Giuseppe Barattero, figlio di Antonio e Sciandra Caterina, nacque a Niella Tanaro (CN) il 31 agosto 1908. Fu battezzato nella chiesa parrocchiale di Maria Vergine Assunta il 6 settembre dello stesso anno con i nomi di Giuseppe Antonio Angelo, e ricevette il sacramento della Cresima il 20 maggio 1918. Frequentò le classi elementari al paese nativo ed il 19 luglio 1923 venne promosso alla classe quinta, e dichiarato perciò prosciolto dall’obbligo scolastico.
Passata l’adolescenza - come ci racconta p. Aventino Oliveira in una intervista fatta a Fratel Barattero nel 1978, in occasione del 25° di professione religiosa - ben presto, lasciò i suoi genitori, il fratello e le quattro sorelle per recarsi nel sud della Francia in cerca di lavoro assieme ad un suo amico genovese.
Suo primo impiego, fu quello di aiuto panettiere, lavorando tutte le notti a preparare - a suo dire - «un pane di cui sarebbero ghiotti persino gli angeli». Era un lavoro da schiavi, ma il suo buon umore lo aiutò a resistere e a fare nuove conoscenze che gli procurarono un lavoro meno pesante, come agente di una grande società. Il suo compito era quello di tenere buone relazioni con i clienti, portando a tutti una parola di incoraggiamento. Purtroppo. - ma non troppo - doveva sempre prendere un bicchierino col cliente, - «un buon "pastis"», dirà lui anni dopo - dovendo ogni giorno visitare una dozzina di clienti.
Dopo qualche tempo, un amico gli dice: «Ehi, Barattero, tu devi diventare un agente di assicurazioni come me. Accidenti! Scommetto che, con una parlantina come la tua, diventerai presto un milionario». Accettò la sfida e dopo 3 mesi, da solo, aveva venduto più polizze di assicurazioni, che il suo amico in 10 anni!
II direttore dell’ufficio centrale di Parigi, venuta a sapere la cosa, manda un ispettore a proporgli di diventare direttore di un grande Centro assicurativo a Nizza. Barattero si vede già milionario, ma quando tutto era pronto per l’inaugurazione del Centro, scoppia la seconda guerra mondiale.
Si era nel 1939, e come tutti gli altri italiani della zona, anche lui dovette presentarsi alle autorità militari, ma riuscì a non essere mandato nei campi di internamento.
Persa l’opportunità di diventare direttore di una agenzia di assicurazioni, si adattò di nuovo a fare l’aiuto panettiere, lavorando tutte le notti a preparare un pane fatto di farina di miglio e di barbabietole, che non aveva niente a che fare con l’altro pane che faceva prima.
Durante quegli anni di guerra, la vita per Barattero divenne una lotta per la sopravvivenza. Ebbe la sua casa distrutta dalle bombe, ma ebbe salva la vita. Scampò la deportazione in Germania e riuscì anche a salvare due ufficiali italiani che erano stati arrestati dai tedeschi e a fare ottenere loro il lasciapassare per tornare in Italia.
Verso la fine della guerra Barattero rientrò in Italia, ma fu grande la sua costernazione quando i partigiani, dopo aver perquisito la sua casa, lo costrinsero a seguirli al loro fortino, rinchiudendolo in una cella. Un sentimento di profonda tristezza invase il suo animo.
Temendo che la cosa potesse tradursi in tragedia, così pregava: «Madre SS., mi hai salvato la vita in situazioni disperate e adesso che sono tornato in patria, non devi abbandonarmi». Si appellava anche alla sentinella che ogni tanto passava davanti alla sua cella, per fargli capire che lui non aveva niente a che fare con gli invasori e come lui avesse liberato tanti italiani dalle mani dei tedeschi, mentre era in Francia. Caso volle che la sentinella si rese conto che questo Barattero Giuseppe
era colui che aveva salvato la vita al suo fratello ufficiale, e senza perdere tempo fece sapere la cosa al suo capo che mise in libertà Barattero, dopo avergli chiesto scusa per l’inconveniente.
La Madonna ascoltò il grido di aiuto del suo servo. Barattero era troppo prezioso e la Vergine voleva servirsene ancora per fare del bene. E qui bisogna ricordare il bene fatto da lui anche in un ricovero di anziani in Francia durante la guerra. A quei tempi Barattero aveva mezzi e conoscenze. Riusciva a procurare generi di prima necessità per quella casa di riposo tenuta dalle Suore di San Vincenzo de’ Paoli, che molto bene impressionate dalla sua carità, inginocchiate davanti a lui, gli dicevano: «Monsieur Barattero, voi siete un santo. Che Dio e la Vergine SS. vi benedicano». Al che lui rispondeva: «Ma che santo? Io sono un povero imbecille!».
A 43 anni, Barattero si venne a trovare in patria nelle condizioni in cui era partito per la Francia nel fiore della sua gioventù. Aveva visto tante cose, aveva gustato il successo e infine la tragedia di una guerra che gli portò via tutti i suoi guadagni. Su quelle rovine pensò a lungo per discernere cosa fare del resto della sua vita.
Va a confessarsi da un santo prete di Mondovì (CN) e gli dice: - «Padre, sono stanco del mondo e del commercio, voglio diventare religioso». - Al che il confessore risponde: «Bravo Barattero. Ne parlerò ai Gesuiti». - Niente Gesuiti - soggiunse lui - voglio partire per l’Africa come missionario, così avrò la grazia di essere mangiato da un leone, se ciò piacerà al Signore». - «Ah, mangiato da un leone - dice il santo prete -. Bene, allora ne parlerò ai Missionari della Consolata».
Il "santo" prete - che doveva essere il Can.co Enrico Pisano, Rettore del santuario di Mondovì, dopo quell’incontro con Barattero, scrisse una lettera ai superiori dicendo: «Ho in vista un ottimo uomo, di anni 43, il quale vorrebbe abbandonare la casa, venire nella vostra famiglia e andare nelle missioni. Moralmente parlando è a posto. Robusto, grande voglia di lavorare; conosce bene il francese, lo parla e lo scrive; ha inclinazione per le lingue; come panettiere è in gamba - è la sua professione specifica -. Verrebbe in agosto, prima deve aiutare i genitori. Secondo me sarà un coadiutore modello. Potete e volete accettarlo? Quali le condizioni? A qualunque costo vuole andare nelle missioni».
La cosa fu discussa dai superiori e il 29 agosto 1951, il superiore regionale, P. A. Cavallin, rispose, dicendo che Barattero poteva recarsi alla Certosa di Pesio il 31 agosto o l’8 settembre, festa della Natività di Maria, proprio come avrebbe voluto l’interessato.
Barattero iniziò subito il postulato e lo continuò a Benevagienna (Cn) dove nel novembre 1951 l’Istituto apriva una casa apostolica. P. Giovanni Bertolino, Direttore della casa, gli affidò l’incarico di provvedere al sostentamento degli allievi. La Provvidenza lo accompagna e, infiammato di zelo apostolico, scorazza per la provincia di Cuneo cercando aiuti per il seminario. La buona gente gli vende tutto il necessario a prezzi molto bassi, specialmente i prodotti dei campi, e grande è la sua gioia quando può ritornare a casa col necessario.
Finito il postulato, con un buon attestato datogli dal P. Bertolino, si reca alla Certosa per iniziare il noviziato il 1° novembre 1952. Sia nel postulato come durante l’anno di noviziato, Barattero diede prova di spirito di fede, di adattamento alla vita religiosa e di laboriosità, per cui fu ammesso alla prima professione che emise il 1° novembre 1953 nelle mani di P. Giuseppe Caffaratto.
Il primo incarico da professo, Fratel Barattero l’ebbe nel 1954 quando gli fu affidata la gestione dell’Azienda agricola di Alpignano presso la Casa dei Fratelli sotto la guida di P. Giuseppe Mina. Vi rimase fino al 1959 quando fu inviato a Rosignano Monferrato a dirigere la cascina di Uviglie.
Nell’ottobre del 1963 Fratel Barattero venne destinato alla Delegazione Canada in qualità di economo presso la residenza dei nostri aspiranti missionari che frequentavano il seminario di Saint Pierre d’Oka. Nel 1967 fu trasferito alla casa provinciale di Montreal ed anche qui continuò a lavorare come aiuto economo, giardiniere, portinaio, ecc. per molti anni.
Fratel Barattero ritornò di nuovo ad Alpignano, ma questa volta nella "Casa Beato Allamano" il 15 settembre 1992 e dopo mesi di sofferenza e di intensa preghiera, lunedì 17 aprile 1995, alle ore 17.20, assistito da P. Giovanni Genta, rese l’anima a Dio. Aveva 86 anni, di cui 42 vissuti nella professione religiosa. Il funerale si svolse alle ore 10 del 19 aprile. Fra i presenti, oltre a vari confratelli, vi erano anche il fratello, una sorella e diversi nipoti. Fratel Barattero riposa nella cappella dei missionari della Consolata nel cimitero di Alpignano.
P. Gilles Allard, già Superiore del Canada:
“È già passato molto tempo da quando Fratel Giuseppe, causa una brutta caduta per le scale, si convinse a ritornare in Italia e andare ad Alpignano: la Casa che ospita i nostri anziani e ammalati.
I miei primi ricordi di lui risalgono agli anni sessanta, quando era in piena attività a Rosignano, responsabile di una grande fattoria e impegnato nel coltivare i vigneti. Lo ricordo molto determinato nel rapporto con i suoi operai, capace ed orgoglioso di loro allo stesso tempo.
A causa della conoscenza della lingua francese - ricordo il suo marcato accento Marsigliese - i nostri rapporti divennero sempre più fraterni ed amichevoli e fin dal primo momento ho avuto l’impressione che un giorno avrebbe potuto aiutarci nel nostro lavoro missionario in Canada.
E fu proprio così. Nel 1962, quando l’Istituto aprì un centro di studi, in collaborazione con altre Congregazioni religiose per preparare seminaristi alla vita missionaria a S. Pierre d’Oka, Fratel Giuseppe, grazie alla sua grande esperienza, fu un ottimo economo.
Erano tempi difficili e gli studenti erano molti. All’inizio non fu facile per lui inserirsi in questo nuovo ambiente, ma ben presto si sentì a suo agio ed era molto soddisfatto.
Per procurare il vitto a tutti si industriò nel chiedere aiuto ai grandi magazzini (super-market). Da principio, ci raccontava lui stesso, non era ben accolto, ma dopo un po’ di tempo, conosciutolo personalmente e il fine della sua richiesta, la risposta fu sempre generosa.
Ha percorso tante strade per il suo lavoro e non sempre, confessava lui stesso, rispettava tutta la segnaletica stradale, cosicché più di una volta fu fermato dalla Polizia ma non pagò mai una multa. Col rosario in mano si umiliava e chiedeva di essere perdonato, con la promessa di essere più attento in futuro.
Nel 1970 l’esperienza del Collegio seminario interreligioso finì e Fratel Giuseppe passò a servire nella Casa Regionale di Montreal. Come economo fu sempre molto apprezzato, era affabile, accogliente; si può dire che avesse la virtù dell’accoglienza verso tutti: sempre pronto a dire una buona parola e a offrire anche un bicchierino con molta cordialità.
Non è facile descrivere la sua spiritualità. Il Signore solo sa quante ore ha passato in chiesa in adorazione e quanti rosari ha sgranato durante i suoi lunghi viaggi. La comunità lo considerava "un parafulmine" per la sua santità.
La sua presenza è viva ancora oggi al Santuario di S. Giuseppe dove lui era solito andare ogni domenica mattina in pellegrinaggio. Senza dubbio, Fratel Giuseppe è stato per tutti noi un vero esempio di missionario e un modello da imitare.
Fratel Giuseppe, ci siamo amati molto; grazie per ciò che sei stato per tutti noi. La nostra preghiera, ricordo e amicizia saranno sempre vivi!’.
Jean Marc Créte, ex allievo IMC, ricorda: “La notizia della morte di Fratel Giuseppe ha riportato alla mia mente dei ricordi, ormai vecchi di 30 anni, del momento in cui sbarcai nel collegio S. Pietro d’Oka con l’entusiasmo di uno che si immette nel mercato del lavoro. Fratel Giuseppe aveva già un compito essenziale, ma esercitato con tanta discrezione che all’inizio non mi ero accorto della sua presenza nell’istituzione. Più tardi mi sono reso conto che ogni volta che lo incontravo nel corridoio non lasciava mai di salutarmi con gesto di rispetto, accompagnato da un sorriso. Avevo l’impressione di essere importante ai suoi occhi, nonostante che non ci conoscessimo ancora.
Questo suo modo di fare suscitò in me il desiderio di incontrare più spesso Fratel Giuseppe, per conoscere meglio quest’uomo dotato di un’aureola di calma, di pace e di umiltà. Ho avuto molte conversazioni con lui. Mi ha sempre colpito la sua capacità di ascolto, e di calmare le inquietudini derivanti dalla mia inesperienza; con grande saggezza sapeva consigliare senza imporre.
Lasciai il Collegio Saint Pierre d’Oka dopo appena un anno, ma ho conservato un amico per tutta la vita. Ad ogni incontro che le circostanze della vita mi hanno permesso di fare, ho ritrovato questo amico meraviglioso e la sua accoglienza sempre calorosa.
Il Signore ha chiamato a sé colui che ha saputo rendere testimonianza del suo amore. Sono convinto che Fratel Giuseppe gode per sempre della felicità eterna, e io sono contento per lui. Tuttavia ho un timore: al Banchetto celeste, il Chef se ne intende di funghi?
Fratel Giuseppe, grazie e addio!
Padre Ermenegildo Crespi considera Fr. Barattero un vero dono per l’Istituto e la missione. Scrive: “Vorrei anch’io aggiungere un granellino alle tante testimonianze di stima e affetto per Fratel Giuseppe Barattero. Posso gloriarmi di aver condiviso con lui una amicizia, un affetto e una stima che ho sempre considerato un privilegio e una grazia. Lo conobbi a Rosignano Monferrato durante la mietitura dell’estate 1961; mi conquistai la sua fiducia.
Quando fui destinato, nel 1972, al Canada e nominato parroco alla parrocchia Notre Dame de la Consolata, Fratel Giuseppe amministrava la nostra Casa Provinciale, solerte, attento a tutti e a tutto, accogliente... orgoglioso del suo orto, della sua cantina. Le poche volte che mi presi un day-off era per celarmi con lui in cantina e pigiare l’uva, travasare il mosto e imbottigliare il vino, condividendo segreti, formule e la speranza che i confratelli e gli ospiti potessero assaporare un bicchiere di vino "robusto".
Ma quello che arricchì e impreziosì la nostra amicizia erano i consigli, i suoi incoraggiamenti, una visione di fede che oltrepassava problemi, situazioni dolorose, umiliazioni, sfide che accompagnavano la nostra comune vita missionaria in Canada.
Quando poteva, era presente in parrocchia, gioiva del nostro lavoro pastorale. Abitualmente per telefono si effondeva in parole di incoraggiamento, si complimentava con noi e ci ringraziava.
La gente lo stimava molto, lo cercava, se lo rubava per averlo a casa loro; un suo consiglio era stimato come un dono. Non posso contare le volte che mi correggeva, che mi additava l’Allamano: «Lei - sempre mi usò questo pronome rispettoso - deve essere un degno figlio dell’Allamano... in questa circostanza l’Allamano agirebbe così e così».
E poi... possedeva una rara devozione alla Consolata. Le era riconoscente per le tante volte che gli salvò la vita in Francia e anche in Italia. La chiamava “La mia Padrona” – “La dolce Padrona", come il Santo Leopoldo. Padrona per lui voleva dire: Maria è padrona del cuore di Gesù, di ogni tipo di favori. Vedeva la sua vita di consacrato come una delicatezza di Maria (da Vicoforte-Mondovì - alla Consolata di Torino - alla Madonna di Crea - alla Consolata di Montreal).
Fratel Giuseppe Barattero, panettiere, commerciante, cuoco raffinato - amministratore ad Alpignano e Rosignano, questuante nel Québec per i nostri aspiranti, economo, spedizioniere, telefonista, ortolano, portinaio a Montreal... ma alla radice di tutta una vita: molta, intensa e prolungata preghiera... fatta di adorazione al SS., rosari e pellegrinaggi all’Oratoire St. Joseph.
Nella cappella della casa di Montreal era stata posta una lampada che illuminasse il suo posto... il più vicino al tabernacolo; quando lui non c’era, lo occupavo io per emularlo. Se un po’ di bene si è fatto e si continua a fare in Canada dai nostri confratelli... molto lo si deve e lo si dovrà al buon "Frère Joseph".
Caro Fratello, l’ultima letterina che ti scrissi dall’Argentina ti giunse tardi ad Alpignano. Ora che i tuoi occhi si riempiono della luce di Dio e del sorriso luminoso della comune Mamma e Padrona, purificato ogni ricordo e rimpianto, continua ad accompagnare questo povero confratello tuo. Spero di non dimenticarti. Con la tua partenza ci sentiamo più poveri, ma ci consola il fatto che tu lassù e noi quaggiù siamo la famiglia dell’Allamano che tanto hai amato e servito”.
Dall’omelia di P. Mina alla Messa esequiale di Fratel Barattero
«Nulla ti turbi, nulla ti sgomenti, tutto passa, Dio solo rimane. Con la pazienza si vince. A chi teme Dio, nulla manca. Dio solo basta» (Teresa d’Avila).
«Prima della fine, non dire nessuno beato. Un uomo non si conosce veramente che alla fine», dice il Siracide. Ma ora che Fratel Barattero è morto, possiamo dirlo "beato". Non c’è da porre in testa la corona a nessuno. Questa, Barattero, se l’è posta in testa con la vita appena conclusa. Vita consacrata a servizio di Dio e della missione, là dove l’ubbidienza lo portava. Sempre presente a se stesso e a Dio, sempre presente a quanti incontrava.
Venne in questa Casa di Alpignano nel 1953, subito dopo la Professione; aveva 45 anni. Lo incontrai e lo ebbi per anni assieme. Si avverò una cosa bella. Fratel Barattero mi fu fratello e tale lo ritengo; è stato come un dono. Sempre.
Quando era in Canada, e talvolta mi dimenticavo di raggiungerlo per auguri, lui sempre mi preveniva con la sua parola affettuosa, calda, sincera, mai leziosa. Penso che il Padre Fondatore volesse così i Fratelli. Sì, prima fratelli e poi "coadiutori" nell’impresa comune della missione. Non è di tutti amare così, con cuore gentile e semplice e tanto fine, educato. Buono e rasserenante. Per questo ritengo un dono bello di Dio l’avermelo posto sul mio cammino. Fino alla fine!
Questo fratello secondo il cuore di Dio e del Padre Fondatore, ha molto da dire; egli diceva di essere solo un "falabrac", termine per dire uomo da nulla, da niente.
Servì la missione come addetto all’economato: qui, per sette anni, fu vice economo con P. Alberto Bona, addetto in particolar modo alla fattoria. Ancora poco tempo fa mi enumerò i nove posti, in Torino, ove, ogni mattina puntuale, portava il latte fresco dalla fattoria.
Poi passò ad Uviglie (Rosignano Monferrato) e, sotto diverse formule, s’impegnò anche qui nella fattoria; e furono anni difficili, ma li sopportò come il suo purgatorio, mi diceva...
Raggiunse finalmente la missione, che per lui fu il Canada. E vi rimase quasi vent’anni, addetto quasi sempre all’economato. Ma è il modo con cui svolse questo incarico che lo rese grande, in Italia e all’estero. Era intraprendente, costante, mai stanco, furbo, delicato, gentile e generoso senza assumere pose. Fu sempre sul fronte del "bene che va fatto bene e senza rumore". Bisognerebbe sentire P. Giuseppe Bonaudo per capire chi fu questo fratello in Canada, per noi, per tanti. Divenne - dice P. Bonaudo - uno tra i più conosciuti e amati della città di Montreal. Si apriva le strade con il sorriso buono, il tratto fine, il gesto premuroso. Laggiù si fece mendicante... operava approcci impossibili e otteneva senza clamori quanto occorreva: non solo per i nostri, ma anche per altre comunità.
Sempre con una virtù amabile e umana, e pur tanto divina, rifletteva Gesù senza saperlo nemmeno. Ed ebbe molti amici e sostenitori, tutti a lui affezionati e ricambiati.
Rientrato 4 anni fa dal Canada per una rovinosa caduta che lo porterà al martirio più crudo, sperò contro ogni speranza di rientrare in Canada. Non lo poté e ciò fu pena cruda, accettata però bene. Infatti, a P. Giovanni Genta che gli diceva che Gesù era ormai vicino, rispose: «Questa sì che è una bella notizia!». Ricevuto il sacramento degli infermi morì, sereno e placido, il 17 aprile 1995.