21. LA CASTITA'

Le divine predilezioni

La Chiesa, nell'Epistola della I Domenica di Quaresima, ci fa leggere un tratto della Lettera di S. Paolo ai fedeli di Corinto. Dice in essa l'Apostolo: Vi esortiamo a che voi non invano riceviate la grazia di Dio (363). Le stesse parole la Chiesa rivolge a noi, e io le dirigo a voi, applicandole alla grazia che avete ricevuto di venire nell'Istituto, alla grazia dell'apostolato fra gli infedeli. S. Paolo aggiunge: In ogni cosa ci rendiamo commendevoli come ministri di Dio (364).

Ma come poter essere e dimostrarsi veri ministri? Continua l'Apostolo: Con grande pazienza... vivendo in castità (365). Fermiamoci qui e permettete che insista su questa bella virtù, tanto necessaria ai ministri di Dio, a voi soprattutto che dovete conservarla illibata fra maggiori pericoli.

L'eccellenza di questa virtù è grandissima, e in qualconto fosse già tenuta nell'Antico Testamento ce lo dicono le Sacre Scritture. Per questa virtù Dio discese a consolare nella prigione il casto Giuseppe e non lo abbandonò: In vinculis non dereliquit illum (366). In riguardo alla di lei purezza, Dio liberò Susanna dalla calunnia e dalla morte; e ciò fece per mezzo di Daniele, adorno egli pure di sì bella virtù (367). Invece, perché ammorbate dalla lussuria, Sodoma e Gomorra perirono sotto una pioggia di fuoco (368).

Venuto poi il Divin Redentore nel mondo, quali prove non diede Egli di prediligere questa virtù! Egli volle nascere da una Vergine, derogando in ciò con un miracolo unico alle leggi stabilite; e scelse Maria, appunto per il di Lei amore a questa virtù: virginitate placuit (369). Volle a custode e Padre putativo S. Giuseppe, castissimo e che - al dir dei Padri - aveva fatto egli pure voto di verginità. Dovendo essere designato da un Precursore, scelse S. Giovanni Battista, vergine e poi ancora martire della purezza. Durante la sua vita mortale permise che la malvagità degli uomini gli infliggesse ogni sorta di calunnie, ma non soffrì mai che il minimo dubbio venisse ad offuscare la sua fama a questo riguardo. Tollerò negli Apostoli altri difetti, ma non volle che in essi ci fosse pur l'ombra del vizio contrario alla bella virtù. Le prove più squisite di sua predilezione le diede all'apostolo S. Giovanni perché vergine, concedendogli nell'ultima Cena di riposare sul suo Cuore ed affidandogli poi in custodia, da sulla Croce, la sua castissima Madre: Virginem virgini commendavit (S. Bernardo) (370).

S. Paolo, parlando a quei di Corinto, dice che chi si sposa fa bene, ma meglio fa chi si mantiene vergine. In quale conto poi questa virtù fosse tenuta dai primi cristiani, è manifesto dal fatto che per serbare illibato questo fiore, essi soffrivano ogni sorta di tormenti e andavano lieti incontro al martirio, come S. Agnese e tante altre.

Questa virtù inoltre è tanto cara a Nostro Signore, che sempre e grandemente la premiò. Le sue rivelazioni particolari, generalmente, è ai casti che le fa, come a S. Maria Margherita Alacoque; le dovizie della sua scienza le comunica all'angelico S. Tommaso d'Aquino; le attrattive del suo amore a un S. Antonio, S. Luigi, S. Stanislao Kostka: tutti fiori di illibata purezza.

S. Francesco di Sales, parlando della castità, dice che è il giglio fra le spine (371). Tutti i Santi andarono a gara ad elogiarla. Essi dicono che la castità ci rende angeli fra gli uomini e, in un certo senso, rende l'uomo superiore agli angeli; perché questi non hanno incentivi al male essendo puri spiriti, mentre l'uomo deve combattere continuamente. Essa infine, ci dicono i Santi, rende l'uomo similissimo a Dio: Deo simillimum facit (S. Basilio) (372).

Amiamo dunque la castità, la santa purezza. Che fortuna essere vergini! Non essere più nostri per nulla, ma tutti del Signore! Vivere qui in una comunità di vergini! Essere casti di mente, di cuore, di corpo!

La virtù e il voto

E' questa una materia molto importante e delicata. La parola castità si fa comunemente derivare da castigatio; e la ragione, secondo S. Tommaso, è che nei casti la concupiscenza viene castigata cioè mortificata per mezzo della ragione: Per rationem concupiscentia castigatur (373).

Vi sono varie sorta di castità: verginale, coniugale, viduale, o per voto o proposito di conservare il celibato. Queste parole non hanno bisogno di essere spiegate. Noi trattiamo della castità verginale, che è quella che professiamo come Religiosi e come Sacerdoti. S. Tommaso insegna che la castità verginale consiste formalmente nel fermo proposito abstinendi a delectatione venerea (374): cioè nell'atto interno fermo e costante di non ammettere cosa contraria all'integrità verginale.

Basandosi su questo concetto, il già citato P. Antonio Semeria fa giustatamente osservare che la castità verginale non risiede quindi nel solo corpo, ma propriamente nello spirito (375). Lo stesso affermava già S. Agostino: "Chi può dubitare - egli scrive - che la pudicizia, quando è virtù, risieda nello spirito? Essa quindi non può venir rapita con la violenza". E aggiunge che perciò essa non può venir meno, finché rimane ferma nel cuore, nella volontà (376). Conclude lo stesso Santo con asserire "che ciò che macchia l'anima e offusca questa virtù è solo il consenso" (377).

Quindi le miserie notturne che sogliono angustiare le anime timorate, non escludono punto la virtù della castità; né lascierebbe di essere casto davanti a Dio chi, contro la propria volontà, fosse molestato da perfidi nemici. Così le vergini cristiane rispondevano ai tiranni: "Se tu mi violenti, la mia castità sarà duplicata per la corona" (377 bis). S. G. Cafasso, parlando dei confessori che devono udire tante miserie nell'esercizio del loro ministero, perché non si scoraggiassero e lasciassero il confessionale, ma rimanessero in pace, diceva che erano veri martiri della castità.

La materialità dunque non basta a far perdere questa virtù; non la si perde senza volerlo pienamente, cioè con piena volontà deliberata. E ciò dico a nostra consolazione. Per l'opposto, si può perdere la castità se l'anima acconsente a pensieri e desideri illeciti, anche senza alcun moto o corruzione nella parte inferiore.

Uno solo è l'oggetto del voto e della virtù della castità, quindi la violazione della virtù porta sempre seco la violazione del voto. Peccando contro la castità, il Religioso fa perciò due peccati: uno contro il sesto o nono Comandamento, l'altro contro la virtù della Religione. Confessandosi, bisogna dichiarare al confessore la qualità di Religioso, se già non la conosce.

Il voto solenne in una Religione a ciò approvata, ed il solenne per le S. Ordinazioni costituiscono impedimento dirimente al matrimonio, che resta invalido e nullo, anche se contratto in civile, ed i contraenti incorrerebbero nella scomunica riservata simpliciter Sedi Apostolicae. Il voto semplice, quello cioè che si fa da noi con la professione religiosa, è solo impedimento impediente, che lascierebbe valido il matrimonio, ma illecito con scomunica riservata agli Ordinari (Can. 2388).

Può aspirare allo stato Religioso chiunque si trovi in uno degli stati suaccennati, ed anche, in casi eccezionali, i coniugati; quindi anche coloro che in passato non furono fedeli alla propria continenza, purché non siano abituati al male ed abbiano una castità riparata, coll'uso dei mezzi che assicurano la stabilità nell'osservanza del voto. Viene escluso l'abituato, non l'emendato.

Necessità della castità

Così intesa, la castità verginale è sommamente necessaria al Religioso, maggiormente poi al Sacerdote. Tutte le virtù gli sono necessarie, ma questa lo è in modo particolare.

Già nell'Antica Legge voleva Iddio che fossero santi i suoi sacerdoti: Purificatevi voi che portate i vasi del Signore (378). Chi più puro di un Samuele, di un Melchisedecco, ambedue sacerdoti?... Che dire allora del sacerdotee della nuova Legge, che non offre più sacrifici di animali, ma l'Ostia monda per eccellenza, lo stesso Corpo e Sangue del Figlio di Dio? Oh, sì, quanto più pura dev'essere quella mente che tutto dì deve occuparsi nel pensare e spiegare i divini misteri e le divine verità! Quanto puri quegli occhi, che ogni giorno si fissano sul tre volte Santo! Quanto monda quella lingua che lo deve far scendere dal Cielo in terra! Quanto caste quelle mani tra cui s'incarna nuovamente il Figlio della Vergine! Quanto immacolato quel corpo, nel quale Dio stesso scende per incorporarsi con lui come in una sola persona!

Perciò la Chiesa Cattolica, ispirata dallo Spirito Santo, fin dai tempi apostolici vide la necessità che i suoi ministri splendessero per si bella virtù e la prescrisse fin d'allora. E nel ricevere l'Ordine del Suddiaconato se ne fa solenne professione: voto solenne di perfetta castità. La castità rende idoneo il sacerdote ad esercitare il suo ministero.

Essa è dunque la qualità più necessaria ai chierici per riuscire degni sacerdoti. Diceva S. Tommaso da Villanova: "Sia pur uno pio o dotto o umile, sia quello che vuole, ma se non è casto, è nulla" (378bis). Il sacerdote dev'essere casto e puro. La castità è la gloria del sacerdozio cattolico.

Come Missionari poi siete esposti a più grav ipericoli, ond'è che dovete essere ben fondati in questa virtù. Mi ricordo di aver letto nella vita di un Santo, che in una Missione non si poteva più fare alcun bene, perché un Missionario era miseramente caduto. Ricordate anche il povero compagno del Card. Massaia.

Vedete, gli uomini materiali e sensuali possono non capire tanta meravigliosa virtù, eppure sanno apprezzarla nel sacerdote, nel missionario cattolico. Per far del bene a quei popoli, voi dovete essere riconosciuti per degli esseri superiori, vorrei dire soprannaturali, che nulla avete da fare con gli uomini del mondo. Non siete del mondo voi (379). E, d'altra parte, voi avete le stesse necessità degli altri uomini; come essi mangiate, dormite, lavorate. In che cosa dunque vi distingueranno? Come farvi riconoscere ed apprezzare per degli esseri superiori? Solo la castità vi fa apparire tali, e la sola vostra presenza basterà ad attirare i cuori. Oh, quanto è bella la castità!

Come pure è la castità che vi farà subito distinguere dai ministri dell'errore. Leggevo negli Annali della Propagazione della Fede, che nelle Montagne Rocciose si presentò a dei pellirossa un ministro protestante. qualificandosi per ministro di Dio. Ed essi gli domandarono: "Chi è costei, che hai teco?" - "E' mia moglie" - "Oh, allora vattene, tu non sei vero ministro di Dio. La Veste nera (il prete cattolico) è lui il vero ministro di Dio perché non ha moglie". Ecco come gli stessi indigeni di quei paesi riconoscono la necessità di questa virtù! Il Missionario perciò deve essere puro, casto, per poter convertire i popoli.

O miei cari, se sarete casti, sempre casti, io son certo della vostra buona riuscita. Nostro Signore si comunica alle anime caste e voi farete prodigi. Se invece non sarete ben assodati in questa virtù, infine se avrete la disgrazia di cadere - quod Deus avertat! -, non solo farete gran male a voi stessi, ma anche ai vostri confratelli e a tutta la Missione, nonché alla stessa causa dell'apostolato, perché d'un tratto renderete vane le fatiche di tanti anni e si dovrebbe lasciare quel luogo cosi profanato! A ognuno di voi quindi io mi rivolgo con le parole di S. Paolo a Timoteo: Conservati casto (380). Siate casti! Questo è l'avvertimento che vi ripetono ogni giorno la Chiesa e le Costituzioni! Siate casti! Ogni giorno nell'indossare la talare, ricordate l'obbligo strettissimo che vi siete assunto o state per assumere.

Mentre siete in tempo

Voi soprattutto che aspirate al sacerdozio, io esorto a ben riflettere sulla necessità di questa bella virtù. Vorrei parlarvene sovente, perché alla vigilia dei Voti o del Suddiaconato bisogna essere tranquilli su questa materia. Il primo segno di vocazione è la castità, ricordatelo. Ed è necessaria una castità salda e certa, riparata se perduta; ma riparata non da pochi giorni. Se l'abito non è vinto, credete a me, la situazione è disperata. Quando frequentavo la scuola di Morale, Mons. Bertagna mi fece questo caso: "Un chierico sta per ascendere al Suddiaconato; ha molte miserie da questo lato, ma assicura di aver buona volontà e da qualche mese non cade". Risposi: "Questo abito non può ancor dirsi vinto, tuttavia non è disperata la situazione; perciò credo che possa avanzare". Ma egli "No, no, la volontà presente non assicura troppo, non sarà che fuoco di paglia ed in seguito sarà prete infedele".

Conviene dunque cercare la purità di vita, costi quel che vuole, per essere tranquilli alla vigilia del l'Ordinazione. Non basta allora piangere, ci vuole la prova: poter dire di aver riparata, riacquistata la castità. Quante miserie in questo mondo! Se non sarete colonne ben ferme, che sarà di voi? Guai se uno non è ben fondato in questa virtù! Io dico sempre a coloro che incominciano: "Attenti, attenti! Tutto il resto è necessario, ma questo...". Quand'io uscii di seminario ero contento, perché non avevo più da pensare a ciò che avrei dovuto fare, ero preparato. Ricordatevi che se uno non è di abbastanza provata castità, il confessore non può dargli il permesso di ascendere ai Sacri Ordini. Questo ve lo dico non perché vi spaventiate, ma perché pensiate prima di fare il passo.

Il passo, infatti, che si fa nel Suddiaconato, è irrevocabile ed è grande l'impressione che fa a tutti, anche ai castissimi che confidano nel Signore. Chiamati per nome dal Vescovo, vi sentirete dire: Dilettissimi figli, che desiderate essere promossi all'Ordine del Suddiaconato, avete ben considerato il passo che state per fare? Iterum atque iterum considerare debetis attente quod onus hodie appetitis. Finora siete liberi, ma fra pochi istanti non vi sarà più lecito tornare indietro; imperocché, fatto il passo, bisognerà assolutamente conservarsi casti: castitatem, Deo adiuvante, servare oportebit. Pensateci dunque bene, mentre siete in tempo. Che se proprio volete perseverare in questo santo proposito avanzatevi!". A questo punto si fa il passo solenne.

Miei cari, come scorre il sangue nelle vene, come vacillano le gambe in quel supremo istante! Io non ne vedo altro più solenne che quello del dì del giudizio, quando ci toccherà stare alla presenza del Divin Giudice. Domandatene l'impressione ai vostri confratelli, che già l'ebbero a sostenere. Io per me non vi so dire come la cosa sia passata, tanto mi trovavo fuori di me medesimo... Si son visti in quel punto dei chierici a piangere, a sospirare e prostrarsi a terra e domandare perdono a Dio e scongiurare il Signore a donar loro una castità molto da essi calpestata. Dico ciò che ho visto io stesso. Al punto di fare il passo, uno si ritrasse, pur essendo un buon chierico. Lo fece forse per umiltà, ma certo è meglio rinunziare all'onore del sacerdozio, piuttosto che attirarsi addosso carboni pieni d'ira pel dì del giudizio!

Esaminatevi dunque attentamente. Siete voi pronti a conservare per tutta la vita una perfetta castità, che vuol dire non solo astenersi in questa materia da ciò che è pure vietato per gli altri ceti di persone, ma ancora da quelle soddisfazioni permesse a chi non ha scelto uno stato di perfezione? Siete voi pronti a fare tutti i sacrifici interni ed esterni richiesti per conservarla? Pensateci bene, vi ripeto, né mai ve lo ripeterò abbastanza. Chi si sentisse fiacco torni indietro per carità! Se uno avesse qualche abitudine cattiva vada via di qui, non è il suo posto. In un altro stato troverà la salvezza, che quasi certamente perderà nel sacerdozio.

Infelice quel chierico che, non ben fermo e disposto su tal punto, ascende ai Sacri Ordini! Egli si lega con una fune al collo, che formerà la sua rovina e quella di tante anime ch'egli condurrà seco a perdizione!... Fortunato invece quel giovane che, ben fermo in questa virtù, non solo con atti di essa ma con vero abito, ascende agli Ordini Sacri! Egli godrà durante tutta la vita pace e tranquillità interna inesplicabile, non capace da intendersi da chi è sensuale: la pace di Dio che sorpassa ogni intendimento (381). Sarà la salvezza di un numero stragrande di anime che in Cielo gli faranno nobilissima corona!

Se dunque, confidando nel divino aiuto, ve ne sentite la forza e la volontà, coraggio e non temete! Quel Dio che è la vostra speranza, sarà pure la vostra fortezza. Voi camminerete tranquilli fra i tanti pericoli che il mondo vi prepara, e perverrete al porto della vita eterna, come la colomba di Noè, che rientrò senza aver posto piede in terra.

Seppellire il passato

Penseranno alcuni: chi sa se io sono ancora vergine, se questa virtù portai o porterò intatta ai santi voti, al Suddiaconato? Rispondo: curiosità inutile. Nel pronunziare i santi voti o nella promessa del Suddiaconato noi non offriamo a Dio la castità passata ma la castità presente e futura. Certamente, come fu detto, per poter promettere sinceramente e con certo fondamento di osservare in avvenire, bisogna che già siamo stabiliti nell'osservanza della castità integra od almeno riparata, prima di legarci. Ma se uno ha raggiunto la stabilità, vada avanti tranquillo, senza più pensare al passato e senza inutili e forse dannose investigazioni.

Del resto, a me fece sempre stupore e senso di conforto il fatto dell'integra conservazione del corpo di S. Margherita da Cortona e non, ad esempio, di quello di S. Luigi. Non vorrà forse il Signore, con questi privilegi, dirci che in via straordinaria e a noi ignota, può e vuole ridonare la stessa verginità a quelli che con l'amore cancellano i peccati passati come fece con quest'anima e con altre?

Checché sia di ciò, non andiamo sindacando le opere di Dio e neppure noi stessi più del dovere; stiamo umili ed abbandonati in Dio. Procuriamo di amare questa bella virtù, ma per il passato ciò che è stato è stato; mettiamoci una pietra sopra.

La lotta per la castità

S. Paolo, esortandoci a farci santi, ci dice di astenerci dal vizio dell'incontinenza. Scrive: Vi preghiamo, o fratelli, e vi supplichiamo nel Signore Gesù, che vi asteniate dalla fornicazione... che non vi abbandoniate a passioni disordinate, come fanno i gentili che non conoscono Dio (382). E su tal precetto l'Apostolo ritorna molte altre volte. Vuole che questo vizio contrario alla bella virtù non sia nemmeno nominato: nec nominetur in vobis (383); non vuole che se ne parli. Ed io non intendo parlarvene. L'animo rifugge dal parlare di questo vizio, ma si può parlare e dev'essere sulle nostre labbra la virtù contraria. Ah, è una bella virtù questa! E' la virtù del nostro cuore!...

Eppure questo vizio è comune nel mondo e S. Alfonso non dubita di asserire "che quanti si dannano, o si dannano per questo vizio o almeno con questo vizio" (384). Esso poi, come tentazione, non eccettua condizione di persone: non solo i cattivi, ma anche i buoni che vivono in continuo timore di perdere questa virtù. Inoltre, questo tormento è di tutta la vita. Per lo più si pensa: "Ora sono giovane... ma quando sarò vecchio passerà!". No, non passerà coll'età avanzata; questo timore lo porterete sino alla tomba.

Sbagliano tuttavia quelli che pensano essere meglio lasciar la vocazione per questo motivo. "E' un errore - diceva già San G. Bosco - ritirarsi dalla vita religiosa, quando uno vi è chiamato, solo per il fatto di avere tentazioni, e che queste nel mondo non vi saranno più". Oh, anche nel mondo vi saranno! E uno peccherà di più per i minori mezzi di vincere le passioni. Nel mondo tutto è concupiscenza. Qui, grazie a Dio, c'è il buon esempio, c'è l'aiuto della preghiera e tanti altri mezzi.

Dico questo per consolarvi e aiutarvi a vincere le tentazioni. Le anime pie quasi tutte sono tentate in questa maniera. E' per loro una tribolazione, che il Signore permette per tenerle in umiltà e purificarle. Né da questa lotta furono esenti i Santi, se si eccettua S. Luigi e pochi altri, per privilegio speciale. S. Giuseppe da Copertino faceva miracoli su miracoli, eppure soffriva tentazioni terribili. S. Caterina da Siena, un giorno ch'era tentata assai, chiedeva al Signore d'esserne liberata, ma Gesù faceva il sordo. Finalmente le comparve e le disse: "Ma non sai che io ero nel tuo cuore che ti assistevo? Volevo vedere come combattevi; hai fatto tanti atti di virtù!" (385).

Dunque non scoraggiatevi se siete tentati. Altro è tentazione, altro è peccato. C'è modo di passare giorno per giorno, mese per mese, anno per anno e così tutta la vita senza cadere. I Santi facevano così; al mattino dicevano: "Guardiamo di vivere bene solo per oggi". Alla sera poi: "Grazie, Signore, che oggi non sono caduto, aiutatemi per domani". E così un giorno dopo l'altro, arrivavano all'ultimo di loro vita e: "Deo gratias, che ho conservato questa bella virtù!".

Tali tormenti ci danno il disgusto della vita, ci distaccano da questa povera terra e ci fanno desiderare la morte che ci libera dal pericolo di offendere il Signore. S. Luigi non poteva più farsi dei meriti su questo punto, noi sì: perché, usando i mezzi necessari, combattiamo e vinciamo. Inoltre queste torture di spirito servono di purificazione. L'oro si purifica nel fuoco e il Signore ci purifica con queste miserie. Se sarà pel nostro bene, Egli ce ne libererà, ma per intanto desidera che siamo così purificati.

Come comportarci nella lotta

Anzitutto, notate bene che queste cose si producono in noi senza la nostra cooperazione, come atti primi-primi, e noi non possiamo impedirne la prima impressione. Fin qui nessun peccato e anche se ce ne accorgiamo, non siamo tenuti a romperci il capo per scacciarli. Taluni vogliono combatterli e si affannano e non riescono a niente. Non bisogna allarmarsi. Anzi, combatterli direttamente non conviene, perché più s'imprimerebbero nella nostra fantasia. Dobbiamo solo combatterli indirettamente col fuggirli, dimenticarli e pensare ad altro. Dice bene S. Filippo che in questa lotta vincono i poltroni (386). Come nelle tentazioni contro la fede, così in quelle contro la castità dobbiamo solo fuggire. Se fossero pensieri contro la carità, allora sì che dobbiamo affrontarli, combatterli e vincerli, ma in questa materia non c'è che uno scampo: fuggire.

Vengono quei giorni tristi, incomprensibili, in cui ci sembra di essere indiavolati. Che fare?... Romperci la testa?... No, non lo possiamo fare. Se non vogliono andar via, stiano; io non li voglio. Quando vedranno che non si dà loro importanza, se ne andranno. Invece, se uno si affanna... eh, il diavolo ha solo quel mezzo, a lui basta disturbarci. E uno va a confessarsi e fa delle confessioni disturbate... e va alla scuola o allo studio con la testa in aria... No, non così. Non mettiamoci a combattere con il demonio. Se c'è da lavorare, lavoriamo ancor di più; se c'è da pregare, preghiamo più e meglio; se studiamo, mettiamoci con più energia. Il demonio, vedendo che non gli si bada, se ne va. Non star a ripetere: "No, no, no!". Basta che non diciamo sì; e per non dire sì, bisogna scappare.

Ho conosciuto un sacerdote, per altro molto zelante, il quale era sempre assalito da questa prova; ammattiva a forza di voler scacciare via quei pensieri e ripeteva di continuo: "No, no, no!", finché si sentiva stanco e non sapeva più se era caduto o no. Voleva sempre farvi sopra l'esame, ma era come battere sull'incudine. Non voleva dir Messa, se non si confessava tutti i giorni. Io gli dicevo: "Quando so che è solo per questo, la faccio aspettare quindici giorni prima di confessarsi. E non faccia più esami!" - "Ma vado a dir Messa in stato di peccato mortale" - "Sì, vada per obbedienza!" - Superò assai bene la prova.

E vi dico ancora altro a vostra consolazione. Si dice comunemente dai Teologi che c'è sempre colpa grave. Adesso ascoltate me, non cercate sui libri. No, anche in questa materia ci può essere peccato leggero ex imperfectione actus, ecc. Sapete che cosa ci vuole per fare peccato mortale? Ci vuole materia grave, piena cognizione di quello che si fa, pieno consenso in quello che so che è grave. Dunque tutte e tre queste cose; e questo non dopo la tentazione, ma in quel momento. Ora, ci son sempre tutte queste condizioni? In tutte le miseriette che ci passano per la testa, c'è sempre tutto questo? Io spero di no! Ma anche supposto che la materia sia grave, non sempre ci sono le altre due condizioni: la piena cognizione di un male grave e la piena avvertenza di compiere quel male grave. Non sempre c'è tutto e se mancasse una sola condizione, non c'è più il peccato mortale. Per un filo di avvertenza o di consenso che mancasse, devo ritenere che non è più peccato mortale. Bisogna chiedere la grazia di Dio, ma poi non bisogna mettere più male di quello che c'è. Dunque come fare? Tenetevi a queste regole:

1. - Ciò che capita nel sonno tenetelo per niente, per niente; cercate neppur la causa; nessun esame. Svegliati che siete, dite: Deo gratias! e non ci pensate più.

2. - Se capita qualcosa nel dormiveglia, pensate subito se c'era l'avvertenza e il consenso; e se ci mancasse un filo, dovete ritenere che non è peccato grave. E state tranquilli che nel dormiveglia manca sempre in parte o l'uno o l'altra. Quello che non farei in pieno giorno, perché l'avrei a fare nel dormiveglia? Se ci fosse anche stato qualche cosetta nel dormiveglia (perché a noi sembra sempre che ci sia stata la volontà), sarebbe solo veniale; e allora prendo l'acqua santa, faccio un bel segno di croce, poi mi accosto tranquillamente alla santa Comunione che pulisce tutto.

3. - E per quello che può capitare lungo il giorno? Qui c'è un metodo. Chi abitualmente non vuole queste cose, bisogna che sia talmente certo di aver commesso quel peccato, da non aver nessun dubbio di sorta. Quando ha il minimo dubbio, deve ritenere che non ci fu colpa grave. Vedete: se si trattasse di uno che vive infangato in questi peccati, che beve il male come si beve un bicchiere d'acqua, allora c'è da presumere che veramente, in tali condizioni, sia caduto. Ma quando abitualmente non li vogliamo, o li fuggiamo e usiamo tutti i mezzi di cui parleremo, la presunzione è in favore nostro e si può star tranquilli che non si è acconsentito. Quando uno ha offeso il Signore in questa materia, non ha nessun dubbio. Se poi si trattasse di scrupolosi, non basta nemmeno il loro giuramento, che son sempre pronti a fare. Con gli scrupolosi bisogna andare adagio, perché macchinano, macchinano... ed allora il peccato diviene grosso, addirittura un mappamondo!

Dunque distinguete sempre fra tentazione e peccato, tra sentire e acconsentire. La tentazione non è nulla. Lasciamo che il cane abbai, cerchiamo di distrarci, non inquietiamoci, e poi succeda quel che vuole. Quando è così, vado alla Comunione ugualmente e senza confessarmi. Un bel atto di amore perfetto e basta. Non bisogna farci una necessità della confessione in questi casi, perché è solo soddisfazione dell'amor proprio e serve solo ad imprimere nella mente ciò che non si vorrebbe. Alcuni il demonio li inquieta, perché non può farli cadere in peccato e vuole solo tormentarli. Non abusarci, no, ma appunto per far vedere al Signore che gli vogliamo bene, non bisogna che ci tormentiamo.

In tale materia poi - e l'ho già accennato - non bisogna insistere a fare esami, per vedere se siamo caduti o no; perché tanto, dopo tutti questi esami, se ne sa come prima. Anzi, dopo aver fatto tanti esami alcuni credono poi di aver acconsentito e quasi si disperano. Neppure operano bene quelli che vogliono ripetere le confessioni passate, fare nuove confessioni generali, per meglio spiegare questi peccati già confessati. Si dice, si disdice, perché il "sì" non lo si può dire ed è inutile. Abbiamo sempre un'invasione di confessioni da fare. Altro sarebbe il caso di un peccato grave, certo, chiaro, che avessi taciuto o dimenticato, allora ci sarebbe l'obbligo. Negli altri casi non se ne parla più. Ubbidite al confessore che vi dice di star tranquilli e di non parlarne più, né vogliate portar sempre al confessore lo stesso piatto. Ci si può confessare in generale, non in particolare. E neanche far l'esame particolare su queste cose, soprattutto quando uno è debole.

Insomma, siamo umili e confidenti, e tiriamo avanti in Domino. Bisogna star attenti che non ci perdiamo in un bicchiere d'acqua. Facciamo un po' di carità a noi stessi! Ne abbiamo tanta verso gli altri, usiamone un poco verso di noi. Anima mia, perché ti turbi? Spera in Dio e abbi un po' di pazienza! Il Signore non si trova nel turbamento (387). Facciamo invece atti di amor di Dio; un atto di amor di Dio lo si fa presto, basta talora un sospiro.

I nemici della castità

Giobbe chiamava Dio in testimonio che nessuna macchia s'era attaccata alle sue mani. Si manibus meis adhcesit macula (388). Camminiamo in questo mondo come fra la pece, e guai a chi s'imbratta anche solo la punta delle dita! Non sì facilmente se ne libererà, ché le dita così macchiate trarranno a sé tutto ciò che toccano, e in breve rimarrà così intricato, da non poter più operare... Bel paragone per spiegare ciò che avviene a chi per poco si lascia andare a pensare, parlare e operare cose non conformi alla virtù della castità. Più facile è non fare un passo per questa via, che, fatto il primo passo, ritrarsi dal precipizio. E' cento volte più facile preservarsi dal cadere nel vizio contrario alla bella virtù, che il rialzarsi dopo la caduta.

Eppure, miei cari, è questo un tesoro che portiamo in vasis fictilibus (389); e pei nemici che ci insidiano, siamo esposti a perderlo ad ogni istante. E' necessario perciò conoscere questi nemici e munirci dei mezzi indispensabili per evadere dalle loro insidie.

Tre sono i nemici della castità: il mondo con le sue attrattive, il demonio con i suoi inganni, la carne con la sua concupiscenza. E tutti e tre si aiutano a vicenda nel perverso intento. Il demonio è come il capitano che dirige l'assalto: mette perciò in opera i mezzi numerosi che il mondo gli fornisce all'uopo, mentre la concupiscenza interna per parte sua mira a tradire la fortezza e metterla nelle mani del demonio. Contro questi nemici la lotta è aspra.

Prima di tutto, quindi, bisogna vincere le cattive abitudini ed inclinazioni. Ma anche quando non ci son più le cattive abitudini, può avvenire che cadiamo, il Signore può permetterlo per umiliarci; siam noi che siamo cattivi e che cadiamo. Ma allora uno si rimette subito a posto, intensificando la buona volontà per non più cadere e usando i mezzi necessari.

La vigilanza

In Paradiso saremo tutti angeli e non ci saranno più pericoli; per intanto bisogna sempre temere, diffidare, quindi vigilare. A tutela del voto di castità fu introdotta l'usanza della clausura, a cui una volta si dava molta importanza. Essa può distinguersi in materiale e morale. La prima è più specialmente per le donne e, anticamente, per gli Ordini: Clarisse, Benedettine, Cappuccine, Visitandine. Appartengono alla clausura materiale: la convivenza in case separate (i Religiosi dalle Religiose), l'uso delle "ruote" per comunicare nelle cose necessarie, le cautele di tempo e di luogo del parlatorio, il non recarsi in case private - anche di parenti - senza necessità.

La clausura morale è per tutti e consiste specialmente in due cose: nel non uscire di casa senza permesso, nella fuga delle persone di diverso sesso.

Per diritto comune, o almeno per approvata consuetudine, i Religiosi non possono uscire dal convento, se non per giusta causa, col permesso volta per volta del Superiore e con un compagno. Le nostre Costituzioni prescrivono: "I Missionari, uscendo di casa, siano possibilmente in due" (390). Il mancarvi è di tale gravità che, fatto di frequente - e se di notte anche una volta sola - potrebbe essere colpa grave. Bisogna tuttavia considerare le Regole delle singole istituzioni. Tutto ciò costituisce in certo qual modo la clausura: non potendo avere la clausura propriamente detta, si fa quello che si può per essere fuori dell'occasione. Per quanto è possibile, dunque, non bisogna mai uscire da soli. Quando poi, col debito permesso, dobbiamo uscire e non c'è il compagno, ricordiamoci che c'è l'Angelo Custode e teniamoci in intima unione con lui.

In secondo luogo, guardarsi dal tratto familiare e dalle conversazioni con persone di diverso sesso. Qui parlo solo di noi, degli uomini, ma è inteso che ciò è maggiormente doveroso per le Religiose, essendo di natura più deboli. I Santi Padri sono unanimi nel condannare la pericolosa familiarità con persone d'altro sesso. Sant'Agostino dice: "Da tutti i cristiani, ma principalmente dai sacerdoti e dai monaci si deve evitare ogni familiarità; nessuna donna deve coabitare coi servi di Dio, per quanto essi siano castissimi" (391). Egli poi non permetteva l'accesso alle donne in casa sua, fossero anche nipoti o cugine e neppure alla sorella, benché vedova e molto spirituale; perché diceva che se non esse, altre che venivano a trovarle, potevano essere di scandalo ai domestici. Si racconta di lui che non entrava mai in camera d'altri, se non accompagnato da qualche sacerdote.

Si dirà che talora ciò è necessario o almeno conveniente. Risponde S. Cipriano: "Sì, è vero, ma allora si mantenga la necessaria serietà" (392). E S. Girolamo ammoniva Nepoziano di non trovarsi mai solo con una donna (393). Mai dunque trattare da soli a tu per tu, sempre alla presenza di qualche testimonio, fosse pur solo un ragazzo. Né si porti la ragione del bene che si spera di fare, e cioè che sono persone spirituali, ecc. Vi dirò con S. Paolo, accomodando il testo al caso nostro: Siete così stolti, che avendo cominciato con lo spirito, cercate ora di perfezionarvi con la carne? (394). Se sono sante figliuole, preghino e stiano sante; ma sono più pericolose ancora. Si comincia sempre o quasi sempre con lo spirituale. E non si dica che S. Francesco di Sales trattava familiarmente con la Chantal; non è vero, la teneva a debita distanza. Ci vuole vigilanza. Udite S. Girolamo: "Tu non sei più forte di Sansone, né più santo di Davide, né più sapiente di Salomone, eppure essi caddero! (395).

In Missione ci sarà bisogno di trattare con le Suore, ma anche là il puro necessario e nel debito modo. Insomma: sia trattando con le donne, che con le Suore, tenere una semplice gravità e modestia. Cum mulieribus sermo sit brevis et durus. Duro non vuol dire non caritatevole. Parole necessarie, non melate; non sgraziose, ma serie. Avere un po' di paura. Che volete! siam fatti di terra. E' meglio che dicano che siam rustici. O sancta rusticitas! Nel dì del giudizio vedremo chi aveva ragione.

Ecco perché le nostre Costituzioni, lasciati gli altri mezzi pur necessari per conservare il voto e la virtù della castità (dovendosi, secondo le norme, porre in esso solo il principale), dicono: "Per ben conservare la castità, in vista soprattutto dei maggiori pericoli in Missione, si eviti la familiarità con persone di diverso sesso; e dovendo trattare con esse nell'esercizio del ministero, si usi grande riservatezza, in particolare quando, in caso di necessità, si dovessero loro prestare cure mediche, le quali però, sempre che è possibile, il Missionario rimetterà alle Suore. Le donne non entrino nelle camere dei Missionari senza giusto motivo, da riferirsi al Superiore delegato di Missione per averne il permesso in casi consimili" (396).

E fin d'ora, attenti al parlatorio ed in tutto il vostro trattare con donne. Non tanto desiderio di andarvi, e starvi con pena, come sulle spine. Siamo fragili!... Via gli abbracci e le troppe strette di mano nonché la curiosità di sapere le cose del paese e della famiglia: come i matrimoni, ecc. Vi sono dei chierici che, quando viene qualcuno, domandano di tutti i matrimoni del paese. Che bisogno di sapere queste cose?... Guai a chi non ha paura del parlatorio!...

Per mia parte son ben contento di essere sempre vissuto in comunità; e voi fortunati che non avete da convivere con donne, come i vice-curati nelle parrocchie dove sovente vi sono figlie giovani contro le disposizioni del Sinodo, perché nipoti del parroco, ecc. Un parroco prese in canonica per servizio un ragazzetto. "Non avrà tutto in ordine - diceva di lui il Card. Richelmy - ma è molto da rispettare". Quando ero chierico, conoscevo un parroco che aveva un domestico e l'ammiravo. E' materia importante e i Santi Padri gridano su questo punto!... Cosa mai, ci vuole la clausura!... Là in Missione sono separate le case delle Suore da quelle dei Missionari e tra esse c'è la cappella. Ciascuno al proprio posto, e si va avanti. Dobbiamo avere questo spirito, tenerci a queste norme. Concludo con il solenne ammonimento di S. Agostino: "Credi a me: sono Vescovo, dico il vero in Cristo e non mentisco. Sotto questo pretesto (di amicizie spirituali) ho visto cadere i cedri del Libano (uomini di altissima contemplazione) e gli arieti del gregge (i grandi prelati della Chiesa), dei quali avrei meno dubitato che di un Gregorio Nazianzeno e di un Ambrogio" (397).

La preghiera

Oltre i due mezzi speciali per la custodia della castità, che costituiscono come la clausura morale, vi sono quelli generali per tutti, dei quali è assolutamente necessario l'uso per conservarsi casti. Questi mezzi ci sono stati proposti da Nostro Signore nel Vangelo. Non avendo potuto gli Apostoli liberare un indemoniato, e richiesta la ragione al Divin Maestro, Egli rispose loro: Cotesta specie di demonio non può essere altrimenti scacciata se non per mezzo della preghiera e del digiuno (398). I Santi Padri sono unanimi nel riconoscere in questo demonio, quello della lussuria, dell'incontinenza. I mezzi dunque per conservarci casti, oltre la vigilanza, sono due: la preghiera e la mortificazione. Quella ottiene la grazia, questa sbaraglia le arti dei nemici.

La preghiera anzitutto. Ah, questa bella virtù non si custodisce se non con la preghiera! E questo lo affermano tutti: Sacra Scrittura, Santi Padri, maestri di spirito. Pregare, pregare bene, pregare sempre. Semper orare! (399). Se la preghiera è necessaria per ottenere tutte le grazie, in modo particolare lo è per conservarci casti. E ciò perché come ben dice Cassiano, per la forte tendenza al vizio contrario, è impossibile con le proprie forze, senza uno speciale aiuto di Dio, senza un miracolo, conservarci casti. Conferma S. Cipriano: "Fra i mezzi per ottenere la castità, il primo e principale è di chiedere aiuto dall'alto" (400). S. Gregorio dice a sua volta "che la preghiera è la tutela della purezza" (401). Il Crisostomo afferma che il digiuno e la preghiera sono come due ali che portano l'anima al di sopra delle tempeste, la rendono più ardente del fuoco, terribile ai nemici. E conclude: "Nulla e nessuno è più potente di colui che prega" (402).

S. Tommaso d'Aquino, deciso d'entrare in Religione, s'avviò un giorno alla volta di Parigi, ma i suoi fratelli lo rincorsero, lo raggiunsero, lo chiusero in una torre, e con fine perverso, gli mandarono una donna infame. Il Santo, appena fatto accorto del pericolo, si rivolse al Signore e alla Madonna con tutto il fervore del suo spirito: "O Signore, non permettete che io cada; o Vergine Santa, aiutatemi! ". Poi con un tizzone ardente scacciò via quella donna e si rimise a pregare. Fu allora che scesero gli Angeli a cingerlo con un cingolo miracoloso, e d'allora in poi non sentì più tentazioni su questo punto (403). Vedete? Una breve preghiera!...

Chiediamo dunque al Signore sì bella e necessaria virtù; chiediamola per il tempo presente e per quando vi troverete in mezzo a tanti nemici anche esterni, che la insidieranno. Chiediamola sempre. Tenete bene a mente: non basta pregare a intervalli e in cappella, non basta dire tre Ave Maria mattina e sera non basta far le comuni pratiche di pietà lungo il giorno, ma a vincere queste tentazioni è necessario avere lo spirito di preghiera, l'abito della preghiera sia mentale che vocale e delle giaculatorie. E' necessario tenerci continuamente uniti a Dio, avere il gusto della preghiera: non gusto sensibile, ma della parte superiore dell'anima. Perché la tentazione non trovi posto nella nostra mente, bisogna che questa sia occupata sempre da qualche buon pensiero: il fioretto della meditazione, un'aspirazione, una Comunione spirituale, una giaculatoria, ecc. Solo se vivremo uniti a Dio non vivremo uniti al demonio. Sant'Agostino diceva: "Comandi la castità? Dacci quello che comandi e domanda quello che vuoi" (404). Con lo spirito di preghiera si ottiene tutto. Chiedete e otterrete (405). Così facevano i Santi; alcuni di essi passavano le notti in ardentissima preghiera, per scacciare da sé le tentazioni contrarie a questa virtù. La preghiera ci solleva da questa terra e c'innalza fino al cielo.

Credete a me: i fervori momentanei non bastano contro questo vizio. Viene la tentazione, si combatte debolmente, si tentenna e si cade. Mons. Gastaldi, parlando ai Sacerdoti, diceva che chi non prega volentieri e assiduamente, o è già caduto o sta per cadere. Chi non si sente bene davanti a Gesù Sacramentato, chi vi sta con pena, è segno che ha già perduto la bella virtù o sta per perderla. Quando io vedo un giovane che abitualmente prega poco, prega volontariamente svogliato, che non fa bene tutti i giorni la meditazione e la Visita al SS. Sacramento, io dico che questo giovane, se già non è caduto, cadrà nel brutto vizio.

Ecco il perché, miei cari, tanti trovano nausea nella preghiera, non amano stare in Chiesa: non son casti, non hanno il cuore puro. Come volete che possano affezionarsi alla preghiera, stare alla presenza di Gesù Sacramentato, i cui occhi purissimi si fissano nel più recondito dell'anima? Non possono reggervi; hanno bisogno di cercare lavoro e distrazioni per allontanare il pensiero di Gesù, che è un continuo e doloroso rimprovero alla loro condotta. Essi temono che Gesù, medico pietoso delle anime, metta il dito sulla piaga e la faccia loro conoscere. Perciò lo fuggono. Infelici! Non guariscono perché non vogliono, e tentano persuadersi di non essere malati...

Se qualcuno va dicendo: "Che necessità di tanta preghiera? Meglio sarebbe occupare il tempo nello studio", miei cari, costui non ha il cuore puro e siccome la preghiera gli pesa ed egli l'allontana da sé, così, per togliersi il rimorso, vorrebbe che anche gli altri la lasciassero. Ancora: perché mai la santa Comunione che fa correre nella via della perfezione tante anime del volgo, che fa i vergini e li conserva, perché mai sembra indurire il cuore di tanti Religiosi, di tanti sacerdoti, di tanti chierici? La spiegazione è sempre la stessa: non son casti, non hanno il cuore puro.

Preghiamo, dunque, e Dio ci darà la grazia inestimabile di conservarci casti tutta la vita; specialmente voi Missionari. Ma è pur vero che, per ottenere tale grazia, fa duopo pregare molto. Un Missionario che non prega fa dubitare della sua castità.

Prendiamo l'abitudine, specialmente nelle tentazioni, di subito metterci nel Cuore di Gesù e lasciamo a Gesù di rispondere Lui. Così faceva S. Agostino che, nelle piaghe del Divin Salvatore trovava rifugio e riposo. Tuta requies mea in vulneribus Salvatoris (406). Le tentazioni ci saranno sempre, ma là, nel Cuore di Gesù, non può succedere nulla; Egli calmerà la tempesta. Con lui sono nella tribolazione, lo salverò e lo glorificherò (407). Altri ancora nelle tentazioni stringono il Crocifisso. Con quest'atto tutto è inteso; non c'è bisogno di rompersi la testa. Mezzo poi potentissimo, e senza del quale è quasi impossibile rimanere casti, è una tenera divozione a Maria SS. Ella è la dispensatrice di tutte le grazie e in particolare di questa. Mettiamo la nostra castità sotto la sua speciale protezione, consacriamola a Lei, dicendole sovente: Mater purissima... Mater castissima. Virgo virginum, ora pro nobis! Ricorriamo anche a S. Giuseppe, che di questa virtù conosce tutta la preziosità ed è potentissimo ad ottenercela. Diciamogli di cuore: Fac nos innocuam, Joseph, decurrere vitam! Invochiamo il nostro buon Angelo Custode. Insomma, preghiera, unione con Dio e l'aiuto divino non può mancare. Anche se interi accampamenti mi stessero di fronte, non temerebbe il cuor mio (408). E se anche il demonio andrà a prenderne altri sette nequiores se, neppure allora vincerà, perché gratia Dei mecum!

Mortificazione del corpo

Il secondo mezzo propostoci da Gesù nel Vangelo è la mortificazione; in jejunio. Con questa parola i maestri di spirito intesero sempre la mortificazione del corpo e dello spirito; così pure la Chiesa la quale, nel Prefazio della Quaresima, spiegando i benefici effetti del digiuno, dice ch'esso comprime i vizi, dà la virtù e ci fa acquistare molti meriti: vitia comprimis... virtutem largiris et proemia. Incominciamo dalla mortificazione del corpo.

La mortificazione esterna fu sempre praticata da tutti i Santi, in tutti i tempi; e non solo presso gli Eremiti e gli Ordini penitenti, ma da tutte le persone che vogliono vivere da buoni cristiani. Il nostro corpo è un cavallo sbrigliato; guai a non frenarlo!... Ci vuole certamente prudenza in cose gravi, e consiglio, per non danneggiare la salute, ed anche per certe eccessive sensibilità spirituali; ma d'altra parte, non bisogna credere che siano cose d'altri tempi. Che anzi, direi che al presente sono più necessarie, per i maggiori incentivi al male. Ma io qui voglio parlarvene come mezzo per conservare la castità. S. Paolo diceva: Castigo il mio corpo e lo riduco in schiavitù, perché non avvenga che, dopo aver predicato agli altri io non finisca reprobo (409). Queste mortificazioni infatti, domano la carne e la concupiscenza. Voler trattare delicatamente la carne e pretendere che non ricalcitri, è stoltezza. La carne ha desideri contrari allo spirito, e lo spirito contrari alla carne (410). Se uno ci guadagna, l'altro ci perde: e viceversa.

MORTIFICAZIONE DEL GUSTO - Venendo a trattare della mortificazione dei sensi in particolare, vi dirò che ciò che attacca facilmente la bella virtù è la gola. Le altre immortificazioni la deturpano, ma questa soprattutto la mette in pericolo, perché s'insinua facilmente e, se non si sta attenti, è facile darle molte soddisfazioni. L'atto del mangiare avvilisce l'uomo; eppure capita sovente che si perda molto tempo a pensare al cibo e a riflettere su se stessi se ci ha fatto o ci farà del bene, ecc. Ah no, l'uomo non vive di solo pane (411). Non si fissi dunque la mente in queste cose, che mai abbelliscono l'anima e sovente ne mettono in pericolo il candore.

Quanta penitenza faceva S. Girolamo quand'era a Betlemme! Eppure gli ritornavano ancora alla mente le cose vedute a Roma e n'era turbato. Per vincere queste tentazioni, stava digiuno delle settimane intere (412). Racconta il Dubois di un medico assai valente e pio, il quale soleva dire: "Io credo alla castità dei sacerdoti e ne sono edificato; ma quando veggo taluni partecipare così di frequente a pranzi, cui si invitano a vicenda o sono invitati da secolari, mi meraviglio come possano conservarsi casti". Mortificarci dunque nel cibo e nella bevanda. L'uso dei liquori, mentr'è dannoso alla salute corporale, costituisce un forte incentivo all'incontinenza. Così il molto vino. In vino luxuria (413).

E qui permettetemi che vi dica ciò che per esperienza penso. Nelle comunità religiose, più che nelle case private, si manca con il vizio della gola. Il demonio tenta in questo per vincer in altro. Non consci delle spese che costa il vitto e sotto lo specioso pretesto di conservarsi sani e robusti, si mangia più del necessario, si cercano preferenze e se ammalati, si è incontentabili. Questo è un dolore per i Superiori, che vedono i soggetti troppo solleciti del mangiare e mai contenti. Quanta materia di Purgatorio, se pure non d'inferno!

Mangiare per star vivi e per poter compiere il proprio dovere, e non vivere per mangiare. Non dico di lasciare il necessario, no, ma dico di saper fare tante piccole mortificazioni: accontentarsi di quello che ci si porta, far buon viso a cibo non ben condito, non mangiare con avidità, non mangiare più del bisogno, ecc.: tutte cose di cui nessuno s'accorge, ma che piacciono tanto al Signore, ci aiutano a santificare quest'azione e a conservarci casti. Tanti, per aver esagerato nel vino, si sono spiritualmente rovinati. Fortunati i Missionari che non ne hanno o ne hanno poco! Anche qui voglio che ne facciate più poco uso che potete. Prendetene pure, ma con ragionevolezza. Tutte queste mortificazioni non fanno del male, si sta anzi meglio di salute. Il nostro corpo si tien sano, nella misura che lo teniamo sobrio. Certi eremiti nonostante la penitenza che facevano, vissero fino a cent'anni e anche più!

MORTIFICAZIONE DEGLI OCCHI - Per amore della castità dobbiamo inoltre mortificare la vista: superbia oculorum (414). Quanti pericoli, oggi soprattutto, e anche per voi in Missione, se uno non sa mortificare gli occhi! Giobbe aveva fatto un patto con i suoi occhi di non pensare a nessuna donna, neppure a una vergine. Pepigi foedus cum oculis meis ut ne cogitarem quidem de virgine (415). Notate che dice: "Ho fatto patto coi miei occhi di non pensare...". Ecco l'intrinseca relazione dell'occhio con la mente. E' vero che gli occhi non pensano, ma essi sono la porta del l'immaginazione, sono le finestre per cui entra il pensiero. Bisogna fare il patto con colui che è alla porta, perché non lasci entrare. Chi lascia entrare il ladro per la porta, non si lamenti poi di averlo in casa. Direte: "Oh, che cos'è poi un'occhiata?!". E' che dall'occhio al pensiero, dal pensiero al desiderio, da questo all'azione, il passaggio è facilissimo e rapidissimo. Se non vogliamo essere disturbati internamente, dobbiamo frenare gli occhi.

Non dico che sia necessario chiudersi fra quattro mura o camminare a occhi chiusi. Vi voglio sciolti, ma anche modesti e mortificati. Non voler guardare tutto, non essere curiosi, perché sovente fra mille oggetti innocui ve ne può essere uno pericoloso. Andando per la città, che bisogno di guardare tutto: fotografie, giornali, ecc.? E' una curiosità morbosa. Come sta male vedere certi sacerdoti davanti alle edicole! Dicono: "Eh, tanto per vedere!". No, non va; va già male per i secolari, tanto più per i sacerdoti. Basta un'occhiata, anche rapida, per avere poi tentazioni per tutta la vita. La Contessa Radicati, cieca già da vent'anni, mi diceva: "Non mi compianga, io sono contenta, perché ho un pericolo di meno di fare peccati". E' importante questa mortificazione, perché altrimenti non abbiamo bisogno che venga il demonio a tentarci, ci tentiamo da noi.

Soprattutto questa mortificazione è da praticarsi con le persone di diverso sesso; con tutte senza eccezione di virtù o di parentela. Però intendiamoci: non si può e non si deve fuggire le donne che sono creature come noi; e voi in Missione, come già v'ho detto, dovete lavorare insieme. Non vorrei che per paura di vedere una Suora, si andasse agli eccessi. S. Luigi, che fu per parecchio tempo al servizio della regina di Spagna in qualità di paggio, si dice che non sapeva neppure com'era fatta in faccia, e che fosse ugualmente riservato nel guardare la sua stessa madre. Sono esempi da non disprezzare, ma non in tutto da proporsi a voi. Ciò che dovete sempre fare è di non fissare in faccia, ma guardare semplicemente, con indifferenza, come fanno gli occhi modesti. Vedere senza guardare, guardare senza fissare.

Gli antichi per non vedere si chiudevano in qualche grotta del deserto; noi invece abbiamo da convivere con la gente, ma bisogna saper frenare gli occhi. Mi ricordo la grande impressione che all'Oratorio di D. Bosco mi faceva Don Francesia: riceveva la madre e la riaccompagnava sempre a occhi bassi. Noi dicevamo: "Esagerazione!". Ma non lo dico più adesso, e ciò ricordo a suo onore.

Per acquistare questo dominio sui propri occhi, è necessario privarci talvolta (nondico sempre) della vista di ciò che è lecito. E' vero che i Santi sapevano da un fiore sollevarsi a Dio, ma si può qualche volta non guardare. Così negarsi uno sguardo non necessario ad un compagno, non solo a persone di diverso sesso. Non si muore sacrificando uno sguardo! Fatelo questo sforzo. Non voglio che poniate scrupoli od obblighi dove non van messi, ma chi fa sacrifici nel lecito, si vincerà molto più facilmente nell'illecito. Avendo acquistato l'abito di non guardare cose che si possono guardare, saremo più pronti a ritrarre lo sguardo da cose illecite o pericolose. Il Signore da parte sua, vedendoci generosi, ci darà la grazia che, posandosi lo sguardo su di un oggetto pericoloso, non abbiamo a sentirne disturbo. Egli dirà: "Ha fatto anche quello a cui non era tenuto, ebbene io l'aiuto nei casi necessari". Noi stessi non avremo vani timori di aver acconsentito; perché come posso aver commesso volontariamente l'illecito, se abitualmente mi privo di ciò che è permesso? Credetelo: chi si abituerà a far così, oltre ad avere più facilità a tenersi in guardia, riceverà da Dio grandi consolazioni.

MORTIFICAZIONE DEL TATTO - Quanto al senso del tatto dice S. Giovanni Climaco che nulla vi è di più pericoloso. Nihil hoc sensu periculosius. Il nostro corpo è stato santificato nel Battesimo, nella Cresima e, per i sacerdoti, nell'Ordine; ed è santificato da tante Comunioni. Dio e l'Angelo Custode ci sono presenti, anche quando siamo soli o al buio. Alla sera andando a riposo, considerarci alla presenza dell'Angelo Custode, non guardare gli altri, star raccolti, coricarci con modestia e starvi composti, come se in quella stessa notte dovessimo morire e come vorremmo ci trovassero composti.

In parlatorio poi trattare bene sì, ma non avere tanta espansione. Per lo più si può far a meno di abbracci e di baci. Non dico che sia male baciare la mamma, ma non baciare con troppa facilità...; anche in questo c'è modo e modo; un Santo avrebbe un certo riserbo. Direte: "E' una cugina!". Sì, ma è una donna. Dite loro: "Anche se non ci baciamo, ci vogliamo bene lo stesso". Vi costerà un poco a dir questo, ma fatelo questo sacrificio pel Signore. Conosco dei parenti di alcuni di voi che ne rimasero edificati e vennero poi a riferirmelo e ne parlano spesso. Eh, non temete, capiscono anch'essi! Così nelle lettere il terminarle con mille e mille baci è una goffaggine.

Poi attenti fra voi. Si narra di S. Luigi che, invitato a baciare l'ombra di un compagno, vi si rifiutò, dicendo che era come baciare il compagno stesso. Neppur l'ombra, ricordatelo! E tener le mani a posto sempre. Se il giuoco lo richiede, basta toccarsi; fuori del giuoco non mettere le mani addosso ai compagni mai, mai. Mons. Gastaldi (e non era una testa piccola) nelle Regole da lui date al seminario di Torino, aveva prescritto che quando i chierici non giocavano, dovevano sempre stare a sé, un passo l'uno dall'altro. Regola sapientissima!... Mons. Bertagna narra di. G. Cafasso, che difficilmente si lasciava toccare le mani.

Bisogna inoltre assuefare il corpo al freddo e al caldo, al duro e non alle mollezze; non concedergli più riposo del necessario. Non parlo del dormire poco o sul duro; ma quando avvenisse che non si può dormire, si preghi. S. G. Cafasso, svegliandosi di notte si alzava subito e non si coricava più, dicendo "segno che il corpo ne ha basta". Voi non potete e non dovete fare così, ma stentando ad addormentarvi, potete pregare e non lasciar lavorare la fantasia. Inoltre saltar giù al primo tocco della campana, prontamente, senza dar ascolto alla pigrizia. Chi non si abitua a questo non sarà certamente casto. Quei pochi minuti concessi alla pigrizia sono del diavolo.

Fuggite ancora l'ozio coll'essere sempre occupati. Di molto male l'ozio è maestro (416). Molto si ha da temere di quei giovani che anche nelle ricreazioni non sono occupati. L'ozio è il padre dei vizi e questo dell'incontinenza ne è il primogenito. Tutti i Santi fuggirono sempre l'ozio e amarono il lavoro, anche quelli dedicati in modo particolare alla preghiera. Se si lavora, i cattivi pensieri non trovano posto. Voi fortunati che avete i lavori manuali! Quindi lavorare non solo per dovere, per obbedienza, per povertà, ma anche per domare il corpo. Il lavoro fatto mollemente non è quello che abbatte la carne. Così nello studio: tener sempre la mente occupata, con predilezione per le scienze sacre. San Girolamo dice: "Ama lo studio delle S. Scritture e non amerai i vizi carnali" (417).

Mortificazione dei sensi interni

L'immaginazione è una nemica terribile della castità. Bisogna badare a mortificarla non lasciandola svolazzare a piacimento. Voi siete giovani e la vostra fantasia, in chi più e in chi meno, lavora come un vulcano. Se non vi mettiamo roba buona, mette fuori goffaggini. Bisogna essere pronti a scacciare ogni pensiero, ogni immaginazione che in qualsiasi modo possa offendere la bella virtù. Un'immaginazione fervida e non imbrigliata può essere la rovina della castità. Questo è della massima importanza.

A ciò conseguire, è necessario mortificare l'udito, col non essere troppo curiosi, troppo avidi di notizie. Mortificare la lingua con non parlare grossolanamente, con ambiguità, con non dire certe parole che possono avere senso cattivo. Mortificare la curiosità nel leggere. Vi sono di quelli che riuscendo ad avere in mano un pezzo di giornale lo divorano. Cosa stupida e dannosa. E poi non fare letture frivole che non hanno scopo: non romanzi anche buoni, dei quali tanto si doleva S. Teresa. Certe volte basta un libro a sconvolgere la testa. Vivere di cose serie; l'immaginazione si vince con la serietà. Per me non ho mai trovato tempo a leggere romanzi. Ne lessi uno da giovane, nelle vacanze. Avevo fratelli studenti e me lo diedero: Beatrice Cenci del Guerrazzi. Quando poi tornai all'Oratorio lo dissi a Don Bosco (gli dicevo tutto), il quale mi lavò ben bene la testa. "Vuoi scaldarti la testa con romanzi?" mi disse serio. Abbiamo sì poco tempo, e la testa è sì piccola che bisogna occuparla bene. Neppure perdersi dietro a certi poeti, anche se non molto cattivi. Conosco alcuni già innocenti che vi hanno trovato la loro rovina. Perciò non troppo amore ai poeti pagani studiarli per la lingua e lo stile, ma con sentimenti cristiani, come abbiamo già spiegato. Certi versi di Orazio sono tanto belli, ma bisogna cristianizzarli. Leggiamo invece la Sacra Scrittura. Su questo insisto e insisterò mai abbastanza. La parola di Dio è immacolata, renderà pura e casta la mente e il cuore.

E ancora mortificare la memoria. Certe cose della vita, certe miserie, certe circostanze, bisogna dimenticarle. Pensiamo al dovere attuale e santifichiamolo. Dio e io, basta!

Mortificazione del cuore

Sì, miei cari, casto il cuore! A questo si oppongono soprattutto le amicizie particolari, che nelle comunità sono la distruzione della carità e più ancora della castità. O anche solo le simpatie le quali si conoscono dal trattenersi di preferenza con alcuni più che con altri, perché di aspetto più simpatico, più conformi d'indole, ecc. Le simpatie, se non troncate, finiscono per degenerare in amicizie particolari. Non dico che non vi possano essere delle amicizie sante, ma queste si conoscono da ciò che quando due si trovano assieme, parlano di cose spirituali, si correggono a vicenda; e poi sono approvate dai Superiori. Invece quelli che sono affetti da amicizie particolari fan tutt'altro che perfezionarsi!...

Via queste cose che sono la peste delle comunità! Amare tutti egualmente, trattare bene tutti allo stesso modo e senza preferenze. Tutti siamo fatti ad immagine di Dio; formate tutti una sola famiglia, siate tutti fratelli. Qui dentro queste cose non devono esserci e i Superiori non devono tollerarle. Via, via! O via le amicizie particolari, o via gli amici!... E neppure bigliettini. Se c'è qualcosa da dire, lo si dice a voce e in pubblico.

Non cesserò mai di raccomandarvi questo e voi esaminatevi ora e sempre. Ringrazio sempre che, quand'ero in collegio, c'era una vera persecuzione contro queste miserie. Vi concedo di avere amicizia particolare con uno solo: Nostro Signore! Ve lo concedo e ve lo comando. Ah, lì non c'è pericolo di andare agli eccessi! Quem cum amavero, casta sum! (418).

Non voglio con ciò dire che uno, per rompere quella relazione, non debba più andare con quel compagno. Ci vada pure, specialmente quando l'obbedienza o la necessità lo richiede, ma trattarlo come si trattano tutti gli altri; e qualora fossimo liberi della scelta, preferire gli altri a quello.

Mortificazione dello spirito

Mortificare lo spirito vuol dire mortificare l'orgoglio, la superbia, con l'esercizio dell'umiltà. La superbia del corpo - cioè l'impurità - e la superbia dello spirito sono due sorelle; l'una trae seco necessariamente l'altra, perché Dio umilia nella carne chi si esalta nello spirito. Chi non è umile o presto o tardi non sarà casto.

Un terribile esempio lo si ebbe in Francia nella metà del secolo scorso: di quel tale frate Giacinto (419) che dopo aver predicato e riportati sommi onori sui principali pulpiti di quella nazione, cadde miseramente nel laccio tesole da colei ch'egli aveva già convertita al cattolicesimo; e con scandalo di tutti, ostinato apostata, tentò di rialzare a Parigi lo spento Gallicanesimo. Già ho accennato al tristamente famoso Don Romolo Murri, ex prete, che ha dato tanti fastidi alla Chiesa. Superbo, si fece eleggere Deputato e finì... col matrimonio. Quando c'è la superbia, si finisce sempre così. Lo stesso avvenne a un certo Ferreri qui in Torino: predicava, confessava, scriveva sulla Buona Settimana, fu persino in concorso col Can. Soldati per essere direttore spirituale in seminario e poi finì con fuggire con una sua penitente, vivendo poi da secolare povero e infelice! Guai a chi non è umile! Chi crede di star su, badi di non cadere (420). Ascoltiamo S. Bernardo che dice che bisogna meritarci la grazia della castità con la virtù dell'umiltà. Ut castitas detur, humilitas meretur (421). S. Francesco di Sales diceva: "La castità senza umiltà è vanità" (422). Bisogna essere umili e non credere di saperne più degli altri, più dei Superiori; essere umili e diffidare di noi stessi, come se fossimo sempre vicini al precipizio. Avere per massima: un atto di umiltà oggi, per essere casti domani. Umiliamoci, umiliamoci, e Dio che dà la grazia agli umili, concederà anche a noi la grazia di conservarci casti.

La castità in Missione

Qualcuno penserà o anche dirà: "In Missione sarà più difficile sostenerci in questa virtù". Rispondo: che vi siano maggiori pericoli, sì; che sia più difficile mantenersi casti, no. E ciò dico per esperienza fatta dai nostri Missionari, i quali tenendosi uniti a Dio e usando dei mezzi di cui abbiamo parlato, passarono e passano illesi tra qualsiasi pericolo esterno. I claustrali e le claustrali, riguardo alla castità, vanno in Paradiso con un gran merito; ma quelli dedicati alla vita attiva, alle opere di carità, salgono al Cielo non solo con la corona, ma col martirio della castità. E poi il Signore abbonda di più in grazie per chi non ha di mira che la salvezza delle anime. Potete voi pensare che Gesù non sostenga il suo apostolo che per Lui ha fatto e fa tanti sacrifici? No, non è possibile. Quel Dio che sostenne Daniele fra i leoni, sosterrà anche il suo missionario fra i pericoli a cui, per suo amore, si espone.

Un tale voleva far stampare un libro nel quale si diceva che in Missione ci vogliono più confessori perché vi sono maggiori pericoli, ecc. Gli dissi: "Non esageriamo le cose; anche in una camera chiusa ci sono i pericoli, anche con le imposte chiuse possiamo immaginarci di vedere... le nuvole! Che bisogno di aumentare i confessori? Qui in Torino ne abbiamo tanti e molta gente non va a confessarsi. Là in Missione ci son tanti uomini santi che non pensano che a farsi sempre più santi e a far santi gli altri". Ho poi finito con dire a quella persona: "Tolga quella sciocchezza dal libro. Capisco benissimo che l'isolamento, ecc. possano facilitare una caduta, ma che si debba aumentare i confessori per i pericoli che presentano le Missioni, non credo proprio che sia il caso".

Mons. Barone, Vescovo di Casale, mi diceva: "Quando andai in Missione nella Cina, ero solo Diacono. Là fui ordinato Sacerdote e il Vescovo mi mandò solo in una lontana Stazione. Io sapevo di dover stare almeno un anno senza rivedere alcun sacerdote e dissi al Vescovo: "Rimaner solo un anno intero e senza confessarmi mi fa paura!". Ed egli: "Bravo, sono contento della sua paura". Nelle nostre Missioni però, ora non succede più di dover rimandare così a lungo la confessione.

Ripeto: sono certo che in Missione sarete tranquilli e sicuri su questo punto, perché il Signore abbonderà in grazia; purché, ben inteso, viviate ben uniti a Lui e usiate tutti i mezzi di cui siam venuti discorrendo.

Conclusione

Ecco, o miei cari, i mezzi che dobbiamo usare per conservarci casti, fra i pericoli che ci circondano da parte del mondo, del demonio e delle prave concupiscenze: preghiera e mortificazione. Preghiera fervente e continua, massime nelle occasioni; mortificazione del corpo, del cuore e dello spirito.

Fortunati voi se durante questo tempo di formazione, in cui minori sono i pericoli, vi fortificherete bene nell'uso di questi mezzi e quindi nella castità. Voi, divenendo sacerdoti e missionari casti, sarete sacerdoti e missionari santi, perché un sacerdote perfettamente casto non può non essere anche veramente santo. Farete del bene immenso e avrete in Cielo l'immarcescibile corona dei vergini!

Ma qui sul finire devo rivolgere la mia parola a voi che forse piangete su un passato doloroso. Consolatevi, miei cari. Desiderate voi una seconda castità? Rivolgetevi a Gesù, Maria e Giuseppe e dite loro: "O Gesù, Maria, Giuseppe, ricorro io oggi a voi, misero qual sono, per aver perduto la stola dell'innocenza. Piango amaramente e vorrei cancellare con la mia vita quei tristi momenti. Non essendomi ciò dato, concedetemi di grazia, in questo giorno, la seconda castità. Questo sia per me giorno di tanta benedizione! Deh, fate che tale quale oggi me la concedete, pura ed immacolata io la porti ai santi voti, ai Sacri Ordini e al dì del giudizio! Tanto spero da Voi. Così sia!".

giuseppeallamano.consolata.org