beat12Il significato di questo nostro incontro può essere riassunto dalle parole che campeggiano sullo sfondo: "Vi ho dato tutto".

1. Siamo convenuti a Roma per partecipare alla Beatificazione di Giuseppe Allamano e la frase citata ci fa capire anzitutto, perché è proclamato Beato. Sono parole da lui dette al termine della vita ed esprimono la sua coscienza di non aver posto limiti alla sua donazione. Le riferì direttamente ai Missionari e alle Missionarie della Consolata, per i quali hanno una particolare risonanza. Ma avrebbe potuto dirle anche a altri: alla sua diocesi, amata e servita fino a identificarsi totalmente e per sempre con essa; al santuario della Consolata, al convitto ecclesiastico, alle missioni. Umilmente avrebbe potuto dirle anche a Dio stesso, alla cui gloria e al cui onore tutto ha subordinato. E qui sta la santità. Santi sono coloro che sanno dare tutto, senza scendere a compromessi, non si accontentano di sentimenti o mezze misure, perché - diceva l'Allamano - "con il Signore non si mercanteggia; o tutto o niente!".

2. Da questo dare tutto scaturisce l'impegno missionario, perché alla missione si va solo per amore, dice 1'Allamano. Allora, siamo qui anche per animarci alla grandezza della missione. E' questo il messaggio forte che la Beatificazione di Giuseppe Allamano lancia alla Chiesa. Quando le missioni erano considerate una specie di "tabù", o al margine della vita ecclesiale, egli capì che ogni battezzato è necessariamente missionario: non soltanto perché questo è il comando di Cristo alla Chiesa, ma perché un amore che non conosce limiti non può fermarsi alla porta di casa, ai confini della parrocchia, della diocesi, della nazione. E Giuseppe Allamano aggiunge qualcosa di più: propone ai suoi missionari di non fermarsi neppure alle missioni e opere loro affidate, ma di comportarsi come lui che voleva essere "Missionario universale".

3. Siamo qui per sentirci come una famiglia. Giuseppe Allamano è un uomo che attirò attorno a sé un grande numero di persone, perché era capace di dare aiuto, consolazione, fiducia. Il suo sorriso bello, che aveva del celestiale, il fare bonario, l'acutezza nel valutare le situazioni, la mente e l'occhio vigile e attento a quanto accadeva gli guadagnavano simpatie. Ma più di tutto, attirava il suo cuore di Padre, che mai rifiutava di accogliere angustie di spirito, persone in difficoltà o disorientate. Senza strombazzamenti, ha saputo intessere una fittissima rete di relazioni e di vere amicizie. Per cui al momento opportuno poté contare sulla generosa collaborazione di una grande schiera di uomini e donne. Così, non ha avuto difficoltà a mettere insieme somme ingentissime per i restauri del santuario della Consolata, ha ottenuto la cooperazione di tutte le forze della diocesi per la sua impresa missionaria, ha potuto rintracciare le persone capaci di far rivivere con i loro ricordi la memoria del Cafasso e permetterne il processo di Canonizzazione.

Seppe avvalersi dell'apporto di gente del popolo: erbivendolo, tranvieri, sarte, artigiani, come di ingegneri e uomini di scienza, di sacerdoti, Vescovi, Cardinali e Papi, di ambasciatori, principi e regine. Ma saremmo fuori strada se attribuissimo questo a abilità, anche se essa non è assente. Quello che lo ispira è il concetto di Chiesa come famiglia di Dio, in cui gioie, dolori, preoccupazioni, ideali interessano ugualmente tutti, in cui ognuno deve mettere le sue capacità a servizio del Regno di Dio. "La parrocchia è come una famiglia" diceva ai suoi castelnovesi. L'Istituto è una famiglia ripeteva ai suoi missionari e alle missionarie; "formiamo un solo corpo morale" in qualunque posto e occupazione, vivi e defunti.

Così anche noi oggi attraverso le voci della Chiesa locale e dei missionari, dell'Africa, dell'America e dell'Europa, ci vogliamo preparare alla Beatificazione, sentendoci famiglia, la famiglia allargata di Giuseppe Allamano. Solo così potremo continuarne l'opera. I Vescovi italiani hanno recentemente coniato uno slogan fortunato, scrivendo che la missione non è attività di navigatori solitari. Di Giuseppe Allamano è stato detto che ha potuto realizzare le sue grandi imprese, perché vi ha coinvolto una marea di gente. Nonostante la sua predilezione per il bene fatto senza rumore, la sua Beatificazione attiri ancora attorno a lui tanta gente, per sentirci tutti insieme una famiglia di inviati a rendere presenti nel mondo i valori del vangelo.

Tutto questo richiamano le parole: "Vi ho dato tutto", che ora saranno cantate in riedizione poetica, che dice: "tutto a tutti, mai stanco d'amar". Cantiamo il suo amore totale, che:
- diventa missione
- per la missione raccoglie una grande famiglia;
- la quale ha in lui un padre, un ispiratore e una guida.

Per chi ama le coincidenze dei numeri e scoprirvi segreti significati, il numero fortunato della nostra festa è il 65. 65 anni fa Giuseppe Allamano compiva un pellegrinaggio simile al nostro, per partecipare alla Beatificazione dello zio Giuseppe Cafasso. Prima di partire disse: "Ci vollero 65 anni, ma alla fine tutto è riuscito bene".
Quasi 65 anni (manca solo qualche mese) sono stati necessari anche per arrivare alla Beatificazione dell'Allamano. Anche in questo, zio e nipote si ripetono.

In sessantacinque anni di attesa, molte sono le persone che hanno desiderato vivamente di vedere questo giorno e non lo vedono. Per lo spirito di comunione che ci anima crediamo che anch'esse partecipano alla nostra stessa gioia. Ma il privilegio di essere qui è un dono di Dio e a lui siamo grati.

Dono di Dio, esso è stato preparato dalla cooperazione di molti, ai quali dobbiamo riconoscenza per la felice conclusione della Causa di Beatificazione di Giuseppe Allamano: agli arcivescovi di Torino, in modo particolare al Card. Ballestrero e a Mons. Giovanni Saldarini che l'hanno sentita come propria; ai Rettori succeduti all'Allamano al Santuario della Consolata, che hanno sempre professato la loro convinzione sulla santità dell'Allamano; al primo Postulatore della Causa, p. Giacomo Fissore che ebbe solo l'onere del lavoro senza vederne il risultato; a quanti si sono dedicati alle ricerche storiche e nello studio della spiritualità e del carisma, anzitutto P. Candido Bona e P. Igino Tubaldo; a quanti in qualche modo hanno dato il loro contributo alla Causa.

Venendo alle u1time fasi, un grazie particolarissimo è dovuto a Don Francesco Moccia, che non soltanto ha diretto competenza i lavori della Causa, ma lo ha fatto con vera partecipazione e interesse di amico e fratello; al Ponente della Causa, l'Ecc.mo Mons. Paolino Limongi. Infine, a quanti si sono prestati per la preparazione di questi giorni di celebrazioni a Roma e altrove. Impossibile ricordare tutti. Mi permetto soltanto di dire un grazie al Maestro Ferrera, a Giuseppe Capone e J. Kahumburu che hanno musicato gli inni al nuovo Beato, al Maestro Temistocle Capone e al suo coro.

E non posso non sottolineare la partecipazione e la collaborazione generosa della diocesi di Torino e del Santuario della Consolata, per quanto hanno fatto e, soprattutto, perché il messaggio missionario di Giuseppe Allamano sarebbe incompleto senza il riferimento alla diocesi e al santuario della Consolata.

Tutto il cammino compiuto non si ferma qui; guarda in avanti. Giuseppe Allamano soprattutto in circostanze speciali come questa, ripeteva un frase caratteristica, breve ma carica di impegno: "Nunc coepi": cominciare subito, di nuovo, sul serio, oggi e non domani. L'evento che stiamo per vivere rinnovi in tutti questa determinazione. La sua Beatificazione porti un vento nuovo di entusiasmo, energia. Ancora una volta grazie a tutti: "Coraggio. Avanti".

Ai Missionari e alle Missionarie della Consolata ricordo quanto ha scritto il Padre Generale: "Un Fondatore esaltato e un Istituto ripiegato su se stesso non vanno d'accordo". Ciò vale in modo speciale per l'Allamano che voleva i suoi missionari come i bersaglieri che "non camminano mai adagio, van sempre di corsa".

E ancora: "Un Fondatore glorificato e un Istituto non incandescente nel fervore non si combinano molto". Meno che mai per Giuseppe Allamano che voleva: "Pochi, ma buoni; pochi, ma che sappiano fare per molti; pochi di qualità". Oggi non fa più paura il numero: ci hanno pensato i tempi in cui viviamo a ridurlo! Motivo di più per prendere sul serio l'insistenza sulla qualità e sulla convergenza di tutti allo stesso scopo.

Nelle Chiese locali in cui siamo e in particolare in quella di Torino, l'esempio del nuovo Beato susciti il suo stesso zelo per saper vederle, e affrontare come lui le nuove esigenze dei tempi e di aprirsi sempre più all'universalità e alla missione. Come hanno scritto nella loro lettera pastorale i vescovi della circoscrizione di Nyeri, l'evento della Beatificazione dell'Allamano deve farci pensare a quanti non condividono con noi il dono della fede e indurci e pregare e lavorare perché molti altri siano partecipi del nostro gaudio. Tutti questi sentimenti, soprattutto la riconoscenza, convergono in un nome: CONSOLATA. Il pensiero va al suo santuario di Torino, da dove tutto è partito. Penso che domani le campane del santuario suoneranno con particolare esultanza. Tra esse, una canta ancora la riconoscenza dell'Allamano che la regalò al santuario in occasione del suo cinquantesimo di Messa, con la scritta significativa: "Per tè vergine Consolata il Signore ci ha elargito doni con munificenza regale". Egli sentiva di dovere tutto alla Consolata. E noi pure Missionari e Missionarie della Consolata sappiamo di dovere tutto alla Consolata, anche questo giorno. A lei il nostro grazie, con le sue parole cantiamo la nostra riconoscenza al Signore.

Ricerca nel sito

giuseppeallamano.consolata.org