Nel restituire i biglietti dei proponimenti (V. altri anni). Abbiamo l'usanza di
aggiungerne uno in comune, osservando che molti di voi proponeste cose attinenti a vincere la
superbia e per acquistare l'umiltà, vi propongo di promettere insieme la guerra contro
quel vizio e la pratica di questa. Esamineremo la natura loro perché ognuno determini bene tale
proponimento secondo il proprio bisogno. Servirà questa mia trattazione per continuare il nostro studio sulla
perfezione, alla quale attendiamo. Dissi altra volta che la perfezione
consiste (V. Quad. 20 Ott. 1912). Tratterò non di tutte le virtù morali, ma delle principali e più
necessarie al vostro stato.
La
superbiasi prende in due sensi, secondo S. Tomm. (2.2. q. 62 art. 2)
generale e speciale. Nel primo senso come vizio capitale può essere cagione di tutti i peccati, in
quantum alia peccata ordinantur ad finem superbiae. Ma in senso particolare e proprio il vizio della superbia si
definisce: amor inordinatus propriae excellentiae. (Ved. Rossi Man. dei Ch.i pag. 148).
Quest'amore può divenire disordinato in quattro
modi, che così costituiscono le quattro specie del vizio della superbia. S. Tommaso (l.c. art. 4) dopo S. Gregorio: 1) aestimare bonum a seipso
habere -; 2) credere desuper sibi datum pro suis suscepisse meritis; 3) gloriari se habere quod non
habet; - 4) Caeteris despectis appetere videri singulariter habere quod habetur.
Vedi quivi le prove nelle note 4 e 5
dell'articolo.
P.P.
Albertone, quad. VI, 4-8
18
Ottobre
E ci siamo un bel numero, ma alla
Consolata siamo pochi pochi. 70 celle, scritti 21, e 17 presenti. In
Seminario hanno tolto un corso e poi l'hanno messo di nuovo, e così ce
ne sono stati pochi. Preti una dozzina, e le messe sono sparse pel Santuario. Tuttavia ho detto loro: «Siete
più che gli Apostoli nel Cenacolo». È mai stato che il Convitto fosse così, ce n'è due
di Susa e uno di Sardegna.
E noi invece il Signore ci benedice, mi pare
che siamo in numero di trenta, questo consola, è segno che il Signore ci vuol bene. C'è bisogno di
moltiplicarci, e Deo gratias.
Bisogna che vi ritorni i proponimenti e
li rileggerete e spero che non li abbiate dimenticati. E li ho letti tutti, e qualche cosa ho notato, e sopratutto li
ho messi ai piedi della Madonna. Voglio restituirveli personalmente perché nessuno li veda. Quantunque sarebbe
un'edificazione sapere che uno dice che ha bisogno di umiltà, e chi
è che non ne ha bisogno? Così facciamo la restituzione. Ho già scritto a quelli d'Africa di metterli
in pratica. Non basta scriverli e ricordarli, bisogna metterli in pratica. Si può aggiungere qualche cosa, ma
non cambiarli, è meglio stare lì. Quando avrete vinto quel difetto continuerete, perché non
ripulluli. E in generale ho veduto che tutti o quasi tutti avete fatto il proponimento sulla superbia e sulla virtù dell'umiltà.
Della superbia ce n'è di due sorta. Superbia, vizio capitale che entra
dappertutto, in tutti i peccati, una rivolta contro il Signore e un darsi alle creature; ogni peccato costituisce una ribellione. Un'altra superbia particolare è definita da S.
Bernardo: Amor inordinatus propriae excellentiae. Questa è la definizione
della superbia come vizio particolare. Dell'umiltà tante volte non si ha
l'idea giusta, e così della superbia come vizio in sé. Così è amore disordinato di tutto
quello che abbiamo in noi. L'essere contento non è male; di pregare bene, e non bisogna confonderlo. Non è
male essere contento che una cosa vada bene. Ma è il disordinato che è male. E quando è che
questo amore è disordinato? Secondo S. Tommaso vi sono quattro modi di peccare di superbia. Dice S. Tommaso
dietro a S. Gregorio:
a) Existimare bonum a se ipso
habere.
b) Desuper sibi datum, pro suis meritis accepisse.
c) Gloriari se habere quod non habet.
d) Appetere videri singulariter.
Le studierete
in De virtutibus. 1° Stimare i beni che abbiamo come roba nostra. Oh, io ho ingegno, roba mia! o se uno anche non lo
dice, ma lo pensa. Quid habes quod non accepisti? et si acceperis cur gloriaris?
Non solo godere del bene, ma goderne come di roba nostra e non come grazia di Dio.
Sine me nihil potestis facere. Ciò che facciamo, ciò che abbiamo è roba sua. Che hai che non abbia
ricevuto? Crediamo che sia roba nostra ciò che non è nostro.
Tutto di Dio, sì, ma me lo sono meritato! E invece dopo tutto dobbiamo sempre dire: Servi inutiles sumus. Non
è che il Signore debba a noi, ma siamo sempre noi che dobbiamo a lui.
Gloriarsi, terzo di ciò che non si ha. Come uno che non ha ingegno e voglia far figura; così noi
vogliamo farci vedere quello che non siamo, vogliamo far vedere che siamo questo o quello.
Poi, disprezzare gli altri e farci vedere singolari. E la parabola del fariseo e del pubblicano:
Io, io, io ... e non come quel là.
Serve molto questo per avere
le idee esatte: tenete a mente queste quattro cose. Amor inordinatus è la superbia, e questo serve molto per far l'esame di coscienza. È così
bello questo studio sulle virtù. E perciò quest'anno oltre a tutti i
propositi mettete anche questo: voglio vincere la superbia. Questa è tutta l'essenza del vizio della superbia
e ciascuno oltre al proponimento particolare aggiunga questo comune dell'umiltà.
Se c'è gente che devono essere umili sono i
missionari: dopo di aver lavorato attorno ad una persona e di aver ottenuto
niente, e si prega si prega e poi tutto ad un tratto si convertono: si vede che è il Signore che fa. Il Signore
è geloso della sua gloria e dà la grazia per noi e per le anime agli umili: e tante persone fanno
tanto chiasso e lavorano, ma purché sia poi tutta roba buona e non sia poi il «recepisti mercedem
tuam». Ah, quell'io, vuol penetrare dappertutto.
La
perfezione nostra è nella carità,
e secondariamente consiste nelle virtù e nei consigli. Lungo l'anno vi
tratterrò sulle virtù morali, per completare il quadro; parleremo di qualcuna. La virtù, p.e.
dell'umiltà appartiene alla temperanza e ne diremo qualche cosa,
perché è utile per voi e per l'avvenire. Farete poi la novena dei santi... Che sia la novena del
Paradiso. Quanti missionari santi!... Il B.
Chanel che era tentato di andare e non andare... e se non andava il Signore gli avrebbe dato ugualmente le grazie ma poi
non sarebbe stato martire. Alcuni dicono: c'è tanto bene da fare qui... Sì, ma c'è tanti che
possono farlo! Questo pensiero del Paradiso ci deve dar forza. Omnes sancti missionari, intercedite pro nobis. I missionari in Paradiso sono tutti come stelle; circondati da tante anime nere.
Cioè, facce nere e anime bianche. Pensate a tanti missionari. Immaginate un po' se S. Francesco darebbe il suo
Paradiso
per un paradiso guadagnato qui.
Come la madre dei Maccabei che diceva al più piccolo: guarda i tuoi fratelli: questo anche a noi da coraggio per
corrispondere.
Un giorno dicevo ai
Convittori: Date uno sguardo al passato e uno all'avvenire. E... pel passato certo non abbiamo fatto tutto quello
che avremmo potuto. Tutti, anch'io. Cominciando da me, non abbiamo fatto tutto quello che dovevamo, dovremmo essere
già santi... e allora come si fa? e... si guarda al futuro: Il Convitto è per compiere
l'educazione chiericale e allevare sacerdoti pii e dotti, i quali possano, mandati
nel ministero, salvare il più gran numero di anime. Sono parole del Venerabile e di D. Guala. Impegno di tutti
adunque di attendere agli studi ecc., perché questo serve per le
anime.
E questo lo dico anche a voi. Uno sguardo al passato e
all'avvenire. Ho io nulla da rimproverarmi pel passato? Non c'è nessuna cosa che poteva andar meglio? Anche un
superbo lo ammette. Dunque questo è un proponimento da farsi tutti i giorni, uno sguardo al passato; e poi per
l'avvenire, maggior preparazione; non solo nelle cose grandi; ma anche nelle piccole: leggete la predica sulla
modestia, del Ven. Cafasso, quante piccolezze. Fare bene alla Messa, bene alla
benedizione, se no la gente dice: guarda quel prete, non crede a quello che dice. Siete qui per avere l'ultima mano
e la più perfetta. Il bello, la perfezione di una statua nasce in quello:
e non direte che i superiori sono piccoli, minuti, e non ditelo mai: quando voglio
che non si zuffoli, che non si gridi forte, che si abbia un contegno da sacerdoti, non gettare carta per terra, ma
raccoglierla quando si vede, questo non lo dico solo a voi, ma anche ai Convittori, ma a voi di più. D.
Cafasso diceva che i preti sotto i portici di piazza Castello non sono merce gradita.
Questo non è più roba nostra, ma è anche nostro, e tante volte dico al
Signore: Ab alienis parce servo tuo! Ah, si, abbiamo già tanto del nostro, che non abbiamo più da
rendere conto per gli altri! Ab alienis parce servo tuo!