I BENEFATTORI - USO DELLE COSE DI COMUNITÀ

12 gennaio 1908
P.U. Costa, quad. II, 86-88
Rev.mo Sig. Rettore - 12-1-1908 - Torino
Dopo aver parlato delle offerte pervenutegli nei giorni antecedenti:
Queste sono frutto dei sacrifizi dei nostri benefattori, e richieggono da nostra parte, che preghiamo per tutti i benefattori passati, presenti e futuri, che siamo loro grati; ma soprattutto, che ai loro sacrifizi noi corrispondiamo con qualche sacrifizio da parte nostra. Esso consiste nell'esser contenti del ne­cessario ed anche di mancare di qualche piccola cosa. I nostri intendono prov­vedere pel necessario; se fosse per il superfluo, se lo terrebbero loro. La roba di comunità è tutta roba di carità e va quindi trattata con un certo rispetto e con un certo timore... Non bisogna sprecarla, e usarne solo quant'é necessa­rio. Per es. se un pennino può ancor servire, perché gettarlo via: oh! ne ho al­tri? ... Lo stesso dicasi del cibo, dei vestiti, degli strumenti del lavoro, degli oggetti per lo studio, ecc.-
Vedete: quando mi scrivono gli altri, io taglio quel foglio che avanza e lo conservo; se non c'è un foglio, ne prende (sic) anche solo 1/4: ciò [può] servire per piccole noterelle, quando la convenienza non esige un biglietto di visita od un bel foglio.
P. Anglesio diceva: "se uno mi lascia qualche cosa, supponiamo un qua­dro, io debbo prendere anche il chiodo, altrimenti la Provvidenza potrebbe castigarmi". (Si capisce: purché con togliere persino il chiodo, non offenda nessuno. Bisogna esaminare se è di maggior gloria di Dio, ch'io prenda il chio­do oppure lo lasci).
Questi non sono scrupoli, si tratta solamente di delicatezza. Così ci sono certuni che consumano e guastano il doppio dei vestiti, scarpe, ecc... Ci vuole attenzione: andate pure a passeggio, giuocate, correte... ma bisogna aver cu­ra...! Io non so... Bisogna farsi insegnare. Taluno anche con una veste non tanto nuova vanno avanti... perché sanno tenerla bene, pulirla ecc. Noi gene­ralmente abbiamo tutti due vesti (io ne ho due); eppure ne abbiamo già più degli Apostoli che il Signore mandò sine pera, ecc., con un'unica tunica...
Vedete (parlo di monasteri di figlie e voi applicatevelo): nei monasteri generalmente quelle che erano più in basso nel mondo, vogliono essere più si­gnore delle altre, anche contesse e marchese: non sono contente del cibo, non sono troppo disposte a far quel lavoro, ad un po' di male vogliono essere trat­tate molto bene, ecc...
Io non voglio che vi leniate addosso i mali senza dirlo; voglio che li dicia­te, ma neanche che ad un minimo male abbiate bisogno di tante cure. Io però temo piuttosto l'eccesso opposto, e voglio che quando vi sentite male lo dicia­te; così pure non voglio che facciate penitenze a tavola senza permesso. Voglio però che vi accostumiate in modo che, quando sarete ben costituiti, non ab­biate bisogno ogni tanto di qualche cosa per digerire (quello che non si è dige­rito al mattino si digerisce alla sera; a cena si mangia un po' meno)... ad ogni bubù non abbiate bisogno di mille cure...
Bisogna che vi assuefacciate adesso ad avere quella delicatezza, quella cu­ra ed attenzione nell'uso della roba, altrimenti quando sarete in Africa più li­beri di voi stessi, forse superiori di una stazione, sprecherete la roba...; dipen­de dal Superiore aver occhio e cura!
Poi contentarsi del necessario: mi piace che la Cappella sia bella; tuttavia sono certo che il Signore si contenta di quel poco che abbiamo: se non c'è una sedia c'è una panca; non mettere sossopra ogni cosa, perché dal laboratorio non c'è venuto quell'oggetto: dal magazzino non c'è venuto lo zucchero, o i zolfanelli (e ce ne sono ancora)... sono tutte cose possibili e, vi dico, anche ac­cadute...
Non aver quindi invidia che ad un altro sia stata data una veste più bella;
dovremmo essere contenti d'avere una veste portata già da due o tre in genera­zione...
Ho gran desiderio che abbiate questa delicatezza. Ricordatevi che quanto abbiamo è frutto di sacrifizi dei Benefattori. Quando leggo il foglietto delle offerte (lo leggo prima che lo pubblichino e lo rileggo dopo), vi assicuro che faccio una vera meditazione: mi fermo di tratto in tratto a far qualche aspira­zione a Dio, per essi, a pregare per quei che son morti... Quelle offerte sono lacrime, son sangue... e noi le sprecheremo? Ricordate Davide, quando disse:
Sanguinem meorum potabo? e libò a Dio l'acqua portatagli dai soldati con pe­ricolo di loro vita.
Non so se mi sia spiegato bene: non voglio mettervi delle pene o scrupoli, no... voglio solo delicatezza... Fate un esame fino su questo punto.
giuseppeallamano.consolata.org