Missionari ad alta fedeltà

BARBANTI P. LUIGI (1923-1999)

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Luigi Barbanti nacque il 13 maggio 1923, a Ba­gnile, (Forlì) da Eugenio e Campanini Ezechiella, decimo di undici figli. Egli stesso, nelle sue note autobiogra­fiche, scrive: «Terminata la quinta so­gnavo meccanica e suono. Un giorno la mamma mi dice: "1’arciprete mi consiglia di mandare anche te con Ar­mando" (Giuseppino). Accettai con piacere. La SS.ma Consolata di Gam­bettola il posto me lo fece». Il primo anno "fui scarso nello studio", allora p. Guerreschi «mi prese con benevolen­za, mi incoraggiò nello studio e nella pratica del regolamento. Studiavo sul serio, pregavo giorno e notte. Riuscii bene all’esame e da allora in poi non ebbi più difficoltà nello studio. La ter­za ginnasiale la feci a Montevecchia col rev. P. Grosso. Ebbi lumi partico­lari sulla vocazione e decisione a ren­dermi santo». Frequenta la quarta e la quinta e poi il liceo a Varallo, dove sviluppa un grande amore alla Ma­donna per la quale "moltiplica i sacri­fici". Durante il noviziato cresce il suo desiderio di perfezione e lotta con la sua "timidezza esagerata". Frequen­ta la teologia a Rosignano e, nel 1948 diventa sacerdote con l’imposizione delle mani di mons. Carlo Re.

Degli anni del seminario annota: «Sempre piuttosto sconosciuto nella classe, non fui mai scelto a imparare mestieri. Sempre: la scopa e la zappa. Mi applicai da solo alla pittura, ed ora riesco discretamente». In realtà, il chierico Luigi non ha piena coscienza del giudizio che i superiori si sono fat­ti di lui. Uno di essi scrive: «È un otti­mo giovane, pieno di buona volontà e generosità nel corrispondere alla pro­pria vocazione. Di pietà sentita, obbe­diente, laborioso, di spirito di sacrifi­cio. Credo sarà un buon elemento nell’Istituto cui si dimostra veramente attaccato». Un altro, più sintetico, ma certamente più espressivo ha scritto semplicemente: «È un vero gioiello».

Missione Tanzania

Nel 1949, p. Barbanti viene desti­nato al Tanzania. Lui stesso scrive: «Fui inviato a Sadani col rev. p. Gra­maglia. Missione incipiente. Il Padre fu benevolo e comprensivo. Mi lasciò piena libertà di imparare la lingua, non mi caricò di lavoro, mi diede pre­sto la soddisfazione di andare a visita­re le "village schools"». Questa prima esperienza gli permette di notare che «i Padri sono sotto il peso dei lavori ma­teriali. Non ci resta il tempo per il mi­nistero pastorale».

Dopo sei mesi viene richiamato a Tosamaganga alla Central School in qualità di "Discipline Father" e l’im­patto è piuttosto duro: «Ora sono sotto un lavoro duro, mai sognato così duro e reale. A contatto con 250 ragazzi. Tenerli disciplinati senza conoscere bene la lingua. In più i campi della scuola da coltivarsi specialmente a ta­bacco... La bugiarderia e l’ingratitudi­ne di alcuni ragazzi e la diffidenza di altri mi scoraggiarono un po’. Acqui­stai molta esperienza e conoscenza degli africani. Ora è il secondo anno. Incomin­cio ad amarli, incominciamo a com­prenderci» (Note autobiografiche).

Dall’Africa, p. Luigi intrattiene un rapporto filiale, pieno di confidenza e di affetto con il Superiore Generale, p. Domenico Fiorina. Nell’inviargli gli auguri di Natale, nel 1950, tra l’altro dice: «Sono sicuro che il suo grande cuore non dimenticherà nessuno. Anzi amerà - in quella S. Notte - vagare in tutti i continenti per intrattenersi coi suoi figli. Noi le verremo incontro... Sì, Padre anch’io farò in modo di fare tutto il mio dovere presso la culla di Gesù, pregando per le sue necessità e ottenendole la grazia di venirci presto a trovare».

La scuola è diventata la vera grande missione di p. Barbanti; in essa crede come strumento di evangelizzazione più che alle opere e alle fattorie. Scri­vendo a p. Fiorina, nel 1951, dice: «Credo che sia convinto che non ab­biamo personale adatto per la scuola. Non tanto adatto a far scuola, quanto a dirigere una scuola... Senza cognizio­ne di causa, così a vanvera, dico che si tiene troppo a essere in regola col go­verno e i soldi e le energie si buttano troppo nell’apostolato dei campi».

Ama la scuola e attraverso di essa giunge a conoscere davvero l’animo degli africani: «Pessimista in un pri­mo tempo a riguardo degli studenti, ora li stimo e tocco con mano che sono gen­te di buon cuore, generosa e sensibile a tutto» (Lettera a p. Fiorina 20.9.54).

E diventato, senza volerlo, dirigen­te distrettuale degli scout. Nella sua scuola di Tosamaganga ne ha raccolto una bella truppa che educa secondo il motto: "Agire, ma per Dio". Di loro scrive: «Un esempio di generosità in azione lo hanno dato in occasione della "Pe­regrinatio Mariae". Sia nella proces­sione che in chiesa seppero con serietà ordinare la massa del popolo. Si fece la giornata degli ammalati. Gli scout hanno saputo interpretarla. Prepararo­no le barelle coi loro letti e andarono alla cerca di ammalati perfino alla di­stanza di Km 10... Ho notato un but­tarsi nel bene senza nessun rispetto umano. Questo darsi con disinteresse caratterizza pure tutta la scuola. Quel gruppo deciso tira e trascina e mi ha fatto provare grandi consolazioni spe­cialmente nel giorno in cui la Ma­donna Pellegrina venne alla nostra Middle. Ho visto cuori generosi di ragazzi che amavano proprio la Madon­na. 60 ragazzi si sono iscritti alla Compagnia del Carmelo. Nelle loro letterine alla Madonna hanno rivelato un animo delicato che capisce la Chie­sa Cattolica» (Lettera a p. Fiorina 20.9.54).

Dal 1955 al 1961 p. Luigi svolge l’incarico di "Educational Assistant" e, scrivendo a p. Fiorina, nel ‘56, a questo proposito dice: «.., non sono certamente la persona adatta per fare il mestiere che faccio. Me la cavo sì a girare, a dare buoni suggerimenti sia ai maestri che ai ragazzi, a tenere in accordo maestri e padri, e pare che ab­bia anche una certa considerazione presso gli ufficiali governativi, forse più per essermi intrufolato nello scou­tismo, però le deficienze sono gravi: la cultura adeguata, la conoscenza dell’inglese. Devo dimettermi? Dimis­sione è una parola dei grandi. Per la mia statura non ha importanza e tiro avanti senza aspirazioni al potere e senza paure di perdere il seggio».

Nella scuola non tutto fila liscio e p. Barbanti vorrebbe che le cose an­dassero a modo suo, ma comprende che deve avere molta pazienza. E con vero disinteresse cerca di promuovere i maestri senza darlo a vedere. Nella stessa lettera scrive: «In pratica io mi­ro a incamminare l’africano a saper tene­re la sua posizione di headmaster, evi­tando sinceramente di essere causa, con la mia azione diretta, di impedire al maestro che il suo salario gli venga aumentato. Ciò capiterebbe se il go­verno vedesse palese il mio lavoro».

Nel 1957, da consigliere regionale, scrive a p. Fiorina il suo disaccordo per una certa "materialità" per cui nel­la Regione c’è un grande fervore di co­struzioni a scapito di un vero lavoro di evangelizzazione e torna ad affermare la sua fede nella scuola: «uno dei mezzi più adatti per l’apostolato... È un fatto che le scuole dei villaggi nel distretto di Njombe e Mbeya sono la via alle conversioni e per l’occupazio­ne del terreno...».

Nonostante le difficoltà, la scuola è motivo anche di grande soddisfazione: i risultati delle scuole sotto la sua su­pervisione sono ottimi e vengono lo­dati pubblicamente dalle autorità go­vernative, inoltre «I ragazzi pare mi siano ancora molto affezionati. Un giorno di luna triste manifestai il pro­posito di ritirarmi dalla Middle e an­dare a vivere altrove. Ebbi l’ufficio in­vaso di proteste. Mi viene spesso la tentazione di lasciarli completamente in balia dei maestri, ma conviene che mi vinca e sopporti la suscettibilità di onore» (Lettera a p. Fiorina 21.6.57).

Il suo lavoro nelle altre scuole lo obbliga a ritirarsi un poco da quella di Tosamaganga, ma la cosa non è facile: «Abi­tuato a fare corpo con loro (i ragazzi), il ritirarmi mi provoca più dolore, un dolore che si cambia poi in sgarbatez­ze, violenze per indirizzarli ai loro maestri. Perdo molto la pazienza. I più alti vedendo il mio proposito di la­sciarli ad altri, quasi mi cercano per continuare come un tempo. I nuovi in­vece si abituano alla situazione.

La crisi sta risolvendosi. Quest’an­no ho il fermo proposito di dimostrar­mi più paterno con tutti, paziente, servizievole, comprensivo. Sto facendo gli esercizi spirituali: perciò sono an­cora propositi ideali. Dio mi aiuterà se non altro a riprendermi quando dera­glio» (Lettera a p. Fiorina 28.11.58).

P. Barbanti ha intrattenuto durante tutta la vita una sincera amicizia con p. Francesco Sciolla, suo predecessore come Education Secretary dell’Iringa. Nel loro voluminoso carteggio p. Lui­gi si rivolge a lui come a un maestro e consigliere: «...Lei certamente ricor­derà le tante Pasque passate a Tosa­maganga, i suoi wahehe ai quali ha fatto tanto del bene. Il bene resta e la gloria passa sulla terra, ma non davan­ti a Dio» (Lettera a p. Sciolla 1.4.68). «La ringrazio per i suoi buoni consi­gli, che mi danno coraggio e mi ispi­rano fede nel Signore. Lei mi sta dan­do un grande esempio di adesione alla volontà di Dio» (6.3.68).

Con lui, p. Luigi parla di politica: «Nyerere si è fatto molto onore nelle Conferenze del TANU a cui erano in­vitati i Presidenti dell’Uganda, Kenya, Zambia ecc. L’ indipendenza fu come il battesimo, l’ Azimio di Arusha la cresi­ma. Ora è deciso a realizzare i sociali­sti "ya vijiji". E noi sapremo accom­pagnare con un giusto adattamento e illuminando coi principi cristiani? o fa­remo una manovra di isolamento? Il Signore ci mandi uomini robusti...» (22.10.67). Parla delle relazioni con la Chiesa locale: «L’Istituto deve inserir­si nell’apostolato con una sua fisiono­mia: c’è la conferma del Concilio, tut­tavia bisognerà umanamente elaborare una cooperazione coi vescovi per l’e­dificazione della Chiesa» (6.3.68).

Superiore Regionale

Dal 1961 al ‘71 p. Barbanti svolge il compito di superiore regionale del Tanganyka e dal ‘64 ricopre anche la carica di direttore diocesano dell’’Azione Cattolica. Non si sente a suo agio nella veste di superiore e, scri­vendo a p. Fiorina, dice: «Non so co­me dire per esprimere che non mi tro­vo al mio posto, a fare il superiore re­gionale. Mi pare uno scherzo dei su­periori, quando mi vedo nella tavola del vescovo, o mi chiamano p. supe­riore. Un tipo timido, timido che non è capace neppure di fare un compli­mento, in vista... Mi costa molto».

Un timido, tuttavia, che si fa corag­gio e si dà da fare: lunghe e snervanti trattative per aprire il nuovo ospedale di Ikonda, costruzione della Casa Re­gionale a Iringa, assunzione di secon­dary schools da parte dell’Istituto... e qualcuno gli fa notare che sta moven­do un po’ troppo le acque. Scrivendo a p. Fiorina il 3.8.62, dice: «Si pensa al Tanganyika sempre nel fieri dell’in­certezza. È vero fino a un certo punto: ma guai se dovessimo stare fermi per­ché gli altri muovono».

Il 19 dicembre 1965 viene rinnova­to per un quinquennio nell’ufficio di superiore regionale.

Nel 1970 scrive ancora a p. Sciolla: «In luglio ci saranno le elezioni del nuovo governo regionale e io non de­sidero che andare a lavorare in qual­che missioncina: ne sento il bisogno».

Le parole di p. Guido Motter, vice superiore generale, alla conclusione del suo mandato, costituiscono il mi­gliore commento al suo lavoro: «In modo del tutto informale, ma cordiale, ti ringrazio del coraggio cattolico col quale hai sopportato il peso e le re­sponsabilità del tuo ufficio, special­mente in questi ultimi anni, meglio in questi ultimi mesi, in cui ti trovavi da solo e sotto il bersaglio di inevitabili critiche. Bravo, hai combattuto la buona battaglia ed ora meriti davvero la corona e la soddisfazione di lavora­re secondo il tuo spirito in un lavoro diretto e nascosto, ma sempre vali­do...» (Lettera a p. Barbanti 2.9.70).

Padre Luigi va per sei mesi a sosti­tuire un confratello alla procura di Dar es Salaam, quindi viene destinato alla missione di Ujewa dove lavora come parroco fino al 1979. Da quella data e fino al 1984 accetta di fare il padre spirituale nel seminario di Langata - ­Nairobi.

In questo ministero, a volte ha l’im­pressione di sentirsi un po’ inutile e p. Mario Barbero, superiore regionale del Kenya, gli scrive: «Vorrei dirti sin­ceramente di non pensare di non esse­re utile al seminario. È vero che in questi anni hai dovuto "turare vari bu­chi", ma è anche vero che furono anni un po’ di emergenza col cambio del personale e coll’aumento dei semina­risti ed è proprio perché tu hai accetta­to queste varie attività (e perché ne avevi le capacità) che il seminario è potuto andare avanti senza troppi scossoni.

Il lavoro che fai come insegnante, come prete nella comunità sia dei se­minaristi che dei padri e le tue varie doti pratiche ti rendono un elemento prezioso nel seminario... Ho sempre ammirato, fin da quando ti ho incon­trato, le tue tante doti pratiche, la tua esperienza spirituale e il tuo senso di adattamento nonostante le difficoltà e ti assicuro che questi doni che il Si­gnore ti ha fatto sono un dono anche per la nostra comunità del seminario e per la nostra Regione» (lettera a p. Barbanti 1.9.83).

In Uganda

Appare all’orizzonte l’apertura dell’’Uganda e si pensa a p. Luigi come guida per la nuova fondazione. Egli non nasconde i suoi dubbi, ma è pron­to a fare la volontà di Dio: «Non deve essere per me un’avventura (ho 61 an­ni), ma un atto di obbedienza specifi­co all’Istituto, tramite la Regione del Kenya, che deve fare le cose per beni­no e con una relativa prudenza» (Let­tera a p. Giuseppe Inverardi, superiore generale 3.6.84).

Partito per la nuova destinazione, si ospita provvisoriamente presso i Comboniani di Kampala, mentre stu­dia la lingua. Da qui, il 21 agosto ‘84 invia le sue prime impressioni al p. Generale: «Quella montagna dell’’Uganda, vista dal Kenya, sembrava abbastanza possibile: vista da vicino ti fa paura. C’è un pessimismo generale che lo si elimina solo con la fede in Dio che guarda i poveri e i sofferenti e li inquadra nel canto della Madonna "il Magnificat". Quanti martiri del po­tere, del disordine, della paura e della disperazione!

Cosa si potrà fare e quando si potrà fare?... Per molti mesi forse, dovrò es­sere un povero esule, che studia la lin­gua con le possibilità di un anziano di 61 anni. Dovrò armarmi di grande pa­zienza, ma tale che non mi paralizzi nella creatività, e che per ora ha poche vie aperte per esplicarsi.

Ho scritto proprio per un bisogno di sentirmi appoggiato, seguito e aiutato dall’Istituto e ricevere coraggio per accettare tutta la volontà di Dio, che vorrei fosse: di rendermi canale effi­ciente delle consolazioni della nostra Consolata».

P. Barbanti si sente come "un pove­ro Pietro che si mette a camminare sulle acque e poi va a...", ma il p. Ge­nerale lo incoraggia scrivendogli: «Ti posso assicurare tutto il mio interesse, tutto il mio sostegno, tutta la mia con­vinzione che si tratta di un’opera esi­gente, per la quale ci voleva proprio tutta la tua determinazione e tutta la tua esperienza. Se ti ricordi, ti chiama­vo "Scipione l’Africano". Tu l’Africa l’hai dentro. E questo è un grande vantaggio nell’affrontare con amore le varie vicissitudini» (Lettera a p. Bar­banti 7.9.84).

P. Luigi si fa coraggio e nel marzo del 1985 prende possesso, come par­roco, della nuova parrocchia di Bweyogerere, alla periferia di Kampa­la. Lo accompagnano p. Antonio Ro­velli e p. Benedict Lubega. La situa­zione dell’Uganda è difficile ed egli si sente impari al peso della responsabi­lità che gli viene caricata sulle spalle, anche se vede tanta bontà attorno a lui e riceve tanti incoraggiamenti. Anche p. Inverardi lo incoraggia esprimendo­gli parole di ammirazione per tutto il suo sforzo, per l’impegno e il succes­so di questa sua "iniziazione".

Gli inizi, appunto, sono sempre dif­ficili, le condizioni della casa parroc­chiale sono miserevoli, nella parroc­chia, dove non c’è ancora la chiesa, tutto è allo stadio iniziale e l’Uganda va di male in peggio. P. Luigi soffre soprattutto per la lingua che non rie­sce a padroneggiare «e questo mi di­venta un tormento: prediche sempre con l’aiutante. I casi improvvisi (un parroco deve parlare sovente...) mi umiliano e mi riportano all’Egitto che ho lasciato...» (Lettera a p. Inverardi 8.12.85). Ma continua chiedendo la sua preghiera e il suo incoraggiamen­to.

Poco a poco le nuvole si diradano: aiutato dai suoi collaboratori, si appli­ca per formare una comunità coscien­te e attiva, senza bruciare le tappe, ma camminando assieme pronti ad anda­re avanti e tornare indietro per ripren­dere la palla e portarla in porta". Il la­voro prosegue bene, i padri si fanno benvolere e così, nel 1986 può scrive­re a p. Inverardi: «Il nome della Con­solata in Uganda non è più un segreto. Molti domandano del nostro Istituto, ma per accettare la prudenza non è mai troppa».

Gli anni passano e le difficoltà, so­prattutto della lingua e i limiti del­l’età, alla lunga si fanno sentire e ciò è motivo di riflessione e anche di soffe­renza interiore per p. Luigi. Scrivendo gli auguri di Pasqua al p. Generale, nel 1988, dice: «In questi giorni riflet­to molto sulla "volontà di Dio" come lo fece Gesù e la Madonna. Con la ri­flessione e la preghiera spero di otte­nere da Dio la grazia di stare al mio posto come missionario che vuole so­lo il Regno di Dio e anche di poter ispirare a questi giovani ugandesi il desiderio della vocazione missiona­ria».

Nel marzo del 1989, dopo tanta in­sistenza, avviene il cambio della staf­fetta in parrocchia: le basi della fonda­zione sono state poste, si è fatto un buon lavoro ed è tempo di "lasciare spazio ai giovani", come si dice. P. Luigi considera un grazia del Signore l’essere sollevato dalla responsabilità della parrocchia e diventare collabora­tore di p. A. Rovelli.

Nel 1990 ritorna in Kenya e viene destinato come superiore alla Casa di Riposo di Mombasa: «A Mombasa ci vado volentieri e senza pretendere troppo da me. Me ne accorgo che a 67 anni non si ha più tanta creatività, po­ca resistenza fisica e poca memoria. L’arteriosclerosi ci prende e ha le sue pretese. Dunque: non ci vado con dei progetti, ma con umiltà e, nel nome di Dio e della Madonna scriverò questa nuova pagina» (Lettera a p. Inverardi 3.12.90). A Mombasa si considera in vacanza permanente, ma si dà da fare nell’orto, a potare, ripulire e a procu­rare l’acqua che manca sempre. Fa da cappellano alle suore e a una piccola comunità cristiana.

Ma p. Luigi "è ancora troppo gio­vane" per andare in pensione, come gli dice p. Mino Vaccari, nuovo supe­riore regionale del Kenya, proponen­dogli di tornare in Uganda, questa volta per assumere la responsabilità del Centro Vocazionale di Kiwanga. "Il nostro giovanotto" ha molti dubbi e il 5 marzo 1992, scrive a p. Inverar­di: «In questi casi io preferirei che mi si dicesse: "ti mandiamo, vai in nomi­ne Domini e... a 68 anni non vorrei disobbedire». E il Padre Generale, nella sua risposta, stilata il Venerdì Santo, trova le parole giuste per con­vincerlo: « È Venerdì Santo. Santo per la morte dell’Uno che dona la vita a tutti. È la teologia-spiritualità del se­me. Ed è nella fecondità di questa storia e di questo mistero che può in­serirsi la tua nuova "morte", accettan­do di andare in Uganda». Ci va e ri­mane per 4 anni, fino al ‘96, accettan­do la sua situazione di anziano "atten­to a mantenere la serenità di spirito e di essere fattore di comunione nella sua comunità".

Il 18 giugno 1996 viene destinato a Ikonda in Tanzania, ritorna così nella sua prima terra di missione e si dedica al lavoro pastorale.

Traguardo finale

Nel ‘98 viene in Italia per le vacanze, ma un infarto gli impedisce di tornare in missione. Po­co a poco sembra rimettersi, ma d’im­provviso, altri strappi vengono a lace­rare il suo cuore, finché il due aprile, Venerdì Santo, cessa di battere come quello di Gesù e viene accolto dal cuore del Padre al quale ha saputo af­fidarsi durante tutta la sua esistenza di missionario.

I funerali si svolgono martedì 6 aprile. La celebrazione eucaristica, in Casa Madre, viene presieduta da p. Antonio Rovelli che condivise con lui gli anni della missione in Uganda. La salma prosegue poi per Canuzzaro (RA) suo paese, dove il pomeriggio si svolge la celebrazione esequiale pre­sieduta da p. Enrico Rossi. P. Giovan­ni Medri, che con lui lavorò a lungo, lo ricorda come "vanto della sua terra romagnola e orgoglio del suo paese".

 

 

UNA CARELLATA DI ELOQUENTI TESTIMONIANZE

 

Dall’omelia del funerale

Padre Luigi ci ha lasciato, se ne è andato in punta di piedi, senza clamo­ri, nel silenzio della notte del Venerdì Santo. Ho trascorso i primi cinque anni della mia vita sacerdotale missionaria in compagnia di p. Luigi. Insieme nel 1985 abbiamo iniziato la missione di Bweyogerere alla periferia di Kampa­la in Uganda. L’Uganda dell’orrore, dei massacri, della guerra, l’Uganda della ricostruzione, l’Uganda del­l’AIDS, insomma l’Uganda da conso­lare nei suoi orfani e nelle sue vedove.

Cinque anni di vita a tu per tu con p. Luigi, nella condivisione, nel ri­schio, seduti alla stessa tavola quando lo stimolavo a parlarmi del suo indi­menticabile Tanzania. In lui ho trova­to un maestro dì vita: lavoratore tutto­fare, con le mani abili nell’impugnare il martello, ma anche il pennello (mol­te cappelle di Bweyogerere sono de­corate con immagini di martiri da lui dipinte); sempre saggio nelle decisio­ni, anima da pastore che in sé aveva un vulcano di spiritualità: messa, rosa­rio, breviario, meditazione, di tanto in tanto spariva in sella alla sua moto (ho poi scoperto che andava a confes­sarsi dai Comboniani a Kampala); co­sì p. Luigi è stato sostegno per me ne­gli imprevisti, a volte dolorosi, della vita missionaria. Pensate che la prima volta che vennero i ladri a farci visita (la prima delle quattro volte) p. Luigi, camminando nel cortile con il fucile puntato dietro la schiena, si mise a re­citare il rosario ad alta voce per avver­tirci del pericolo.

La permanenza di Padre Luigi "am­malato" in Casa Madre ha permesso un riavvicinamento che spesso faceva capolino nel ricordo nostalgico della missione in Uganda; era per lui come intingere, nel calice amaro, "delle par­ticole" che addolcivano la sofferenza e gli davano coraggio. Io non potevo che provare pena, non mi rassegnavo, abituato come ero a vederlo attivo, con qualcosa da fare in mano, sempre a passo veloce e indaffarato con le di­verse attività della vita missionaria.

La sua presenza era discreta e si ve­deva poco in Casa Madre, non perché fosse "confinato", era come non vo­lesse far pesare troppo sugli altri la sua condizione. Appariva schivo, qua­si restio all’incontro. Attorno a lui ci siamo stretti per festeggiare i suoi 50 anni di sacerdozio, dono per il quale abbiamo ringraziato insieme il Signo­re il Giovedì Santo. Sacerdozio nel cui terreno fertile p. Luigi ha saputo far crescere la robusta pianta della sua vita missionaria. Nel labirinto di uffici e corridoi del­la Casa Madre, p. Luigi aveva traccia­to il suo itinerario giornaliero che so­lamente gli occhi di un attento osser­vatore potevano notare. Il suo passaggio silenzioso faceva la spola dalla cappella della comunità, presso "gli altarini", al coro della chiesa del beato Fondatore, per unirsi alla preghiera della comunità, oppure, il più delle volte, per salire da solo il suo Horeb, il suo "coretto" e ascoltare "il silenzio del vento leggero" che lo abbracciava e lo animava interiormente.

Questo il segreto che contagiava i tanti che in questi ultimi mesi si sono recati da lui per guida spirituale, con­siglio, confessione; ho visto tutto ciò con i miei occhi durante i pochi giorni di convalescenza che ho trascorso in infermeria.

Caro Padre Luigi la gente trovava in te qualcosa di speciale, una forza che attraeva, una specie di "forza ma­gnetica" che scuoteva e rincuorava gli animi, come la forza, di altra natura, che ti permetteva di infrangere il sot­tosuolo e trovare l’acqua nelle profon­dità, così tu raggiungevi le profondità dei cuori.

Non hai mai posseduto tanto nella vita e fino all’ultimo non ti sei smenti­to. Avevi l’essenziale e cercavi l’es­senziale, come dice la nostra gente in Uganda: « l’uomo che viaggia in al­to, lo incontri sempre con i piedi per terra ». Il tuo sguardo penetrante aveva la capacità di trovare 1’Altro e 1’Oltre nelle umili e modeste reliquie della quotidianità. Sguardo discreto come Colui che discretamente ti parlava nelle piccole cose. Sguardo sereno di occhi che hanno saputo cogliere nell’ovvio il mistero, nello scontato la sorpresa, nell’inanimato un messaggio.

Tutto questo ho rivissuto entrando nella tua stanza inanimata la notte del tuo silenzio, il silenzio del tuo Venerdì Santo. Tu non parlavi più, ma le tue poche cose mi hanno parlato di te ri­componendo in un batter d’occhio il mosaico della tua vita di sacerdote missionario e scrivendo per noi e per il nostro Istituto il tuo testamento spi­rituale.

Cosa ho visto che mi parlava di vita nella tua stanza di morte? Che messag­gio avevi preparato per noi? Ho visto: un breviario, un rosario, una Bibbia. Spiritualità soda la tua, rosario e breviario consumati dall’usura.

Ho visto un libro del Papa sulla fi­gura di Dio Padre, un libro su San Giuseppe dal titolo: "San Giuseppe: sogno, silenzio, solitudine". Credevi nella formazione permanente "in atto" per questo leggevi molto per tenerti aggiornato sulle attualità del mondo, su figure di Santi del passato e del presente, acqua fresca che dissetasse il tuo spirito.

Ti piaceva molto San Giuseppe - il tuo Protettore - "il giusto" perché fa la volontà di Dio. Nella tua vita ti sei affidato spesso alla sua protezione, come superiore che esigeva obbedien­za e che a tua volta praticavi quando ti veniva richiesta. Durante i mesi che hai trascorso in Casa Madre hai divo­rato tutti i libri che ti ho procurato sul­la Santa del campo di concentramen­to, Edith Stein. Mi sono chiesto per­ché tale tuo interesse. Santa Teresa Benedetta della Croce - è il nome "re­ligioso" della Stein - così chiamata perché della croce ha fatto la sua ban­diera. Se in quella Santa donna trovas­si forza per la salita al tuo calvario, non lo so, ma senz’altro i mesi che hai trascorso con noi ci hanno mostrato che avevi fatto tua la convinzione del­la Santa che disse, prima di entrare nella camera a gas: «...Non è l’attività che ci può salvare, ma soltanto la Pas­sione di Cristo. Esserne partecipe, questa è la mia aspirazione...». E, io penso, è stato così anche per te!

Ho visto sulla scrivania l’immagine del nostro beato Fondatore, Giuseppe Allamano, esempio di sacerdote al quale eri molto affezionato, perché aveva fatto della volontà di Dio la sua regola di vita, e della missione il suo senso. E la missione era lì nella tua stanza che mi parlava: alcune lettere dall’Africa, e la tua inseparabile ra­diolina: ponti di una comunicazione che non si sono spezzati, tesi verso un orizzonte di notizie che il cortile della Casa Madre non poteva contenere.

P Antonio Rovelli

 

Piccolo "scricciolo" ricco di vivacità, fantasia e modernità

Padre Luigi Barbanti: un costante sorriso a coronare la fede viva, la te­nacia, la giovialità, la fiducia nel pros­simo, l’amore alla gente, specialmente ai giovani, la capacità di lavoro e di progettazione e la forza di sopporta­zione nella prova.

L’ho incontrato entrando nell’Istitu­to a Montevecchia: era uno scricciolo di apostolino di terza ginnasio all’ini­zio dell’anno scolastico 1937-38.

Fra i più piccoli della sua classe, sempre allegro, sfrecciante, sopra la media nelle classifiche quindicinali che p. Grosso leggeva e commentava con pungente arguzia a tutte le tre classi di Montevecchia. Tanta viva­cità, giovialità, disponibilità (era il barbiere del piccolo seminario) e sem­pre esemplare.

I ricordi di Varallo, Cereseto e Ro­signano sono più vaghi per il distacco delle due classi che ci separavano. E del maggio del ‘49 la sua gioiosa par­tenza per il Tanzania.

Il 3 settembre del 1957 lo incontrai di nuovo al mio arrivo in Tanzania. Education Secretary del distretto di Iringa, aveva colto l’occasione del ca­mion di fr. Angelo Carretta, che veni­va a Dar a prendere i due nuovi arri­vati (p. Dino Beretta e il sottoscritto), per recarsi anche lui a Dar, con fr. Er­nesto Viscardi, ad acquistare una Peu­geot furgoncino di seconda mano, che gli occorreva per i continui viaggi nel­le scuole delle missioni.

Involucro piccolo e disadorno, ric­co di vivacità, fantasia, modernità, animatore nato, era stato notato subito in Regione e gli era stata affidata la direzione della Don Bosco Middle School dei ragazzi di Tosamaganga e in seguito, l’incarico di Education Se­cretary, carica di fiducia e di respon­sabilità presso l’autorità coloniale. Credo proprio che nessuno abbia mai potuto notare che la carica facesse per lui una benché minima differenza se non per l’impegno di lavoro che coin­volgeva.

Lo ricordo in modo particolare a Ilula con un folto gruppo di boys scout in attesa di partire per un cam­po di quindici giorni, nella lontana e montagnosa scuola cappella di Udekwa, dove da soli due anni aveva aperto la primary. Vi aveva mandato due maestri che di Udekwa stavano facendo una scuola "dalle costruzioni di fango, ma dai maestri e dalla scola­resca d’oro". (affermazione del Di­strict Education Officer che nell’apri­le del ‘58 tornava dalla faticosa ar­rampicata sul sentiero che portava a Udekwa).

Lavorò come Education Secretary fino al ‘60. Poi, dal ‘60 al ‘70 superio­re religioso. Succedeva a p. Borra, e fu praticamente il primo superiore re­ligioso che, sia per l’evolversi della prassi di Propaganda Fide, sia per la spinta del superiore generale p. Fiori­na, che pativa l’eccessiva subordinazione del superiore religioso all’ordi­nario locale in tutte le missioni dell’’Istituto, sia per la sua inclinazione ad assumersi di persona le sue respon­sabilità, esercitò con deferente indi­pendenza la sua difficile missione.

La sua conoscenza di tutti i maestri che lavoravano nelle missioni lo aiutò ad avviare più efficacemente il nuovo indirizzo della pastorale che guar­dava a un maggior coinvolgimento dei laici. Iniziò a preparare un sussidio men­sile per le campagne pastorali annuali, da distribuire a tutte le missioni.

Aderì fattivamente all’impostazio­ne di p. Fiorina che chiedeva all’auto­ritarismo del parroco di evolversi len­tamente verso una collaborazione più cosciente e più fraterna con i vice par­roci.

Era giovane e per tutti noi fu sem­pre fratello prima che padre, sincero, cordiale, generoso.

Attento al problema dei giovani, tentò di dare inizio, nella nascente cit­tadina di Iringa, al centro S. Luigi per i giovani che dai villaggi cominciava­no ad affluire in città per gli studi se­condari: l’intuizione era troppo mo­derna, e parte della comunità avversò animosamente l’iniziativa fino alla sua chiusura.

Con p. Fioriva animò la comunità portandola all’accettazione della fon­dazione dell’ospedale di Ikonda. Aprì la Procura di Dar es Salaam, e con p. Cavallera diede inizio all’ospedale di Tosamaganga.

Nel 1970, la prima Conferenza Re­gionale indipendente dall’ordinario locale, a causa della nostra inesperien­za e forse dell’esaltazione di questo nostro primo esperimento di autode­terminazione, fu l’occasione dell’’emergere di una campagna di oppo­sizione che fu per p. Barbanti un tor­mento sicuramente non meritato. Una grande prova che sia lui che p. Caval­lera Lorenzo, illuminato amministra­tore, superarono con religiosa umiltà e rassegnazione.

Il nascere della nuova Direzione Regionale, gli permise finalmente l’apostolato diretto nella parrocchia di Ujewa. Qui riuscì a dare tutto se stes­so in piena e gioviale collaborazione con i vice parroci che gli furono vici­ni, con le suore e con la popolazione che seppe animare nelle opere pasto­rali e sociali.

Poi il Kenya, 1’Uganda, e finalmen­te il ritorno in questo Tanzania cui aveva dato il cuore e il meglio di sé. Accettò la parrocchia di Ikonda, fra le più disagiate sotto l’aspetto geogra­fico e la servì con la stessa dedizione di sempre. Programmi precisi e fe­deltà ai programmi e agli impegni del­la vita religiosa: tanta preghiera.

La fatica lo logorò in fretta. Quando partì per l’ultima vacanza, non sempre riusciva a nascondere la stanchezza fisica che cominciava a manifestarsi.            

L’ho rivisto in Italia, fiaccato dal primo infarto che aveva leso vasta­mente il muscolo del suo cuore. Sorri­dente nella rassegnazione all’inatti­vità.

Poi l’impegno a fare, per il corso di swahili, qualche cosa di più di quanto il male gli permettesse. In fine, la sera del Venerdì Santo, il fondersi col suo Signore che ha sempre gene­rosamente e giovialmente servito in vita.

Sono certo che dal Cielo farà mira­coli per i giovani, per la gente, per questa nostra Regione Religiosa cui ha donato con gioia tutta la ricchezza del suo cuore e delle sue doti missio­narie.

P. Giulio Belotti

 

Sacerdote santamente semplice

Padre Luigi Barbanti giunse nell’al­lora Tanganyika nel 1948 e mons. Beltramino gli affidò la direzione dell’internato della Central School di Tosamaganga (futura Secondary School) che preparò migliaia di giova­ni studenti ad assumere ruoli di alto li­vello nella vita politica e sociale del paese.

Verso il 1953 iniziò la Middle School, sempre a Tosamaganga dove organizzò, come metodo educativo teso al­la responsabilità, la sezione dei Catholic Boys Scouts che ebbe tanta influenza anche sui giovani delle Se­condary Schools governative.

Su domanda di mons. Beltramino, il nostro p. Barbanti in quegli anni diede inizio all’Azione Cattolica in tutte le stazioni di missione; a questo scopo preparava e inviava tutti i mesi un programma ciclostilato per la forma­zione intellettuale dei responsabili e per l’attuazione nelle missioni.

Mons. Beltramino gli chiese pure di iniziare la confraternita della Dottrina Cristiana e di curare la formazione dei catechisti; ciò che fece con sussidi e interventi di educazione.

Si era negli anni ‘50. La Conferen­za Episcopale del Tanganyka Territory (amministrazione fiduciaria del­l’ONU, in mano agli Inglesi) si ra­dunò a Dar es Salaam per discutere il futuro degli africani. Quivi i vescovi (tutti Europei) stesero la magna carta dell’indipendenza del Tanganyika, in­titolata: "Africans and their way of life".

I vescovi premevano sugli Inglesi perché favorissero l’apertura di scuole primarie, medie e secondarie. Mons. Beltramino affidò a p. Barbanti l’ese­cuzione del programma scolastico dio­cesano delle scuole primarie e medie. P. Barbanti, cavalcando la sua moto, visitava tutte le scuole elementari e medie sparse nel Vicariato Apostolico di Iringa che si estendeva dal Great Ruaha alle sponde del lago Nyassa, cioè in un raggio di circa 300 km.

Nel 1959 il Capitolo Generale ri­chiese che le comunità dei missionari IMC operanti nei Vicariati affidati ai Vescovi IMC si organizzassero in De­legazioni e Regioni. Il Governo Gene­rale dell’Istituto scelse p. Luigi Bar­banti come primo superiore delegato avente autorità distinta dal vicario apostolico. Rimase in questa carica fi­no al 1971.

Come superiore, p. Barbanti visse a contatto coi Missionari e i loro pro­blemi. Vide la loro difficile situazione nella zona dell’ Ukinga dominata dai Luterani. La gente del posto, in pub­blica assemblea chiese al p. Barbanti di aprire un ospedale a Ikonda ed egli, fiducioso nella Consolata e nell’aiuto dell’Istituto, lo iniziò negli anni 1960-62.

Dopo la morte di mons. Beltrami­no, p. Barbanti esercitò la sua autorità di superiore regionale presso il nunzio apostolico affinché fosse scelto un sa­cerdote tanzaniano a dirigere la Dio­cesi di Iringa. In effetti, dopo qualche anno, il Santo Padre elesse mons. Mgulunde come primo vescovo della diocesi.

Dopo aver ricoperto varie mansioni in Kenya e Uganda, nel 1996 ritorna in Tanzania ed è parroco di Ikonda, dove lui stesso aveva incominciato l’Ospedale. La salute non lo accompagna e deve sottoporsi a cure a Torino. Qui il Signore lo chiama a sé il Venerdì Santo.

Sacerdote santamente semplice co­me San Francesco, però fiducioso nei confratelli; aperto e schietto come i romagnoli, amante della vita religiosa, vive nel ricordo di migliaia di giovani africani da lui formati, vive nella rico­noscenza degli ammalati curati nel

suo" ospedale e vive nel dolore e nell’affetto di noi tutti Missionari del Tanzania.

A don Dante, suo fratello, anche lui Missionario Fidei Donum, e ai suoi famigliari, la nostra riconoscenza per avercelo dato e le nostre condo­glianze. Dal cielo p. Luigi ci assista e ci be­nedica.

P. Romano Ceschia

 

Il nostro santo "La Pira"

Non è facile compendiare in poche righe una convivenza che abbraccia un arco di tempo così vasto: dai ban­chi di studio e di formazione a una cinquantina d’anni di vita di missione. Tutti anni goduti e sofferti molto spes­so a contatto di gomiti. Spassosi scambi di esperienze, momenti di ri­flessione orante, sincere critiche vi­cendevoli, episodiche contrapposizio­ni cocciute, hanno mai impedito di ri­trovarci in cordiale fraternità e in col­laborazione. Ultimamente, la sua pie­na disponibilità all’obbedienza, fece affiorare un senso di rammarico nella comunità, non in lui. Era stata condi­visa la sua meritata parabola ascen­dente, da vice parroco a Sadani e poi su, su in varie posizioni di responsabi­lità fino a primo superiore religioso dell’ Iringa.

Ma per quella sua itineranza apo­stolica accettata (Langata, Uganda, Kenya) che l’aveva strappato dalla nostra comunità era sopravvenuto il rimpianto. Naturalmente si gioì al ri­vederlo, infine, di ritorno e riabbrac­ciarlo, ritrovandolo più che mai entu­siasta della sua vocazione. Caratteri­stica, questa, ben nota e apprezzata.

Leggendo, ho incontrato in una pa­rola inconsueta: "persona dioratica". Un termine, questo, così fuori uso che lo scrittore si è sentito in dovere di spiegarlo: si dice di una persona tra­sparente, che riflette all’esterno, nono­stante particolarità contrarie, quanto si cela nell’interiorità: si potrebbe appli­care al nostro p. Barbanti se non fosse che lui sarebbe il primo a trasalire.

La sua immagine dimessa, un ometto con gli occhi separati da un solco verticale in fronte, suggeriva una personalità volitiva, determinata, allergica agli scherzi. Ma per quanto egli fosse ligio al dovere e non velava la sua autorità, immancabilmente sa­peva accettare tutto con una buona le­vitazione di ottimismo salutare. Di­scorrendo di problematiche, propone­va spesso iniziative che a prima vista sembravano sfiorare l’ingenuità. Lan­ciava progetti e si buttava nell’ese­guirli mirando a mete che soltanto lui vedeva meritevoli e raggiungibili.

Qualcuno, celiando, parlava di sprazzi di una innata innocenza irre­quieta, ma non era un visionario. L’evidente solidità religiosa tutta orientata all’apostolato, finiva di di­sarmare e illuminare lo stupore un tantino scettico di non pochi. Forse si trattava di una rara e preziosa simbiosi tra la sua incontenibile fiamma apo­stolica e l’impulso concreto alla ricer­ca di obiettivi innovativi.

Qualcuno lo chiamava, con simpa­tizzante ammirazione, il nostro santo "La Pira". Indimenticabile p. Barban­ti, facciamoci ancora una risatina! Ma cerca di continuare ad alimentare dal cielo, in noi, quel tuo fuoco.

P. Alessandro Di Martino

 

Magnifico esempio di religioso-missionario

Padre Luigi Barbanti: una figura di religioso-missionario che mi è impos­sibile cancellare dalla mente. Abbiamo trascorso tanti anni vicini: dal 1939, quando incominciai la prima ginnasio a Varallo e lui era in quinta. Negli anni successivi i contatti si di­luirono, ma ripresero nel 1956 quando lo raggiunsi a Tosamaganga nell’ Irin­ga. Tosamaganga era allora il centro e il cuore della Diocesi. Tante attività. ("Tosamaganga cittadella di Dio" era i1 titolo di un riuscito documentario).

E p. Luigi Barbanti era immerso in varie di queste attività: insegnante, formatore, incaricato delle scuole del­la diocesi, con contatti diretti con i maestri, guida gioviale degli scout (stimato anche su base nazionale), sempre pieno di iniziative, molto atti­vo nelle attività religioso-catechisti­che con i ragazzi e giovani, con i cate­chisti, cercando sempre di aggiornarsi con raduni, seminars; facendo molto uso di audiovisivi, a volte tradotti da lui stesso in swahili, ed usando an­che le sue qualità di buon artista. Sempre allegro, pronto alle discussio­ni, ed anche tenace nel difendere le sue posizioni, a rischio di piccole rot­ture.

Il Vescovo aveva piena fiducia in lui, era soddisfatto del suo lavoro che svolgeva senza darsi arie, con tutta semplicità; sempre pronto al servizio degli altri, con tutta umiltà; pronto an­che a fare partite a bocce in allegria, specialmente con i fratelli coadiutori.

Uomo alla buona e di compagnia, anche quando fu eletto superiore re­gionale per due turni. Entusiasmo e zelo nella semplicità erano le sue ca­ratteristiche. Sempre pronto a prestare servizi-religiosi nella parrocchia di Tosamaganga e altrove.

In tutto era veramente penetrato da un profondo spirito di fede. Era ben conscio della sua vocazione e la vive­va fino in fondo, senza ipocrisia ed egoismi. La forza gli veniva da un so­do spirito di preghiera, di riflessione e meditazione.

In tutti gli anni che siamo stati vici­ni (fin quando fu destinato al Kenya) p. Barbanti rappresentò per me un bell’esempio di religioso missionario alla portata di mano. Un esempio che attirava, che si poteva seguire. Quanti antichi alunni o maestri mi domanda­vano qua e là: «dov’è p. Barbanti? Come sta?». E dimostravano ancora stima, affetto e ringraziamento. E quante volte anch’io pensavo a lui nei lunghi anni che trascorse in Kenya e Uganda. Ritornò in Tanzania, ma pur­troppo per brevissimo tempo.

La malattia e il dolore rifinirono, come una buona lima, il lavorio dello Spirito Santo nella santificazione di questo magnifico esemplare di religio­so missionario.

Grazie, p. Luigi: continua a ricor­darci ed aiutarci.

P Riccardo Ossola

 

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