si attribuiva al massimo il titolo di “fonditore” delle offerte dei benefattori.

11 Conf. IMC, II, 272 – 273. Gia nel suo schema per la conferenza del 30 aprile 1911, parlando del mese di maggio, scriveva: «La devozione alla Madonna è moralmente necessaria per salvarci e per perfezionarci. (V. Scar. E S. Alfonso – (Scaram. Vol. I p. 360)»: Conf. IMC, I, 396.

12 Conf. IMC, I, 115; cf. anche 289;

13 Conf. IMC, III, 597.

14 Conf. MC, II, 594 – 595.

15 Ecco una sua nota manoscritta per la conferenza sull’Immacolata, il 30 novembre 1920: «La vera devozione non consiste nel sentimento, ma nella volontà pronta di praticare ciò che appartiene al servizio di Dio, all’onore della SS. Vergine, ecc. La tenerezza è un’aggiunta non necessaria, che neppure ebbero sempre tutti i Santi (V. Schouppe Tratt. De Virt. Relig. P. 444 e Tarozzi: La pace interiore p. 209)»: Conf. IMC, III, 492; cf. anche 574.

16 Conf. IMC, II, 308.

17 Conf. MC, III, 405.

18 Conf. MC, II, 360.

19 Lett.VI, 617.

20 Lett., VII, 511.

21 Lett. VIII, 236.

22 Conf. IMC, II, 553; Conf. MC, I, 344.

23 Conf. IMC, III, 303 ; Conf. MC, II, 592.

24 Lett., X, 156.

25 Processus Informativus, I, 284.

26 Conf. IMC, III, 29-30.

27 Arch. IMC; TUBALDO I., o.c., II, 619.

28 Conf. MC, II, 24-25.

29 Conf. IMC, II, 308.

30 Il Can. N. Baravalle depone: «Dal Seminario di S. Gaetano sentii parlare dell’Allamano, in occasione di una sua malattia che fece trepidare tutta l’Archidiocesi, essendo egli ritenuto una personalità di massima importanza del Clero torinese»: Processus Informativus, IV, 29. Il P. G. Panelatti, nella commemorazione tenuta a Sanfrè il 16 febbraio 1946 dice: «Di Lui avevo già sentito parlare anni addietro. E precisamente ricordo di aver pregato per lui nel 1900, quando mi trovavo studente nell’Istituto Salesiano al Martinetto. Rammento con precisione che una sera il Sacerdote che dava la buona notte, ci disse che il Cardinale di Torino invitava caldamente a pregare per un distinto Sacerdote, nipote di un altro santo Sacerdote, mezzo gobbo, morto a Torino da poco tempo […] tutta la città s’era commossa e aveva pregato per la sua guarigione»: in ‘Tesoriere’, n.1, gennaio-febbraio 1970, 1.

P. Sales, nella biografia, dopo aver detto che alcuni sacerdoti avevano già celebrato la S. Messa in suffragio dell’Allamano, in nota afferma: «Raccontandoci questo particolare, l’Allamano soggiungeva sorridendo di averli già ricompensati quasi tutti celebrando la Messa in suffragio delle loro anime»: o.c., 156, n. 28.

31 Nella conferenza del 24 aprile 1910 ebbe a dire: «Dieci anni fa avevo incorso una gravissima malattia che mi portò fino alle porte del Paradiso, d’onde fui ricacciato qui in terra, poiché non era ancora degno; il nostro Card. Arcivescovo veniva a trovarmi quasi tutte le sere, e siccome avevo già parlato di questa istituzione, gli dissi: “Sicché ormai all’Istituto penserà un altro”, e lo dicevo contento; forse per pigrizia per non sobbarcarmi ad un tal peso. Egli però mi rispose: “No, guarirai e lo farai tu”, - E sono guarito»: Conf. IMC, I, 332 – 333. Rispondendo agli auguri per il suo compleanno, nella conferenza del 19 gennaio 1913, raccontando i principali avvenimenti della sua vita, ad un certo punto commenta: «Voglio che lo sappiate, non c’è niente da gloriarsi! È per colpa vostra ch’io sono qui e sono guarito, dovrei già essere morto, e là in Paradiso! Fu un miracolo perché il sangue era già decomposto»: Conf. IMC, I, 492.

32 Cf. le deposizioni di Sr. Emerenziana Tealdi, di Sr. Chiara Strapazzon e di Sr. Margherita Demaria, rispettivamente in Processus Informativus, II, 581, 804; IV, 362.

33 Arch. IMC; TUBALDO, o.c., 467. Il P. Sales, in una testimonianza del 1944, dice che, dovendo scrivere l’articolo per il 50° di ordinazione del Fondatore, gli chiese esplicitamente se avesse visto la Madonna: «Egli negò»: Arch. IMC; Tubaldo I., o.c., II, 470. Nella biografia, il Sales scrive: «Nel caso nostro, poi, tenuto conto della costituzione fisica della persona colpita, non si può a meno di riconoscere una grazia specialissima della SS. Vergine Consolata. […] In riferimento a questa guarigione diceva: “Non c’è da pensare che vi siano state visioni; né le cerco né le desidero. Quand’ero presso a morire feci promessa, se fossi guarito, di fondare l’Istituto. Guarii e si fece la fondazione. Ecco tutto”»: o.c., 156.

34 Lett., V, 335-336.

35 Lett., I, 124.

36 Sentiamo come lui stesso, più tardi, racconta il fatto ai chierici, il 18 maggio 1913: «Quando sono andato alla Consolata dicevo: “Ma Monsignore, io sono giovane” – “Vedrai che ti vorranno bene lo stesso. È meglio giovane, se fai degli sbagli hai tempo a correggerli”»: Conf. IMC, I, 561. Alle suore si dilunga in una conferenza del 13 maggio 1917: «Dopo quattro anni (da quando era direttore spirituale in seminario) eravamo all’eremo (in vacanza con i seminaristi); un giorno mi preparavo per la scuola di cerimonie: Mons. Gastaldi mi manda a chiamare e mi dice: Ho stabilito di mandarti Rettore della Consolata e dell’Ospizio. Restai lì…Monsignore, ha pregato? Preghi ancora un po’…Ma, hai qualche difficoltà? – Ma Monsignore, come ubbidiranno a me che sono tanto giovane?…Uscito di lì andai a far scuola di cerimonie e nessuno se ne accorse. Quando poi sono andato, avevo la febbre. Dovevo andare il giorno della Madonna del Rosario e la sera prima sono andato a prendere la benedizione da Mons. Gastaldi e mi disse: Perché aspettare domani? Và anche subito…E sono andato e ci sono ancora adesso dopo tanti cambiamenti che ci sono stati»: Conf. MC, II, 79.

37 Processus Informativus, IV, 41.

38 Circa le difficoltà finanziarie, ecco quanto depone al processo P. Sales: «Quando Mons. Gastaldi mandò il Servo di Dio alla Consolata, gli aveva fatto presente che non c’era da andare avanti fino alla fine dell’anno, né per il Santuario, né per l’Ospizio. Il Servo di Dio, com’egli si esprimeva, trovò che non c’era neppure da cominciare»: Processus Informativus, III, 321.

39 Processus Informativus, III, 323.

40 Per la deposizione del Can. Cappella cf. Processus Informativus, I, 168ss.; per la deposizione del Can. Baravalle, cf. Processus Informativus, IV, 38ss.

41 Processus Informativus, IV, 47.

42 Processus Informativus, IV, 50.

43 Processus Informativus, I, 181.

44 Conf. IMC, I, 492.

45 Conf. IMC, III, 233.

46 BONA C., Il teologo Allamano alla Consolata, in ‘Tesoriere’, n. 3, 1980, 23.

47 Cf. Lett., I, 140 – 145. Le parole che rispecchiano il suo stato d’animo sono le seguenti: «Ella può indovinare con quale animo siami indotto ad esporre tali cose: mentre un motivo che mi rese men dolorosa la partenza dal Seminario fu il vedermi in quel punto esonerato dalla grave responsabilità dell’educazione del Clero. Ed ora al pensare di andarle nuovamente incontro avrei ben volentieri continuato a tacere se i motivi addottimi e le istanze fattemi non fossero state tali da udirmi dire e credermi veramente obbligato in coscienza a parlare».

48 Lett., I, 142.

49 Processus Informativus, I, 170.

50 Conf. IMC, II, 308.

51 Conf. IMC, II, 568.

52 Conf. IMC, III, 317.

53 Conf. IMC, II, 602.

54 Lett., IV, 276-277.

55 Conf. IMC, I, 30.

56 Conf. IMC, III, 461.

57 Cf I. TUBALDO, Il Regolamento…, in “Documentazione IMC”, Roma, N.1,1979, p. 9.

58 “Messaggio” per il centenario, n. 5.

59 Riporto le testimonianze pubblicate in “Dalla Consolata al Mondo”, N. 2, maggio-agosto 2004, pp. 8 –11, completandole con due altre.

60 Processus Informativus, I, 439 – 446.

61 Processus Informativus, II, 554 – 555.

62 Processus Informativus, II, 844 – 846.

63 Processus Informativus, IV, 194 – 196.

64 (Processus Informativus, IV, 318 – 320).

65 Processus Informativus, II, 990 – 991.

66 Processus Informativus, II, 941, 929.

67 Nella corrispondente conferenza ai missionari non è riportata: cf. Conf. IMC, II, 310.

68 Conf. MC, I, 136.