CARITÀ VICENDEVOLE

28 ottobre 1906

Quad. III,13-14
28 Ott. 1906

Sulla carità tra voi
Nel Vangelo odierno dei SS. Ap. Simone e Giuda si leggono queste parole: Haec mando vobis, ut diligatis invicem; ciò comando a voi, che vi amiate l’un l’altro. Questo comando che N.S.G.C. ripete sovente a’ suoi apostoli ebbe il suo continuo predicatore nell’Ap. Giovanni. (Esordio Pred. ai Seminaristi). N.S. poi binos discipulos ad praedicandum misit (V. ivi) - Segni: 1) gaudere cum gaudentibus; 2) fiere cum flentibus; 3) emendarsi dei nostri difetti che danno pena ai fratelli; e sopportare i difetti altrui; 4) perdonare le offese... anzi prevenire le scuse. (V. ivi; appl. alla nostra Comunità) - Non lusingatevi di essere poi nelle missioni con questa carità se non l’avete qui. Non si ascende ma discende. Se qui non vi formate l’abitudine...; colà darete cattiva prova, e scandalo ai neri che osserveranno i vostri tratti coi confratelli... Dei primitivi cristiani, vedi come si amano, dicevano i pagani, ed erano tratti a convenirsi ad una religione sì caritatevole. Adunque amorem fraternitatis habeatis ad invicem. S. Paolo.


P.U. Costa, quad. I, 139-142
Domenica 28-10-1906 - Rev. Sig. Rettore - Torino

Oggi è la festa di due santi Apostoli Simone e Giuda, posti assieme perché pare che abbiano faticato assieme od almeno dalle stesse parti. Orbene, il Vangelo di quest’oggi comincia con le parole: ... ut diligatis invicem sicut dilexi vos (veramente comincia: Haec mando vobis, ut diligatis invicem, egli però non ricordava più bene), e pensando a queste parole mi venne in mente di parlarvi oggi della carità vicendevole.

Voler parlar di carità tra voi, par quasi sia farvi un’ingiuria, eppure se N. Signore ha ripetuto tante volte quest’ammonimento, è perché sapeva che questa carità mancava, e qualcuno, che credeva di averla non l’aveva come la si deve avere.

S. Giovanni Ev. che attinse la sua dottrina dal Cuore di Gesù, l’apostolo dell’amore, della carità, conservato in vita fino a tarda età per sostegno della Madonna e per ammaestramento dei Cristiani, nei suoi ultimi anni non diceva più altro che: filioli mei, diligile alterutrum; e quando i suoi discepoli, quasi stanchi di sentire sempre la stessa cosa, gli dissero: perché ripeti sempre queste stesse cose?, Ei rispose: Hoc unum sufficit, quia praeceptum Domini est; e se lo ripetè tanto spesso, segno è che lo credeva ben importante e credeva di doverlo così ripetere.

Si danno quattro segni per conoscere se uno ha veramente la carità fraterna: gaudere cum gaudentibus-flere cum flentibus - correggere i propri difetti per amor del prossimo e sopportare quelli degli altri -perdonare ai fratelli, anzi prevenire colui che ci ha offesi.

1°. Gaudere cum gaudentibus: godiamo noi del bene dei nostri compagni? E per venire ad un esempio: quel tale nella scuola ha saputo a meraviglia, il maestro gli ha fatto un segno di approvazione, io non sarei capace a recitare due o tre pagine così senza perdere il filo: ci rallegriamo noi del bene del nostro compagno? È difficile sapete, che uno senta in sé una gioia che il compagno riesca così bene; tanto più quando sono due uguali, allora è molto più difficile non sentire qualche invidiuzza. Così pure diciamo di tutto il resto: voti, lavori, approvazione dei superiori, lettura...

Noi siamo contenti p.e. che P. Perlo abbia tanta attività ecc., ma quando si trattasse di uguali, di coetanei, è tutt’altra cosa.

Noi dobbiamo proprio godere del bene dei nostri fratelli. Noi non abbiamo solo la Comunione dei Santi, ma abbiamo ancora la comunità; dobbiamo essere contenti che l’Istituto (sic) quel tale e tale buon soggetto che diverrà un santo e dotto missionario; esser contenti che quell’altro si faccia un santone, e noi, facendo però tutto il nostro possibile, non giungiamo a tanto.

2°. Fiere cum flentibus: Un compagno oggi ha un po’ di mal di capo e non ha potuto studiar bene la lezione: to, son contento. Stavolta egli non farà così bella riuscita e la farò io. Certo questo sta tutto nel cuore: siamo abbastanza superbi da non manifestarlo, ne avremmo troppa vergogna. Sarà una mortificazione toccata ad un compagno; un perdono in pubblico così utile e necessario, usato in tutte le Comunità religiose...

Né vuol sempre dire, perché uno è sgridato più forte, più duramente, ei sia più cattivo; il superiore ha i suoi fini; egli conosce che è d’una virtù più robusta e può sostenere cose più pesanti, mentre un altro che conosce di debole virtù lo tratta un po’ coi guanti.

Tutti dobbiamo tendere alla perfezione, ma, chi corre, galoppa su questa via, ed il superiore è obbligato ad aiutarlo; chi va lì lento, ed il superiore, senza però trascurarlo, lo tratta conforme alle sue forze...

Così se muore un parente d’un qualche compagno dobbiamo sentire in noi il dolore che quegli prova nel suo cuore; e sono stato molto contento di sapere che voi eravate tutti afflitti per il vostro compagno che ha dovuto uscire per malattia: ma è solo per pochi giorni.

3°. Correggere i nostri difetti ecc.: Non dobbiamo semplicemente sopportare i difetti degli altri, ma procurare di estirpare i nostri che possono essere causa di scomodo al prossimo. E per venire alla pratica: nella pulizia non esser ricercato, no, ma fare il necessario per non essere di incomodo agli altri. Lo stesso diciamo degli altri difetti che possono procedere dal nostro carattere, dalle nostre parole, dal nostro modo di fare, dal nostro fare prepotente d’imporci a tutti. Nello stesso tempo dobbiamo sopportare quegli degli altri; cercare di correggerli fraternamente, se possiamo, altrimenti sopportarli con pazienza.

Questo non succede fra voi, ma succede in Convitto a due a due, ed appena arrivati fuori qualcuno cambia con altri (e non possono) per non essere con quel compagno. Ma perché ciò? Se quel tale ha dei difetti, certo tocca a lui emendarsi, ma là...; l’altro dovrebbe anche sopportarli. Soffrite adunque con pazienza i difetti dei vostri compagni, sia i corporali, naturali, che non può togliersi, sia quelli che potrebbero togliere e non tolgono.

Se non vi assuefate a sopportarvi l’un coll’altro, arriverà poi nelle Missioni che il Superiore debba cambiare qualcuno di posto perché non va d’accordo con un altro! Fa pena pensare un Missionario che ha fatto tanti sacrifizi, abbandonato patria, parenti, ... sopportate dicerie ed anche irrisioni... (possiamo salvarci anche qui, come dice gente proprio senza spirito...).

4°. Perdonare ecc.: Dirvi questo par quasi farvi un’ingiuria; tra noi deve esserci neppur grosso come la punta di un dito...

C’è certa gente nel mondo che dice: io gli perdono, ma non si lasci più vedere; ma che perdono è questo. Altri poi dicono: io gli perdono, ma non dimentico...; e che cosa è questo? Tra noi non si dice così, bensì: Io gli perdono, ma non sarò più come prima; se prima era in amicizia particolare fa tanto bene a non essere più come prima; ma invece, se prima era come doveva essere, no.
Anche le amicizie particolari sono un torto che si fa agli altri; certamente si tende più verso la virtù, ma bisogna amar tutti egualmente.

Segno che si perdonano di cuore le offese si è il pregare e desiderare bene a chi ci ha offesi. Tra noi però non dev’esserci nulla: in Africa, quando capita qualche piccola cosa, si domandano perdono in pubblico.

Si, oggi facciamo la festa di due Santi Apostoli onorati assieme, forse, per quel misit eos binos. S. Gregorio Magno spiega queste parole dicendo ch’era per insegnare che qui charitatem non habet praedicationem suscipere non debet, perché, commenta S. Lorenzo Giustiniani, ardere nequit qui ignem non habet.

E specialmente i Missionari, che scandalo darebbero se non andassero pienamente d’accordo; gl’indigeni che osservano minutamente ogni atto del Missionario scoprirebbero certe piccole cose..., e che scandalo.

Sì, vorrei che queste mie parole le ricordaste sempre, come di altre che mi scrivono dall’Africa, non solo quel che vi dico, ma quello ancora che vorrei dirvi... Io voglio che vi facciate santi, sempre più perfetti... ecc.

Siamo nella novena dei Santi. In questi giorni il pensiero del Paradiso dev’essere dominante.

Il Paradiso è mio, diceva il Ven. D. Cafasso, e sarà come me lo voglio: se voglio andar fra i Serafini, fra gli Apostoli... Pensate un po’, dove vorremo andare: tra i bambini? eh! tra quei cristiani che si sono convertiti in punto di morte? tra le poverelle, vecchierelle, contadine... che pregavano un poco al mattino o camminando? Tra i semplici sacerdoti? Il nostro luogo deve essere tra gli Apostoli.

Quando domando di andare in Paradiso tra i Sacerdoti intendo quei Sacerdoti che furono veri Apostoli come S. Filippo Neri, apostolo di Roma, S. Francesco di Sales, apostolo del Chiablese.

Noi giudicheremo con N. Signore. Ma non immaginiamoci di farci poi santi quando saremo nelle Missioni: chi non è santo, cioè, non tende qui a farsi santo, non lo sarà neppure là.

Il Dubois dice che un chierico perfetto diviene generalmente un Sacerdote buono, ed un chierico mediocre diviene generalmente un cattivo Sacerdote. E questo sarà tanto più vero dei Missionari esposti a molto maggiori pericoli, che non i semplici Sacerdoti.

Non bisogna illudersi: là farò dei grandi sacrifizi ecc...; se non facciamo qui i piccoli, là non faremo i grandi. Preghiamo dunque i Santi a volerci ottenere un bel posto in Paradiso; un bel seggiolone dove godremo Dio in eterno.

giuseppeallamano.consolata.org