Fratelli,
Ci permetterete di riflettere con il cuore. Non può essere diversamente, mentre con sentimenti di vigilia attendiamo il 7 Ottobre.
È il giorno che il Signore ha fatto per noi.
È il giorno in cui la Consolata si compiacerà per l'onore devoto tributato al suo Servo.
È il giorno in cui la Chiesa afferma con fede che GIUSEPPE ALLAMANO visse da santo e vive con i santi.
È il giorno in cui letteralmente, come si esprime il Siracide, i popoli parlano della sapienza del nostro PADRE FONDATORE, e l'assemblea ne proclama le lodi (Sir. 44,15).
È il giorno in cui raccogliamo ciò che altri hanno seminato. Giorno in cui fiorisce la fatica e l'opera di molti, per la Causa, e ai quali siamo profondamente grati.
L'evento è stupendo. Ovunque ci si sta preparando con la riflessione, nella preghiera e con molteplici attività. Anche l'esteriorità appartiene alla festa. Ma la festa è soprattutto interiorità. Di questa festa, della Beatificazione, noi desideriamo coglierne il significato. Il significato per noi, oggi. Lo facciamo con semplicità, ispirati da queste parole di S. Agostino: " Voi ricordate e comprendete il compito del nostro servizio, che è di parlare non quali maestri, ma come servi: non a discepoli, ma a condiscepoli; ne infatti a servi, ma a compagni di servizio " (Discorso 292).
L'occasione richiederebbe forse non una semplice " riflessione del cuore " ma una rilettura organica della vita e dell'opera dell'Allamano che includesse almeno gli elementi fondamentali:
- la ricerca del primato di Dio
- la centralità dell'Eucaristia
- la dimensione mariana
- la missione vissuta con atteggiamenti tipici
- la preghiera liturgica e personale
Ma ci sembra che ne potrebbe derivare una puntualizzazione restrittiva. Ci pare che l'abbondanza delle pubblicazioni in questi ultimi anni già costituisce un prezioso contributo alla comprensione del carisma, nelle sue origini e nel suo sviluppo. Nella loro gamma di intuizioni, come il prisma con il raggio di luce, sfaccettano la ricchezza e l'armonia dell'Allamano, e narrano la nostra storia come una testimonianza di fedeltà alla sua paternità. Preferiamo che tutte queste voci siano indicative in se stesse. Optiamo piuttosto per un servizio umile e fraterno all'insegnamento del Fondatore. Non ricorriamo neppure a citazioni dirette.
Riecheggiamo ciò che conosciamo sottolineando tre aspetti:
- il suo spirito
- l'essere famiglia
- il significato ecclesiale della sua Beatificazione.
Lo spirito è vita. Lo spirito penetra e regge. Lo spirito è profondità ed intensità. Lo spirito garantisce armonia e unità alla crescita e alle trasformazioni. Dove manca lo spirito c'è afflosciamento e aridità. Senza spirito c'è disunione e assenza di crescita. Dove lo spirito è assente c'è morte.
Alla luce di queste espressioni - e quante altre se ne potrebbero aggiungere, tolte dalla Bibbia o dalla poesia - risalta il significato dello spirito dell'Allamano per noi e in noi. " Lo spirito lo dovete prendere da me " è una citazione che potrebbe essere moltiplicata con molte altre simili. La sua è una volontà esplicita: legge per tutti i Missionari della Consolata, ovunque.
Lo spirito, in questo caso, è originalità e specificità. È uno stile, sono caratteristiche e atteggiamenti che segnano la vita e la missione. Frutti dello Spirito, essi costituiscono la nostra identità nella Chiesa e la nostra ricchezza al servizio dei popoli. Scostarsi dallo spirito dell'Allamano è tradire noi stessi. Lasciarlo morire è votarci a morte certa. Senza lo spirito dell'Allamano in noi non siamo più Missionari della Consolata: siamo luci spente, siamo sale insipido. Altro che luce e sale del mondo!
Potremmo soffermarci con gioia sui nostri molti aspetti positivi: espressione di continuità e di fedeltà nello spirito, e manifestazione di vero impegno ed amore per la nostra identità di Missionari della Consolata. Tuttavia, più che gloriarci di noi stessi, all'approssimarsi della Beatificazione preferiamo vivere la conversione al meglio, perché un Fondatore esaltato e un Istituto ripiegato non vanno d'accordo; perché un Fondatore glorificato e un Istituto non incandescente nel fervore non si combinano molto. Specialmente nel caso di un Fondatore come l'Allamano! La Beatificazione è un forte richiamo a vivere e ad annunciare il Vangelo secondo lo spirito e il cuore dell'Allamano.
Senza drammatizzare, ma con umiltà, riconosciamo che ci sono infedeltà e stanchezza spirituale. L'attivismo ha il sopravvento sull'ascolto di Dio, degli uomini e della storia. Troppo spesso non sappiamo né leggere né riflettere, né pregare. Alle volte sembra che crediamo più in noi stessi e nei mezzi che in Dio e nella forza della Parola. Tutto questo non appartiene certo allo spirito dell'Allamano. È imperativo rientrare in noi stessi: non per intimismo o in cerca di rifugio, ma per arricchirci per le mille sfide della missione oggi.
E le sfide sono molte davvero! La più esigente è forse quella, ovunque, della trasformazione della società e delle culture. Spesso ci si sente impari, incapaci di cogliere i fermenti di novità e timorosi nei confronti del futuro. Ci si ritira invece che reagire e agire con intelligenza, nel discernimento e in comunione. Ci sono aspetti di " modernità " come situazioni e come problemi, come metodologia e come possibilità, che dobbiamo essere capaci di comprendere e, se opportuno, metterli al servizio del Vangelo. Anche questo ce lo ha insegnato l'Allamano! Fedeltà a lui e al suo insegnamento non è arroccarsi su posizioni conquistate, ma è essere premurosi per l'oggi e per il domani. Essere uomini " spirituali " è sentire, come i profeti, la voce che chiama e la voce che invia. L'esperienza di Dio si traduce in diaconia per i fratelli, conosciuti e amati nella loro realtà concreta.
È responsabilità del missionario sia conoscere Dio e la sua Parola, come conoscere l'uomo e la sua storia. Quindi non c'è posto per superficialità. Non c'è posto per un semplice tintinnio di parole vuote e ripetute. C'è bisogno di leggere, di riflettere e di pregare: o noi saremo lampade spente?
Essere fedeli allo spirito dell'Allamano è essere uomini dalla intensità spirituale. Intensità e spirito in tutto. Fa parte della sua fraseologia e delle sue sottolineature che dobbiamo possedere lo " spirito di... " Non bastano atti singoli, ci vuole l'abito, la continuità, la forza. È esigente l'Allamano. Missionari fiacchi per lui non esistono. Tutti devono essere dotati di energia e di volontà. Tutti devono essere animati da fervore e da zelo. In tutti la tensione verso il più perfetto. Come Lui!
Alle volte appellandosi alla missione si dimenticano valori che diminuiscono la missione. In nome del servizio ai fratelli cessiamo di coltivare noi stessi e la comunità. Non può essere. Che la missione sia tutto e che deve illuminare tutto è vero. Ma questo si avvera nella misura in cui cresciamo in umanità. Intendendo per " umanità " tutto ciò che di psicologico, spirituale e fisico concerne noi e i fratelli, l'Istituto e la società.
Fratelli: una pausa. Come siamo noi? Cosa ne pensi tu dell'Istituto? Ognuno di noi si chieda: come sono io? La Beatificazione non viene come evento di festa ed esteriorità. Viene come appello di vita, fatta di interiorità e di missione. Il sigillo che Dio pone sulla vita e sull'opera dell'Allamano sollecita la nostra risposta. Più che da Dio lui è glorificato da noi. Sua corona e gloria siamo noi, ne siamo fedeli. Fedeli della fedeltà che pone la santità come primo fine per essere nell'Istituto. La sua insistenza " prima santi poi missionari " è talmente ricorrente nelle sue conversazioni da essere certamente dimensione di carisma. Per lui tutto è subordinato alla santità, tutto sgorga dalla santità. Per S. Agostino solo il buon vescovo è veramente vescovo. Così per l'Allamano: solo chi tende alla santità è veramente missionario della Consolata. Nessuna mediocrità: solo la santità! Realista come è, egli è cosciente delle diverse classi nel vivere la propria vocazione. Ma è per ognuno l'appello allo scuotersi e all'appartenere alla prima classe.
Ci piacerebbe sapere cosa ne pensi tu dell'Istituto, filtrato attraverso te stesso, i missionari che conosci e la Circoscrizione a cui appartieni. Scrivici! È importante guardarci allo specchio. La verità si raggiunge con l'apporto che ciascuno offre al delineare il nostro volto comunitario come consacrati per la missione. Scrivi le tue impressioni. Fa i tuoi commenti. Esprimi la tua gioia. Condividi le tue perplessità. Te ne saremo grati. Ricorda quanto abbiamo citato all'inizio della lettera: siamo condiscepoli, siamo compagni di servizio!
Che cos'è la santità? La risposta è semplice: la santità è intensità di amore verso Dio e verso i fratelli. Più si ama più si è santi. L'amore, poi, è come la luce: un'armonia di virtù. Per cui la Chiesa riconosce canonicamente come santo colui che in grado eroico ha praticato le virtù teologali e le altre. Inteso così, l'amore è tutto concretezza di vita, nel servizio. Servizio che assume specificità diverse secondo inclinazioni personali e doni dello Spirito.
Attingendo al carisma, noi desideriamo soffermarci sulle parole " amore - carità " in riferimento soprattutto a nostre realtà concrete. L'intensità dell'affetto e dell'amore determinano la qualità della famiglia. È come famiglia e come fratelli che l'Allamano ci ha pensato e voluto. Per cui la via privilegiata per amare Dio e per amare i fratelli nella missione specifica che l'Allamano ci ha consegnato è quella di rafforzare il nostro senso di famiglia. La nostra tensione alla santità non può essere disgiunta da questa dimensione di carisma: essere fratelli, essere famiglia; volerci bene come fratelli, mantenere l'unità di famiglia. Famiglia aperta ad accogliere e a donare. Famiglia forte nella comunione e, proprio per vocazione, tutta aperta alla universalità.
Fratelli... Famiglia! Parole familiari, realtà semplici; Eppure, un po' ovunque la famiglia continua a subire una profonda trasformazione e un po' ovunque è insidiata la sua intimità e fecondità. Tre aspetti questi sui quali ci soffermiamo.
La dimensione più evidente è quella della accresciuta internazionalità. È proprio del carisma, difatti, valicare geografia, culture e contingenze storielle, per giungere ovunque e raccogliere da ogni dove. La crescente realtà sollecita responsabilità da parte di ogni cultura e gruppo nazionale: perché il carisma è intuizione iniziale, ma anche soggetto al processo storico; è tradizione ma anche creatività; è passato ma anche futuro; è radice, ma anche rami. Per cui tutti, benché in modo diverso, ci ritroviamo nel carisma. Tutti abbiamo una sola paternità: quella dell'Allamano. Sono principi fondamentali che ci permettono di guardare con serenità ai corsi nuovi della storia. Le nostalgie possono essere anche buone. Ma meglio il realismo. Meglio la volontà di accogliere il nuovo e il desiderio di integrare il tutto armoniosamente. Allo stesso tempo è necessario riconoscere il valore delle radici, da cui trarre perenne vitalità. Lo " spirito " dell'Allamano sarà sempre, e per tutti, fonte di vita e luce nel discernimento di scelte missionarie.
Su questo tema sono illuminanti due espressioni. Una è del Papa Giovanni XXIII: " Guardiamo al passato, ma in ordine al presente. Non siamo a custodire un museo, ma a coltivare un giardino... " Come la Chiesa, anche l'Istituto non è un museo ma un giardino: realtà bella e amabile. Non ci si deve addormentare sul passato. A ogni generazione Dio chiede il suo contributo. L'attuale nostra generazione è composita di razze e culture: il contributo mediante un processo dialettico e di comunione sarà più ricco ancora. Sarebbe utopia attenderci un futuro solo sereno e lineare. È più logico che sia un futuro segnato anche dalle differenze e dalla sofferenza, da superarsi con la volontà di unità.
Ecco allora la seconda espressione, che è il desiderio e la preghiera del P. Domenico Fiorina nella sua prima circolare, del 15 Settembre 1949: " E sono lieto di enunciarvi da questo foglio intimo di famiglia il programma della mia direziono dell'Istituto: "Sint unum!" Mentre l'Istituto va stendendo le sue tende nei vari continenti, stringerci in una forte unità di famiglia, la famiglia della Consolata e del Servo di Dio Can. Allamano ". (B.U. n. 13, pag.4). La citazione potrebbe essere più lunga e sarebbe molto significativa. Ma la limito alla sottolineatura della " trasformazione " di cui P Fiorina, venendo dal Brasile, era testimone, perché là si stavano preparando i primi missionari della Consolata non italiani. Quella realtà è cresciuta di molto!
L'internazionalità esige una ascesi nuova fatta di atteggiamenti che hanno come punto di riferimento la cultura con tutti i suoi valori e limiti. Per " intimità " intendiamo la convivenza dei missionari come persone. Troviamo interessante questa espressione del Fondatore proprio agli albori della famiglia missionaria da lui generata nella Chiesa:
" L'esperienza mia di comunità, di cui vissi tutta la vita, voglio applicarla a quest'Istituto " (Conferenze, vol. I, pag.15).
Troppe cose dovremmo dire a noi stessi a questo riguardo, con il pericolo di svigorire il messaggio. In breve: ci dobbiamo volere più bene. (Espressione della lingua italiana che non trova adeguata traduzione in alcuni altri idiomi). Troppe poche volte le nostre comunità sono fraterne. Condividiamo poco, sappiamo collaborare poco. Critichiamo molto. A noi sembra che l'esperienza della fragilità personale e la coscienza della complessità delle situazioni oggi ci possano rendere più comprensivi nei confronti di tutti. Non può certamente mancare una critica rispettosa e costruttiva; è impensabile che possiamo sempre convergere su scelte e mezzi. Ma mai dovremmo lasciarci sfuggire parole amare o anche ironia scoraggiarne. Più che mai, tutti noi abbiamo bisogno di comprensione e di incoraggiamento. Più che mai abbiamo bisogno di rivelarci, comunicando. Dobbiamo anche essere franchi: più che mai nella nostra solitudine di castità consacrata abbiamo bisogno di affetto, di parole e di gesti di apprezzamento. Il cuore ha un posto nella nostra vita di missionari, e non solo per donare. Volerci bene... è una risposta alla sensibilità che possediamo; è testimonianza esemplare; è fonte di gioia e di apostolicità. E così che la pensava l'Allamano quando ci voleva fratelli e famiglia. E la sua parola di Padre era spesso: " coraggio! " Conosceva la debolezza e i problemi dei suoi missionari. Conosceva le esigenze tipiche della missione. Infondeva coraggio, forza e volontà che non permettono ripiegamento, ne ieri ne oggi. Coraggio: è il viatico del missionario della Consolata.
L'Allamano sempre preferì la qualità al numero: criterio che ci deve guidare ancora oggi, nonostante che il campo affidato all'Istituto sia sproporzionato alle sue forze attuali e a quelle prevedibili per alcuni lustri. Ma non rimase inattivo, solo attendendo. L'animazione da lui condotta su più fronti aveva il duplice obiettivo: suscitare vocazioni e sollecitare aiuti. Era contento quando poteva inviare nuovi missionari per affiancare quelli già sul campo.
Oggi la nostra famiglia condivide la realtà di altri Istituti: l'Europa e il Nord America sono terre diventate meno feconde; il Sud America deve rafforzare la sua proiezione missionaria " ad gentes "; l'Africa è agli inizi di un cammino di vita religiosa e di missione. Per cui la vocazione " ad gentes " e " ad vitam " va incontro a difficoltà non lievi che variano nei distinti Continenti. Difficoltà e prospettive! Ma non è questa l'occasione per soffermarci su questi aspetti.
In molte chiese locali poi sono sorte comunità e gruppi come espressione della propria responsabilità a carattere universale. Quale sarà il futuro remoto della missione e di tutte queste realtà non lo possiamo prevedere. Per ora e per molto tempo ancora ci basta guardarci attorno per dover esclamare con Gesù: la messe è molta, gli operai sono pochi.
Da questa convinzione... il desiderio di fecondità. Non è desiderio di numero o di crescita. Piuttosto, è vera responsabilità rispetto alla missione e alle situazioni missionarie. Responsabilità dell'Istituto, di ogni Circoscrizione e di ciascuno.
Responsabilità in cui crescere. Responsabilità fatta di preghiera e di azione. A noi sembra che ci manca il senso procreativo-vocazionale. Non si tratta di ansia, ovviamente, ma di autentica responsabilità. E questa non è delegabile agli animatori. Il segreto della fecondità non consiste nel moltiplicare gli animatori, pur necessari. Consiste nel credere in noi stessi. Consiste nell'amare l'Istituto e la missione. È l'amore che genera!
A tutti è possibile molto quando possediamo ed esercitiamo la responsabilità vocazionale, per amore dell'umanità e della Chiesa. Una molla deve scattare in noi. Ciascuno di noi si impegna per la fecondità della nostra famiglia. Non diciamo che ci impegnarne con qualcosa di particolare - anche se questo può essere utile e pedagogico - ma con tutta la vita:perché la fecondità è rapportata alla qualità della vita. La qualità della nostra vita fraterna, spirituale e missionaria è la prima animazione, la prima proposta. Noi almeno seminiamo e coltiviamo. Vogliamo farlo con rinnovata convinzione e con amore. Al Signore il resto.
Quanto abbiamo espresso finora... è l'Allamano in relazione all'Istituto. Già ha dimensioni ecclesiali perché il carisma di fondazione è frutto dello Spirito nella Chiesa, per il bene dell'umanità. Tuttavia, la Beatificazione suggella e rafforza il significato ecclesiale della vita e dell'opera dell'Allamano. E giunta l'ora di far venerare più estensivamente questo umile servo, proponendolo come modello di vita. Cosi prega anche il prefazio dei Santi: " Nella loro vita ci offrono un esempio, nell'intercessione un aiuto, nella comunione di grazia un vincolo di amore fraterno ". La Beatificazione, quindi, non è semplicemente una dichiarazione ufficiale con cui termina un iter di scrupolosa investigazione. È arricchire la Chiesa con un sacerdote propositivo rispetto al modo di vivere la santità battesimale e la conseguente responsabilità apostolica. Nella Chiesa l'Allamano indica un modo: essere straordinari nell'ordinario. È la santità nel quotidiano! Alla Chiesa l'Allamano è memoria di ciò che le appartiene naturalmente, ma che il tempo può assopire: la missione " ad gentes ". Ossia, proclamare l'avvento del Regno, generare al Cristo nuove persone, popoli e culture. Per il Missionario della Consolata e per il credente l'Allamano vincola intrinsecamente i due aspetti, santità e missione: la missione non è una attività; la missione è santità che arde; e ardendo, testimonia, serve. Difatti, egli non è turbato dalla grande massa di gente non ancora evangelizzata. Non è turbato dalla lentezza della missione. Piuttosto, teme ed è preoccupato per quelli che perdono l'equilibrio spirituale. Missione sì, ma a un certo modo. Il suo!
Onoriamolo con la vita, ma anche promoviamo il suo culto. Lo faremo con la modestia che ci è propria, ma facciamolo. Non è vanagloria. È far parlare un uomo, un Beato, che ha molto da dire. A lui potremo dedicare chiese e istituzioni. Potremo celebrare con solennità la sua festa annuale, creando così una tradizione nelle comunità dove siamo presenti. Sarà l'occasione per ricordare la sua vita e richiamare il suo insegnamento; per ricorrere alla sua intercessione ed essere aiutati. È quanto afferma un altro prefazio dei Santi: " ... Il loro grande esempio e la loro fraterna intercessione ci sostengono nel cammino della vita... " È la fede della Chiesa che nello stesso prefazio prega così: " Padre, nella testimonianza di fede dei tuoi santi tu rendi sempre feconda la tua Chiesa con la forza creatrice del tuo Spirito, e doni a noi, tuoi figli, un segno sicuro del tuo amore ". Ci può essere modo più conciso per proclamare il senso dell'Allamano, Beato?
Beato, l'Allamano:
- È testimonianza di fede.
- È espressione della fecondità della Chiesa.
- È segno sicuro dell'amore di Dio.
L'abbiamo detto all'inizio: desideravamo " riflettere con il cuore ". Cioè, senza pretese, esprimere aspetti che ci venissero spontanei. La completezza non era un obiettivo. Neppure, forse, abbiamo dette tutte le cose più importanti. Ma anche quelle semplici e dette con semplicità hanno il loro valore. Possono essere leva per tutto ciò che è nostro, dall'Allamano, come carisma.
Le nostre parole vogliono adempiere il comando del Signore: consolate, consolate il mio popolo (cfr. Is. 40). Consolare è animare e rinfrancare. È annunciare l'avvento di liete novità e infondere speranza. Non è rimuovere difficoltà, ma è proclamare che dal Dio Consolatore riceviamo il coraggio per superare quanto è meno limpido in noi e quanto ostacola la missione. Non c'è dubbio che nell'umiltà siamo forti della forza della croce. Nostra forza è pure lo spirito dell'Allamano.
Per annunciare a Israele la gioia della liberazione, il profeta Isaia si rifà ad Abramo: " Volgete lo sguardo verso la roccia dalla quale foste tagliati e verso la cava dalla quale foste presi. Volgete lo sguardo verso Abramo vostro padre... perché solo lui Io ho chiamato, l'ho benedetto e l'ho moltiplicato " (Is. 51,1-2). Superfluo sviluppare l'analogia Abramo-Allamano! Ma il nostro sguardo, sì, è rivolto all'Allamano:
Uno sguardo che contempla con amore Uno sguardo che scruta per conoscere di più Uno sguardo che prega nella supplica
Vorremmo si avverasse quanto il salmista afferma: guardate al Signore e sarete raggianti.
Guardate all'Allamano per irradiare tutta la forza che ci infonde come spirito, per vivere il Vangelo e la missione nel contesto storico che muta. E certamente lui ha lo sguardo fisso su di noi. Quello sguardo che sembrava leggere il cuore e la vita. Quello sguardo tutta paternità e bontà che rimaneva come sigillo nella memoria dei suoi missionari. Quello sguardo proteso in avanti, che sembra indicare cammini. Sguardo loquace e che sembra dire: Avanti in Domino! Coraggio! Che ci parli anche con queste parole semplici alla vigilia della sua Beatificazione non è poco. È ritemprarci per i cammini sempre nuovi e sempre esigenti della missione.
Memori della fatica missionaria, anche nel concludere questa lettera ci vengono ancora in soccorso i sentimenti e le parole del Santo Vescovo Agostino: " Carissimi, imploriamo assiduamente forza nelle fatiche e nelle prove temporali, sia noi per voi. sia voi per noi... Ci sono necessario a vicenda le preghiere degli uni per gli altri, perché proprio le preghiere scambievoli si fondano insieme nella carità " (Discorso 305/A).
Sia anche la Consolata a intercedere per noi. Sia anche la Consolata a fonderci insieme nella carità. È la carità che ci rende fratelli e famiglia!
Il nostro saluto più cordiale.
Affezionatissimi:
P. Giuseppe Inverardi, IMC Padre Generale
con i Consiglieri Generali:
P. Pietro Trabucco, IMC
P. Ramon Cazallas Serrano, IMC
P. Aldo Zanni, IMC
P. Pietro Plona, IMC