IL BEATO G. ALBERIONE PARLA DELL’ALLAMANO

Nell’archivio del nostro Istituto sono conservate moltissime testimonianze riguardanti l’Allamano, rilasciate spontaneamente, o su richiesta, da persone che l’hanno conosciuto. Assieme alle deposizioni processuali, esse costituiscono una miniera molto ricca cui attingere per conoscere il nostro Fondatore. Rispetto alle deposizioni processuali, che seguono lo schema fisso di un questionario, queste testimonianze hanno il vantaggio di spaziare da un capo all’altro, toccando gli argomenti più disparati e, per ciò stesso, più curiosi e  interessanti. Leggendole, ci fanno capire come l’Allamano si sia lasciato conoscere da coloro che lo hanno avvicinato, senza mai camuffarsi.

Negli ultimi anni, questa rivista ha ospitato una rubrica, intitolata “Testimonianze”, con la quale sono stati offerti spezzoni di deposizioni rilasciate su alcuni temi da testimoni prescelti durante il processo canonico di beatificazione dell’Allamano. In futuro, queste testimonianze potranno essere pubblicate integre in un volume, dandoci la possibilità di rifare dal vivo quel lungo e accurato cammino per scoprire e provare l’eroicità delle virtù dell’Allamano.

Da questo numero della rivista, abbiamo ritenuto di fare cosa gradita ai nostri amici sostituendo quella rubrica con un’altra analoga, intitolata “Hanno detto …”, nella quale pubblicheremo alcune delle più interessanti testimonianze extra-processuali. Anche qui offriremo solo un saggio di un materiale molto vasto, nella speranza di poterlo conoscere integro in una eventuale futura pubblicazione.

Inizieremo da una persona che gode di una forte autorità morale, essendo anch’essa giunta agli onori dell’altare, cioè dal beato Giacomo Alberione, fondatore delle famiglie religiose paoline. Di lui riporteremo la lettera indirizzata al nostro P. Lorenzo Sales, che lo aveva interpellato, e la testimonianza scritta.


Alba 29 - 1 - 1933

Rev. P. Sales,

Ho un’occasione fortunata di ringraziare V.S.M.R. del molto affetto che porta alla Pia Società S. Paolo: conosco in proposito quanto già ci fece di bene. Deo Gratias! Vorrei qualcosetta fare in riconoscenza: ed ora accludo questo manoscritto che corrisponde in tutto a verità; solo ho taciuto i nomi perché viventi.

Ne usi come, quanto, dove crede: io penso che fa un’opera molto bella V.S. a glorificare il Padre Fondatore. Preghi per me e mi benedica; la ossequio.

Obbligat,mo Sac. Alberione

«Stimavo e stimo come un Santo il Can. Allamano: seguii il suo consiglio in momenti importanti e me ne trovo contento: anzi, ai Chierici io riporto spesso il suo esempio, nelle esortazioni e meditazioni. Tra tanti detti ricordo:

Diceva ad un giovane Sacerdote: “Lavorare al confessionale, nella predicazione, nella scuola; ma prima riservare il tempo necessario per l’anima propria. Vi sono persone che si rendono inutili, per sé e per gli altri, col troppo fare per gli altri, trascurando se stessi; spesso mi vidi costretto a chiudere la stanza e non rispondere, e declinare inviti ad opere buone, per riservare il tempo per la preghiera, lo studio… “.

Circa il suo Istituto si espresse così: “… Abbiamo le nostre Regole: l’Istituto delle Missioni della Consolata che ha da camminare entro limiti che sono la volontà divina. Continuamente però vien la tentazione dell’espansione; no, no, consolidamento, in primo luogo. Ebbi in questi giorni esortazioni e raccomandazioni autorevoli per allargamento ed accettazioni. Ho risposto: Se io, che ho scritto le regole, interpretando il Divino Volere, fossi il primo a trasgredirle, che avverrebbe degli altri dietro il mio esempio?... “.

Ad una persona titubante nel seguire la vocazione religiosa: “Non ci vuole una vita di mezze misure; con coraggio bisogna fare la volontà di Dio; generosamente si dia al Signore: entri subito nello stato religioso, avrà grandi le grazie di Dio e la sua pace”.

Di un’anima che voleva entrare nel suo Istituto, senza mostrare vocazione, disse: “Perché quella persona vuole entrare nella vita religiosa? Non vedete che ha soltanto la grazia per una vita di buon cristiano? Si salvi per la sua via”.

Ad un Superiore di Istituto Religioso diceva: “Se volete gli Istituti religiosi fiorenti, fate una porticina per entrarvi, un portone per uscirne; cioè, assicuratevi bene della vocazione vera prima di accettare; quando poi non danno prove chiare, licenziate con coraggio”.

Ad un Sacerdote che sottilizzava troppo sulle vocazioni: “Si danno tante definizioni e si fanno tante parole e proteste sulla vocazione: per me è più sicuro dire semplicemente: la vocazione è il complesso delle attitudini morali, intellettuali, fisiche per uno stato”.

Era ammirabile il suo intuito e la sicurezza del suo giudizio: quando andavo da Lui non mi lasciava finire di parlare, gli bastavano poche parole, rispondeva con semplicità, brevità e sicurezza tali, che infondeva coraggio ad operare e pace di spirito. Avevo sempre l’impressione che in Lui fosse qualcosa di più che l’ordinario lume; tanto più che sempre vidi nella pratica essere stato buono il suo consiglio. Ciò parecchie volte si è ripetuto.

Lo sentii dare un consiglio sulla vocazione di due giovani Chierici: Egli aveva appena avuta brevissima occasione di sentirli, già comprese tutto e disse il suo parere. Non fu seguito, perché altri avevano giudicato diversamente. Fu ammirabile la serenità, nelle speciali circostanze, con cui si adattò allora che fosse seguito il parere contrario dato da persona inesperta, giovane, gonfia di se stessa.

Ma il suo parere risultò giustissimo: le cose accaddero alla lettera come Egli aveva detto: Mons. Re, Vescovo di Alba, verificò poi i due casi: ed ebbe le precise constatazioni. Si dovette, tardi, e dopo danno morale, riprendere la via già indicata dal Can. Allamano. Di uno di essi, specialmente, le cose andarono così che mi domando ancora se non avesse Egli allora avuta qualche illustrazione speciale.

So di un Sacerdote (certamente si tratta dell’Alberione stesso) che ricorse al Can. Allamano prima di ritirarsi dalla santa opera di zelo, a cui stava intento, per consacrarsi ad altre opere cui un interno movimento di grazia sembrava invitarlo. Egli sentì e pregò: poi rispose con poche, ma decisive parole. Il caso era difficilissimo: ma le prove di una ventina d’anni gli diedero del tutto ragione. Eppure bisogna dire che in quel momento erano molti i pareri contrari.

Ad una persona, che pareva seguire troppo i propri sentimenti in opere di zelo, scriveva: “Penso che sarebbe buon per lei, in cose tanto delicate, non fidarsi di se stesso; ma rimettersi alla guida di un Direttore Spirituale prudente e pio, ed anche vicino: tale che conosca bene il suo interno e tutto il complesso delle sue attitudini e circostanze”.

Sembra che si debba attribuire quella sua chiaroveggenza alla sua innocenza di vita, ed alla sua umiltà. Pareva che in lui si avverasse chiaramente il detto: “Beati i mondi di cuore, perché essi vedranno Dio”, ed in Dio vedono ogni cosa: ed insieme l’altro detto: “Il Signore rivela le cose agli umili”.

Ammirai tante volte il suo spirito di povertà e di mortificazione: lo osservavo con diligenza tutte le volte che ebbi occasione di avvicinarlo: ritenendo prezioso ogni momento potessi vederlo: la sua presenza mi sembrava un libro parlante, una regola; mi pareva spargesse un po’ di quella grazia che certamente portava nel cuore, perché mi pareva che ogni suo atto, ogni sua parola, persino gli atteggiamenti e i movimenti più trascurabili fossero ispirati a quello spirito soprannaturale, che Egli viveva di fede e sempre padrone di tutto se stesso: parole, disposizioni, sensi, azioni.

Il Can. Allamano parlava con semplicità; non si turbava se altri diceva diversamente ed anche se il suo consiglio veniva messo da parte, lasciando la cura di tutto alla Provvidenza. Come parlava per motivo di carità, così per motivo di carità taceva: conservando l’indifferenza dei Santi anche riguardo alle cose più delicate, o anche toccavano più direttamente la sua persona».

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