Missionari ad alta fedeltà

BARLASSINA P. GAUDENZIO (1880 - 1966)

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« Deo gratias! ». Con questo suo abituale e gioioso canto di ringraziamento anche di fronte alla morte, il Padre Gaudenzio Barlassina si è incamminato ricco di meriti all’incontro con Dio. Si spegneva con lui un astro di prima grandezza nel firmamento dell’Istituto.

Dati biografici

Era nato il 22 giugno 1880 a Torino dal Ragioniere Gaetano, novarese di na­scita, e da Fortunata Millo, nobile di natali, ma più ancora di cuore.

Era fratello minore del compianto Monsignor Luigi Barlassina, Patriarca Latino di Gerusalemme.

« Sono stato battezzato - ci lasciò scritto nelle sue memorie - il 26 giugno 1880 nella chiesa di S. Massimo, e cresimato il 1° giugno 1887 da Monsignor Pulciano in Santa Pelagia.

« Frequentai le elementari sotto la direzione dei Fratelli delle Scuole Cristiane e gli studi ginnasiali nell’Istituto Sociale dei Padri Gesuiti... Durante il ginnasio divenni membro di una fiorentissima Congregazione Mariana, per cui aumentò la mia devozione verso Maria Vergine Santissima... Dopo quattro anni di ginnasio ricevetti l’abito chiericale i 14 novembre 1897 ».

Seguì i corsi di filosofia, prendendo lezioni private dal Padre Giaccardi dei Filippini, e di teologia nel Seminario Metropolitano come esterno. « Fu sempre zelantissimo nel fare il catechismo ai bambini sui quali eserci­tava un fascino straordinario», scrisse il fratello Don Luigi, allora rettore di Santa Pelagica. In questa chiesa, oltre ad essere catechista, era sacrestano, cantore, e si occupava dei ragazzi della « Mendicità istruita ».

Missione in Kenya

Il 6 luglio 1903, già ordinato Diacono, entrò nell’Istituto; il 16 settembre dello stesso anno emise il primo giuramento per 5 anni, e il 20 dello stesso mese venne ordinato sacerdote da S. Em. il Card. Richelmy.

« Scusatemi se procuro alla mamma e a te questa pena, ma credilo, oggi, per me, è proprio il più bel giorno della mia vita », così il P. Barlassina diceva al fra­tello Don Luigi, il 24 dicembre 1903 a Porta Nuova, mentre era in partenza per il Kenya.

Vi giunse il 15 gennaio 1904. Passò un periodo a Nyeri (1904-1905) e a Tuthu (1905-1906), poi venne nominato superiore della Missione di Mugoiri, che resse dal 1906 al 1916. Il 25 dicembre 1908, nella Missione di N. S. delle Grazie, si legò in perpetuo all’Istituto.

In questo periodo diede non dubbie prove del suo zelo. Dotato di gran facilità nell’apprendere le lingue, poté rendere un grande servizio all’evangelizza­zione del paese, occupandosi con felice successo della compilazione in lingua kikuyu di libri di preghiere e scolastici. Al suo tatto e alla pratica acquistata nel trattare con gli africani si dovette lo splendido esito nel reclutamento dei «Principini » (figli dei Capi più influenti) per l’apposito Collegio di Fort Hall.

Missione in Etiopia

In data 28 gennaio 1913, col Decreto « Quo uberes » della S. Congregazione di Propaganda Fide, veniva eretta la Prefettura Apostolica del Kaffa in Abis­sinia, già campo di lavoro del grande Missionario Card. Massaia; e con un susse­guente Decreto dell’8 maggio dello stesso anno ne era eletto Titolare il Padre Gaudenzio Barlassina.

Il neo Prefetto, informato dal Can. Allamano della carica cui era stato nominato, scriveva al suo venerato Superiore: « Alla voce del Signore, che come tale io ricevetti l’annunzio di V. P. Rev.mo col quale mi chiamava a lavorare nella nuova vigna del Kaffa, ho risposto con "Ecce ancilla Domini". A fatto compiuto, non avevo più motivo di fare alcune giuste osservazioni al riguardo; queste sareb­bero divenute puri complimenti... Ora scrivo per primo a V. S. Rev.mo, ed in risposta Le dirò che mi sento tranquillissimo, il ché non credo presunzione perché quanto più mi convinco che posso niente, tanto più sono certo che farà Iddio.

Nessuno più del missionario può e deve vivere di fede. Può, perché l’espe­rienza del passato gli vale per l’avvenire; e deve, perché fidandosi nelle promesse del Signore che non mancheranno mai, ha solo da pensare a servirlo fedelmente nei Suoi interessi. Perciò io sono pronto al quando e come iniziare i nuovi lavori, in attesa delle cui istruzioni mi trovo ora a Tuthu, mentre termino alcune tradu­zioni in lingua indigena.

Mi raccomando di cuore alle sue preghiere per alcuni miei bisogni parti­colari e per il Kaffa, così pure alle preghiere dei RR. Confratelli e Consorelle ai quali invio in anticipo il mio affettuoso saluto. Baciandole i piedi ed invocando la sua paterna benedizione, mi professo figlio in Gesù e Maria ».

Nel novembre 1913, Mons. Barlassina giunse in Italia; venne ricevuto in udienza dal Pontefice S. Pio X (novembre 1914), che lo congedava con queste parole: « Co­raggio, figlio mio, vedrete che il Signore sarà con voi e tutte le cose andranno bene anche colà. Voi avete la fortuna e l’onore di essere mandato a ricalcare le orme e a riprendere l’opera di quel grande missionario che fu il Card. Massaia. Ciò vi sia di buon auspicio. Che l’Arcangelo Raffaele vi conduca sano e salvo a cominciare la vostra nuova missione».

Era un’impresa difficile in quei momenti penetrare nel cuore dell’Abissinia ermeticamente chiusa all’opera evangelizzatrice dei missionari cattolici e malsicura per le continue sollevazioni.

In Italia preparò i suoi piani, occupandosi nel frattempo in conferenze di propaganda, e nel fare scuola di Kikuyu ai Confratelli con un frasario kikuyu-ita­liano che fu dato alle stampe.

Nel dicembre 1914 dovette lasciare l’Italia, che era alla vigilia di entrare in guerra, e fece ritorno alla sua Mugoiri. Di là, nel dicembre 1916 poté finalmente partire verso l’Abissinia, e la sera del Natale giunse ad Addis Abeba in veste di giornalista.

Dopo lunghe e inutili trattative col Governo, solo alla fine del 1917 con l’ap­poggio di un Capo e di un Governatore dell’interno, riuscì con due altri Padri giunti dal Kenya, a stabilirsi come commerciante a Ghimbi, a 500 km. da Addis Abeba.

Da questa residenza, Mons. Barlassina partì nel 1918 per la prima visita alla regione del Kaffa.

A Giren ebbe la grande consolazione di incontrare Abba Mattheos, il super­stite dei sacerdoti ordinati dal Card. Massaia, e riallacciare così l’ultimo filo che legava le gesta del grande Cappuccino alle avventurose fatiche iniziate dai Mis­sionari della Consolata.

Questa prima visita si conchiuse con l’apertura di altri “centri commerciali­ missionari”.

Mons. Barlassina studiava intanto alacremente il gravissimo problema della schiavitù e pensò ai così detti « Villaggi della Libertà » che, realizzati, tornarono di grande utilità per le necessità di quel momento.

In seguito, grazie all’intervento del Senatore Ernesto Schiapparelli e dell’Asso­ciazione per i Missionari Italiani all’Estero, chiamò in Etiopia medici italiani per gli ospedali aperti nella capitale e nell’interno.

Nel 1924, col consenso dell’Imperatrice Zauditù e del Reggente Ras Tafarì, che cominciavano ad apprezzare l’opera benefica dei Missionari, fece giungere le prime Suore Missionarie della Consolata; e ciò costituì un tacito riconoscimento della Missione Cattolica nel paese. Accanto ai primi nove laboratori, dispensari e bazar sorsero perciò le opere di un’autentica missione. Tra queste, le due indispensabili per l’impianto della Chiesa in modo defini­tivo: il Seminario e il Monastero delle Suore Ancelle della SS. Consolata.

Superiore Generale

Nel 1933 la Prefettura del Kaffa era bene avviata quando Mons. Barlassina fu scelto dalla fiducia della S. Sede a prendere la direzione generale dell’Istituto al termine della Visita Apostolica. Nella sua prima Lettera circolare scriveva:

“Presentandovi il Decreto della S. Congregazione di Propaganda Fide, Vi invito tutti ad un rendimento di grazie. Ringraziamo Dio, ringraziamo la SS. Consolata. Essi sono gli ispiratori, i fattori di questo avvenimento... Ed ora eccomi a Voi. Se sempre io mi sono sentito dell’Istituto, al quale Dio mi ha chiamato; se sempre ho apprezzato i tesori di grazia da esso ricevuti, molto più oggi sento di essere Vostro e sento che Voi siete miei. Io vi giuro che vengo a Voi per essere con Voi sempre, con cuore di fratello, con cuore di padre... Penso ad una silenziosa, sana, fruttuosa operosità... » (30 giugno 1933).

Con questo magnifico programma Monsignor Barlassina, che da allora volle essere chiamato Padre, iniziò il suo nuovo compito di Superiore Generale il 29 giugno 1933 e lo svolse fino al settembre 1949.

Con il suo esempio, le conferenze domenicali, le Circolari ricche di tanta pra­ticità, si dedicò ad indicare ai Confratelli il genuino spirito del Padre Fondatore. Tra le sue prime realizzazioni vi furono quelle del trasporto della salma del Padre dal cimitero della città alla cappella dell’Istituto (10-12 ottobre 1938), e del processo diocesano per la causa di sua beatificazione.

Visitò le Missioni del Gimma (1940), e dopo aver condiviso con i figli le pri­vazioni del campo di internamento (1940-1942), portò la sua parola di incoraggia­mento ai Missionari d’America e d’Africa (1948-1949).

Provvide alla ricostruzione della Casa Madre distrutta nel 1942 dai bombarda­menti aerei. Acquistò all’Istituto le Case di Certosa Pesio (1934), Vittorio Veneto (1935), Varallo Sesia (1937), Villa Botta a Rovereto, Bevera e Alpignano.

Aprì per i Missionari della Consolata nuovi campi di apostolato: Brasile nel 1937, Portogallo nel 1942, Argentina, Canada, Mozambico nel 1946, Colombia nel 1947, Stati Uniti, Sud Africa e Prelazia di Rio Branco (Roraima) nel 1948.

Presiedette al Capitolo Generale del 1939 e in parte a quello del 1949, durante il quale venne nominato Procuratore Generale, carica che rivestì con generale sod­disfazione fino alla sua morte.

Procuratore Generale

Mentre era Procuratore Generale, il 20 settembre 1953 celebrò in Casa Madre il Giubileo d’oro di Professione Religiosa e di Sacerdozio. In quell’occasione alle onorificenze di Commendatore dei SS. Maurizio e Lazzaro (1 luglio 1932) e di Grande Ufficiale dell’Ordine della Corona d’Italia (6 marzo 1936) di cui era già insignito, aggiunse quella di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine del Santo Sepol­cro. Il 1° novembre 1963, pure in Casa Madre, attorniato dai sei Vescovi dell’Isti­tuto presenti in Italia per il Concilio Vaticano II, solennizzò la sua Messa di Diamante.

Il venerando Padre cominciò poi a sentire il declino delle sue forze; il male lo costrinse prima alla stanza, poi al letto. Con l’animo sereno di chi ha combattuto la buona battaglia, domandò di ricevere il Sacramento degli Infermi, che gli venne amministrato da Mons. Giuseppe Nepote, presenti i membri della Comunità. Cantò il suo « Nunc dimittis »: Rendo grazie a Dio, chiedo perdono ai Confratelli, nella carità, nell’umiltà, nell’amore alla Consolata ».

Conforme al suo desiderio, da Roma fu portato a Torino nell’infermeria di Casa Madre, dove, in seguito ad emorragia interna, rese la sua bell’anima a Dio la mattina del 27 aprile 1966.

La scomparsa di P. Barlassina suscitò un vasto rimpianto. Inviarono condoglianze: Sua Santità Paolo VI, il Card. P. G. Agagianian, Pre­fetto della S. Congregazione di Propaganda Fide, numerosi altri Prelati e Persona­lità, Sacerdoti, Famiglie Religiose e persone di ogni condizione.

La sua salma venne visitata, tra i tanti, da Mons. Michele Pellegrino, Arcivescovo di Torino, Mons. Francesco Bottino, Mons. G. Beltritti, Coadiutore di Gerusalemme, dal Padre della Piccola Casa della Divina Provvidenza, Can. Bernardo Chiara.

Il Superiore Generale P. Domenico Fiorina officiò i funerali che riuscirono imponenti. Il feretro poi, accompagnato al cimitero, venne sepolto nella tomba dell’Istituto.

I suoi principi

I principi che animarono il Padre Barlassina in tutte le azioni e in tutto il corso di sua vita, e che resero preziose al cospetto di Dio quelle opere e quella condotta che anche gli uomini apprezzarono, possono essere così riassunti: “i nostri doveri spirituali che ci portano direttamente a Dio e ci attingono da Lui tutta la virtù per operare non solo materialmente ma spiritualmente in tutto... Le virtù ed i meriti delle opere saranno computati in base alle fatiche ed ai sacri­fici e non ai risultati vistosi; in base al virtuoso operare e non al ragionare eru­dito... Molto spesso per l’avidità e premura di fare cose grandi, si passa sopra e si trascurano le così dette piccole cose, che sono invece essenziali: quali le pratiche di pietà, gli atti di carità, ecc., da cui realmente prendono vita e sviluppo le opere durabili, siano esse più o meno grandi poco importa...” (Circolare N. 19, Na­tale 1941).

Padre Barlassina, su una correttezza e compitezza di modi che lo resero stimato dagli uomini, innalzò la sua perfezione spirituale. Curò i piccoli atti di virtù, « i piccoli grani di riso - come li chiamava - dell’osservanza religiosa »; amò la Regola, perché « la Regola porta la grazia e santifica », perché essa è « per una Comunità quello che il Vangelo è per la Chiesa... La venerazione filiale e l’af­fetto riconoscente che dobbiamo nutrire verso il nostro Padre Fondatore, che ci diede questa vita religiosa, non li tradurremo in atto se non portando salda nel cuore la fede nell’Istituto al quale apparteniamo ed alla sua Regola che dobbiamo osservare e conservare intatta » (Circolare N. 2, 30 giugno 1933).

Per essere fedeli a questi principi diceva ai suoi Consiglieri: « Voi più prati­ci di me dell’ordinamento della vita religiosa, aiutatemi a compiere il mio do­vere, suggeritemi il da farsi, correggetemi se sbaglio ». Egli sapeva tenere il posto voluto dalla sua autorità, e attendeva quegli atti di riguardo che un suddito deve al suo superiore: « Il padre di famiglia manche­rebbe al suo dovere se rinunciasse alla sua autorità a scapito del bene di suoi figlioli ». « Io ascolterò volentieri i pareri di tutti, ma non potrò seguire i voleri di tutti, perché più di una sola volontà e di una sola via non si può seguire. Anzi mi sforzerò di subire l’influenza di nessuno, per godere sempre dell’influenza di uno solo: dello Spirito Santo ». (Circolare N. 1).

Però non faceva pesare la sua autorità che era sempre piena di umiltà, di rispetto verso chiunque. Era convinto e diceva: « Qualunque superiore è un padre, chiamato da Dio ad essere maggiormente padre, deve servire a tutti.» Aveva deli­catezze che commuovevano. Ecco fra i tanti un suo atteggiamento: « Fratello, - diceva ad un Coadiutore reduce dalle Missioni e di passaggio a Roma nel suo viaggio a Torino -, le piace ancora il vino? Prenda questa bottiglia, le servirà per il viaggio».

Noi Vescovi - scrisse Mons. Lorenzo Bessone - che in questi giorni del Concilio consideriamo come un privilegio l’essere ospiti del Padre Barlassina nella Casa Procura di Roma, dobbiamo stare attenti nell’esprimere un desiderio qualsiasi, perché egli parte subito, avesse anche da attraversare tutta Roma a piedi per trovarci quello che vogliamo... Ognuno ha 1’impressione di essere il suo favorito; e poi si accorge che le premure usate a lui sono estese con la stessa amabilità verso chiunque abbia bisogno del suo aiuto ».

E ciò faceva non solo con amabilità, ma con tanta naturalezza ed umiltà. Dopo aver servito ringraziava, era un favore che gli si era fatto. Dopo aver governato l’Istituto per sedici anni, fu il primo a rendere omaggio al suo succes­sore, e lo fece con un sentito « Deo gratias »; fu lui che tutto premuroso lo mise in carica e lo presentò alla comunità.

Poi partì per Roma, contento del suo nuovo incarico di Procuratore. « Egli se ne andò in silenzio - scrisse di lui il compianto Cardinale Maurilio Fossati, Arci­vescovo di Torino -, portando con sé il bagaglio della sua modestia come se nulla avesse fatto - "servi inutiles sumus " -: ed aveva invece fatto moltissimo ». Queste parole del Cardinale che bene dimostrano come P. Barlassina fosse soddisfatto del dovere compiuto e del gusto dato a Dio, senza sentire il bisogno di cercare l’approvazione degli uomini, richiamano quest’altro fatto.

Nell’accademia fatta in suo onore per il 50.mo di Professione e di Sacerdozio, un Confratello, rivolgendogli un indirizzo, lo aveva pregato di scrivere ad edifica­zione dei Confratelli le memorie delle sue gloriose e faticose gesta in Abissinia. « Oh, - rispondeva il Padre, - le memorie di quanto ho fatto sono già scritte. Sì, ve lo assicuro, sono già tutte minutamente scritte: “"Liber scriptus proferetur, in quo totum continetur” ». Non ci restano le sue memorie, ma l’esempio della sua profonda umiltà.

Altra caratteristica di Padre Barlassina fu poi quella segnalataci dallo stesso Padre Fondatore nelle sue conferenze: « Padre Barlassina è un uomo di fede, un uomo di Dio, un uomo di preghiera. Quanto bene ha compiuto... Ha ottenuto l’impossibile ».

Già prima il Superiore dei Cappuccini di Assab, che aveva avuto ospite il Padre per alcuni giorni mentre si recava per la prima volta in Abissinia, aveva detto: « P. Barlassina riuscirà nella difficile missione che l’attende in Etiopia, perché l’ho visto uomo di preghiera » (Mons. Giuseppe Nepote).

Chi ha avvicinato Padre Barlassina l’ha certamente sentito pronunciare uno di quei « Deo gratias » che anche negli avvenimenti tristi erano una viva aspersione della piena adesione della sua volontà al volere di Dio. « Deo gratias » per l’allontanamento di tutti i nostri Missionari dal Gimma. « Deo gratias », innanzi alle rovine di Casa Madre distrutta dai bombardamenti: « Con l’aiuto di Dio ne fabbricheremo un’altra ». « Deo gratias », in tutto e sempre.

Dal campo di internamento nel 1942 scriveva ai Confratelli che si trovavano nella stessa sua dolorosa situazione: « Ritenete fermamente che facciamo molto, molto, molto più ora col sacrificio delle nostre attività e della nostra libertà, col sacrificio dei nostri ideali, col sacrificio specialmente delle nostre soddisfazioni, cioè dei risultati soddisfacenti... Iddio ha dato, Iddio ha tolto, sia benedetto il Suo Santo Nome ».

- Padre, è da tempo che l’Istituto è rimasto senza Cardinale protettore. Non è il caso di inoltrare domanda per averne un altro?

- Oh, vedremo... Confidiamo intanto nella Protettrice che già abbiamo: la SS. Consolata è tanto potente e buona e non ci abbandonerà mai.

Era pienamente convinto di ciò che insegnava ed anche alla Madonna, come alla volontà di Dio, teneva rivolto il suo sguardo nel corso della vita.

Sotto le apparenze di una pietà ordinaria nascondeva una tenerissima e affet­tuosa devozione alla Madre celeste alla quale ricorreva in tutte le necessità. Un giorno restò confuso perché sorpreso nel suo ufficio a baciare un’immagine della Madonna e ad esclamare: « Toh, prendete questo ». Chi poi può dire con quanti rosari l’abbia onorata?

Io vidi per la prima volta il Padre Barlassina quando nel 1913 in occasione della sua nomina a Prefetto del Kaffa era giunto in Italia. Alto di statura, con una lunga barba nera, mi aveva conquistato con il suo fare bonario, paterno, ma soprattutto per il suo profondo spirito di preghiera.

Si recava sovente in cappella a sgranare devotamente la corona del Rosario, ed era sempre puntuale a portarvisi con la Comunità.

Vent’anni dopo mi ritrovai al suo fianco: non aveva più la barba fluente, bensì assai ridotta e già brizzolata, ma aveva ancora la corona in mano: mai l’aveva deposta durante i giorni del suo lungo apostolato. La serrava nel suo pugno destro, e così armato giungeva alle sedute consiliari, prendeva le decisioni di maggiore importanza, si metteva in viaggio. In treno, in macchina, di tanto in tanto sembrava addormentarsi, ma che cosa facesse lo si sapeva quando veramente si assopiva, perché allora la sua mano lasciava sfuggire quello che prima stringeva: la corona del Rosario.

Così in tutti i giorni di sua vita attiva. Trascorse poi quelli della malattia occupato nella recita del Rosario, e quando per una caduta dovette essere tra­sportato d’urgenza all’ospedale, appena riavutosi dallo stordimento, fu prima sua preoccupazione di riavere la sua corona smarrita. Con la corona in mano e con accanto il breviario, che si era sforzato di recitare fino agli ultimi giorni, il vene­rando Decano dell’Istituto chiuse la sua attiva e luminosa giornata di preghiera e di lavoro.

Padre Barlassina, con la sua personalità singolarmente dotata, con il senso pratico e intuitivo, con la sua prudenza e pazienza, con la sua rettitudine e amore al dovere, con la sua profonda pietà, ci ha lasciati. Mentre orgogliosi di lui guar­diamo al Cielo dove ora intercede da Dio i celesti favori per la Famiglia Religiosa che tanto ha amato, lo piangiamo per non vederlo più mite e conciliante cammi­nare al nostro fianco su questa terra d’esilio. Ma il suo ricordo ci sarà di sprone ad esser buoni.

Ad imitarlo c’invita il Rev.mo P. Domenico Fiorina, Superiore Generale, col dirci: « Il Padre Barlassina personifica nel nostro Istituto il missionario fedele, che tra le difficoltà di ogni genere, senza tentennamenti ha vissuto la sua voca­zione con fedeltà costante allo spirito del nostro Veneratissimo Padre Fondatore. Missionario al Kenya umile e sacrificato; Prefetto Apostolico del Kaffa intelligente e zelante; Superiore Generale dell’Istituto premuroso e paterno; in ogni circostanza ci ha lasciato l’esempio di una attività instancabile, che ha arricchito la sua vita di meriti e l’Istituto di opere feconde ».

giuseppeallamano.consolata.org