LA PRATICA DELL'ACCUSA PUBBLICA

13 ottobre 1916
Quad. XII, 14
Sull'Accusa pubblica (V.VI, p. 1 - 4 Febbr. 1910)
P.P. Albertone, quad. VII, 53
Conferenza del 13 Ott. 1916
(Sulla pratica del Venerdì)
[Forse solo ai Novizi]
Siete buona parte che non sapete ancora che cosa si viene a fare qui al Venerdì a sera. Vedete, si viene qui a fare una pratica di umiltà che aiuta mol­to a farci santi, e ci fa conoscere noi stessi. Noi non possiamo portare cilizi, fare grandi mortificazioni che ci aiutino a raggiungere la perfezione; noi fac­ciamo ben poco in quanto a pratiche di disciplina, altre Comunità ne fanno di più; ma noi almeno facciamo di accrescere il vero spirito, con questa pratica che consiste in questo. Come i peccati si accusano in Confessione, i veniali si cancellano anche con l'acqua santa, ecc. ... così le mancanze esterne che si commettono verso la Comunità bisogna trovar modo di ripararle, perché la Comunità quasi si è offesa, ha avuto una macchia che bisogna togliere. Così quest'accusa serve a rimettere in ordine la Comunità. Certe cose possono neppur essere peccato, e non sarebbe necessario confessarle, ma sono deficienze alla Regola: perciò l'accusa è apposta per queste deficienze. Di più si può aver dato scandalo, ed i compagni vedendo poi l'atto di accusa riparano lo scanda­lo.
Di più questo chiamar perdono delle offese in pubblico fa bene sia per noi per umiliarci, per mortificare lo spirito di superbia; sia per gli altri che ci sen­tono; essi vedendo un Confratello che nessuno l'ha visto, neppur i Superiori, e dice che ha offeso la comunità, si edificano, e oltre edificarsi, prendono sa­lutare timore. I Santi facevano così: più potevano mettersi sotto i piedi degli altri, e più erano contenti.
Questi sono i motivi: quindi prima di tutto cercate di farla bene; e farsi un dovere di venir sempre in chiesa per quest'accusa, non trovare pretesti per non venire, anche si sentisse ripugnanza; e venendo invitati dalla sorte, o me­glio ancora sarebbe chiamati dal Superiore, già da voi avvisato prima; ecco chi è chiamato si presenta in mezzo e accusa ciò che gli pena.
Tutti devono far l'esame, e anche prima di quel breve tempo che si dà:
lungo la settimana, quando si commette qualcuna di queste mancanze esterne che ho detto, bisognerebbe tenerle preparate, e la miglior cosa sarebbe, avvici­nandosi il venerdì, andar dal Superiore e pregarlo che ci chiami. Chi ha com­messo qualche guasto, rotto un bicchiere in Refettorio, ecc. deve sempre dirlo anche che nessuno abbia visto, così la Comunità si edifica.
Gli anni scorsi questa pratica la facevate molto volentieri, continuate.
Ciò che si dice qui dentro, ai piedi di Gesù Sacramentato, bisogna mai parlarne fuori, neppure pensarci in privato. Quando vi viene questo pensiero dite: Quel compagno è più umile di me! Intanto pregate il Signore per lui che si emendi. E guardate, il pensiero di ciò che si fa qua dentro scacciatelo come se fosse una tentazione del demonio. Se fuori di qui si parlasse di questo, an­che tra due soli, basterebbe per guastare tutto. E anche se venisse in testa, si capisce che si può mica sempre impedire: «Guarda quello là che cosa ha fatto!». Pensate: «e io?... quanto avrei dovuto accusare di più davanti alla Comunità se fossi stato a suo posto». Fate quest'esercizio con grande spirito, e vedrete che vi sarà di grande aiuto nella vostra perfezione.
giuseppeallamano.consolata.org