QUINQUAGESIMA — LA CARITÀ

15 febbraio 1920
Quad. XV, 15
(15 Febbraio 1920)
Sulla carità - Epist. di Quinq.
La S. Chiesa oggi nell'Epistola ci fa leggere un tratto della lettera di S. Paolo ai Corinti. L'Apostolo dopo avere prima parlato dei doni straordinari e delle grazie gratis datae, per provare che in essi non sta la santità personale, fa un magnifico elogio della carità, ed incomincia: Si linguis... In tutto il capo 13 parla dell'eccellenza della carità verso Dio ed il prossimo, come la più necessaria (V. 1 - 3); la più utile/ (4 - 7) per 15 caratteri, e la più duratura perché durerà eternamente (8 - 13). Esa­miniamola attentamente.
Pratica per noi (V. Quad. VIII p. 11). Cinque caratteri.
P.V. Merlo Pich, quad. 74-82
15 Febbraio 1920
L'epistola di oggi, tolta dalla Lettera di S. Paolo ai Corinti c. XIII, è un vero panegirico della carità: carità verso il prossimo e verso Dio. Essa è quasi divisa in tre parti: 1) È necessaria - 2) è utile - 3) dura in perpetuo.
1) Si linguis hominum loquar etc. ... Si tradidero corpus meum ita ut ardeat... È vero, questo non avviene senza la carità; ma dice che se anche avve­nisse... nihil prodest. S. Agostino racconta che alcuni ai suoi tempi si son get­tati nei pozzi per morir martiri. Ma quello non era martirio: era un capriccio. Siamo anche noi fatti così: vogliamo cose straordinarie. S. Luigi di Francia, avvertito di correre a vedere il Bambino che teneva in mano un Sacerdote mentre diceva Messa, rispose: Non ne ho bisogno; l'ho sempre creduto. Noi saremo corsi !...
2) Utilità della carità. E qui S. Paolo enumera 15 titoli che sono allo stes­so tempo a) mezzi per acquistarla, b) segni che si ha, c) frutti di essa.
3) Durerà in eterno. Tutte le altre cose finiranno; invece la carità conti­nuerà, sarà aumentata.
Vi ho già parlato tante volte della carità, ma non se ne parla mai abba­stanza: nella carità c'è tutto. S. Francesco di Sales diceva: Molti ripongono la perfezione in questo e in quello: io per me non trovo altro mezzo per ottenere la perfezione che l'amore di Dio e del prossimo.
In particolare: bisogna amare il prossimo per amore di Dio, altrimenti non è più carità.
Come si deve amare il prossimo? La legge fondamentale è questa: Faccia­mo agli altri quello che vorremmo sia fatto a noi, e così non far loro ciò che non vorremmo fosse fatto a noi. Questo sia dal punto filosofico che teologico.
E questo si trova spiegato nella Sacra Scrittura, dove si dice che bisogna:
1) Flere cum flentibus.
2) Gaudere cum gaudentibus.
3) Sopportarsi a vicenda: alter alterius onera portate.
4) Aiutarci a vicenda.
5) Perdonare le offese.
1) Flere cum flentibus: è la prima condizione per avere la carità. Bisogna cominciare di qui. Se non si ha carità qui fra noi, non vi sarà anche coi neri, colle anime che avremo da convertire. È inutile dire: Laggiù avrò poi tanta pa­zienza, tanta carità. Bisogna acquistare qui quella carità vicendevole: Amorem fraternitatis habueritis ad invicem: far un corpo solo. Quindi se un mem­bro soffre, tutti soffrono: flere cum flentibus. Chi non si commuove quando un compagno ha qualche pena, spirituale o materiale, costui non ha una vera carità.
In questa comunità, grazie a Dio c'è questa carità; ma bisogna che ce ne riforniamo sempre più; se uno ha una pena, l'altro bisogna che senta pena, di­spiacere, come se fosse propria. Ma attenti! Bisogna farlo per amor di Dio;
quindi, tanto se viene ammalato questo come un altro, mi dispiace, e prego lo stesso per lui. Se vedo un compagno in pena, cercare di sollevarlo...
Adesso che Ch. Ferino è ammalato (è stato un po' grave, ma adesso sta meglio) ho visto che ne prendete parte. Non dico che sia necessario di dire: Mi prendo io il male per toglierlo a lui; questa sarebbe carità perfetta; ma almeno che uno ne prenda parte, preghi per lui. Ed ho saputo che quando accennava a qualche gravità, c'erano molti che eran felici di andarlo a sollevare. Non dico che chi non è capace vada là a far l'infermiere, e imbroglia solo, ma chi è sta­bilito deve stimarsene fortunato.
In missione questa sarà la cosa che ci consolerà di più.
2) Gaudere cum gaudentibus: godere del bene dei compagni. Non essere gelosi. Si vedono certe volte certe miserie! Basti che si lodi un compagno, e quello invece di unirsi a lodarlo anche lui, o fa silenzio, o va subito a trovare il «pelucco»; è il diavolo!... Se c'è qualcosa da dire, si dice poi alla lunga: non subito reprimere quelle lodi, cercare di diminuire la stima altrui, quasi che fos­se a detrimento della nostra! Utinam omnes prophetent — diceva là Mosè.
Di questo vi ho già parlato tante volte. Ma è perché se avrete questo, ave­te tutto; come diceva S. Giovanni e poi la Chantal che ripeteva sempre questo. «Perché, diceva, voglio lasciare nella Congregazione come il gusto dell'amor di Dio. Voglio imitare il mio padrino, e finché vivo voglio parlare sempre della carità». È per questo che in tutte le case della Visitazione si trova un vero amo­re vicendevole.
Questa cosa, godere del bene dei compagni, non è tanto facile come cre­dete. Esaminatevi! Un missionario mi scriveva dall'Africa di raccomandarvi di godere del bene dei compagni...
S. Paolo diceva: «Dummodo Christus annuntietur». I Santi non erano invidiosi. Quel bene è meglio che l'abbia un altro che io: io me ne insuperbirei, sarei un superbiaccio... Perché scrivo bene, e i superiori vengono sempre da me, credo già di essere chissà cosa!...
3) Alter alterius onera portate. Questo è necessario massime in comunità. Non far come quei frati di cui vi ho già parlato altre volte... È così brutto che in comunità non si sappia sopportare negli altri i difetti fisici e morali; e dall'altra parte attenzione a non dar noia coi propri difetti. L'uno ha qualche difetto, in bel modo aiutarlo a correggersi. Ed io non ne ho dei difetti? Sop­portare i difetti di qualunque genere: fisici, morali ed intellettuali. Questa dev'essere materia di esame. Non dire: per uno sopporterei tutto, per quell'al­tro no! Tutto è nostro prossimo.
4) Aiutarci vicendevolmente. Non dire: «Non tocca a me». Non voler fa­re quello che non si è capace; ma prestarci a tante cosette... Vedo uno che por­ta qualcosa, ed è affaticato: vado a dargli una mano!
Fare come il Can. Nasi che una volta vedendo una povera donna che non poteva tirare un carretto, egli si è messo di dietro a spingere (coi suoi baveri) finché poi poteva tirar da sé; ed allora la donna si è voltata tutta confusa, gli altri son stati tutti edificati; invece egli diceva: Ho sol fatto il mio dovere...
Se uno ha bisogno di una nozione di studio, io in tempo di ricreazione gliela do senza prendere un'aria maestosa. «Sine invidia communico». Aiutar­ci! Prendersi il lavoro di mano! Fa tanto piacere quando in una comunità c'è un lavoro da fare, e tutti si offrono: «Ecce ego, mitte me». Ho sempre visto che in generale i deboli farebbero tutto loro, invece i robusti stanno lì... Sono cose che possono succedere: esaminatevi !...
5) Perdonare le offese. Tutto il mondo lo sa. Il Signore non dice solo di perdonare: «Dimittite et dimittemini», ma dice di più: io sono obbligato a chiamare perdono a chi mi ha offeso. «Si offers munus tuum ad altare, et recordatus fueris quod frater tuus habet aliquid adversus te... relinque ibi mu­nus tuum... et vade reconciliari fratri tuo». Noi diremmo «s'aggiusti! ». No! Non basta ch'io abbia niente contro di lui, ma anche che lui abbia niente con­tro di me. E fino questo. E dice lo scopo: «Hai acquistato un fratello». L'oc­casione può capitare: in ricreazione... ebbene finirla subito. Alla sera poi, mai andare a dormire senza aver fatto pace: «Sol non occidat super iracundiam vestram». Per questo non è necessario inginocchiarmi ma si dice una parola...; qualche volta basta un sorriso.
Si deve perdonare, e non dire: «Perdono ma non dimentico». Possibile! vi pare che questo possa stare insieme? Oppure: «Perdono, ma non saremo più amici come una volta!». «Perdono ma stia lontano da me».
Dobbiamo avere il fiore, il succo della carità: dobbiamo andare agli ec­cessi... Fare come Mauro, discepolo di S. Benedetto che è andato nel lago per salvare il compagno. Bisogna che cominciamo di qui; se capitano qui queste cose, non succedono poi là? Cominciamo dalle piccole cose. Se non vi vincete adesso qui che siete piante tenere, in Africa non vi vincerete più. Dovete po­tarvi, e lasciarvi potare dai superiori.
Io vorrei che quando avete un po' di tempo prendiate questo capitolo di S. Paolo e lo meditiate.
Ed in questo triduo (carnevale) domandate al Signore questa carità: «Ac­cende in nobis ignem tui amoris». Dalla carità imperfetta passare alla perfet­ta, la quale poi ha ancora tanti gradi.
Questa è la vita nostra. I primi cristiani, e anche al tempo dei grandi Santi di Alessandria, si volevano tanto bene, che i pagani li ammiravano: «Vedi co­me si vogliono bene!». Così di voi fuori dicano: «Come si vogliono bene». Vi sentono gridare tutti insieme in ricreazione. Ciascuno si esamini bene: L'ho perfetta questa carità? Non mi manca più niente?... Son già proprio al colmo? Il colmo della carità lo avremo solo in Paradiso, qui dobbiamo avere più che possiamo. In questi giorni domandatela al Signore. Allora se avrete la vera ca­rità, avrete anche la divozione ed il mezzo per progredire sempre nella perfe­zione!
P. G. Richetta, quad. 20
15 Febbraio 1920
Carità fraterna
Epistola Domen. di Quinquagesima
In quest'Epistola S. Paolo dimostra che la carità è:
1) la virtù più utile
2) la virtù più necessaria
3) la virtù più duratura.
Enumera 15 titoli che sono insieme:
1) mezzi per acquistarla
2) segni per conoscere se l'abbiamo
3) frutti di essa.
Legge fondamentale dal punto di vista filosofico e teologico: fare agli al­tri ciò che vorremmo fatto a noi.
Dalla S. Scrittura circa la carità fraterna si richiede:
1) Flere cum flentibus
2) Gaudere cum gaudentibus
3) Alter alterius onera portate
4) Aiutarsi a vicenda (Can. Nasi spinse carretto povera vecchia)
5) Perdonare le offese - Si offers munus tuum...
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