20. LA POVERTA'

L'esempio di Nostro Signore

Nostro Signore venne sulla terra per redimerci e per farsi nostro modello. S. Paolo, come già abbiamo accennato, dice che l'Eterno Padre ha decretato che non possa salvarsi chi non sarà trovato conforme a N. S. Gesù Cristo: Dio ci ha manifestato il mistero della volontà sua, quel piano stabilito e predisposto in lui (Gesù) per l'economia della pienezza dei tempi, di ricondurre a un unico capo, Cristo, tutte le cose (325). Gesù stesso ci invita a seguire il suo esempio: Vi ho dato l'esempio, affinché anche voi facciate come ho fatto io (326). S. Paolo dice di sé: Siate imitatori miei, come anch'io sono di Cristo (327). Dunque Gesù è nostro esemplare: Io sono la via, la verità e la vita (328) e noi dobbiamo studiarlo, per imitarlo e ricopiarlo in noi. San Bernardo dice al riguardo: "Abbiamo di che ammirare, amare e imitare" (329).

Orbene, Gesù ha praticato tutte le virtù, ma ce n'è una che sembra ch'egli abbia prediletta e della quale volle farsi in modo speciale nostro modello: la povertà. "L'ha tanto amata - dice ancora S. Bernardo - che, non trovandola in Cielo, è venuto a cercarla sulla terra" (330). Lo afferma pure S. Paolo: Per noi essendo ricco si fece mendico (331). Perciò egli fu povero nella nascita, più povero nella sua vita, poverissimo sulla Croce. Pauper in nativitate, pauperior; in vita, pauperrimus in cruce (S. Bernardo) (332). Consideriamo queste tre espressioni.

POVERO NELLA NASCITA - Gesù nacque quanto più poté povero. E notate, di propria volontà, non per necessità che ne avesse. Discendente di stirpe regia aspettò che questa fosse decaduta e ridotta a povertà; scelse per Madre una donna povera, per Padre putativo e custode S. Giuseppe, che col lavoro manuale guadagnava il necessario per vivere... Esaminiamo la capanna di Betlemme: niente di più povero; una mangiatoia con poca paglia e pochi pannolini portati da Nazaret. San Francesco d'Assisi, il più perfetto imitatore della povertà di Gesù, meditava spesso tanta povertà nella nascita di Nostro Signore e godeva di averlo imitato almeno in parte, col nascere egli pure in una stalla (333); e fu lui a lasciare in eredità ai suoi Frati la pratica del presepio.

PIU' POVERO IN VITA - Il Salmista disse del Messia: Povero io sono e nei travagli fin dalla mia giovinezza (334). Visse povero e di professione povera, cioè lavorando con le sue mani. Così santificava il lavoro. Osservate la casetta di Nazaret: è povera quanto mai. Quivi passò tutta la vita, lavorando come figlio del falegname, per avere il sostentamento. Poi nei tre anni di vita pubblica: Il Figliuol dell'uomo non ha dove posare il capo (335); si scelse gli apostoli fra i poveri; per pagare il tributo dovette fare un miracolo. Tanta stima aveva della povertà, che la proclamò la prima delle beatitudini: Beati pauperes! (336). Per contrario, fulminò le ricchezze: Vae divitibus! (337).

POVERISSIMO IN CROCE - Gesù nudo sulla Croce... le sue stesse vesti divise fra i carnefici... Per esser sepolto ebbe bisogno della carità di un lenzuolo e dello stesso sepolcro.

Questo esempio deve bastarci a farci concepire grandissima stima della santa povertà, tanto più noi e dobbiamo e vogliamo imitarlo da vicino. Nulla ci deve spingere maggiormente alla pratica di questa virtù, quanto l'esempio di Nostro Signore. Imitarlo tutto, ma specialmente nella povertà. In Paradiso avremo poi il premio che ci tien riserbato: ma fin da questa terra noi riceviamo il centuplo. Tutti i Santi, dietro l'esempio di Lui, amarono e praticarono la povertà. S. Francesco d'Assisi la chiamava "la sua signora" (338).

La povertà e le altre virtù

L'esempio e gli ammaestramenti di Nostro Signore sono il primo e il più potente stimolo a stimare, amare praticare la santa povertà. Ci sono però anche altri motivi per farcela apprezzare. Tutte le altre virtù ricevono vita, in certo qual modo, dalla povertà. Difatti, noi esaminiamo le singole virtù, vediamo ch'esse esistono e si sviluppano solo se c'è l'amore alla povertà. Se manca questa, anche quelle vengono meno.

LA FEDE - Può la fede stare senza la povertà? Ma come può dire di aver fede colui che non crede a Gesù e ha detto: Beati i poveri?... Colui che, in opposizione agli ammaestramenti di Gesù, stima buona cosa ricchezze e fortunati i ricchi?... Purtroppo che può avvenire anche fra noi di fare preferenza fra ricco e povero. E così avviene talora nel ministero, quando si tratta di luoghi o uffici lucrosi. Si dice: "Quella è una buona parrocchia!". Buona perché? Forse perché c'è molto lavoro, molto bene da compiere, molte anime da salvare? No, ma perché è ricca. Quale sproposito!

Ma veniamo a noi. Non dico proprio che abbiamo idee false come queste, tuttavia non abbiamo le idee di Nostro Signore. Anche fra noi, vedete, preferiamo o invidiamo quel compagno che ha qualcosa, e talora ci vergognamo di far vedere un parente povero. Quando volevano far Arcivescovo di Torino il B. Sebastiano Valfrè, questi mandò a chiamare in fretta suo fratello che giunse a Torino vestito alla buona, da campagnuolo. Il Santo gli andò incontro con la vettura del Duca, ve lo fece salire e si sedette accanto e così attraversarono tutta la città. E a tutti quelli che gli si facevano incontro, diceva: "E' mio fratello, è mio fratello!". E poi al Duca: "Sì, è mio fratello, ha tanti anni e fa il contadino, ecc.". Poi dopo aver spiegato tutto di suo fratello, soggiunse: "Vi pare che si possa fare Arcivescovo di Torino uno che è nato da famiglia così e così, che ha un fratello contadino? Vostra Altezza si farebbe ridere dietro! ".

Vedete? un vero Santo non si vergogna mai di essere povero. Che se è di condizione elevata, la nasconde, contento di apparir povero. E' tanto facile - e non vorrei che succedesse qui - che si abbia paura che gli altri vedano i nostri parenti un po' umili di condizione.

Se abbiamo fede, bisogna che pensiamo, che parliamo, che agiamo secondo i principi della fede. Beati pauperes! La vera fede non può stare con principi che sono in contraddizione con la medesima. O s'è ingannato Nostro Signore o c'inganniamo noi.

LA SPERANZA- La speranza è tutta rivolta al Paradiso e non fa caso delle cose terrene. Beato l'uomo che non è andato dietro all'oro, né ha sperato nel denaro e nei tesori! (339). Ma quanto è difficile questo distacco! Quanto pochi s'incontrano di questi uomini, che non sperano nel denaro e nei tesori! Chi è costui che lo proclameremo beato? (340). Sembra quasi che l'autore del libro sacro si stupisca di trovarne pur uno: Chi è costui? Come se dicesse: se c'è, mostratemelo e lo loderemo. Et laudabimus eum!

S. Giuseppe Cottolengo fu uno di questi uomini, vero modello di questa virtù. Guai se vedeva che qualcuno dei suoi s'affannasse per le cose materiali! Quando una Suora venne da lui a lamentarsi che non le rimaneva che un marengo e c'erano oltre cento ricoverati da nutrire, egli le tolse di mano il marengo e lo buttò via dalla finestra, dicendo: "Così impari a confidare in Dio e non nel marengo!". E' tanto facile riporre la propria fiducia nel denaro! No, no; bisogna invece dire: In Te, Domine, speravi! O Signore, io spero in te e non nel denaro!... Facciamo un po' di esame: non sono io attaccato ai beni di quaggiù? Quanti si credono distaccati e non lo sono! Ah, quis est hic?... Solo chi non va dietro all'oro, né spera nel denaro e nei tesori ma in Dio, opera meraviglie: fecit enim mirabilia in vita sua (341).

L'AMOR DI DIO - Anche l'amor di Dio non può sussistere senza la povertà in spirito, ossia lo spirito di povertà. Per amare Dio con tutto il cuore, non bisogna avere attacchi di qualsiasi sorta, soprattutto attacchi alla roba; se no, il cuore resta diviso. Ecco la ragione per cui tante anime sacrificarono e sacrificano tuttora i beni materiali, e abbracciano la povertà volontaria: appunto per avere il cuore libero, che possa amare Dio, darsi a Lui totalmente.

L'AMORE DEL PROSSIMO - Per poter operare molte cose in favore del prossimo, fa d'uopo avere il cuore staccato dalle cose di quaggiù. S. Bernardo dice di S. Malachia "che era povero per sé, ma ricco per i poveri" (342). S. Vincenzo de' Paoli, benché povero e appunto perché povero, spese più di 25 milioni per i poveri. Il B. Sebastiano Valfrè viveva da povero: nella sua camera aveva solo il letto e una sedia. Eppure per i poveri spese più di un milione e mezzo! Tutti portavano a lui, perché sapevano che nelle sue mani non c'era... la pece!

Quando uno vuol denari, bisogna che non ne voglia. Ma inteso: che non ne voglia di cuore, non di ipocrisia. Sapete il detto di S. Bernardo: che noi dobbiamo essere conche e non canali (343). Ciò egli diceva della santità: dobbiamo prima esserne pieni noi, per poter dare agli altri. Orbene - e questo lo dico io - nei riguardi del denaro dobbiamo essere solamente canali e non conche. Se la gente è sicura che nulla resta a noi, porta volentieri. Anzi, parlando in generale, se nel ministero ci sono delle macchie che fanno del danno, son proprio queste. In certi paesi tollerano cose più gravi, ma non questo. Talora si dice: "Ma è di diritto!". Ah, il diritto si può far valere altrimenti!... Quando si vede che il prete è attaccato, quando c'è la taccia di amore al denaro, si fa più nessun bene. Bisogna sapersi staccare per poter dare agli altri.

ALTRE VIRTU' - L'umiltà pure non può stare senza la povertà in spirito. I poveri possono più facilmente avere l'umiltà, perché non curati e disprezzati. Non così i ricchi. Uno che non abbia amore alla povertà, non può essere veramente umile: cercherà sempre di sollevarsi, di far vedere quello che non è, di nascondere quello che è. - La povertà, inoltre, custodisce la castità. Non si è casti, se non si è mortificati e la povertà s'accompagna molto bene alla mortificazione. Chi, ad esempio, si mantiene povero nel vitto, più facilmente si mantiene casto. - E così di tutte le virtù: come dello zelo per la salvezza delle anime. S. Bernardo applica al distacco dalla roba quelle parole di Nostro Signore: E io, quando sarò innalzato da terra, trarrò tutto a me (344). Ne consegue che convertiremo e santificheremo i popoli, nella misura in cui saremo poveri almeno di spirito.

La povertà e le Congregazioni religiose

Tutte le Congregazioni religiose pongono in primo luogo il voto di povertà. Pare che si dovrebbe dare la precedenza all'obbedienza, come a quella che è più eccellente, invece no. Il perché lo spiega S. Tommaso quando dice che "la povertà volontaria è il primo fondamento per giungere alla perfezione" (345). S. Ignazio di Lojola definisce la povertà: "il muro di difesa degli Ordini religiosi" (346). E anche Nostro Signore la pose come prima condizione per abbracciare la perfezione religiosa: Se vuoi essere perfetto, va, vendi ciò che hai e dallo ai poveri (347).

S. Francesco d'Assisi ne fece la caratteristica dei suoi Frati. Si presentò egli un giorno a Papa Innocenzo III con i suoi dodici compagni, poveramente vestiti, scalzi. Il Papa, all'annunzio di quel povero così male in arnese, non volle riceverlo. Nella notte però fece un sogno: vide la Basilica Lateranense che stava per crollare e questo povero che la sosteneva. Lo fece subito ricercare e venire a sé. Fu allora che S. Francesco gli presentò le Regole del nuovo Ordine, illustrandole con la nota parabola: "C'era un figlio di Re, che chiese al Re suo padre di allontanarsi dalla reggia per un giro di peregrinazione. Andò lontano e, trovata una buona figliuola, la sposò ed ebbe figli; e lì ristette, finché fu richiamato dal padre suo. Ecco: il Re è l'Eterno Divin Padre, il Figlio è Nostro S. Gesù Cristo, che venne a peregrinare su questa terra; quella signora è la povertà, che io pure ho eletta per mia sposa" (348). La Regola fu approvata, e in breve il nuovo Ordine si sparse in tutto il mondo.

E sempre il Santo tenne duro su questo principio fondamentale della povertà. In una delle adunanze più solenni tenutesi ad Assisi, qualcuno - come sempre succede nelle comunità Religiose - diceva che la Regola era troppo rigida e, appoggiati anche ad una lettera del Cardinal Protettore, volevano che vi si apportasse una qualche mitigazione. Ma il Santo vi si oppose con tutte le sue forze... Guai a quella comunità che vuol modificare! Guai alle comunità nelle quali s'infiltrano i borbottoni!

Una Congregazione religiosa in tanto vive e prospera, in quanto conserva lo spirito di povertà. Quando una comunità va rallentando in questo, tutto lo spirito se ne parte. Lo stesso può dirsi dei singoli membri: in tanto avanzano nella perfezione, in quanto sono fedeli ad osservare la povertà promessa. Richiamate a memoria quell'altro fatto di S. Francesco d'Assisi. Egli era ammalato e lo assisteva quella bell'anima di Fra Leone: il quale, messosi a pregare in un cantuccio, ebbe una visione. Vide molti frati che dovevano attraversare un fiume. Quelli che portavano sulle spalle un fardello, venivano trascinati e travolti dalla corrente; gli altri passavano tranquillamente. S. Francesco, avendo conosciuto per luce interiore il fatto di quella visione, se lo fece raccontare e poi lo spiegò: il fiume è il mondo, quelli che sono realmente staccati da tutto, passeranno facilmente in mezzo ai pericoli e si salveranno; gli altri che hanno fatto il voto di povertà ma non lo osservano, o presto o tardi verranno portati via dalla corrente (349).

Bisogna prendere la cosa sul serio. Noi non siamo Cappuccini, tuttavia dobbiamo avere lo spirito di povertà, perché se nei nostri paesi i Cappuccini possono avere sempre il necessario, non sempre potrà averlo il Missionario. Purtroppo spesso in Religione non si dà troppa importanza alla pratica della povertà religiosa; si prendono le cose alla leggera, ci si passa sopra facilmente. Perché? Perché non si ha un'idea giusta degli obblighi che uno ha assunto col voto di povertà e del come vi si possa facilmente mancare. Non così gli antichi Padri. Ricordate? Pecunia tua sit tecum in perditione! Così dissero sul cadavere di quel frate a cui dopo morte era stato trovato denaro, e il denaro seppellirono con lui (350). Bisogna che diamo importanza a questo voto. Se si osserva la povertà secondo la Regola e secondo lo spirito, la comunità andrà avanti benedetta da Dio, ma guai se venisse meno su questo punto!

Quando si trascura il voto di povertà, la comunità è prossima alla fine. Nei primi tempi ch'ero alla Consolata, c'era a Prefetto di sacrestia un Minore Osservante che non toccava mai i denari; si serviva per questo di una zampa di coniglio. Noi ridevamo, ma egli ci diceva che i Frati anziani avevano orrore del denaro. Certo c'era dell'esagerazione, ma non si esagera punto quando si dice che dobbiamo essere staccati dal denaro, che dobbiamo amare e praticare la povertà. Non tutti i Religiosi, ben inteso, son chiamati a fare come i Teatini che vivono d'elemosine, ma sono proibiti di chiederle; solo quando vien loro meno il necessario, possono sonare la campanella del convento, quale richiamo alla gente che venga loro in aiuto. Quando S. Gaetano fondò la Congregazione, parve a molti una stranezza; ma non lo era e non l'è davanti a Dio, che fa così gran conto della povertà.

Del voto di povertà

Le nostre Costituzioni parlano del voto e della virtù della povertà. Son due cose distinte; meglio, il voto aggiunge pregio alla virtù. Coll'osservanza della virtù s'acquista il merito della povertà; coll'osservanza della medesima come voto, essa ha doppio merito: della virtù e della Religione. Parimenti: trasgredendo solo la prima, si pecca solo contro la povertà; mancando al voto, si pecca anche contro la Religione; anzi, secondo alcuni teologi, nel voto solenne si peccherebbe anche contro la giustizia. Ecco l'importanza di esaminare ciò che appartiene al voto religioso e ciò che spetta alla virtù della povertà.

In che consiste il voto di povertà? Essenzialmente consiste nella rinunzia al diritto di usare e disporre a proprio arbitrio dei beni temporali, cioè senza, licenza del legittimo Superiore. Questo è il voto semplice, quale abbiamo noi e tutte le Congregazioni moderne. Il voto solenne, invece, importa la rinunzia al dominio radicale e ad ogni proprietà di beni temporali. Di qui la grande differenza tra il voto semplice e il voto solenne. Nel voto solenne gli atti di proprietà sono invalidi, nel voto semplice sono validi ma illeciti.

Ma perché fare solo più il voto semplice? Vi sono forse due sorta di povertà o non piuttosto una sola? La ragione è che la povertà non consiste essenzialmente nello spogliarsi di tutto, ma nel non potersene servire senza permesso. Lo spogliamento completo, secondo la maggior parte dei teologi, non è ex jure naturali et divino, ma solo ex jure ecclesiastico. E' la Chiesa che così ha stabilito per determinati Ordini religiosi.

Il voto semplice consiste dunque essenzialmente nella rinuncia al diritto di disporre a proprio arbitrio - cioè senza licenza del Superiore - sia dei beni della comunità, sia dei beni propri individuali. Spieghiamo meglio questa definizione.

1. - Si dice: diritto di disporre dei beni temporali a proprio arbitrio. Senza la rinuncia di questo, infatti, il voto di povertà non esisterebbe. Non può un Religioso, anche di voti semplici, disporre a piacimento, cioè di proprio arbitrio, dei beni di cui conserva il dominio radicale. Si richiede sempre il permesso, altrimenti si va contro il voto.

2. - Si dice: delle cose temporali, perché delle cose puramente spirituali il Religioso conserva non solo il dominio, ma anche il libero uso. Così delle sue preghiere. Sono equiparate alle cose spirituali le reliquie, le immagini e le medaglie di poco valore (non così i ricami, tessuti e lavori vendibili). Entrano ancora nell'ordine delle cose spirituali l'onore e la fama, a cui non si rinunzia col voto di povertà. Quanto ai manoscritti, S. Alfonso inclina a credere che il Religioso ne conservi la proprietà (ma potrebbe mancare contro l'obbedienza).

3. - Mons. Marozio aggiunge: rinunzia per amore di Nostro Signore; che è il motivo specifico del voto, ispirato dalla Religione e non da motivi puramente umani, come fu di alcuni pagani.

4. - Riguardo alle cose temporali come si applica il voto? Premetto che quando si dice cose temporali, s'intende sempre una cosa praetio aestimabilis, cioè che abbia un qualche valore. Ciò posto:

a) Il Religioso non può ricevere, dare, imprestare, consumare, distruggere senza licenza dei Superiori: sia che si tratti dei beni propri, che dei beni della comunità.

b) Anche per opere di carità ci vuole la licenza; senza permesso non si possono fare.

c) Non si può usare una cosa diversamente dalla licenza ricevuta, sebbene si tratti di uso onesto; tanto meno se si trattasse di uso vano o cattivo.

5. - Si dice: senza licenza del Superiore. Che dire di questa licenza?

a) Essa può essere espressa; basta però anche la tacita e la presunta: cioè tale che, dalle circostanze o segni, si presume che vi sia o che sarebbe data certamente, se richiesta. Avvertano i Superiori di andare adagio a dare le licenze e diano mai licenze generali.

b) E se il Superiore negasse ingiustamente la licenza? Non è scusato il Religioso, eccetto nel caso di necessità urgente, tale che scusi dall'osservanza del voto.

c) Il confessore può dare tale licenza? No; la dispensa data dal confessore non avrebbe valore, perché non da lui ma dal Superiore il Religioso si è obbligato a dipendere nelle cose temporali, e solo i Superiori hanno facoltà di dispensare.

6. - Quanto alla quantità richiesta per fare peccato mortale trasgredendo il voto di povertà, i Moralisti non sono d'accordo. Convengono però tutti nel dire essere necessaria una somma maggiore che nei peccati di furto; e che inoltre devesi considerare la maggiore o minore ingiuria che si fa alla Congregazione, nonché le circostanze a giudizio di uomo prudente.

Sono cose un po' difficili, perché non sempre si può stabilire con precisione ciò che spetta al voto e ciò che appartiene alla virtù. Tuttavia per voi è importante questo: nulla fare senza permesso almeno presunto. Quando c'è bisogno di qualcosa, si chiede la licenza; licenza data da chi può darla; licenza chiesta nel debito modo, cioè non strappata per forza, perché anche i Superiori sono tenuti alle Costituzioni e dovranno rendere conto del loro operato.

La virtù della povertà

I Religiosi non devono solamente evitare quanto è contrario al voto di povertà, ma avendo grave obbligo di tendere alla perfezione religiosa, bisogna ancora che s'impegnino ad osservare la povertà in tutta la sua perfezione. Mons. Marozio così distingue il voto dalla virtù: "Il voto riguarda direttamente la amministrazione esterna, la virtù mira direttamente all'affetto interno; il voto spoglia dei beni esteriori, la virtù rescinde ogni disordine del cuore; il voto ha ragione di mezzo, la virtù ha ragione di fine".

Se si trattasse di secolari, procureremmo che non pecchino nell'uso delle ricchezze e inoltre che ne stacchino il cuore. Il "Beati pauperes! " è per tutti; e il Salmista diceva: Se le ricchezze abbondano, non ponete in esse il cuore (351). Ai Religiosi invece S. Bernardo dice: "Non è la povertà in se stessa che sia virtù, ma l'amore alla povertà" (352). Un povero può non aver danaro, ma non è detto che abbia la virtù della povertà. Si può non aver denaro ed avere maggior attaccamento al denaro di quelli che posseggono.

Al contrario, si può aver ricchezze e non esservi taccati: come la Venerabile Principessa Clotilde, che aveva, ma n'era sì staccata che avrebbe voluto farsi carmelitana. L'ho sconsigliata a farlo per motivi particolari; viveva però come una perfetta Religiosa.

Che cosa dunque è necessario per avere la perfezione nella virtù della povertà? C'è una parte negativa: togliere tutto ciò che sa di vano e di superfluo, accontentandosi del necessario, e anche godendo di mancare talora del necessario. Poi una parte positiva: lavorare aver cura delle cose di comunità. Vediamo partitamente i singoli punti.

Togliere ciò che è vano

Ciò è evidente, ma non tutti l'osservano. Nulla che sappia di vanità deve trovarsi nel Religioso, perché contrasterebbe apertamente col suo stato. Quindi via ogni ricercatezza nelle vesti, nelle camere, nel mobilio, tutto. Non è da buon Religioso essere attillato, elegante.

E qui notate, o meglio ricordate, che i Superiori anno da rendere conto a Dio di questo. Talora sembra che non vogliano concedere quanto si chiede, ma è perché in coscienza non possono.

Togliere il superfluo

Bisogna inoltre che il Religioso procuri di tener nulla di superfluo e di non cercare il superfluo negli oggetti, nel vestito, nel cibo.

NEGLI OGGETTI - S. Teresa faceva sovente un po' di rivista in cella per assicurarsi che nulla vi fosse di superfluo. Così fanno i Religiosi ferventi. Che bisogno, ad esempio, di accumulare quaderni, pennini, ecc., oltre il necessario? Alle volte si ha la mania di avere avere... So di un Missionario (ora non c'è più), che aveva questa mania di accumulare roba, e chi passava alla sua Stazione doveva pagare il diritto di pedaggio, rilasciando qualche oggetto. Per carità, state attenti! Avendo il necessario, non cerchiamo altro perché in Missione questa passione aumenta. A S. Giuseppe da Copertino in punto di morte il Superiore domandò, com'era d'uso nel monastero, se avesse qualcosa da consegnare. Rispose che aveva nulla, proprio nulla. Così dovrebbero poter dire - e non solo in punto di morte - i buoni Religiosi. Il necessario e nulla più.

NEL VESTITO - S. Paolo dice: Avendo di che nutrirci e di che vestirci, sappiamo accontentarci (353). Per convenienza sociale non potremo andar vestiti di una pelle di cammello come S. Giovanni Battista, o di un abito tessuto di foglie di palma, come S. Paolo eremita; il vestito vuol essere adatto allo stato di ciascuno. Quando si esce, basta un vestito semplice e pulito, anche se vecchio o rattoppato. Quando sarete in Missione - e anche qui - non attaccate il cuore ad un vestito nuovo, avendone uno che serve ancora. Noi abbiamo tutti generalmente due talari, eppure ne abbiamo già più degli apostoli che il Signore mandò pel mondo con una sola tunica. Non aver quindi invidia perché ad un altro è stata data una talare più bella... In queste cose ognuno esamini se stesso. Il buon spirito sta nel mezzo: né troppo, né troppo poco.

NEL CIBO - La Sacra Congregazione di Propaganda Fide, fin dall'8 dicembre 1869, emanava un Decreto in cui ammoniva i Missionari: "I Missionari procurino di ridurre le spese del vitto e dei viaggi al minimo". Il Beato Gabriele Dufresse, martire in Cina, prescriveva in un Sinodo le seguenti norme ai suoi Missionari: "Si accontentino di una mensa parca e frugale... il cibo sia semplice... la mensa breve, evitino il superfluo, come nel resto così anche nel cibo" (354). Le nostre Costituzioni dicono: "Quantunque l'Istituto provveda ai suoi membri, per quanto gli è possibile, quello che è necessario od anche solo conveniente alla dignità, salute e conforto... il Missionario però da parte sua, in riguardo alla povertà cui si è obbligato, e ricordando che vive della carità altrui, dovrà adattarsi alle condizioni locali, contentandosi del necessario, e disposto di mancare talora anche di qualcosa necessaria" (355).

Bisogna dunque accontentarsi abitualmente del necessario. Non par vero: se talora a tavola manca qualcosa, anche solo il sale, subito si borbotta! Eh, si mangi senza sale! Ci dimentichiamo che nel mondo tanti non hanno quanto noi. Chi ha fatto voto di povertà o vuol farlo, deve accontentarsi di vivere da povero. Mons. Gastaldi diceva: "I giovani mangiano più di quanto abbisognano". Accontentatevi di quanto passa la comunità. Chi abbisogna di qualcosa di speciale, lo dica al Superiore e poi stia alle sue prescrizioni.

Non si deve parlare del mangiare, non essere avidi, non essere così fissi a quella campana, che guai se non s'incomincia subito l'Angelus! In Convitto, ai tempi del Cafasso, dopo l'Angelus si discendeva in saletta e si aspettava il Rettore, il quale alle volte s'intratteneva poi ancora in conversazione; e ciò faceva per abituarli a vincersi in questa voglia del mangiare Facciamo voto di povertà, quindi accontentiamoci del puro necessario, e anche quel poco accontentiamoci di averlo in modo povero.

Mancare talora del necessario

Per progredire nella perfezione della povertà fa d'uopo inoltre soffrire con pazienza e anche con allegrezza di mancare talora del necessario. E' la paupertas necessariorum di cui ci ha dato l'esempio Nostro Signore da Betlemme alla Croce. E' tanto comodo fare il voto di povertà e non sentirne gli effetti! Lo si potrebbe dire il voto di avere tutto ciò che occorre. Dice S. Bernardo che vi sono di quelli che vogliono essere poveri, a patto però che manchi mai nulla (356). E rivolgendosi a costoro dice loro: "Se non trovi sufficiente quello che hai, ricordati della povertà!" (357).

Se c'è qualcosa che desideriamo e non l'abbiamo, ebbene si fa un atto di povertà. E precisamente il non aver tutto ciò che si vorrebbe che ci fa praticare la povertà. Io dico che è bene che talora venga a mancare il necessario. Si va a tavola e si trova niente... cosa si fa? Ciò che fecero un giorno le Suore del Cottolengo: si misero a pregare; nello stesso momento suonò il campanello e portarono della farina, con cui fecero le tagliatelle e il pranzo fu fatto. S. Giovanna di Chantal godeva quando mancava di qualche cosa; eppure nel mondo era stata ricca. Lo stesso spirito avevano le sue Suore: era una gara di generosità nelle privazioni.

Questo spirito v'inclinerà anche a non pretendere eccezioni nella comunità. A me non piacciono le particolarità. Molte volte i nostri mali sono idee e non va bene crearsi dei mali ideali.

Bisogna far presenti i mali che uno ha, ma non fare come quelli che li inventano: "Mi pare di aver male... mi pare di non star bene" Una volta in seminario c'era un chierico al quale bastava dire una parola per convincerlo d'essere ammalato. I compagni che ciò sapevano gli si mettevano attorno e uno incominciava: "Uh, come sei pallido!". Un altro: "Non hai l'aspetto bello...". Un terzo: "Non ti senti bene?...". E continuavano così finché lui credeva di aver proprio male e chiedeva il permesso di mettersi a letto. Adesso fra voi queste pretese non ci sono, ma potranno verificarsi quando sarete un po' vecchi! Allora sorgono i capricci anche nel vitto. Una volta, in una comunità di Religiose si facevano sei o sette sorta di minestre. Una non voleva che pan pesto, un'altra sempre semola, ecc. Allora diedi ordine che se ne facessero due sole: una un po' più fine per le ammalate, l'altra per le sane, e basta. Può anche avvenire che l'eccezione di una settimana diventi l'eccezione di tutta la vita, se uno non ha spirito religioso. Ho conosciuto una persona religiosa che poteva prendere solo carni bianche, preferibilmente di pollo... Eh, il fumo del Purgatorio la farà annerire! Vedete che fisime ci facciamo!... Quelli che sono attaccati al mangiare lo sono perché non hanno altre consolazioni. L'Eucarestia dev'essere il nostro cibo quotidiano, cibo sostanziale.

Gli ammalati e la povertà

Certamente la comunità ha cura degli ammalati, ma vi sono due modi di curare: da poveri e da ricchi. Si fa quello che si può, né si deve pretendere di essere curati alla maniera dei ricchi. Si dice: "Ma i miei parenti sono pronti a pagare!". No, non è questo che mi appaga; la comunità non è una matrigna. Andate avanti in santa pace; il male passerà. il Signore ci mette del suo. Ad ogni maluccio non pretendere un medico speciale... Quando i poveri sono ammalati possono forse pretendere uno specialista che abbia delle tariffe molto alte? No, si accontentano del medico ordinario e delle medicine comuni. S. Giuseppe Cottolengo diceva ai suoi ammalati: "Se vi accontentate dei medici che abbiamo e delle medicine che preparano le nostre Suore, bene; se no, cercatevi un altro ospedale".

Sotto pretesto di costituzioni deboli, certi spiriti sono molto acconci a coonestare ciò che i Superiori non possono e non debbono concedere, e si finisce col procurarsi delle comodità. Ripeto: non voglio che vi teniate i mali addosso senza consegnarli, ma neanche che ad ogni minimo male abbiate bisogno di tante cure. Così non voglio che facciate penitenze a tavola senza permesso, voglio però che vi abituiate in modo che non abbiate sempre bisogno di qualcosa per digerire, bisogno di mille cure.

Non dire che per l'Istituto ci sono tanti benefattori. Non sempre i benefattori bastano. E poi non dimenticate mai che le offerte sono frutto dei sacrifici dei nostri benefattori e richiedono da parte nostra non solo che preghiamo per loro, ma soprattutto che ai loro sacrifici corrispondiamo con qualche sacrificio: nell'essere cioè contenti del necessario e anche di mancare di qualcosa. I benefattori intendono di provvedere il necessario; se fosse per il superfluo, se lo terrebbero. Quando leggo l'elenco delle offerte sul Periodico, vi assicuro che faccio una vera meditazione. Mi fermo di tratto in tratto a fare un'aspirazione a Dio per essi, a pregare per quelli che sono morti. Quelle cifre sono lacrime, sono sangue! Non vorremo imporci alcun sacrificio?... Ricordatevi di Davide, quando alcuni soldati gli portarono un po' d'acqua da essi attinta con pericolo della lor vita. Non volle berla perché: Num sanguinem hominum istorum... bibam? (358). Gli pareva di bere il loro sangue; perciò non bevve, ma ne fece oblazione a Dio. Un giorno venne al Santuario della Consolata un povero operaio a portare un anello. Bisognoso d'una grazia, aveva detto alla Madonna: "Non ho niente, solo questo anello; se mi fate la grazia, ve lo dono!". Ricevette la grazia e mantenne la promessa. Era solo un anello, ma era tutto il suo avere. Vedete quali sacrifici?... E noi?

Sì, sì: ciò che è necessario è necessario; ma non dimenticate che il Signore ci aiuta in quel che è necessario da poveri, non in quello che è necessario da ricchi. Sia pure ricca una comunità, ma com'essa ha promesso deve vivere da povera. E noi non saremo mai ricchi, perché il denaro in più lo dobbiamo usare per le Missioni... Non voglio mettervi delle pene o degli scrupoli, voglio solo delicatezza. Non sarà mai buon Missionario chi non si abitua a qualche privazione.

Distaccare il cuore da ciò che si tiene

In terzo luogo, per progredire nella perfezione della povertà, si richiede un pieno distacco di cuore dalle cose necessarie e convenienti proprie o concesse in uso come cose proprie. Qui sta il sugo della povertà di spirito. Questo distacco di cuore vi dev'essere molto caro. E' vero che per intanto voi avete poco o nulla; tuttavia si può manifestare in voi questo debole, ed è facilmente riconoscibile: così quando uno pensa al proprio libretto personale, quando si ferma a considerare la somma che detiene e quasi vorrebbe averla fra le mani; quando perde la pace se mai ci fosse l'errore di un centesimo. Così pure per ciò che riguarda il vestiario: quando uno metterebbe sempre la roba più brutta, anche nelle feste. D'altra parte non bisogna essere troppo ricercati, per cui si vorrebbe portare la talare più bella e mai l'altra; bisogna essere regolati.

Mi ricordo di un mio compagno di collegio che, terminata l'ora di studio, correva in camerata, traeva da un baule una borsetta e contava i denari. Un giorno gli dissi: "Vai sempre a contare i denari e né spendi nessuno, non ti basterebbe contarli ogni quindici giorni?". Mi rispose: "Mi piace tanto vedere i denari e contarli!". Divenne un grande spilorcio e i denari andarono ai suoi parenti che godettero il frutto delle sue spilorcerie... State attenti, che se ora non v'è il difetto, vi può essere il germe, il quale, se non sradicato in tempo, crescerà più tardi in passione. Giuda cominciò con piccole infedeltà, poi giunse a rimpiangere l'unguento versato da Maddalena sul capo di Gesù, poi la passione crebbe in lui fino a portarlo al deicidio. Il demonio sa l'affar suo: non entra subito ma comincia a tendere i fili che sono le passioncelle. Molti Missionari hanno perduta la vocazione per l'avarizia; non importa che dicessero di non voler accumulare per sé, ma per la Comunità.

E qui ricordate che ogni attacco, anche piccolo, ritarda la perfezione. Si è lasciato il più e poi ci attacchiamo a quel coltellino, a quel taccuino, a quel libro, ecc. Le Suore della Visitazione, quando cambiano cella, non portano via nulla e prendono quel che trovano nella nuova cella. Le lusinghe del mondo a cui abbiamo rinunciato entrando in Religione, sovente sono costituite da questi piccoli attacchi. Sono inezie di nessun valore, ma che fanno il gran danno d'impedire all'anima di essere tutta di Dio.

Cominciate fin d'ora a distaccare il cuore da tutti, da tutto. Un uccellino, sia esso legato con fune o con semplice filo, non può più volare. Non avere dunque un filo di attacco a nessuno e a nessuna cosa. Se c'è, facciamolo passare pel Cuore di Gesù e ne uscirà un filo d'oro: quello della rinunzia. In tanto si farà del bene nelle Missioni in quanto sarete distaccati da tutti e da tutto.

Facciamo per amor di Dio ciò che alcuni pagani fecero per fini umani. Si racconta di Diogene che non voleva saperne delle comodità. Interrogato un giorno da Alessandro Magno che cosa desiderasse rispose: "Che vi scostiate un tantino per non impedirmi il sole". Quando aveva del denaro lo gettava in mare, dicendo: "Immergo te, perché tu non immerga me!". Facciamo anche noi così, ma per il Signore. S. Bernardo dice che siamo ben miserabili, se per queste inezie ci priviamo di tanti beni (359).

Gesù nel Vangelo dice che le ricchezze sono spine; spine che soffocano la buona semenza. Tanti buoni desideri e poi, per un attacco, si perde tutto. Come quel giovane del Vangelo che rinunziò alla chiamata divina per attacco alle ricchezze. Il Vangelo dice che aveva molte possessioni, cioè molte spine che soffocarono il desiderio di vita più perfetta. Quante vocazioni non seguite e quante vocazioni tradite per attacco alla roba!

Esaminatevi se non avete nessun attacco ai beni di famiglia. Questo sì che è grave disturbo pel Missionario! Felice colui che nulla possiede! Come fa pena leggere certe lettere di parenti, nelle quali si dà conto al Missionario dei campi, del raccolto, del bestiame!... Tali cose disturbano, fanno desiderare il ritorno in famiglia e sovente son causa che il Missionario perda vocazione. Bisognerebbe fare almeno spiritualmente ciò che Cesare fece coi suoi soldati quando volle che combattessero in Bretagna: fece bruciare le navi che là li avevano trasportati, perché di fronte alle difficoltà, non fossero tentati di prendere la via del ritorno. Combatterono allora con animo e vinsero.

Esaminatevi se non v'è in voi alcun attacco alle comodità personali. Quanti sospirano una cameretta a preferenza della camera comune; o, nella camerata, posti più comodi e lì si fanno un nido di cosette per starvi bene! E quanta difficoltà nel cambiare, anche solo per andare nell'infermeria comune! Ciò indica attacco alle comodità. Alle volte si va in Missione sospirando il martirio e poi ci si perde per un armadio! E' l'idea falsa che ci facciamo del bisogno. Il diavolo è così, vedete: ci fa sembrare di non poter fare a meno di tante cosette, che in realtà non son punto necessarie.

Tutti questi attacchi, oltre il già detto, portano via la pace del cuore e talora fanno mancare all'obbedienza. Il modo più sicuro per mandare in rovina una comunità è di non reprimere gli abusi contro la povertà. Per questo insisto: non attaccate il cuore a nulla, per quanto piccolo, affinché non avvenga poi in Missione che, dovendo lasciare una Stazione, la si svaligi. Bisogna essere pronti, quando il Superiore vi comanda un trasferimento, a partire subito, non prendendo con sé che il puro necessario. San Francesco Zaverio partì per le Indie col solo bastone e col breviario. Nella nostra comunità ci vuole questo spirito di distacco; allora il Signore la benedirà. Se ci sono dei Religiosi che devono essere staccati da tutto, avere lo spirito di povertà sino alla radice, questi sono proprio i Missionari.

Lavorare per la comunità

Finora abbiamo parlato della povertà, direi, negativa, che consiste nel distacco affettivo ed effettivo dalle cose temporali. Senonché la povertà ha pure una parte positiva: che è il lavorare come lavorano i poveri. Di questo vi ho già parlato trattando del lavoro.

Noi come Missionari dobbiamo lavorare materialmente e quindi attendere ai lavori fin dalla Casa-madre, con imparare bene i mestieri, come dicono le Costituzioni. Quando uno lavora, deve pensare che risparmia tante spese alla comunità. Cercare di guadagnare qualcosa per la comunità è un dovere. Bisogna essere membri vivi della Congregazione. Questo non è un collegio dove si paga, ma una famiglia dove paghiamo tutti ugualmente. Se possiamo essere utili in qualcosa, dobbiamo stimarci fortunati e quindi farlo volentieri. E farlo altresì per dovere. Di più, sforzarci d'acquistare nuove cognizioni, per essere sempre più utili al nostro caro Istituto.

Ecco, o miei cari, come dobbiamo regolarci, perché il buon Dio ci aiuti adesso e in avvenire, e perché l'Istituto prosperi. Non dobbiamo aspettare oziosi la Provvidenza; il Signore non è sempre obbligato a fare dei miracoli. Le spese sono immense!...

Aver cura di tutto

La povertà positiva richiede inoltre che si tenga in gran conto la roba della comunità; servirsene con parsimonia e rispetto. Invece succede talora che si ha cura attenta delle cose proprie, e poca o nessuna di quelle di comunità, come se la roba della comunità fosse di nessuno e la si potesse trascurare o non farne caso. No, questo è ingiusto; perché se non è lecito sperperare il nostro, tanto meno la roba di comunità. Non è solo mancare alla povertà, ma alla giustizia. Ed è purtroppo il punto più trascurato e su cui bisogna insistere di più.

Spirito di povertà, dunque, con aver cura di tutto. C'è chi sa tener bene le cose e conservare, mentre altri non fanno che guastare o logorare. Chi non sta attento al consumo delle scarpe, dei vestiti, ecc., manca alla povertà. E' contrario del pari alla povertà, lasciare che un vestito un po' strappato abbia a strapparsi di più; lo si fa subito aggiustare. Bisogna proprio che assorbiate questo spirito: aver cura di tutto. Vedete, io tengo ancora l'orologio che avevo da chierico...

Spirito di povertà col cooperare a che nulla si guasti, con nulla sprecare, neppure un pezzetto di carta. Son piccole cose, piccoli risparmi. Quando qualcuno mi scrive, se nella lettera c'è un foglio bianco, lo stacco e lo conservo; ciò può servire per piccole noterelle, quando la convenienza non esige un foglio intero e bello. Questi non sono scrupoli, si tratta solo di delicatezza. Talora il Signore nega cose molto grandi, per non aver noi curato le cose piccole. Così a tavola: non sprecare neppure un pezzetto di pane, anche se un po' nero, abbrustolito. Ai poveri non si dà sempre una bella pagnotta; sovente si accontentano degli avanzi.

Fa piacere quando si vede uno interessato delle cose di comunità: chiudere una porta, fermare una finestra, rimettere a posto un oggetto, spegnere una luce, ecc. Non dico che dobbiate cacciarvi in ciò che non vi riguarda, ma vi sono tante cosette che spettano a tutti: non guastare, trattar tutto con cura, usare le cose il meno possibile, non mettere di più quando basta poco; insomma far attenzione a tutti, a tutto.

In tutto questo sta lo spirito di povertà. La povertà è una cosa delicata e vi si manca facilmente. Se avessimo anche l'abbondanza, non si deve dare di più di quello che si deve dare. E' necessario che vi sia questa forma, questa regola. E' roba di Dio. Dovete assuefarvi fin d'ora ad avere questa delicatezza, questa cura ed attenzione nell'uso della roba; altrimenti quando sarete in Missione, più liberi di voi stessi, forse Superiori di una Stazione, sprecherete la roba. Dipende dal Superiore aver occhio a tutto e di tutto aver cura.

Dunque, tener conto di tutto, ricordando che viviamo di carità. Sarà solo un ago, ma va conservato. Inoltre, tutti uniti per il bene comune. Non voglio, no, che facciate come certa gente che chiede sempre, ma quando offrono non potete e non dovete rifiutare. Talora gli stessi parenti hanno piacere di offrire qualcosa e non sta a voi il rifiutare. Anzi, se è necessario, diciamo anche una buona parola. In questo modo aiutano un poco a mantenervi... Ci vuole impegno vicendevole in tutto; questo è lo spirito di unione, di famiglia. Tutti interessati, tutti impegnati per il bene dell'Istituto.

Presentando la "Lettera sulla povertà" ( 360 )

Da tempo desideravo offrirvi un trattatello sulla santa povertà. Su questo argomento, anzi, vari anni fa avevo già composto una Lettera destinata a voi e ai Missionari d'Africa (361). Con l'aiuto del Vice-rettore e del sig. Prefetto (362), si è lavorato attorno e dopo due anni eccovelo pronto.

Il Card. D'Annibale, parlando della povertà, dice che è una materia subtilis, implexa. Sottile per la delicatezza della cosa; piuttosto complessa e confusa per le discordanze fra i teologi e, diciamolo pure, per le tante larghezze introdottevi dai Religiosi. Noi partendo dai Sommi Teologi: S. Tommaso, Suarez, S. Alfonso ed altri, abbiamo qui raccolto il certo, pesando ogni parola per essere precisi. Vi è qualche ripetizione, ma erano ripetizioni necessarie; altrimenti è stringato. Ogni parola è veramente pesata, ponderata e conforme alla Teologia. Delle brutte copie se ne son fatte! Talora la testa non reggeva più e dovevo lasciar stare.

Ho pure scritto, pei Missionari d'Africa, una Lettera che uniremo a questo trattatello.

Il trattatello si divide in tre parti: a) Del voto e della virtù della povertà in genere; b) del voto di povertà in specie; c) della virtù della povertà in specie. Nel secondo punto si dichiara in che consiste essenzialmente il nostro voto di povertà, su che principi poggia, quali le deduzioni, ecc.

State attenti, non bisogna lasciarsi ingannare da certi Autori che sentivano il peso della povertà e tiravano le conseguenze a loro capriccio... Vedremo se ci sarà da aggiungere qualche cosa; ma quello che c'è è sano, è vero, è giusto. Bisogna capire bene le cose; non è questione di scrupoli, ma di essere precisi.

Ricevetelo come Lettera del vostro Superiore, perciò di Dio; meditatelo e anche studiatelo a memoria. Il Signore vi dia lume e grazia di ben comprendere e poi di ben praticare il voto e la virtù della povertà, da cui dipende lo spirito e la floridezza della Congregazione. Io sono certo che se il nostro Istituto si terrà a queste norme, progredirà sempre; ma guai se avvenisse che queste regole non fossero più osservate!

giuseppeallamano.consolata.org