22. L'OBBEDIENZA

Voto e virtù

Dei tre voti, il più eccellente è quello di obbedienza. Con esso infatti si offre a Dio qualcosa di più di quanto gli si offre con la povertà e con la castità. Parleremo dell'obbedienza come voto e come virtù.

Il Religioso, quanto all'obbedienza, ha due obblighi: l'uno ex voto, l'altro ex pacto contratto con la Religione.

In forza del voto il Religioso è obbligato a obbedire ai comandi del Romano Pontefice e dei suoi Superiori, secondo che spiegheremo subito dopo. In forza del patto è tenuto ad osservare tutto quello che si contiene nella Regola. Chi entra in comunità si obbliga a vivere secondo le Regole; non entra per fare la propria volontà, ma per obbedire.

La materia del voto è più ristretta di quella del patto o virtù. Mancando al voto si manca sempre alla virtù, non viceversa. Mancando al voto, si commetterebbero due peccati: contro la virtù della Religione e contro il quarto comandamento che comanda di obbedire a tutti i superiori.

Riguardo al voto le nostre Costituzioni dicono "In forza del voto di obbedienza, il missionario assume l'obbligo di obbedire al comando del legittimo Superiore, in quelle cose che direttamente o indirettamente riguardano la vita dell'Istituto, cioè l'osservanza dei voti e delle Costituzioni (423). Esaminiamo ogni parola.

1.- Si dice: al comando del Superiore. Se il Superiore non esprimesse un vero comando, ma solo un invito, un consiglio, un desiderio, non v'è trasgressione di voto. Questo comando dev'essere espresso in modo conveniente, cioè di vero comando. Come saperlo questo? Dal tenore delle parole o dall'uso in vigore nei singoli Istituti.

Chi trasgredisse un preciso comando del Superiore, commetterebbe peccato?... mortale o veniale?... Peccherebbe gravemente solo nel caso in cui si tratti di materia grave e il Superiore aggiunga al comando espressioni come queste: "In nome di Gesù Cristo... In virtù di santa obbedienza" o formule equivalenti.
Se nel comando dato dal legittimo Superiore non vi fossero tali espressioni, i Teologi dicono che si può peccare leggermente contro il voto.

2. - Si dice: in quelle cose che direttamente o indirettamente riguardano la vita dell'Istituto, cioè l'osservanza dei voti e delle Costituzioni. Il Religioso, infatti, non intende di obbligarsi a vivere e a obbedire, se non in conformità ai voti emessi e alle Regole del proprio Istituto. Quindi il Superiore non può comandare cose che siano contro la Regola o sopra la Regola, o azioni straordinarie. Così, se mi si volesse costringere a vivere da certosino, non sarei tenuto ad obbedire. Nel dubbio la presunzione è in favore del Superiore.

3. - Si dice: legittimo Superiore. Chi non è legittimo Superiore non può obbligare in virtù di santa obbedienza. Nel dubbio se il Superiore sia legittimo, si è tenuti ad obbedirlo, s'egli si trova in tale possessione. Le nostre Costituzioni spiegano quali sono i legittimi Superiori e dicono che tutti i Superiori, ma specialmente i Superiori secondari, e più ancora i semplici Superiori di Case o Stazioni, vadano adagio a comandare in virtù di santa obbedienza: perché quando il Superiore comanda così non v'è dubbio: c'è da parte del suddito obbligo morale.

Che dire degli ordini del Romano Pontefice? Vi ho già accennato: i comandi del Papa cadono sotto il voto. Il Papa è il nostro vero e supremo Superiore, come dicono le Costituzioni.

Dopo l'obbedienza ex voto, viene l'obbedienza ex pacto; dopo il voto, la virtù. Il voto riguarda l'atto esterno, cioè l'esecuzione esteriore di ciò che viene comandato; la virtù esige anche l'atto interno. Il voto estende a ciò che è di precetto, la virtù anche a ciò che è solo di consiglio.

Per l'obbedienza ex pacto, secondo le nostre Costituzioni, i Religiosi s'impegnano ad osservare le Costituzioni e tutte le prescrizioni degli Ordinari di Missione e di qualsiasi Superiore. Quindi state attenti che ciò che abbiamo detto - che non si pecca mai contro voto eccetto nel caso su indicato - non vuol dire e non si possa peccare contro la virtù; poiché si fa un patto di rimanere suddito e quindi c'è l'obbligo obbedire come i figli ai parenti, i servi ai padroni, i sudditi alle leggi giuste. Si è tenuti in forza del quarto Comandamento. Inoltre si può peccare per lo scandalo che si dà ecc.

E' vero infatti che le Costituzioni non obbligano sotto pena di peccato, che le Regole, il Direttorio, sono solo norme e non veri comandi; tuttavia, raramente manca il peccato a motivo di qualche disordinato affetto, di vanità, ecc.; e se non con peccato, grave, certo con frequenti venialità. Le Costituzioni, le esortazioni, i consigli sono per la formazione del Religioso, non per moltiplicare i peccati.

Tuttavia peccherebbe chi disprezzasse o scandalizzasse o inducesse la dissoluzione. Obbediamo in tutto e non ci sarà bisogno di tante distinzioni.

E per le dispense? Mi rimetto al già detto: i Superiori devono andare adagio a dispensare, e sempre e solo in cose particolari, per giusta causa e per breve tempo, altrimenti l'osservanza se ne va. Quando in una comunità la maggior parte dei membri sono dispensati da questa o quella regola, è il disordine. Un Superiore che dispensi facilmente si mette in pericolo di portare la dissoluzione nella comunità.

Eccellenza e vantaggi

La virtù dell'obbedienza dev'essere abituale di tutti ed estendersi ai semplici desideri manifestati dai Superiori, come dicono le nostre Costituzioni. L'eccellenza di questa virtù è evidente.

1. - L'obbedienza ci fa evitare il peccato. In ea nullum esse peccandi periculum, dice il Decreto sui Religiosi di cui abbiamo più volte parlato.

2. - Non solo essa ci fa evitare i peccati, ma è fonte di bene e di meriti. Dicono i Santi che l'obbedienza è la via sicura del Paradiso; nessun obbediente si è mai dannato. Ond'è che S. Giovanni Crisostomo la chiama: "navigazione sicura, porta del Paradiso" (424). S. Agostino aggiunge che l'obbedienza è la custode di tutte le virtù (425). S. Tommaso espone i motivi per cui essa è superiore alle altre virtù morali che professiamo: a) Perché offre il dono migliore, quello della nostra volontà. b) Perché include tutte le altre (426). Difatti l'obbediente osserverà tutti gli ordini dei Superiori, sia espressi che taciti, nonché le Costituzioni che comandano le altre virtù della povertà e della castità.

3. - L'obbedienza distrugge in noi la superbia. Quanti danni ci ha portato la disobbedienza di Adamo! Tutti abbiamo un'inclinazione a disobbedire; perciò dobbiamo obbedire per fiaccare la superbia. Questa non è la Casa delle mezze volontà e delle mezze obbedienze; dovete piegare il vostro giudizio, le vostre idee personali.

4. - L'obbedienza ci porta la pace del cuore. Nel mondo uno non sa sempre se faccia o no la volontà di Dio. In Religione obbedendo si è sempre certi di fare la volontà di Dio. Così voi, sotto la guida dei vostri Superiori, siete sicuri di fare la volontà di Dio, mentre io, benché mi sforzi di assicurarmi al riguardo coi mezzi che ho, non posso essere certo. Chi mi assicura che nelle mie azioni vi sia la volontà di Dio e non il amor proprio?... Chi è libero può propendere per l'una o per l'altra azione; il Religioso invece propenda o no, se fa l'obbedienza, è sempre sicuro. Quanta pace!

5. - L'obbedienza fa sì che non abbiamo più da rendere conto a Dio. Obbedisci e sta tranquillo. E se muoio? Dirai che hai obbedito. Ma il giudizio di Dio? Non pensarci, ci pensa il Superiore. Il Superiore non vuole mica gravare la coscienza degli altri! Il Superiore e il confessore hanno studiato e sanno quello che fanno, e anch'essi non vogliono gravare la propria coscienza. Sono i Superiori che devono rendere conto di ciò che comandano, non chi obbedisce. A S. Maria Maddalena de' Pazzi, essendo ammalata, fu presentata una medicina molto costosa ed ella la rifiutò; quando però le si impose di prenderla per obbedienza, esclamò: "Benedictus Deus!", e la prese. Ripeto: la responsabilità lasciatela ai Superiori, voi obbedite.

6. - L'obbedienza ci fa riportar tutte le vittorie. Cum ea certissima est victoria, dice il citato Decreto. Chi obbedisce non sbaglia mai, chi disobbedisce sbaglia sempre. S. Giovanni Crisostomo chiama l'obbedienza: "rifugio inespugnabile" (427). Là asserragliati, il demonio non può espugnarci. Talora basta avvicinare il Superiore per chiedergli un'obbedienza che la tentazione passa. L'obbedienza fa miracoli e, se sarete obbedienti ne farete anche voi, soprattutto quando si tratta della conversione delle anime. Non è far molto o poco che importa; importa obbedire.

Necessità

In una comunità Religiosa l'obbedienza è di assoluta necessità. S. Giovanni Crisostomo paragona una comunità ad un esercito in campo di battaglia. Se i soldati obbediscono al comando del loro Superiore diretto, e questi al comandante supremo, tutto va bene e si può sperare nella vittoria; ma se un colonnello, ad esempio, volesse fare a modo suo, e così gli altri, sarebbe certa la sconfitta. Il P. Bruno, Filippino, diceva che, nella campagna del 1848, tutti comandavano e nessuno obbediva, e successe quello che anche voi sapete. Il generale Ramorino fu fucilato appunto per questo: che volle fare da sé. Se non c'è sudditanza, non c'è ordine e quindi c'è il disordine.

Il predetto Santo paragona ancora una comunità ad un concerto musicale: il quale andrà bene solo se i sonatori sono affiatati fra loro e con chi li dirige. Lo stesso dicasi del canto: non basta che ciascuno canti bene per proprio conto, ma deve far la sua parte in rapporto con quella degli altri, e tutti insieme alla dipendenza del maestro di canto. Così nella vita di comunità: se uno volesse fare la meditazione, un altro la lettura spirituale, un terzo la ricreazione, non ci sarebbe che confusione.

La comunità è un corpo morale. Nel corpo umano, perché si mantenga sano, ogni membro deve stare al proprio posto e compiere il proprio ufficio. Similmente, in una comunità ogni membro deve compiere il proprio ufficio a lui assegnato da chi ne è a capo. Il sistema solare, dice S. Ignazio, sarebbe tutto un tremendo guazzabuglio, se non vi fosse dipendenza fra i pianeti (428). Una comunità senza obbedienza è un ergastolo.

La comunità inoltre è una famiglia. Vedete: la festa della S. Famiglia venne istituita per onorare insieme Gesù, Maria e Giuseppe, come componenti una famiglia: il modello delle famiglie. Certamente Leone XIII nell'istituire tale festa ebbe di mira le famiglie cristiane, ma volle pure che su questo esempio si formassero le famiglie Religiose. Ora le virtù praticate dalla S. Famiglia sono espresse in tutto l'Ufficio, - ma fra tutte una ci è proposta all'imitazione, l'obbedienza. Come vedete, la Chiesa pur esaltando tutte le virtù della S. Famiglia, si ferma di proposito sull'obbedienza. E' infatti la virtù più necessaria sia nelle famiglie cristiane che in quelle Religiose.

Tanto più poi l'obbedienza è necessaria in Missione. Quindi le nostre Costituzioni dicono: "La virtù fondamentale di un Istituto di Missione è lo spirito pratico di obbedienza assoluta ai Superiori. Senza questa non è possibile unità di lavoro e per conseguenza, successo di apostolato" (429). Queste parole sono tratte alla lettera dalle Regole dei Padri Bianchi. Tutti i mezzi per essere un giorno idonei missionari, sono compendiati nell'obbedienza. L'obbediente si troverà strumento idoneo nelle mani di Dio per la santificazione propria e per la salvezza delle anime.

Riflettete bene: in Missione sarete lontani dai Superiori; vi troverete forse assieme una volta all'anno per gli esercizi spirituali. E' vero che ci sono regole tassative, ma può succedere che uno si permetta d'interpretare a modo suo la volontà del Superiore e allora, invece di fare, distrugge.

Se non si obbedisce, se si va sofisticando può avvenire che non solo l'individuo, ma tutto il personale resti compromesso. Se il Superiore non è presente, gli si scrive; e nel dubbio si fa il prestabilito. Gli inconvenienti che si verificano in Missione sono per lo più causati da mancanza di obbedienza.

Non ve lo ripeterò quindi mai abbastanza: obbedienza assoluta, se volete riuscire buoni Missionari; obbedienza non solo ai comandi, ma anche ai desideri dei Superiori. Questa dev'essere una virtù, direi, insita in noi; dobbiamo formarcene l'abito prima di partire per le Missioni. Se non c'è questa obbedienza, non si fa nulla; è meglio non essere Missionari. Qui si fa male a non obbedire, in Missione si fa male a sé e agli altri. Questa è la virtù principale, la virtù fondamentale del nostro Istituto.

Vedere Dio nei Superiori

Perché l'obbedienza riesca quale dev'essere, il suddito deve proporsi di obbedire al Superiore tamquam Domino. E' il motivo soprannaturale dell'obbedienza, quello che le dà valore e merito di virtù. Obbedire per motivi umani non è ciò che Dio vuole da noi, né in questo ci distingueremmo da quei del mondo, che per lo più sottostanno a chi loro comanda solo perché non possono farne a meno, o per amore di lucro, per rispetto umano, ecc. Noi invece dobbiamo vedere Dio nei Superiori: Dominus est! Sia che il Superiore abbia molta scienza e virtù sia che non l'abbia, fa lo stesso. Sarebbe assurdo se, perché ho dei difetti, non voleste più obbedirmi! Dovete obbedirmi ugualmente come obbedireste ad un Santo. Se il Superiore ha più difetti, è anche più meritoria l'obbedienza, perché allora c'è più spirito di fede in chi obbedisce. Dominus est!

Imprimetevelo ben in mente e non dimenticatelo mai: è assolutamente necessario che la nostra obbedienza sia basata su questo motivo soprannaturale. Quindi aver fede e non fermarsi alla maschera. Guai a chi obbedisce credendo di obbedire ad un uomo! La nostra obbedienza in tanto è virtù soprannaturale, in quanto obbediamo a Dio nella persona di chi comanda.

Quando andai Rettore alla Consolata non avevo ancora trent'anni e c'erano sacerdoti vecchi, querce annose che bisognava sostenere e cercare di non lasciar pendere maggiormente, perché drizzarle era impossibile. In mezzo ad essi esercitavo la carità, facevo l'infermiere e un po' di tutto. Ma mi facevano impressione quando venivano berretta in mano a chiedere i permessi. Se uno ha spirito di fede, se è ben stabilito in questa visione di fede: Dominus est!, non avrà difficoltà a obbedire a qualsiasi Superiore ed a qualsiasi ordine.

Obbedienza universale

Ciò ci porta a parlare delle qualità dell'obbedienza. Le nostre Costituzioni ne danno tre: universale, pronta e cordiale. Viene poi, quasi a coronamento, la semplicità che costituisce l'obbedienza cieca.

Obbedienza universale, anzitutto, con obbedire a tutti i Superiori, senza distinzione fra superiore e superiore. E' una logica conseguenza di quanto vi ho detto: dover noi veder Dio nel Superiore. Basta che uno sia Superiore per dovergli obbedire. C'è il Prefetto? Si obbedisce a lui. Non c'è? Si obbedisce a chi lo sostituisce, proprio come se fosse il Prefetto. Se domani - a così dire - mettessimo a Prefetto un chierico, si dovrebbe obbedire a lui allo stesso modo. Così voi dovete ancora obbedire all'Assistente in ciò che spetta al suo ufficio; obbedire a chi è messo a capo di un impiego. Se un ammalato, ad esempio, non obbedisce all'infermiere, fa male.

Vi porto un paragone. Noi abbiamo il sangue venoso e arterioso. Il sangue venoso viene a purificarsi al cuore e l'arterioso ritorna ai singoli tessuti. Orbene, le nostre piccole obbedienze a chi è capo di un impiego, sono come la rete dei vasi capillari: le riferiamo - come il sangue ad un vaso più grosso - ai nostri Superiori diretti; quindi ad un vaso più grosso, che rappresenta i Superiori maggiori, e così di seguito, finché si arriva al cuore che per noi sarebbe il Papa. Da questi - come dal cuore parte il sangue arterioso - vengono i comandi che, trasferendosi di capo in capo, per via gerarchica, vengono fino a noi. Non è quindi errato il dire che si obbedisce al Papa, qualunque sia l'opera o il lavoro che noi facciamo per obbedienza. Il Papa, quando parla ex cathedra, è infallibile. Parlare ex cathedra vuol dire parlare in nome di Dio.

Qualsiasi Superiore, anche se d'infimo grado, - per la predetta unione morale coi Superiori maggiori e quindi col Papa - in ciò che concerne il suo, vi parla in nome di Dio; e voi, se avete fede, dovete obbedirlo come obbedireste al Papa, come obbedireste a Nostro Signore in persona.

Regolandovi con questi principi, eviterete che la vostra obbedienza trovi inciampo nella persona o nelle qualità del Superiore. E ciò soprattutto in Missione: dove il Vescovo o il Superiore della Stazione sarà magari più giovane di voi. Non si è sempre obbligati a mettere a Superiore il più anziano. Non si guarda né alla scienza né all'età, ma all'attitudine. Si quis prudens (non dotto o anziano) regat! Certuni non li mettono mai superiori; e tutti obbediscono e nessuno s'offende. Nelle comunità per bene si fa così. Andare secondo anzianità è un vero sbaglio. Dove c'è spirito non si bada a queste cose. Si trattava di nominare la superiora di un istituto relativamente recente; dissi alle Suore: "Mettete la più idonea; la più anziana ha già fatto male altrove! Che c'entra qui l'anzianità?".

Sembra strano: i vecchi obbedire! Ma bisogna essere capaci a vincerci in queste cose. Esser anziano non è un motivo per essere meno obbediente, ma un motivo per esserlo di più e così dare buon esempio. Non perdetevi in queste miserie! Talora crediamo di essere generosi col Signore, perché gli diamo molte cose; è vero, ma non gli diamo ciò che è più importante, ciò che Egli vuole prima e più d'ogni altra cosa: la nostra volontà. Ah, non illudetevi! Chi non ha questa obbedienza a tutti i Superiori, non può piacere al Signore, né farà mai un passo nella via della perfezione.

Obbedienza universale vuol dire ancora non distinguere fra modo e modo di comandare. Che i comandi ci vengano dati in bei modi o no, è sempre Dio che comanda. Se il Superiore comanda in tono duro e secco, fa lo stesso. Quando ci comanda con tanto buon garbo, quasi pregandoci, non è più virtù da parte nostra l'obbedire o almeno si perdono molti meriti.

Universale vuol dire finalmente non distinguere fra comando e comando, tra cose grandi e piccole, tra sostanza e accidentalità. E' questo lo spirito che desidero che abbiate. Non obbedire all'ingrosso, ma fin nei minimi particolari: di luogo, di tempo e di modo. Entra ancora in questo spirito di obbedienza il chiedere i permessi. Ve ne ho già parlato, solo vi ricordo che in tanto il buon spirito si mantiene in una comunità, in quanto nulla si fa senza il debito permesso.

Per la pratica di quest'obbedienza universale gioverà lo scacciare via prontamente i pensieri contrari, allo stesso modo che si scaccerebbero via quelli contro la fede o la castità; ma dolcemente. Converrà ancora, quando l'obbedienza ci assegna un lavoro, un ufficio, non fermarci a considerare se ci riusciremo o no; facciamolo nel miglior modo possibile, secondo le nostre forze, e basta. Il Signore, in vista del nostro buon volere e a premio della nostra obbedienza, ci metterà del suo e faremo anche delle cose straordinarie. Una cosa fatta a capriccio non riesce mai, perché il Signore non la benedice.

Obbedienza pronta e cordiale

Dice S. Bernardo che il vero obbediente non conosce indugi, fugge il domani, ignora la tardanza (430). E aggiunge che l'obbediente sta sempre attento con gli occhi e con le orecchie, e tutto si tien pronto per accogliere ed eseguire il comando del Superiore (431). Tale dovrebbe essere l'obbedienza d'ogni buon Religioso: obbedienza pronta, che scatta, anche quando la cosa comandata non piace alla natura.

Avviene invece talora che, ad un comando del Superiore, per prima cosa si opponga un'obiezione. Per taluni è proprio così: ricevere il comando e trovar la scusa è la stessa cosa. E' un'abitudine. Oppure si dice: "Il Superiore non me ne ha fatto un vero comando". Eh, basta il desiderio del Superiore! Bisogna dunque piegar subito la volontà, poi si vedrà se è il caso di fare obiezioni. Non può dirsi vera obbedienza quando si tentenna a compierla e quando uno la compie a modo suo.

Chi agisce contrariamente agli ordini dei Superiori, non solo non ha più spirito di obbedienza, ma neppure di comunità. L'obbedienza dev'essere il nostro pane di ogni ora, di ogni minuto. E' una consolazione per i Superiori quando vi vedono tutti, come gli Angeli in Paradiso, sempre prontissimi ad obbedire ad ogni cenno.

Obbedire prontamente in tutto. Non tutto ciò che è bene, è ben fatto. Lo è quando il Signore lo vuole. Bisogna fare non ciò che si vuole, ma ciò che si deve fare, che è quello che ordina l'obbedienza. S. Teresa diceva che val più raccogliere da terra una pagliuzza per obbedienza, che digiunare a capriccio due o tre settimane. Essendosi un cotale presentato a S. Filippo per ottenere di darsi la disciplina, il Santo gli rispose: "Che cosa ne possono le povere spalle, se c'è la superbia nella testa?".

S. Francesco Zaverio, benché operasse un sì gran bene nelle Indie, dicevasi tuttavia disposto a ritornare in patria al primo cenno di S. Ignazio. Avrebbe potuto opporre: "Ma ora ci sono tante opere incominciate, ecc.". No, sarebbe partito immediatamente. E' così che si fa ed è così che vi voglio. Dal Paradiso vi manderò poi il mio Angelo Custode a ricordarvelo!

Si racconta di S. Simone Stilita che, dopo aver rinunziato al Ducato, si fece monaco e si ridusse a vivere su di una colonna o qualcosa di simile. Gli altri monaci si raccolsero allora a consiglio, per vedere che cosa decidere al riguardo: se per caso non fosse tutta superbia. Dissero: "Veniamo al pratico, e proviamolo nell'obbedienza. Se al nostro comando di discendere, obbedisce, lo lasceremo, altrimenti lo tireremo giù". Mandarono dunque alcuni che gli dissero: "I Padri ti comandano di discendere!". Immediatamente Simone mise il piede sulla scala per discendere. Allora lo fermarono e lo lasciarono in pace.

S. Teresa aveva ricevuto ordine da Nostro Signore di fondare un monastero ad Avila, e il confessore le ordinò di fondarlo altrove. Ella obbedì. Le apparve poi Nostro Signore che le disse: "Hai fatto bene ad obbedire. Se Io voglio, posso piegare il confessore alla mia volontà; tu però obbedisci a lui". Tante volte si anela al martirio e poi non si è capaci del più piccolo sacrificio. Il martirio del Religioso è l'obbedienza. S. Francesco di Sales, a chi gli suggeriva di far andare scalze le sue Suore per uniformarle alle altre Religiose di quel tempo, rispose che lo spirito religioso non voleva darlo cominciando dai piedi, ma dalla testa!

Oltre che pronta, l'obbedienza dev'essere cordiale. S. Paolo, scrivendo ai Romani, dice: Grazie si rendano a Dio, perché avete obbedito di cuore (432). Se non si obbedisce di cuore, l'obbedienza rimane imperfetta e si perdono molti meriti. S. Bernardo dice che l'allegrezza nel volto e la dolcezza nelle parole sono un degno coronamento dell'obbedienza (433). Non quindi obbedire per forza, ma cordialmente. Si può sentire ripugnanza, come quando mi piacerebbe un lavoro e me ne viene assegnato un altro, ma bisogna vincersi. Se vi sono difficoltà, è sempre permesso manifestarle al Superiore, ma poi essere contenti del come egli dispone. Il Signore ama il donatore ilare (434). Come sta male quel manifestare nel volto, nel gesto, nelle parole la propria ripugnanza!

Dovreste invece far di tutto per consolare il povero Superiore, sulle cui spalle pesa la responsabilità del comando. Obbedite ai vostri capi e siate sottomessi, giacché essi vegliano per le anime vostre, come ne devono rendere conto (435). Credetelo, è più facile obbedire che comandare. Quelli che non vogliono obbedire, bisognerebbe metterli al comando per qualche tempo; comprenderebbero allora la necessità e il bene dell'obbedienza. Bisogna che il suddito cerchi di alleviare la croce del Superiore con l'obbedienza cordiale. Quando sarete ben rassodati nell'obbedienza, sarete capaci di fare i Superiori. Non sa comandare chi non ha imparato a obbedire. Bisogna che colui che comanda torni di nuovo ad obbedire, per poi meglio comandare.

Se il suddito ha delle osservazioni da fare, le faccia pure, ma in privato e non mai in pubblico, altrimenti si guasta tutto.

Dunque, obbedienza universale, pronta e cordiale. Facciamone soggetto di meditazione e di esame; leggete volentieri i libri che parlano di questa virtù. Un Religioso obbediente è tutto, un Religioso disobbediente è nulla. Tutte queste cose le sappiamo e io non faccio che ripetervele, sì che alle volte mi assale persino il dubbio se debba lasciare di tenere queste conferenze. Temo che non se ne faccia abbastanza profitto. Ciascuno deve fare un po' di esame e vedere se la sua obbedienza ha le sopraddette qualità.

Obbedienza cieca

Oltre il voto e la virtù, c'è la perfezione dell'obbedienza di cui parla in particolare la Lettera di S. Ignazio. La perfezione dell'obbedienza ha tre gradi:

1. - Eseguire materialmente la cosa comandata. Ora voi comprendete che questo è troppo poco. Che virtù è fare una cosa materialmente, solo perché non se ne può fare a meno?

2. - Unire la nostra volontà a quella del superiore, obbedendo perché egli vuole così. Non dire ad esempio: "Non c'è nel regolamento, nel direttorio!". No, non ditela mai questa sciocchezza. L'obbedienza si fa al Superiore, il quale interpreta, propone. Il Regolamento è nel Superiore.

3. - Piegare l'intelletto ad approvare quanto il Superiore comanda: il Superiore giudica così e io pure giudico così. Questo è il più perfetto. Non cercare quindi i perché; il più bel perché è l'obbedienza. Come è brutto in una comunità il dire i perché e i percome! E' fare un torto all'individuo.

L'obbedienza cieca è l'obbedienza semplice di cui parla S. Paolo: Obbedite ai vostri padroni... nella semplicità del vostro cuore (436). In pratica non avviene sempre così. Si parla di obbedienza cieca, cieca, ma in realtà si hanno gli occhi grossi, grossi, grossi! Notate però che obbedienza cieca non vuol dire fare le cose alla cieca; dovete anzi essere tutt'occhi per compiere le vostre azioni nel miglior modo possibile. L'obbedienza cieca è quella che non guarda in faccia al comando, per investigare i motivi che l'hanno determinato, ma semplicemente lo accoglie e lo eseguisce Così intesa, voi comprendete quant'essa sia saggia. Coloro che disprezzano l'obbedienza cieca, sono i veri ciechi che non vedono dove sta la perfezione dell'obbedienza e ne perdono i meriti. Investigare i motivi di un comando del Superiore è un po' come voler investigare le opere di Dio ché, di fatto, è Dio che comanda attraverso il Superiore. Non è cecità questa? Chi invece obbedisce ciecamente, ha la vista molto buona e vede ben addentro alle cose spirituali, perché vede con l'occhio stesso del Superiore, anzi con l'occhio stesso di Dio. Potessi sperare che voi tutti praticate l'obbedienza cieca! Lasciate che ne dubiti, per animarvi sempre più alla medesima.

Quando Pietro e Andrea furono chiamati da Nostro Signore, lasciarono subito tutto per seguirlo. Se avessero seguito le proprie idee, avrebbero potuto dire: "Ma tu sei povero, che cosa ci darai a mangiare?... E poi, siamo noi capaci a predicare?". Parevano anche osservazioni ragionevoli. Ma no, il Signore ha parlato! Orbene, quando il Superiore comanda è come se Gesù stesso parlasse. Allo stesso modo si comportò S. Giovanni, il quale abbandonò le reti e il padre. Poveretto! Mi pare che la prudenza umana avrebbe fatto anche qui qualche osservazione; invece non ne fece, ma semplicemente obbedì. Si dice: "Oh, se venisse il Signore a parlarci, faremmo anche noi così!". Non è vero. Se non obbediamo ai Superiori, non obbediremmo a Gesù in persona e troveremmo sempre dei "ma". E' tanto facile lasciarci impigliare nel nostro io!

Durante la guerra venne un giorno alla Consolata il colonnello Pirri di Mondovì, e ci disse: "Parto domattina!" - "Per quale destinazione?" - "Eh, di certo non lo sapremo prima di essere nel convoglio". - "E la famiglia?" - "Scriverò poi". Abbiamo detto fra noi: che obbedienza cieca! Parte senza sapere dove andrà, senza saper nulla. Si parte con una lettera chiusa, da leggersi poi o dal generale o da qualche altro comandante!... E lui diceva tutto ciò con tanta tranquillità, come se fosse la cosa più naturale di questo mondo... Vedete se nel mondo non fanno esercitare l'obbedienza cieca! Se la facessimo esercitare noi una tale obbedienza? Ed essi ut corruptibitem coronam accipiant (437), noi invece per amor di Dio.

Proponiamo anche noi, nelle cose spirituali e in tutto, di obbedire senza ragionamento, senza discussioni, al modo di questi militari che trovano la cosa naturalissima. Ah, se per la nostra santificazione facessimo quello che si fa nel mondo per fini umani, ci faremmo santi in fretta!

Desidero che quando sentite leggere la Lettera di S. Ignazio, distinguiate bene i tre predetti punti. Ah, quella Lettera, se la mettessimo in pratica! Quanti santi Gesuiti ha già fatto! Non siamo solo noi che ubbidiamo, né bisogna temere di essere troppo obbedienti. Meditatela sovente, punto per punto, e mettetela in pratica. Dev'essere vostra norma per tutta la vita e il Signore benedirà ogni vostra azione. Io spero molto dall'esecuzione totale di questa Lettera. Ciascuno spero avrà proposto di andare fino al terzo grado. Chi non l'avesse fatto, rinunzierebbe a tutto il bene che poté fare, ad esempio, un Beato Chanel. Bisogna che siamo generosi; non accontentarci del primo, del secondo grado, ma andare fino in fondo, con piegare il nostro giudizio. Allora, vedete, anche dai tetti in giù, si va avanti meglio e si è più tranquilli. Voglio proprio, come S. Ignazio, che l'obbedienza sia la vostra caratteristica: l'obbedienza cieca, la quale però vede molto!... Con questo, non voglio dire che diventiate folli, no; si può umilmente esporre al Superiore il proprio parere, ma con il cuore staccato dal vostro giudizio. E se il superiore deciderà altrimenti dovete dire: "Io non giungo a vedere fin dove vede il Superiore; egli è particolarmente illuminato da Signore".

Quali sono i mezzi per conseguire questa perfezione d'obbedienza? Accenno ai principali:

1. - Il primo è l'umiltà senza della quale non vi sarà mai l'obbedienza cieca. L'umile sa di sbagliare non si attacca al proprio giudizio. Che cosa ne sai tu da giudicare i superiori? Non tocca a te vedere ciò che è meglio, non hai la grazia per questo; l'hanno i Superiori. Se siamo umili, non ci arroghiamo un tale arbitrio. E se anche il Superiore sbagliasse nel comandare, noi non sbagliamo mai nell'obbedire.

2. - Il secondo mezzo è di veder Dio nel Superiore e nel suo comando. Non è necessario che Dio ci comandi direttamente, ci basta il Superiore. Obbedienza cieca, illuminata dalla fede.

3. - Il terzo mezzo è di tener presenti gli esempi di Nostro Signore. Egli fu obbediente fino alla morte di croce. Egli stava soggetto a Giuseppe e a Maria e non li criticava. Certo è che Nostro Signore, quando aiutava San Giuseppe nel mestiere di falegname, nella sua divina sapienza avrebbe potuto fare opere d'arte, da meravigliare il mondo intero. Eppure si limitò a fare ciò che gli comandava S. Giuseppe e nel modo che S. Giuseppe gli insegnava. E notate: senza mai giudicare del meglio o della poca scienza di S. Giuseppe, ma con tutto il cuore; e ciò perché tale era la volontà del Divin Padre a suo riguardo. Vergogna per noi, che nella nostra obbedienza ragioniamo tanto! "Ma io ne so più del Superiore!". Superbo! Fosse anche vero, obbedisci a chi Dio pose a comandarti.

4 - Il quarto mezzo è di tener presenti gli esempi dei Santi. Tutti i Santi furono obbedientissimi di volontà e d'intelletto. Così noi sul loro esempio dobbiamo obbedire ciecamente. Quanti atti di virtù si fanno nell'obbedienza cieca!

Esortazione finale

Esaminatevi sovente sulla pratica dell'obbedienza. Sovente vogliamo essere obbedienti, ne conosciamo la necessità, ma nel caso pratico obbediamo proprio a tutte le persone che hanno diritto di comandare e in ogni cosa? Se uno vuol giudicare l'operato dei Superiori, non è più obbediente; se vuol far entrare un tantino del suo, può lusingarsi che ci sia ancora l'obbedienza, ma non c'è più. E' meglio far bene per obbedienza, che far meglio senza obbedienza.

Facciamo dunque un proposito fermo di tendere alla particolare perfezione dell'obbedienza. Fate in modo che i Superiori debbano misurare le parole, come era per S. Alfonso Rodriguez. Un giorno il Superiore gli domandò se sarebbe andato volentieri nelle Indie ed egli rispose di sì. Allora il Superiore, senza badare gli disse: "Ebbene va!". Ed egli senz'altro, via!... Lo trovarono sulla spiaggia che attendeva la nave. E si è fatto Santo.

L'obbedienza contiene tutte le virtù; in alcuni Istituti si fa solo il voto di obbedienza. S. Leonardo aveva fondato un Istituto e sul letto di morte i suoi Religiosi gli domandavano la Regola. E lui: "Obbedire, obbedire sempre, obbedire in tutto!". Finché perdura questo spirito va bene. L'obbedienza è la furberia dei Santi.

Pregate il Signore che vi dia questa perfetta sottomissione alla volontà del Superiore, non solo in ciò che c'è nella Regola e nel Direttorio, ma in tutto ciò che il superiore vuole o desidera.

Alcuni pensieri sulla indifferenza negli impieghi

S. Ignazio, fin dal primo giorno degli Esercizi ai religiosi (438), propone come mezzo al fine: l'indifferenza agli uffici, ai gradi, ai luoghi, ecc. Tutte queste cose non sono che mezzi che conducono al fine, se volute da Dio e nella misura che Dio vuole. Bisogna dunque essere indifferenti nella scelta: solo volerle o non volerle secondo la volontà di Dio a noi manifestata dai Superiori, e non attaccarvi il cuore.

Purtroppo nelle Religioni ciò non si pratica sempre; ed è perciò che molti Religiosi non tendono al fine per cui Dio li ha chiamati. Neppure fra voi io vedo sempre questa perfetta indifferenza. Per esempio non ha questa santa indifferenza, chi preferisce lo studio ai lavori manuali o viceversa; chi applicato ad un impiego, si dimostra troppo contento, o perché di suo genio o per lasciarne un altro più umile, più faticoso; chi posto a capo di un impiego, soffre nel lasciarlo, specialmente se messo sotto altri. Quante miserie in una comunità anche se buona!

Non credete di tendere veramente alla perfezione, se non vincete questi attacchi nei quali vivono molte passioni: di superbia, di invidia, di gelosia, di amore ai propri comodi, ecc. Imitiamo i Gesuiti i quali ben sovente sono cambiati di luogo e d'impiego, o deposti da Superiori per obbedire ad altri forse più giovani d'età, di minor ingegno, ecc.

S. Teresa insegnava che in Religione nessun impiego è vile, come nessuno è più onorifico dell'altro. Non l'onore, né il lucro li regola, come avviene nel mondo, ma solo l'obbedienza.

Quando entrate nell'Istituto, siete tutti disposti a far tutto, ma poi uno si vede cambiato d'impiego ed ecco che si rattrista e pensa: "Anch'io riuscirei in questo o in quell'impiego!". Che volete? C'è la mania di cambiare, di voler sempre il contrario. E' tanto facile che ciò succeda nelle comunità!

Un Direttore di spirito dice che il principale ostacolo all'avanzamento spirituale è la mancanza della santa indifferenza; e questo porta disordine in una comunità. Io ho sempre visto che è una grande miseria il non accontentarsi dell'obbedienza.

Ah, l'indifferenza negli uffici!... Si dice: "Ma io sono sempre nel medesimo impiego, non imparo nulla!". State un po' tranquilli! Se ci sarà bisogno di sapere cose non imparate, il Signore metterà del suo!... Questo è il fastidio maggiore che hanno i Superiori; è una piaga generale che può estendersi anche qui. Desidero che consideriate bene questo punto.

Credetemi: questa indifferenza a tutti gli uffici, umili o grandi, è importante. Non consiste nell'impiego la santità; gli impieghi non sono che mezzi. Se una cosa piace, non saltare di gioia; se spiace, non fare smorfie.

Una persona mi diceva: "Io non son fatto per comandare, non vedo l'ora che mi tolgano". L'hanno tolta, ma poi...! E' questa una causa per cui taluni escono di Religione.

Per questa mancanza d'indifferenza negli impieghi, alcuni Religiosi lavorano mesi ed anni fuori posto, non secondo la grazia di Dio. Dalla mancanza di questa santa indifferenza provengono ancora la tiepidezza, le parzialità, le ingiustizie.

Non siete più ragazzi! Davanti a Dio e davanti all'Istituto, tanto è chi s'occupa a scrivere a macchina, come chi aggiusta le scope. E' tutto lo stesso, perché è l'obbedienza. Si fa quello, e si continua sempre in spirito di obbedienza; allora tutto cammina bene e il Signore benedice.

Ritenete l'impiego che avete come assegnato a voi da Nostro Signore; sarà forse ciò di cui avrete bisogno in Missione. Ricevere quindi gli impieghi dalla mano di Dio per imparare e per santificarvi, ma senza attaccarvi il cuore: di modo che, se i Superiori ve lo cambiassero, non abbiate a perdervi in tanti "chi sa?".

Fa pena pensare a quelle comunità dove i Superiori devono pensare due volte prima di assegnare un impiego, per timore di scontentare l'uno o l'altro.

L'amor proprio alle volte fa dire: "Ma il bene della comunità!...". No! Bisogna fare come si fa fra le Visitandine, dove la Superiora scaduta passa ad occupare l'ultimo posto. Così si mantiene il buon spirito. Ve lo ripeto: per me la più bella consolazione è di aver sempre fatta la volontà di Dio.

Pensieri sulle Costituzioni e sul Direttorio

Quello delle Costituzioni è un piccolo libro, ma pieno di sostanza. Anticamente ne facevano dei volumi. La Regola di S. Agostino, però, è breve, sugosa. La Visitazione ha la Regola di S. Agostino con l'aggiunta delle Costituzioni di S. Francesco di Sales. La Chiesa, vedendo in questo un po' di confusione, ha detto: "Altro sono le Costituzioni, altro il Regolamento o Direttorio". Le Costituzioni restano ferme e non possono più toccarsi; devono riguardare la natura, il fine, i membri dell'Istituto, il comun modo di vivere: brevitas, claritas, optimus ordo. Si mette la formula dei voti, ma non minutissimas praescriptiones, secundaria et interna: tutto ciò non deve entrare nelle Costituzioni le quali perciò sono come uno scheletro, che dev'essere interpretato dal Direttorio. Le Costituzioni, però, sono immutabili solo quando hanno ricevuto l'approvazione definitiva.

S. Vincenzo de' Paoli, quando si decise a dare le Regole alla sua Congregazione, lo fece con queste parole: "Vi presento le Regole che il Signore mi ha ispirato; prendetele da me, come dalla mano di Dio". Se lui ha detto così, posso dirlo anch'io. Posso assicurarvi, infatti, che chi mi dirigeva era proprio Dio. Io non voglio cose straordinarie, ma nelle vie ordinarie vi assicuro che mi ha proprio guidato il Signore.

Ogni parola fu meditata, studiata; su di esse si è pregato, si è lavorato anni ed ora son divenute volontà di Dio. Prendetele dalle mie mani, come in antico i monaci le ricevevano dalle mani dei loro santi Fondatori. Siamo anche noi Religiosi come essi, cambiamo solo in qualche cosa che non è essenziale; per il resto facciamo i tre voti come essi.

Desidero che le riceviate con spirito di fede; si può dire che la vostra santificazione dipende dal come le osserverete.

Le osserveremo come voce del Papa, senza sofisticare, perché noi dobbiamo santificarci secondo le medesime e non in altro modo. E sulle Costituzioni e sul Direttorio che vi dovete far santi. Un Papa diceva che se un Religioso osserva la sua Regola alla perfezione, ciò basta per canonizzarlo.

Ve l'ho detto e ve lo ripeto: io non mi attendo che questa sia la Casa dei miracoli, piuttosto voglio che facciate il miracolo di adempiere sempre bene il vostro dovere, vincendo voi stessi. Di miserie ne abbiamo tutti un sacchetto, se non un sacco!

Quando Mons. Gastaldi diede le Regole al Seminario di Torino - che non le aveva ancora - ci esortò a studiarle a memoria, perché così più facilmente si ricordano e si osservano.

Quindi studiatele. Non perdete un tempo tanto prezioso, per non giungere ai voti, all'Ordinazione impreparati e che dobbiate poi dire: "Non ho fatto quanto dovevo!".

Primo dovere è di tendere alla perfezione. Studiatele e osservatele, dando la massima importanza al grande e al piccolo. E' tutto oro.

Coloro che si fanno un impegno di ben osservare le Regole da giovani, ottengono le benedizioni di Dio su di sé e la grazia di farle poi osservare dagli altri. Vi dirò con S. Paolo: Quanti seguiranno questa regola, pace su di loro e misericordia, e pace sull'Israele di Dio (439). Il Signore dà molta pace a chi ama e osserva la sua santa legge e questa per voi è nelle Regole.

S. Francesco di Sales, quando diede le Costituzioni alle Suore della Visitazione, disse loro che le osservassero con soavità, sapienza e discrezione.

Si dice che la Regola non obbliga sotto pena di peccato; molte volte però si pecca di disubbidienza, di scandalo o per disprezzo della Regola stessa. Sarebbe ridicolo se uno dicesse: "Voglio osservare le cose grandi, non le piccole". Costui gode di tutte le cose della comunità e intanto le trascura tutte! Secondo me non è esente da colpa, perché manca ad un contratto colla comunità, o quasi. Io sono libero di andarmene, ma se sto, devo starvi come si deve. Non obbligano, no, sotto pena di peccato; però la trascuratezza di esse porta alla trasgressione di un importante dovere: quello di tendere alla perfezione.

Stiamo attenti alle abitudini, perché la stessa abitudine è colpevole. Se mi sono obbligato, se voglio godere dei beni della comunità, devo stare alle Regole. Nelle nostre Regole ogni cosa è disposta a dovere, anche con rigore teologico e secondo il diritto della Chiesa, cioè secondo i suoi Decreti. Bisogna sempre essere con la Regola, a meno che intervenga un miracolo; ma bisognerebbe anche allora dubitare.

Io spero tanto dall'osservanza di esse per lo spirito della comunità. Non siamo in un collegio, ma in una famiglia dove dobbiamo vicendevolmente santificarci. Siamo in comunità, dove il diavolo è attento e se uno non pratica la mortificazione sotto tutti gli aspetti, cade. Quindi, per il buon spirito dell'Istituto, bisogna osservarle. Guai a chi va avanti o fa i voti che non sia fermo, stabile! Non diciamo che la tal regola è una cosa da poco; niente è da poco.

Fac hoc et vives! Sta tutto lì, vedete. Importanza somma delle Costituzioni, in quo totum continetur!

Ringraziate il Signore che ha avuto la bontà di suscitare questa Congregazione. Ciascuno di voi dovrebbe essere una colonna dell'Istituto, sì che quelli che verranno possano vedere in voi un modello da imitare. Se si perdessero le Costituzioni, ognuno di Voi sia una costituzione vivente, permanente.

Lo spirito dell'Istituto qual'è? Le Costituzioni, il Direttorio, con le istruzioni che lo spiegano.

Le Costituzioni si tengono sul generale, il Direttorio le spiega e le applica ai casi particolari. Può essere che nel Direttorio si aggiunga, si tolga, si modifichi. I Padri Bianchi non stamparono il Direttorio che nel 1916, pur seguendolo già da molto tempo.

Non basta dire di avere per regola la presenza di Dio; se non si hanno queste norme scritte, è difficile andare avanti. Osservando queste minutezze, si forma lo spirito, e più facilmente uno avanza nella santità.

giuseppeallamano.consolata.org