L'INVIDIA

 25 aprile 1915
Quad. X, 26
2ª sull'invidia (25 Apr. 915)
Persuasi di avere col peccato originale ereditato il seme dell'invi­dia, che tutti presto o tardi nelle occasioni tenterà di sedurci, vediamo sfosserà i segni per riconoscerlo in noi ed i rimedii per vincerla.
I. Questi segni li riduco a quattro (V. Buseo): 1) Gaudere de malo proximi. V. Dubois — Guida del Seminarista. 2) Tristari de bono proximi (Ivi). 3) Laudes proximi deprimere (ivi). 4) Proximo detrahere et esosum habere, quia ejus prosperitas nostram superat et voluti obscuret (ivi).
II. I rimedii principali sono tre: 1. Considerarne l'inutilità, anzi il male che fa non solo all'anima, ma anche al corpo: nihil boni, sed multum damni animae et corporis (V. Dubois p. 179-80). 2. Invidia est filia superbiae, suffoca matrem et non erit filia. (V. Chaignon). 3. Congaude alieni, cui Deus aliquam gratiam donavit: tua est (ivi). - Opta et ora pro aliis quod tibi et ampliora (Buseo).
Esempio di Mosè: utinam omnes prophetent; — e di S. Paolo:
dummodo Christus annuntietur... gaudeo, sed et gaudebo.
Nota. Oltre l'invidia individuale c'è anche altra invidia cattiva e da evitare, quella tra istituzioni ed istituzioni. Fa pena vedere come talora religiosi sono invidiosi del bene e della prosperità di altri religiosi non per santa emulazione... Questa si copre del falso amore di corpo, e per­ciò poco si avverte, anzi si scusa. Non erano tali il Ven. D. Bosco e D. Rua, che per gli Artigianelli e per noi... Cerchiamo solo la maggior glo­ria di Dio e il bene delle anime, come Mosè e S. Paolo; nel resto godia­mo del bene da chiunque sia fatto e procuriamo d'imitare lo zelo degli altri.
Conchiudo con S. Giov. Crisostomo: invidiosi pejores diabolissunt; diaboli enim non invident diabolis; at homines hominibus invident suis similibus (Buseo).
P.P. Albertone, quad. VI, 114-120
25 Aprile
Quest'oggi facciamo S. Marco, o S. Giuseppe, o la Domenica? S. Giusep­pe finisce per guadagnarci: si son di nuovo dette tutte le messe di S. Giuseppe; eccetto io, ho dovuto cantare Messa, e ho dovuto cantare quella di S. Marco. I canonici domandavano: che messa dobbiamo dire? Oh, dacché la chiesa ci di­ce che quest'oggi si può dire la Messa di S. Giuseppe, è permessa per tutto, non v'ha dubbio si dice di S. Giuseppe.
Vedete noi lo preghiamo tutti i giorni: fac nos innocuam Joseph decurrere vitam... ma specialmente quest'oggi: tutti i giorni lo invochiamo: abbiamo tanto bisogno che ci benedica qui e là in Africa, e nel Kaffa, che si metta alle porte del Kaffa come si è messo a quelle del Kikuiu, o Gekoio, come vogliono dire adesso, credo che non sia ancor l'ultimo, avessero messo subito 'o' od 'u', era deciso... «Oh, bravo, bravo!» (entrava P. Cravero). Avete letto il periodico di questo mese? di Maggio? C'è una bella relazione del P. Benedetto che parla di Karoli che è andato a visitare il presepio di Tusu. La leggerete.
Due parole su quello dell'altra volta. Per conoscere se abbiamo questo vi­zio bisogna che ne conosciamo i caratteri: che conosciamo quanto veleno c'è in questo male affinchè possiamo metterne rimedio per il presente e per l'avve­nire.
I maestri di spirito dicono che i segni per poter conoscere l'invidia sono molti ma si possono ridurre a quattro. Quattro adunque sono i segni, i caratte­ri: 1° Gaudere de malo proximi: godere del male del prossimo. Questo è uno dei segni che abbiamo invidia. Quando uno sente qualche cosa di un altro, qualche cosa che non gli è andato bene? goderne nel cuore. Nel mondo si dice: «Teh! sono contento! S'iu meritava!». In comunità capita più di rado; ma qualche volta capita anche, almeno si ha la tentazione, dunque primo è gaudere de malo proximi. Saranno piccole cose: una lezione male recitata in iscuola;
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sarà una disgrazia, non ce n'è disgrazie, quello che si dice disgrazia sarà la let­tura in refettorio, una rottura, uno sbaglio e si è contenti che il superiore... «e capiranno...!». Si fa un poco questo: almeno questa roba nella [testa].
Si vede uno che è più deboluccio,... generalmente arriva fra gli emuli, quelli dello stesso corso questo ... di rado capita che uno più giovane goda di quello che capita a uno più anziano; capita fra uguali. Nel mondo capita mol­to ma anche in comunità. Vedremo poi il rimedio, ma dobbiamo dire subito quando viene questo per la testa: «Vade retro satana!». Questo è il primo se­gno di questa tentazione.
2° Tristari de bono proximi: rattristarsi del bene altrui. E alle volte viene un po' di malinconia nel vedere che un altro è stato messo in un ufficio più al­to del nostro, più importante del nostro, mentre noi siamo mandati ad accen­dere i lumi, a scopare ecc.
Vorrei che di tanto in tanto si facesse un po' di esame. Ah, che è facile avere un po' di questo! Dunque questo è il secondo segno per iscontrare in noi se non il peccato almeno un po' di...
3° Laudes proximi deprimere. Quando si sente a lodare un altro...: «Sì, sì, si, ha tante belle doti..., ma ci manca un po' di questo... sì, se avesse questo sarebbe perfetto..., ma ...!». Che bisogno c'è di dire questo? Capita nei con­corsi più grossi.. quello di Castelnuovo, ora per esempio... Per voi non dovete sapere, ma solo per dire... si dice: «E... quel lì va bene ma ci manca solo quel­la qualità là... Non si può dire che non abbia ingegno, o sì... certo! salute an­che ... ecc.; ma l'è 'n po' prunt!». Ecco vedete si ha sempre la voglia di toglie­re qualche cosa. Questo è ciò che succede nel mondo e lo dico anche ai nostri convittori. Laudes proximi deprimere! Non si può negare una lode, ma si con­cede a mezza bocca, a mezzo fiato... ci rincresce concedere tutto e diciamo: «darmagi ch'ii manca susì, ch'ii manca son...» e m'immagino che siamo come in questo mondo. Oh, come è maligno questo! questo dire: «ci manca questo, ci manca quello!». Non si nega mica la lode, ma si deprime in questo modo con qualche attenuante. Brutto! eppure è frequente! In un modo o in un altro si tenta...
4° L'è: apertamente detrarre. Parlarne male. Prendere il posto ... abbas­sando lui ci sono subito io...! De proximo detrahere, — qui c'è scritto, ma ... ci vuole ... detrahere, vuole: proximo. - Detrahere proximo. Si sente che le qualità di un altro tolgano un poco del nostro, ci oscurano, «Ah, quel là il pri­mo parroco del corso! avrei creduto che fosse un altro!». E... vi sono tanti esempi, a noi, non arrivano, ma bisogna applicarle a noi, al nostro caso prati­co.
Dunque il 4° l'è spirito di detrazione. Dapprima si comincia con un tantino, poi si finisce colla detrazione, col parlarne male. Si dice, è una calunnia, si dice che i sacerdoti non badano abbastanza alla lingua, è una calunnia, ma bisogna fare attenzione che tante volte abbiamo dato e diamo tante volte occa­sione a questa calunnia. Alle volte, non chiaramente, ma di sottomano si cerca di deprimere.
Dice S. Giovanni Grisostomo, che invidiosi sono peggiori del diavolo. Pejores diabolo sunt. Diabuli enim non invident diabolis, homines vero hominibus invident suis similibus. Perché, dice, il demonio non ha invidia del de­monio mentre gli uomini invidiano i loro simili. Tra loro i demonii non hanno invidia benché abbiano disperazione, l'uomo invece ha invidia. Si dice quel proverbio: cane non mangia cane, e noi se non si ha la degradazione di man­giare i nostri simili, come quelle madri che mangiavano i loro figli, come si legge a Gerusalemme... Che orrore di mangiare i proprii figli!... Sono casi che fanno orrore! Gl'invidiosi sono proprio così, dice S. Giovanni Grisostomo che sono peggiori del demonio. Dunque sono quattro i segni per conoscere che uno ha invidia: 1° Tristari de bono proximi, 2° gaudere de malo proximi, 3° proximo detrahere, 4° Parlarne male.
Ma veniamo ai rimedii. I rimedii sono tre. Dice S. Bernardo, che un rime­dio per vincere l'invidia è di considerarne l'inutilità. È una sciocchezza invi­diare, tanto chi ha, ha! Possiamo domandare al Signore che dia anche a noi ma invidiare agli altri è una cosa inutile. Possiamo domandare al Signore che dia anche a noi modestia, virtù, pietà che vediamo negli altri, lo studio ecc., che vediamo nel nostro compagno; il Signore ha dei tesori inesauribili e può dare a lui e a me. Il Signore è infinito. Perciò resta inutile invidiare una qualità che abbia un altro, dat omnibus affluenter et non improperat. Dunque consi­deriamo l'inutilità dell'invidia, e non solo ma anche l'inutilità che essa reca all'anima, i danni che reca all'anima ed al corpo.
L'invidioso, il geloso, ne soffrono nell'anima e nel corpo. Sono come quelli che desiderano la roba altrui, e che soffrono nell'anima e nel corpo. L'invidia è una tristezza, una malinconia, è come una malattia di cuore. Sape­te in campagna quando vi sono due famiglie vicine e che si invidiano. E si dice che sono rose d'invidia. Dunque vedete che l'invidia è dannosa all'anima e an­che al corpo. Vorrei che di tanto in tanto esaminaste, se non c'è qualche cosa. Dice un autore che l'invidia fa niente di bene, multum vero damni, tum animae, tum corporis. Vedete che goffaggine è l'invidia. Che cosa vado a pren­dermela? Che cosa ne ho io tanto? Quel che l'altro è, è! Non posso mica tirar­lo giù! Non posso mica deporlo.
2° Rimedio. Sapete che abbiamo detto che l'invidia era la figlia della superbia. E dice un S. Padre: Suffoca matrem et non erit filia. È nipote. La su­perbia produce la vanagloria, e la vanagloria produce l'invidia. Così la super­bia sarebbe nonna dell'invidia. Ossia figlia seconda, comunque sia... Se vo­gliamo avere un vero amore del prossimo bisogna che vinciamo l'invidia, e specialmente abbattere la superbia.
3° Rimedio. Congaude alicui, cui Deus aliquam gratiam donavit; et tua est! Se ne godo è come se fosse mio. Massime noi in comunità. Godere perché un altro predica bene; un bene di uno è un bene di tutti i membri. Questo è un detto di un antico: Congaude ecc... et tua est! Ora et opta aliis quod tibi et amplius. Domanda per gli altri quello che hai tu, e di più ancora: et amplius. Questo è adunque il terzo rimedio contro questo vizio.
Dunque questi sono i rimedii: Primo: Meditare la bruttezza di questo vi­zio: l'invidia. Che vergogna per noi al dì del giudizio quando si vedrà da tutti e si dirà: Quanto ero geloso! Come invidioso! Il secondo come ho detto, vincere la superbia. E il terzo è di sforzarsi di godere e di domandare al Signore: date­gliene di più, e quando vediamo che gli altri hanno: Deo gratias! Io, o un al­tro, questo è per accidens, purché tutta la comunità si faccia onore. È per noi come per i soldati: La compagnia, il plotone ecc., come si dice, Carlo lo sa me­glio di me, compagnia o plotone fa lo stesso, bisogna cercare l'onore comune.
Si legge nel libro della sapienza che sine fictione et sine invidia communi-co. Partecipo le idee, le doti volentieri. Senza invidia e senza finzione. Voi avete il voto di povertà e non potete trasmettere le vostre cose ad un altro per­manentemente senza permesso; se avete un libro, ci vuole il superiore e non si può dare la proprietà ad un altro senza il permesso, della roba della comunità; ma in tante altre cose: se io so tante belle cose, non dico i lavori che ognuno deve fare da sé, ed è proibito, ma in altre cose... L'altro stenta un poco in que­sto, ebbene, parlo in ricreazione, e glielo dico. L'invidia dice: Ma se glielo di­co fa poi lui bella figura. E che cosa importa? Sine invidia communico. Se non faccio più io quella bella figura, la fa un altro e fa lo stesso. Mosè sapete come vi ho detto: c'era qualcun altro che profetava, cioè che predicava e gli altri vanno subito a riferirglielo. E se fosse lui stato invidioso avrebbe detto: «Si, sono io! Io che devo predicare!», e avrebbe imposto silenzio, e invece lui che non era invidioso: «Utinam omnes prophetent!». Volesse il Signore che tutti profetassero. Così anche voi, utinam che tutti siano così; volesse il Signore! Che tutti sapessero bene, che tutti sapessero predicare, che tutti fossero predi­catori di cartello: intendo di dire predicatori come si deve. E così al fine dell'anno tutti lode; e io così spero e voglio che communichiate. Vedete come è bello essere tutti riuniti in comunità e godere gli uni degli altri. Mons. Gastaldi ce lo ripeteva di frequente: «uniti, facciamo onore al clero torinese!» e noi facciamo onore alla comunità. Trasmettere agli altri o almeno desiderare che anche gli altri abbiano quello che abbiamo noi. Facciamolo. Così quando volete fare la meditazione sulla carità, sull'amore del prossimo, pensate che l'invidia si oppone direttamente alla carità. Che peccato fa l'invidioso? Diret­tamente pecca contro la carità, e poi anche di superbia, ma direttamente pecca contro la carità del prossimo. E l'altro di S. Paolo lo sapete, queilà che crede­vano di fare pressura alle sue catene col predicare e dicevano: «eh!? Solo lui? anche noi sappiamo! e che cos'è lui?... Siamo buoni anche noi...!». E così per contentionem predicavano. Non per buono spirito, ma per superare lui, ebbe­ne lui che cosa ha fatto? cosa ha detto? Dummodo Christus praedicetur... purché si predichi Gesù Cristo! Omnimodo, comunque sia...! Che si predichi Gesù Cristo! Omni modo, comunque sia. Ha persino detto un po' troppo: di­rei che il Vangelo si annunzi con un altro spirito, ma lui, non è stato a guarda­re e ha detto in generale, purché si predichi. Vedete che energia e che forza! Che bella cosa! Egli non guarda il modo, anche che sia per contentionem et in­vidiam! Gaudeo, sed et gaudebo! Credono di farmi dispiacere, ed invece io go­do, e ne godrò sempre. Siano o no essi colpevoli, contro l'invidia bisogna go­dere del bene del prossimo; non guardare lo strumento ma il fine. Non io solo, ma tutti in universo mundo, e lui, diceva questo che era l'apostolo delle genti. Non dobbiamo avere nessuna paura che ce lo tolgano e che lo diano ad altri. Dummodo praedicetur! Non dobbiamo avere paura che ci tolgano un pezzo di missione per darla ad un altro, e che non l'abbiamo più noi, fa lo stesso! Pur­ché si annunzi il Vangelo! Mi diceva il Segretario di Propaganda Fide, Card. Veccia: la vigna è nostra, quando uno non può fare tutto si dà ad un altro, purché si possa convertire. E fa tanta pena vedere che si cerca solo estensione, e poi? e queste sono storie! se la missione non si può coltivare si lascia stare! che si cerchi un altro che possa. E mi diceva: I nostri padri, i Gesuiti avevano una missione in America, e non si poteva più sostenere e si sono raccomandati a Propaganda, perché se potevano la dessero ad un altro; e dicevano; noi la- sceremo tutto come si trova, e quei che verranno piglieranno tutto. E diceva che deve essere così. Certe comunità vogliono un'estensione immensa, e que­sto è zelo cattivo; quando vi sarà data un'estensione come mezza Europa e sie­te quattro gatti, e allora? — Noi non faremo così! neh? Speriamo che come nel Kenya, essere tanti e bene; così nel Kaffa essere tanti individui da popolar­lo tutto, e per ora non cerchiamo altre terre. Preghiamo il Signore anche per le Missioni, che tante missioni han dovuto lasciare tutto. Così i Belgi avevano delle congregazioni famose, e hanno dovuto scappare tutti; quanto danno! E così quando non c'è l'invidia si prende parte ai mali di tutti!
Un bravo prete diceva di D. Cafasso: «Quelli, si che è un sant'uomo, non è come tutti gli altri». Perché quei di Castelnuovo, si dice, che hanno tutti in­vidia gli uni cogli altri, perché sono tutti dello stesso paese: e invece D. Cafasso non era così.
Così D. Bosco degli Artigianelli godeva che venissero su e li aiutava; e co­sì ha persino accompagnato il Teol. Murialdo al Papa per poterlo tirare su.
Così Mons. Cagliero per noi, che godimento aveva e diceva sempre che era necessario di avere una casa più larga di questa e che questa non bastava. E così sempre ci scrisse. Così Mons. Costamagna l'avete veduto quando è ve­nuto qui; lo stesso. E D. Rua? Oh! D. Rua! era tutto pei missionari! Siete voi sapete che l'avete fatto morire. Nell'ultimo anno desiderava tanto di vedere ancora il luogo dove aveva dato l'esame di vocazione sotto D. Bosco, perché D. Bosco andava a predicare a S. Ignazio, e lo conduceva con sé e gli ha dato a S. Ignazio l'esame di vocazione, e così gli faceva fare conoscenza di tante per­sone per avere poi il mezzo di andarle a squattrinare. E l'ultima volta che è an­dato a Lanzo ha voluto andare a S. Ignazio per vedere ancora una volta; e mi ricordo che nel dopo pranzo diceva che quando i nostri fossero arrivati a Mar­siglia, c'era appunto una partenza allora, che andassero dai Salesiani e faces­sero proprio come a casa loro. E non aveva nessuna invidia. E questo brav'uomo venendo giù da S. Ignazio quel dì ha preso un colpo e poi non s'è più sta­gnato. E non è morto per quello ma dopo di allora è sempre stato così così; e quando è arrivato a casa ha dovuto mettersi a letto.
Vedete i santi non hanno invidia e si interessano di tutti; e quel Padre Carpignano s'interessava di tutte le opere e se poteva le raccomandava e le aiutava.
Eppure ci sono di quelli che hanno la paura che gli altri poi li sorpassino. Quando si va a domandare per le proiezioni, e per le missioni e si raccomanda­no certi parroci che non si domandi che altrimenti non danno più per la chie­sa. È mai vero? Quando c'era solo il Cottolengo a Torino viveva il Cottolengo, e poi c'è venuto D. Bosco ed ha trovato da vivere D. Bosco, e poi c'è venu­to gli artigianelli e possono vivere; e trovano da vivere tante altre opere che non dovrebbero vivere. Bisogna avere questo spirito: se vediamo il bene, pren­dere parte e se difetti coprirli.
Avere quello spirito di carità vicendevole. Dummodo Christus annuntie-tur; siamo tutti destinati allo stesso scopo.
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