VITA DI FAMIGLIA — AMORE FRATERNO

24 dicembre 1916
P.P. Albertone, quad. VII, 187-188
Conferenza del 24 Dicembre 1916
(Dopo letti gli auguri di buon Natale).
Ebbene, vi ringrazio degli auguri che mi avete fatto e li accetto anche a nome del Sig. Vice-Rettore che li riceve anche come me. Certo che la mestizia che ho in cuore, il dolore per tanti dei nostri che sono lontani mi viene aumen­tata dai vostri auguri, se non avessi la credenza che vive il Signore, vivit Dominus, il quale esaudirà le nostre preghiere. Però, anche in mezzo a queste di­sgrazie che il Signore permette all'Istituto, tuttavia mi manda tante consola­zioni. E una di queste consolazioni è per me il vedere che il vostro cuore soffri­va quando qualcuno dei nostri soldati doveva partire: ho proprio visto che voi soffrivate con me. Questo prova che i dolori e le allegrezze di uno sono anche dolori ed allegrezze degli altri; e questo mi fa piacere. Se avessi visto che stava­te indifferenti, lì... avrei dovuto dire: — Oh, questa non è la casa che io avevo ideato, che il Signore mi aveva ispirato. Invece vi so proprio dire che ho osser­vato che soffrivate, che provavate pena quando qualcuno doveva andar via e questo mi fa piacere, e me ne rallegro con voi. E così quando qualcheduno era tornato da fuori, lo avete sempre ricevuto bene: si vede che sentivate. E questo va bene: qui dentro si deve coltivare questa pianta dell'amor fraterno: «Amorem fraternitatis habeatis ad invicem».
Questo mi porta tanta consolazione, mi aiuta a portare la croce, perché è certo che io soffro, perché se soffrite già voi, tanto più soffro io. Perché natu­ralmente voi non capite ancor tanto, io capisco di più. Sapete che solo a pen­sarci, soffro, e se ci penso di notte non posso più dormire; finché vado a fare una visita a N. Signore ed allora mi addormento come S. Giovanni sul costato di Gesù. E poi speriamo che il Signore la farà finire una volta, e ci conformia­mo alla volontà di Dio.
In mezzo a queste pene ho ancora un'altra consolazione. Ed è questa che i nostri cari Sacerdoti, chierici e coadiutori che sono alla milizia, si sono sempre conservati forti in mezzo alle prove, sempre fortes in fide, anche in mezzo alle difficoltà si sono sempre diportati da missionarii e ciò si vede in tutte quante le lettere, e nelle notizie intime che mi mandavano: naturalmente voi non le leggevate tutte le lettere: tante cose sono solo per me. Neh? Quante lettere ci ha mandato D. Ferrero, così belle, e poi anche il nostro caro D. Re (ch. Re) neh? che per rallegrarci ci scriveva sempre quasi in poesia, per ingannare il prossimo... dimenticava il suo male... per far vedere che anche in mezzo ai suoi mali aveva ancora il buon umore... E poi tutti gli altri...
Si fa quel che si può con generosità, e poi il Signore da forza: hilarem da-torem diligit Deus. Ebbene, tutte quelle lettere ci facevano vedere che i nostri soldati vivevano secondo il loro stato, facevano il loro dovere. Questa è la se­conda mia consolazione. Ed io ho speranza che ne usciranno ancora più forti, e ho detto: In mezzo a quei lì ci saranno dei missionari che faranno del bene... Il Signore farà in modo che ne traggano più esperienze, e prontezza nelle pro­ve. Vedete, io vorrei mandarvi tutti in Africa a far servizio in quegli ospedali.
Dobbiamo ringraziare il Signore, non solo perché non c'è ancora stato nessun morto come in tante altre comunità, mica più numerose della nostra, sapete. Ma molto più per lo spirituale che hanno sempre tenuta alta la fronte, hanno sempre fatto il loro dovere e non hanno mai avuto bisogno di essere ca­stigati: mai nessuno che sia stato castigato. E dire che c'è sempre il castigo lì in aria. C'era il mio domestico che mi diceva: Per una cosa da niente: 100 giorni di prigione. Ebbene per i nostri non c'è ancora stato niente, grazie a Dio. Solo una volta ch. Re, neh? che è stato cinque giorni in prigione ma si è offerto lui al posto di un altro, l'ha fatto per salvare un altro. Non parlo dei chierici Borello che sono i visitatori apostolici, e che vanno a trovare tutti nei loro viaggi. E poi tutti gli altri. Solo ieri è venuto a trovarmi un Sacerdote che veniva dalle parti là del Lago Maggiore, e mi diceva che nell'ospedale di Pallanza c'era un prete che faceva molto bene, senza sapere che fosse lì D. Maletto: un prete che faceva proprio molto del bene tra i soldati, e avanti, me ne faceva l'elogio, senza sapere di chi parlava. Io naturalmente l'ho lasciato dire, ed alla fine gli ho chiamato: «Si chiama ben Maletto?» «Si» — mi risponde. Allora gli ho detto: È un mio missionario. Allora mi diceva poi: — Sì?! io non lo sapeva: appena arrivato a Pallanza vado subito a fare conoscenza!
Tutti i sacrifici che fanno li fanno per il Signore, e si fanno dei carri di meriti. Ringraziamo il Signore e rallegriamoci con quelli che sono venuti a passare il Natale con noi, e state allegri, anche quelli che dovranno di nuovo andare sotto le armi; altrimenti se cominciate già adesso cosa facciamo?...
L'altr'anno vi avevo detto, sotto l'assicurazione di Mons. Bartolomasi, che per Ottobre sarebbe venuta la pace, invece devo dirvi che ho sbagliato, il Signore non ce l'ha ancora voluta dare. Ma io spero che per l'anno venturo, anzi ancora più presto, saranno tutti qui, ed allora canteremo un Te Deum!...
Perché una volta che ci sia la pace, i missionari hanno altro da fare e perciò non si fermeranno più negli ospedali. Pregate il Signore che esaudisca le pre­ghiere di tutti i buoni e specialmente del Papa che lavora tanto, affinché illu­mini i popoli, i regnanti...
Vi ringrazio dell'augurio che mi avete fatto; me li fanno anche dall'Afri­ca sapete, mi sono arrivate tante lettere, ma le leggeremo un'altra volta. Ades­so accetto gli auguri anche a nome del Vice-Rettore, ed i vostri componimenti, cosicché possiamo consolare il S. Cuore di Gesù. In modo che se il Signore in questi giorni mandasse a cercare degli uomini giusti nelle città della Pentapoli, non ne trovi solo alcuni, ma molti. Mettiamoci con impegno, in questa setti­mana per compensare tutto quello che non abbiamo fatto durante l'anno. Preghiamo il Signore che dia uno sguardo a noi, ed ai nostri soldati, e ci usi misericordia, «secundum magnam misericordiam suam».
Farete dei sacrifici, pregherete bene, proprio che la nostra preghiera sia un incenso che ascenda fino al trono di Dio; e così affretterete quel giorno feli­ce, in cui torneranno fra nor permanentemente i nostri cari. Pregate bene spe­cialmente questa notte. Dite al Bambino: O Signore, Tu sei Re della pace, dunque dacci la pace: «Veni, Domine visitare nos in pace». E poi continuare... Nessuno manchi all'appello: mettiamoci tutti con impegno par­ticolare in questa notte, domani e poi tutta la settimana per ottenere la pace.
Dunque, passate bene questa festa, bene questa notte, santamente, e poi anche domani. Coloro che hanno da andare via dimentichino per domani che hanno da andare via, non parlatene nemmeno; ne parlate poi di nuovo dopo, ma domani godetevi la festa: bisogna stare tranquilli...
giuseppeallamano.consolata.org