SUPERBIA

 18 ottobre 1914
Quad. IX, 32-33
18 Ott. 1914
Della Superbia
Nel restituire i biglietti dei proponimenti (V. altri anni). Abbiamo l'usanza di aggiungerne uno in comune, osservando che molti di voi proponeste cose attinenti a vincere la superbia e per acquistare l'umiltà, vi propongo di promettere insieme la guerra contro quel vizio e la prati­ca di questa. Esamineremo la natura loro perché ognuno determini be­ne tale proponimento secondo il proprio bisogno. Servirà questa mia trattazione per continuare il nostro studio sulla perfezione, alla quale attendiamo. Dissi altra volta che la perfezione consiste (V. Quad. 20 Ott. 1912). Tratterò non di tutte le virtù morali, ma delle principali e più necessarie al vostro stato.
La superbia si prende in due sensi, secondo S. Tomm. (2.2. q. 62 art. 2) generale e speciale. Nel primo senso come vizio capitale può es­sere cagione di tutti i peccati, in quantum alia peccata ordinantur ad finem superbiae. Ma in senso particolare e proprio il vizio della superbia si definisce: amor inordinatus propriae excellentiae. (Ved. Rossi Man. dei Ch.i pag. 148).
Quest'amore può divenire disordinato in quattro modi, che così costituiscono le quattro specie del vizio della superbia. S. Tommaso (l.c. art. 4) dopo S. Gregorio: 1) aestimare bonum a seipso habere -; 2) credere desuper sibi datum pro suis suscepisse meritis; 3) gloriari se ha­bere quod non habet; - 4) Caeteris despectis appetere videri singulariter habere quod habetur.
Vedi quivi le prove nelle note 4 e 5 dell'articolo.
P.P. Albertone, quad. VI, 4-8
18 Ottobre
E ci siamo un bel numero, ma alla Consolata siamo pochi pochi. 70 celle, scritti 21, e 17 presenti. In Seminario hanno tolto un corso e poi l'hanno mes­so di nuovo, e così ce ne sono stati pochi. Preti una dozzina, e le messe sono sparse pel Santuario. Tuttavia ho detto loro: «Siete più che gli Apostoli nel Cenacolo». È mai stato che il Convitto fosse così, ce n'è due di Susa e uno di Sardegna.
E noi invece il Signore ci benedice, mi pare che siamo in numero di trenta, questo consola, è segno che il Signore ci vuol bene. C'è bisogno di moltiplicarci, e Deo gratias.
Bisogna che vi ritorni i proponimenti e li rileggerete e spero che non li ab­biate dimenticati. E li ho letti tutti, e qualche cosa ho notato, e sopratutto li ho messi ai piedi della Madonna. Voglio restituirveli personalmente perché nessu­no li veda. Quantunque sarebbe un'edificazione sapere che uno dice che ha bi­sogno di umiltà, e chi è che non ne ha bisogno? Così facciamo la restituzione. Ho già scritto a quelli d'Africa di metterli in pratica. Non basta scriverli e ri­cordarli, bisogna metterli in pratica. Si può aggiungere qualche cosa, ma non cambiarli, è meglio stare lì. Quando avrete vinto quel difetto continuerete, perché non ripulluli. E in generale ho veduto che tutti o quasi tutti avete fatto il proponimento sulla superbia e sulla virtù dell'umiltà.
Della superbia ce n'è di due sorta. Superbia, vizio capitale che entra dap­pertutto, in tutti i peccati, una rivolta contro il Signore e un darsi alle creature; ogni peccato costituisce una ribellione. Un'altra superbia particolare è defini­ta da S. Bernardo: Amor inordinatus propriae excellentiae. Questa è la defini­zione della superbia come vizio particolare. Dell'umiltà tante volte non si ha l'idea giusta, e così della superbia come vizio in sé. Così è amore disordinato di tutto quello che abbiamo in noi. L'essere contento non è male; di pregare bene, e non bisogna confonderlo. Non è male essere contento che una cosa va­da bene. Ma è il disordinato che è male. E quando è che questo amore è disor­dinato? Secondo S. Tommaso vi sono quattro modi di peccare di superbia. Dice S. Tommaso dietro a S. Gregorio:
a) Existimare bonum a se ipso habere.
b) Desuper sibi datum, pro suis meritis accepisse.
c) Gloriari se habere quod non habet.
d) Appetere videri singulariter.
Le studierete in De virtutibus. 1° Stimare i beni che abbiamo come roba nostra. Oh, io ho ingegno, roba mia! o se uno anche non lo dice, ma lo pensa. Quid habes quod non accepisti? et si acceperis cur gloriaris? Non solo godere del bene, ma goderne come di roba nostra e non come grazia di Dio. Sine me nihil potestis facere. Ciò che facciamo, ciò che abbiamo è roba sua. Che hai che non abbia ricevuto? Crediamo che sia roba nostra ciò che non è nostro.
Tutto di Dio, sì, ma me lo sono meritato! E invece dopo tutto dobbiamo sempre dire: Servi inutiles sumus. Non è che il Signore debba a noi, ma siamo sempre noi che dobbiamo a lui.
Gloriarsi, terzo di ciò che non si ha. Come uno che non ha ingegno e vo­glia far figura; così noi vogliamo farci vedere quello che non siamo, vogliamo far vedere che siamo questo o quello.
Poi, disprezzare gli altri e farci vedere singolari. E la parabola del fariseo e del pubblicano: Io, io, io ... e non come quel là.
Serve molto questo per avere le idee esatte: tenete a mente queste quattro cose. Amor inordinatus è la superbia, e questo serve molto per far l'esame di coscienza. È così bello questo studio sulle virtù. E perciò quest'anno oltre a tutti i propositi mettete anche questo: voglio vincere la superbia. Questa è tut­ta l'essenza del vizio della superbia e ciascuno oltre al proponimento partico­lare aggiunga questo comune dell'umiltà.
Se c'è gente che devono essere umili sono i missionari: dopo di aver lavo­rato attorno ad una persona e di aver ottenuto niente, e si prega si prega e poi tutto ad un tratto si convertono: si vede che è il Signore che fa. Il Signore è ge­loso della sua gloria e dà la grazia per noi e per le anime agli umili: e tante per­sone fanno tanto chiasso e lavorano, ma purché sia poi tutta roba buona e non sia poi il «recepisti mercedem tuam». Ah, quell'io, vuol penetrare dappertut­to.
La perfezione nostra è nella carità, e secondariamente consiste nelle virtù e nei consigli. Lungo l'anno vi tratterrò sulle virtù morali, per completare il quadro; parleremo di qualcuna. La virtù, p.e. dell'umiltà appartiene alla tem­peranza e ne diremo qualche cosa, perché è utile per voi e per l'avvenire. Fare­te poi la novena dei santi... Che sia la novena del Paradiso. Quanti missionari santi!... Il B. Chanel che era tentato di andare e non andare... e se non andava il Signore gli avrebbe dato ugualmente le grazie ma poi non sarebbe stato mar­tire. Alcuni dicono: c'è tanto bene da fare qui... Sì, ma c'è tanti che possono farlo! Questo pensiero del Paradiso ci deve dar forza. Omnes sancti missiona­ri, intercedite pro nobis. I missionari in Paradiso sono tutti come stelle; cir­condati da tante anime nere. Cioè, facce nere e anime bianche. Pensate a tanti missionari. Immaginate un po' se S. Francesco darebbe il suo Paradiso
per un paradiso guadagnato qui. Come la madre dei Maccabei che diceva al più piccolo: guarda i tuoi fratelli: questo anche a noi da coraggio per corri­spondere.
Un giorno dicevo ai Convittori: Date uno sguardo al passato e uno all'av­venire. E... pel passato certo non abbiamo fatto tutto quello che avremmo po­tuto. Tutti, anch'io. Cominciando da me, non abbiamo fatto tutto quello che dovevamo, dovremmo essere già santi... e allora come si fa? e... si guarda al futuro: Il Convitto è per compiere l'educazione chiericale e allevare sacerdoti pii e dotti, i quali possano, mandati nel ministero, salvare il più gran numero di anime. Sono parole del Venerabile e di D. Guala. Impegno di tutti adunque di attendere agli studi ecc., perché questo serve per le anime.
E questo lo dico anche a voi. Uno sguardo al passato e all'avvenire. Ho io nulla da rimproverarmi pel passato? Non c'è nessuna cosa che poteva andar meglio? Anche un superbo lo ammette. Dunque questo è un proponimento da farsi tutti i giorni, uno sguardo al passato; e poi per l'avvenire, maggior pre­parazione; non solo nelle cose grandi; ma anche nelle piccole: leggete la predi­ca sulla modestia, del Ven. Cafasso, quante piccolezze. Fare bene alla Messa, bene alla benedizione, se no la gente dice: guarda quel prete, non crede a quel­lo che dice. Siete qui per avere l'ultima mano e la più perfetta. Il bello, la per­fezione di una statua nasce in quello: e non direte che i superiori sono piccoli, minuti, e non ditelo mai: quando voglio che non si zuffoli, che non si gridi forte, che si abbia un contegno da sacerdoti, non gettare carta per terra, ma raccoglierla quando si vede, questo non lo dico solo a voi, ma anche ai Convit­tori, ma a voi di più. D. Cafasso diceva che i preti sotto i portici di piazza Ca­stello non sono merce gradita.
Questo non è più roba nostra, ma è anche nostro, e tante volte dico al Si­gnore: Ab alienis parce servo tuo! Ah, si, abbiamo già tanto del nostro, che non abbiamo più da rendere conto per gli altri! Ab alienis parce servo tuo!
giuseppeallamano.consolata.org