- Dettagli
-
Scritto da Beato Giuseppe Allamano
22
maggio 1921
Quad. XVI,
15
(22 Maggio 1921) S. Trinità
Il Vangelo che la S. Chiesa ci fa leggere oggi
è proprio di noi missionarii. Gesù... Il mistero della SS. Trinità formerà i nuovi cristiani. Senza questa fede non si entra nella Chiesa, e non vi è salute. Ma come persuadere i
convertendi a credere, questo inscrutabile mistero? La nostra divozione alla SS. Trinità, ed il riferire a Dio Uno
e Trino ogni onore e bene. S. Francesco
Zaverio: O beatissima Trinitas (Hamon). S. Ignazio: Ad
majorem dei gloriam. Così otterremo la grazia di fare credere agli infedeli il sublime
mistero.
Le nostre opere in tanto sono buone (V. Quad. V p. 13).
P. V. Merlo Pich, quad. 318-322
Festa della SS. Trinità (Appunti)
I missionari devono
essere divoti in modo particolare del mistero della SS. Trinità, perché devono formare i cristiani con
questo mistero, in nome della SS. Trinità. Ci vuole una grazia particolare di Dio per piegare la testa degli
infedeli a credere questo mistero; e questa grazia dobbiamo meritarla noi colla divozione alla SS. Trinità.
Per questo però non basta una divozione qualunque; non basta far atti di fede e di adorazione; ci vuole un
ossequio particolare; e quest'ossequio deve consistere nel far ogni nostra azione a onore di Dio uno e trino; non
lavorare, non far niente su questa terra se non per questo. Dio ci ha creati con questo fine e non poteva crearci per
altro fine: «Omnia propter semetipsum creavit Dominus». La sua gloria poi ridonda tutta a nostra
utilità: «Ego ero merces tua magna nimis».
Quindi S. Ignazio si era preso per motto
quella frase: «Ad majorem Dei gloriam». E S. Paolo diceva: «Soli Deo honor et gloria» —
«et mihi confusio» aggiungevano i santi. «Et nunc quae est expectatio mea?»: «Nonne
Dominus?». Mi ricordo che quando ero chierichetto, un bravo professore mi suggeriva di farmi questa domanda nelle
tentazioni di vanagloria. Così quando qualcuno di voi sentisse il prurito dell'ambizione, si domandi:
«Et nunc quae est expectatio mea?» e risponda: «Nonne Dominus?».
Ci sono tre sorta
di opere: cattive, buone e indifferenti.
1) Opere buone: Quando uno è in grazia di Dio tutte le opere
buone sono accette a Dio e meritorie. Però ogni tanto, al mattino e durante il giorno, bisogna indirizzarle al
Signore: «Tutto per voi, sapete! voglio mica essere un ladro!». In questo modo si aumenta il premio, si
rendono le opere più perfette, più meritorie: e si compie ogni volta un atto di virtù. Vedete, ci
vuole anche l'intenzione attuale.
Dir come il Cafasso: «Che folle sarei se consummassi questi giorni
senza cercare la sola gloria di Dio!». Ecco: non bisogna essere smemorati per tutta la giornata.
2) Le
opere cattive di loro natura non si possono indirizzare a Dio, e perciò non bisogna farne.
3) Le
opere indifferenti è necessario indirizzarle a Dio. «Sive manducatis, sive bibitis, sive aliud quid facitis,
omnia in gloriam Dei facile». Al mattino bisogna mettere l'intenzione di non muovere un dito, di non aprir una
palpebra, di far niente se non per Dio: «O Signore, io sono vostro dalla testa ai piedi: voglio avere
neppure un capello che non sia vostro!».
Il Castelvetere racconta che un religioso mentre mangiava,
meditava le spine della corona di N. Signore. Il Superiore che lo guardava da una finestra ha visto che mangiava proprio
delle spine. Poi glielo ha domandato: «Ma, come va che mangiavi delle spine?». Allora glielo ha detto che
meditava le spine del Signore. Vedete un po': tutto il materiale si era convertito in merito di meditazione.
Così dobbiamo anche far noi, qualunque cosa che facciamo. Così p.e. mentre scopo, dico al Signore:
«Signore, scopate ben bene l'anima mia non solo dai mortali, ma anche dai veniali...».
Io credo
che il motivo per cui tanti si son fatti santi così in fretta, come S. Gabriele dell'Addolorata, è
perché santificavano tutte le azioni, prendevano occasione da tutte le piccole cose da farsi dei meriti.
Quali sono gli indizi di questa retta intenzione? Sono tre:
1) l'indifferenza nel cominciare le
opere, e farle unicamente per piacere a Dio.
2) Applicazione nell'eseguirle: farle con diligenza, senza
fretta e senza lentezza, sia che piaccia o no, disposto a troncarla se è volontà di Dio.
3)
Quando si è compiuta non aspettare che ci facciano i complimenti; e anche se non ci è riuscita bene, non
lasciarsi disturbare: «ho fatto il mio dovere e non voglio nient'altro». I Superiori dovrebbero farlo
apposta a non lodare. Ci approvino o disapprovino deve farci lo stesso: ho fatto il mio dovere, e basta. Così
si guadagnano tanti meriti... poi una grazia tira l'altra...; è come mettere il denaro ad usura.
Ci
deve bastare la parola di N. Signore dal tabernacolo quando andiamo in chiesa: «Son contento». Neppure bisogna
aspettarci che lo faccia esternamente come a S. Giovanni Gualberto, fondatore dei Vallombrosani, che entrato in
chiesa dopo aver perdonato ad un cavaliere che aveva ucciso il suo fratello, in un venerdì santo, ha visto il
Crocifisso che ha fatto col capo un cenno di approvazione.
P. A. Garello, fogli datt. pp. 14-15
Festa della
SS. Trinità
I Missionari devono essere divoti in modo particolare del
mistero della SS.ma Trinità, perché devono formare i cristiani con questo Mistero, in nome della SS.
Trinità. Ci vuole una grazia particolare di Dio per piegare la testa degli infedeli a credere questo mistero,
e questa grazia dobbiamo meritarla noi colla divozione alla SS.ma Trinità. Per questo non basta però una
divozione qualunque, non basta far atti di fede e di adorazione.
Purità d'intenzione: ci
vuole un ossequio particolare; e quest'ossequio deve consistere nel fare ogni nostra azione a onore di Dio uno e trino;
non lavorare, non far niente su questa terra se non per questo. Dio ci ha creati con questo fine, e non poteva
crearci per altro fine: «Omnia propter Semetipsum creavit Deus». La Sua gloria poi ridonda tutta a nostra
utilità: «Ego ero merces tua magna nimis». Quindi S. Ignazio si era preso per motto quella frase:
«Ad maiorem Dei gloriarti». Mihi autem confusio, aggiungevano i Santi.
Quando ci sentiamo il prurito dell'ambizione e nelle tentazioni di vanagloria
dobbiamo farci questa domanda: «Et nunc quae est espectatio mea? nonne Dominus?».
a) Opere
buone: quando uno è in grazia di Dio tutte le opere buone sono accette a Dio e meritorie. Però ogni
tanto, al mattino e durante il giorno bisogna indirizzarle al Signore: Tutto per voi, sapete, non voglio mica essere
un ladro! In questo modo si aumenta il premio, si rendono le opere più perfette, più meritorie: si
compie ogni volta un atto di virtù. Bisogna dire come il Cafasso: Che folle sarei se consumassi questi giorni senza
cercare la sola gloria di Dio.
b) Opere cattive: Le opere cattive di loro natura non si possono
indirizzare a Dio, e perciò non bisogna farne.
c) Opere indifferenti: è
necessario indirizzarle a Dio. «Sive manducabitis sive bibitis, sive aliud quid facitis, omnia in gloriam Dei
facile!». Al mattino bisogna mettere l'intenzione di non muovere un dito, di non aprire una palpebra, di non
far niente se non per Dio. O Signore, io sono vostro dalla testa ai piedi: voglio avere neppure un capello che non sia
vostro.
Il Castelvetere racconta che un religioso mentre mangiava meditava le spine della corona di Nostro
Signore. Il Superiore che lo guardava da una finestra vide che mangiava proprio delle spine. Poi gli domandò:
«Ma come va che mangiavi delle spine?». Allora gli disse che meditava le spine del Signore. Tutto il materiale
si era convertito in merito di meditazione. Così dobbiamo fare anche noi. Per es. mentre scopo dico al Signore:
«Signore scopate ben bene l'anima mia non solo dai peccati mortali ma anche dai veniali. Io credo che il
motivo per cui tanti si son fatti santi così in fretta, come S. Gabriele dell'Addolorata, è
perché santificarono tutte le azioni e prendevano occasione da tutte le piccole cose per farsi dei
meriti.
Indizi di retta intenzione:
a) Indifferenza nel
cominciare le opere e farle unicamente per piacere a Dio.
b) Applicazione nell'eseguirle: farle con
diligenza, senza fretta e senza lentezza, sia che piaccia o no, disposti a troncarla se fosse volontà diDio.
c) Quando si è compiuta non aspettare che ci facciano i complimenti: e anche se non è riuscita
bene, non lasciarsi disturbare: ho fatto il mio dovere, e non voglio altro. I Superiori dovrebbero farlo a posta a non
lodare... Ci approvino o disapprovino, deve farci lo stesso: ho fatto il mio dovere e basta. Così si
guadagnano tanti meriti... poi una grazia tira l'altra: è come mettere il denaro ad usura. Ci deve bastare la
parola di N. Signore dal Tabernacolo quando andiamo in Chiesa: sono contento! Neppure bisogna aspettarsi che lo faccia
esternamente, come a San Giovanni Gualberto, fondatore dei Vallombrosiani, che entrato in chiesa dopo aver perdonato ad un
Cavaliere che aveva ucciso suo fratello, in un Venerdì Santo, ha visto il Crocefisso che ha fatto col capo un cenno
di approvazione.
- Dettagli
-
Pubblicato: Martedì, 13 Giugno 2006 23:00