SANTITÀ SECONDO LO SPIRITO DELL'ISTITUTO – CARITÀ FRATERNA

    28 febbraio 1915
Quad. X, 13-14
Dom. II di Quar.
Natura della vostra santità e della carità fraterna
(28 Marzo (?) 1915)             
L'Ap. S. Paolo nell'Epist. ai Corinti che la Chiesa ci fece leggere nella passata Domenica, esorta... Oggi in quella ai Tessalonicesi, li pre­ga e scongiura di santificarsi, dicendo che questa è la volontà di Dio:
haec est enim voluntas Dei, sanctificatio vestra. Ma non in qualsiasi modo, di una santità solo esterna, e con mezzi diversi da quelli da lui loro insegnati; — seguendo e praticando quanto Egli loro aveva inse­gnato ed i precetti che loro aveva dato da parte di N.S. Gesù Cristo: scitis quae praecepta dederim vobis per Dominum Jesum.
Fermiamoci brevemente a considerare queste parole; ed applican­dole a voi, io vi dico che dovete tendere alla vostra santificazione non a capriccio, osservando ciascuno ciò che gli talenta; ma seguendo le nor­me che vi danno le costituzioni, il regolamento e le norme dei legittimi superiori. Non tutti i mezzi sono i medesimi per tutti per giungere alla perfezione; e si sbaglierebbe chi preparandosi ad essere religioso missio­nario volesse seguire le regole dei Certosini o dei Sacerdoti secolari. Co­me di ogni Santo sta scritto: non est inventus similis illi, così ogni Istitu­to ha il proprio carattere, ed i mezzi proprii per santificare i proprii alunni. Una è la santità, ma varia nella forma, e diverse le vie di giun­gervi. Ciò dovete, miei cari, tenere a mente quando chi non ha da Dio questa missione trova che qui dentro si insegna o si pratica diversamen­te da altri luoghi. Quando si ha l'approvazione dei Superiori, e primo del Papa, dobbiamo dire con S. Paolo: etsi Angelus evang. vobis... anathema sit. Se volete riuscire santi missionari della Consolata forma­tevi e lasciatevi formare dai vostri superiori.
Andiamo innanzi: S. Paolo ricorda poi due precetti che più gli stanno a cuore: fuggire l'incontinenza, e praticare la carità fraterna: ut abstineatis vos a fornicatione; - ut diligatis invicem.
Per oggi tratteniamoci sulla carità fraterna, ed esaminiamoci sola­mente su due punti: il nostro contegno coi compagni; - come perdonia­mo le piccole offese. S. Pietro scrive: ante omnia mutuam in vobismetipsis caritatem continuam habentes. Esaminate ogni parola.. E S. Pao­lo: amorem fraternitatis hab. ad invicem...
Voi tutti vi volete bene; e non si può certamente applicare a voi quel falso detto del mondo riguardo ai religiosi, ed anche ai Canonici:
entrano senza conoscersi, vivono senza amarsi, e muoiono senza pian­gersi. Es. la Casa della Pace in Chieri.
Voi non così, ma ognuno ama tutti e ciascuno de' suoi compagni;
ma io trovo un difetto, ed è che ognuno pensa solo a sé, a santificare se stesso senza pensare ad aiutare i compagni. Si è talora come statue, od anime claustrali, che nel silenzio e separazione non trovano modo di avvicinare i compagni, come i Certosini. Questo non è l'amore di cor­po, così utile in una comunità che muove tutti a santificare se stessi ed i compagni. Non si dica quid ad me, ma bene importa anche a me, che non solo io, ma tutti i miei compagni si rendano santi e dotti missiona­rii. Es. del corpo umano. Bisogna che ciascuno prenda parte alle gioie e ai dolori di tutti: gaudere cum gaudentibus, flere cum flentibus. S. Pao­lo non faceva così. Esclamava: omnibus debitor sum... quis infirmatur et ego.. ; Ciò che dico della pratica delle virtù, lo dico degli studii e degli ajuti tutti anche nelle cose manuali. Come fa male vedere un compagno che attendendo a qualche lavoro ed abbisognando di ajuto, gli altri che sono presenti e lo possono, non corrono tosto ad ajutarlo? Una mano non ajuta l'altra appena lo vede possibile? Esaminatevi su questa defi­cienza di carità che purtroppo manca in tante comunità, ed anche nella nostra...
Specialmente si manca all'obbligo della carità fraterna per correg­gere i difetti. Questi sovente sfuggono all'occhio del superiore; e poi ha già tante cose da correggere; i compagni li veggono più facilmente, e la loro correzione fraterna forse sarebbe più efficace... perché, non farlo? Direte che il compagno non prende bene la correzione? Perché pensare male di esso, forse perché una volta in un primo impeto ci rispose male, e forse perché non lo correggemmo in tempo opportuno e con buone maniere. Anche lo prendesse non tanto bene subito, dopo rientrerà in se stesso e voi avrete il merito della fatta correzione, e cooperaste alla formazione spirituale della Comunità.
L'altra cosa che dobbiamo considerare nei compagni è il perdono delle ingiurie.. Non parlo di cose gravi che qui non si fanno, ma di una parola un po' offensiva, d'un tratto meno riguardoso, d'una mancanza di attenzione... Ecco l'offeso fare il muto per qualche tempo, evitare quel compagno, od anche lamentarsene con altri. Ciò che è contro il precetto di Dio di perdonare. Si dice: io perdono, ma non posso dimen­ticare: male, e cavillo del demonio. Non gli parlo per non romperla di più; peggio. Nel S. Vangelo sta scritto: si frater tuus habet aliquid... relinque ibi ... Notate non dice: se tu hai qualche cosa col fratello, ma se il fratello ha qualche cosa contro di te; non dice venga a te il fratello che ti ha offeso, ma tu devi andare da lui. E ciò devi fare prima di accostar­ti alla S. Comunione: vade prius... e perché: lucratus es fratrem tuum. Riflettetevi seriamente, quando succedono questi piccoli screzii, non durate in essi; a torto o no, ma prima di comunicarvi dite una parola, fate un buon sorriso. Via ogni pretesto....
Albertone, quad. VI, 65-71
28 Febbraio 1915 (Lettura dei voti)
Ecco ringraziamo il Signore che anche gli esami sono andati bene. Vede­te, a S. Tommaso il Signore ha dato solo bene: «bene scripsisti Thoma de me». E bene vuol solo dire otto. Ringraziamo il Signore che ci dà buona vo­lontà. Sopratutto i voti che danno i professori esterni... e, consola. Procuria­mo di studiare con profondità, cercare di capire, e sappiamo farci le idee chia­re e nette. Non ho avuto tempo questa volta a leggerli, ma il Can. De Matteis ha lodato molto. Non studiare solo in modo che si carta cadit tota scientia vadit. Continuate e sarete poi contenti.
I Sacerdoti non hanno i voti, perché lo prendono da Dio. Essi studiano più e meglio di voi, e così i Coadiutori fanno la lor parte.
Ringraziamo il Signore, e poi ognuno faccia la sua parte, non in vacuum. Come diceva sull'Epistola ai Tessalonicesi dell'altra volta, esaminiamoci.
Questa Domenica, è l'Epistola che S. Paolo scrisse ai Corinti. L'altra vol­ta diceva: Rogamus, questa volta dice: Rogamus et obsecramus. Fratelli, vi scongiuriamo in Domino che vi facciate santi come è volontà di Dio. E come dobbiamo farci santi? Dobbiamo farci santi osservando ciò che vi ho detto in nome di Dio e praticando gli ammonimenti che vi ho dati. E poi viene al parti­colare: ub abstineatis ecc. e poi secondo, che abbondiate in carità.
In particolare, una lezione che dobbiamo prendere è che non ci dobbiamo fare santi a proprio capriccio. Ci dobbiamo fare santi, ma nel modo che il Si­gnore vuole da noi. Dobbiamo farci santi in conformità degli insegnamenti dati. E S. Paolo dice: Qualunque venisse, anche un Angelo dal Cielo, per sup­posizione che vi insegnasse differente da quello che vi abbiamo insegnato ana­tema sit. Sia scomunicato. Bisogna che osserviate quelle cose che vi ho detto per farvi santi. E facciamone un'applicazione a noi. Ciascuno di voi vuole far­si santo, ma non bisogna che ciascuno intenda di applicarsi a questo a modo suo. Ma ognuno deve farsi santo secondo le regole che sono in questo istituto. Comunemente si dice che la santità è multiforme, e se voi foste certosini, o passionisti, certamente si farebbero altre cose che non si fanno qui. Si fareb­bero altri lavori, si farebbero forse più mortificazioni esterne, ecc., digiuni, che noi invece, certo non ci contentiamo delle mortificazioni interne, ma pren­diamo le esterne in quanto sono conformi allo spirito dell'Istituto. Non dobbiamo lasciarci pigliare da quell'idea, ma dobbiamo farci santi secondo le nor­me che ci danno i nostri superiori, secondo le regole; secondo lo spirito dell'istituto. Il Signore ha ispirato e non ci deve essere nessun altro che ci pos­sa decidere; nessun esterno che ci possa venir a dire: «Ma voi pregate troppo, o troppo poco. Perché non fate questo o quello, ecc.». Qui è tutto i Superiori che devono fare e nessun altro. E dico questo perché potrebbe capitare, anche della brava gente, vogliono dire ecc. S. Paolo voleva che nessuno s'immi­schiasse in quello che Egli aveva insegnato ai fedeli, e la stessa cosa deve dirsi per noi. Qui, in questo Istituto, nessun altro è maestro che quelli dati dal Si­gnore. Dico questo perché alle volte viene la voglia di criticare, e voi non do­vete temere la critica di nessuno, dobbiamo temere la critica del Signore, e di nessun altro.
E lasciamo stare quello che S. Paolo dice attorno alla bella virtù, veniamo a quello che dice della carità! Oh, quante volte si trova nel Vangelo e nelle Epi­stole.
Questo è il praeceptum Domini. Ex hoc cognoscent omnes quod discipuli mei estis, si dilectionem habueritis ad invicem. Questo è il carattere dei veri cristiani, dei veri discepoli di N. Signore Gesù C. E sapete quello che si diceva in Alessandria d'Egitto dei primi cristiani: «Oh, come si vogliono bene i Cri­stiani!»
C'è stato un giovane che è andato in paese, e gli hanno domandato se qui tra di loro si volevano bene. Ed egli ha risposto: «I chierici si vogliono tanto bene tra di loro» — «E voi»? — «E noi, anche, ma non tanto».
E così, che ci vogliamo tanto, tanto bene, ma io vorrei farvi osservare sol­tanto due cose: Lo so, omnes nos fratres sumus, c'è di sicuro questo, ma tutta­via stiamo attenti a due cose. Stiamo attenti se questa carità l'abbiamo sempre completa. Alle volte abbiamo carità, ma non l'abbiamo in certe cose. Sapete quel detto, oh quanto è brutto! Dicono che i religiosi vengono assieme senza conoscersi, vivono senza amarsi, muoiono senza piangersi. Si dice anche dei canonici questo, ma specialmente dei religiosi, oh, quanto è brutto e falso. Ma tuttavia se lo dicono bisogna che qualche cosa abbia dato appiglio. Venire sen­za conoscersi! Vivere senza amarsi! morire senza piangersi! Eppure... C'era un convento in cui si volevano poco bene, ed erano pochi, il convento era grande, ed uno era là, l'altro era là, all'angolo opposto, in modo che quando un signore ha voluto comperare dal governo il convento per regalarlo a loro, non hanno voluto per non essere obbligati ad andare assieme. E così sono an­dati via tutti. Ed io domandavo ad uno: «Come va che siete andati via?» — «E, perché non volevamo più stare assieme». Noi non siamo a questo punto per grazia di Dio, ma tuttavia, è meglio il male alle volte averlo davanti agli occhi per detestarlo, e così fuggire tutte quelle piccole cose che sono causa di dissensi.
E una di queste cose è questa, che ciascuno fa un po' troppo da sé, cioè, ciascuno vuole farsi santo da sé, e non si ha cura dei compagni. No, ciascuno deve farsi santo, ma bisogna che ci sia il mutuo adjuvamen. Certo, spero di sbagliarmi e desidero di sbagliarmi, ma è bene tuttavia dirvelo: ciascuno vuol farsi santo, ma poi sta solo con uno o due; no, dobbiamo desiderare la santità negli altri come in noi. Alle volte si è un po' solitari, si è un po' egoisti. Voglia­mo essere come tante anime del purgatorio che non vogliono toccarsi per pau­ra di bruciarsi. Spero di sbagliarmi, ma ... bisogna essere pronti a santificarci, di studiare, ma anche col compagno. Essere pronti a dire una parola ad un compagno, una parola d'aiuto, se non sta bene, ecc. Alle volte ciascuno tira dritto per conto suo, e non vuole badare agli altri. No. Se foste certosini, cer­tamente, ognuno ha la sua cella e va col cappuccio giù, e gli occhi bassi. E al­lora si capisce che non si deve pensare agli altri, ma noi no. Ciascuno deve pensare a sé, ed agli altri. In una famiglia vedete, una sorella, un fratello mag­giore, pensa ai piccolini, e si interessa, i più alti aiutano i più piccoli a fare il compito di scuola. Dobbiamo avere amore di famiglia. Sì, voglio e ci deve es­sere amorem fraternitatis. Quel là ha un piccolo dispiacere o una piccola ma­linconia, ebbene desiderare di essere tutti infermieri, non dico di fare quello che non è affare vostro, ma curarsene, e invece si passa di lì come se nulla fos­se. Così accade che si deve fare una piccola correzione fraterna. Ebbene avrei piacere che correggessero me, ho tanti altri difetti, e così farlo cogli altri; è co­sì bella questa carità fraterna. Si dice che ci sono i superiori per correggere, ma alle volte i superiori darebbe troppa importanza dovessero fare una correzio­ne, più di quella che abbia la cosa, e poi alle volte i superiori non possono nep­pure vedere queste piccole cose, ed io vorrei che studiaste questa cosa: se pro­prio tutto il bene che volete, tutto il bene che procurate a voi se procurate di farlo anche ai vostri compagni. E così in Missione piglierete parte ai dolori, a tutto quello che può avere un confratello e saprete sopportare. Vorrei proprio che ciascuno facesse del bene, godesse e soffrisse col compagno. Quando sof­fre un membro del corpo, soffre tutto il corpo, così anche qui tutto il corpo deve saper soffrire, vorrei anche che ci fosse proprio questo. Queste piccole gentilezze, questi piccoli soccorsi, sì, che ci amiamo tanto.
2° E il perdonare le offese. Alle volte lo diciamo: perdono tutto, sì, ma è poi proprio vero? È proprio vero che perdoniamo, o diciamo quella frase:
«perdono, ma non dimentico». Questo è un giro di parole. Oppure aspettiamo troppo a perdonare, oppure per una minima cosa ci offendiamo. Ma se capi­ta, ebbene, non continuarla, subito romperla con questi indugii e finire ogni quistione. Non dire: Non ci parlo più. Questo non va assolutamente. Ad ogni modo, noi non è quistione di offese. Alle volte l'altro ha fatto un atto inavver­titamente, e noi subito a pigliarcela. No, al contrario, subito, a vicenda perdo­narsi, non solo «sol non occidat super iracundiam vestram», che non venga la sera senza che tutto sia passato, ma nel vangelo c'è di più. Avete mai fatto at­tenzione? Se uno va all'altare, e si ricorderà che il suo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia tutto lì, e va a riconciliarti prima di offrire, e così prima di fare la comunione. Ma avete mai osservato che il vangelo non dice: se hai fat­to un torto a tuo fratello, ma se lui ha fatto contro di te, o se ha qualche cosa contro di te, pare che dovrebbe dire, che se ha qualche cosa contro di te, faccia lui il primo, e invece il Signore dice: Se lui ha qualche cosa contro di te, lascia tutto e va prima a riconciliarti con lui. E noi invece diremmo: Se l'ha si aggiu­sti lui. No, il Signore vuole che io vada a riconciliarmi anche se è lui che ha qualche cosa contro di me. E questo precetto non si restringe a questo: Sì ti perdono ma non ti voglio più parlare. No, devo parlare di nuovo. E se no, de­vo lasciare la comunione. Vedete come sono queste piccole ruggini; non van­no, e sia pure che il torto sia dall'altra parte.
Questo si può applicare a tante piccole cose in Comunità: alla minima co-serella, a uno sgarbo nel giuoco, un pochino di durezza in ricreazione, nel gio­co, e non dobbiamo dire: «Non gioco più». Questo non è amore fraterno, e a me pare che è da questo che vengono poi le ruggini più lunghe. È da queste piccole cose che in famiglia vengono poi i dissidi tra fratello e sorella, ecc.
Dunque o apposta o no, o io o l'altro, ragione o torto, riconciliarsi, dire subito una parola, andar subito insieme. Non basta che nel cuore subito si per­doni, sì questo è necessario, ma ci vuole subito anche una parola all'esterno. E se uno ha ragione e dice lui subito: «Basta non parliamo più di quello che è stato» si fa un atto di carità, si fa un merito e l'altro che vede la nostra umiltà si riconcilia subito.
Basta, io non parlo solo al vento, spero che non succeda mai nulla, ma è mio dovere prevenirvi; e così voi esaminando potrete vedere se ognuno ha cu­ra di tutti i suoi compagni. Non dobbiamo dire: Voglio bene a quello perché ha più ingegno, perché studia di più, e neppure perché è più santo, no neppu­re, dobbiamo voler bene a tutti, e a tutti ugualmente. Dunque tenete a mente queste due cosette di amare tutti e tutti ugualmente, e poi che non solo non vi siano dei rancori, ma neppure una piccola cosa e poi pregare il Signore che se ci sarà qualche cosa, vi mandi un grosso rimorso che ci metta a posto. Chi è così santo che alle volte non si lasci scappare qualche cosa? Sono cosette che il Signore permette per nostra umiliazione, e perché noi subito offenderci? que­sto guasta così! ah, cuore largo! S. Francesco di Sales diceva a uno che lo ingiuriava che più lo offendeva e più lo amava. E così N. Signore scusava presso il suo Eterno Padre i suoi crocifissori.
Riflettete su queste due osservazioni per trarre profitto da questa episto­la. Amarci fraternamente, dolori di uno, dolori di tutti, e poi a queste piccole minuzie dare passaggio. Amare tutti ugualmente, senza rispetto a meriti parti­colari, perché davanti a Dio dobbiamo vederci tutti uguali. Noi li amiamo tut­ti perché sono creature del Signore. E poi la correzione fraterna, e di questo farne materia di esame. Correzione fraterna, certamente si può fare e si deve fare debitamente, ma si può fare e si deve fare.
giuseppeallamano.consolata.org