Dopo il ringraziamento del Vescovo di Alba, Mons. Giulio Nicolini, Mons. Giovanni Saldarini, Arcivescovo di Torino, nel "Salone dei Popoli", amplia i punti di questo schema.
Ai sacerdoti di Alba convenuti in Casa Madre presso i Missionari della Consolata
28-5-1991
IL BEATO GIUSEPPE ALLAMAMO
1. L'Allamano e il Clero albese
Non mancano significativi legami tra il Beato Allamano e il clero albese. Numerosi sacerdoti di Alba parteciparono a Esercizi Spirituali a S. Ignazio di Lanzo durante il Rettorato dell'Allamano già alla fine dell'800. Due in particolare invitano di essere ricordati, due prestigiose personalità, entrambi Servi di Dio: Francesco Chiesa e Giacomo Alberione. ambedue teologi.
Il primo Francesco Chiesa (1874-1946) formatore del Clero albese, come lo fu l'Allamano a Torino, autore di libri di teologia e di spiritualità sacerdotale, parroco per tanti anni ai Santi Corona e Damiano. Il Card. Richelmy 10 aveva nominato Direttore Collegato della Facoltà legale di Torino, di cui era membro "o anche l'Allamano e forse fu questa l'occasione della conoscenza tra il Chiesa e l'Allamano.
Questi lo invitò nel 1911 a predicare gli Esercizi ai laici a S. Ignazio. Don Chiesa in seguito partecipò periodicamente agli Esercizi a S. Ignazio fino al 1936.
Siamo più informati sui rapporti che l'Allamano ebbe con l'altro grande sacerdote albese don Giacomo Alberione (1884-1971), che ebbe in don Chiesa il maestro, il padre spirituale e il costante protettore della Pia Società San Paolo fondata nel 1921.
Don Alberione fu a S. Ignazio negli anni 1909, 1910, 1911. Il Canonico Allamano era sempre presente come direttore degli Esercizi. I due si tennero in relazione in seguito e su questo ci sono dichiarazioni di Don Alberione. Ne cito una sola: "Stimavo e stimo come un Santo il Can. Allamano: seguii il suo consiglio in momenti importanti e me ne trovo contento: anzi ai chierici io riporto spesso il suo esempio, nelle esortazioni e meditazioni.
Tra tanti detti ricordo; diceva ad un giovane sacerdote (probabilmente Alberione allude a se stesso), "Lavorate al confessionale, nella predicazione, nella scuola; ma prima riservare il tempo necessario per l'anima propria. Vi sono persone che si rendono inutili, per sé e per gli altri, trascurando se stessi; spesso, spesso mi vidi costretto a chiudere la stanza e non rispondere, e declinare inviti a opere buone... per riservare il tempo per la preghiera, lo studio". Circa il suo Istituto si Espresse così: "Abbiamo le nostre Regole: l'Istituto delle Missioni della Consolata che ha da camminare entro limiti che sono di volontà divina. Continuamente però viene la tentazione dell'espansione; no, no, consolidamento in primo luogo".
Le grandi realizzazioni scaturiscono in primo luogo da semplici convinzioni personali di fede: sono i classici punti di appoggio per sollevare il mondo. Anche l'opera missionaria dell'Allamano fu sostenuta da questa convinzione: che l'apostolo missionario "è il più divino dei divini". E Gesù che salva il mondo, è lo Spirito Santo il "protagonista della missione" come dice il Papa nella R.M. al cap. III, il c. centrale!
2. Il Segreto
C'è nella storia dell'Allamano qualcosa di sorprendente. Non ascolta Don Bosco che lo voleva per sé; a 15 anni nel 1866 entra nel Seminario di Torino, il 20 settembre 1873 diventa prete diocesano fino alla morte, anche dopo aver fondato l'Istituto Missioni Consolata (il decreto è del 29 gennaio 1901). L'Allamano si muove, pochissimo: non fa lunghi viaggi, non esce mai dai confini dell'Italia e raramente da quelli di Torino: Lo devono pregare per recarsi a Roma. C'è un segreto, un centro unificatore della sua storia di prete diocesano missionario: il 2 ottobre 1880 don G. Allamano entra come rettore al Santuario della Consolata e vi resterà per 46 anni fino alla morte. Fu la svolta della sua vita, e divenne il suo centro di gravita.
P. Igino Tubaldo giustamente rileva:
"Nel Santuario della Consolata gestito da monaci per moltissimi anni, si respirava aria "monastica". Ebbene, grazie al nuovo rettore, il Santuario assunse un volto 'diocesano'. E l'Allamano finì per trovarsi immerso in un "mare di gente": a contatto con tutti i sacerdoti di Torino e i devoti della Madonna Consolata, sempre più numerosi e appartenenti ad ogni classe sociale.
L'immersione in un mare di gente rese possibile al momento giusto, l'apertura del Santuario anche al mondo delle missioni, trasformandolo in un trampolino per pia ampie imprese. Stando così le cose non è esagerato affermare che l'Istituto Missioni Consolata sia stato fondato... prima di essere fondato".
L'attuale rettore della Consolata, Don Dario Berruto scrive:
"l'Allamano ebbe a cuore la gente, non le idee. E io credo che, se ritornasse fisicamente e dovesse dirci qua! è la prima cosa che dobbiamo fare, egli direbbe: "Abbiate cura della gente, abbiate a cuore la gente". Ma la gente, che veniva dalla Madonna.
Il segreto della sua santità obbediente, profetica, missionaria è nascosto e rivelato proprio alla Consolata: tutto è partito e tutto è derivato dal suo dialogo d'amore con la Madre che aveva imparato a conoscere dalle labbra di sua mamma che gli diceva: "Bisogna recitare sempre l'Ave Maria finché l'uomo resta secco".
Non vi é dubbio che tutto quello che si è fatto qui, tutto è opera della SS. Consolata. Ella ha fatto per questo Istituto dei miracoli quotidiani; ha fatto parlare le pietre; ha fatto piovere denari. Nei momenti dolorosi, la Madre intervenne sempre in modo Straordinario... Ho visto molto, molto... E se voi steste attenti, vedreste e comprendereste che il buon spirito che c'è in tutto l'andamento della Casa, lo stesso desiderio di farvi buoni, tutto, tutto è grazia della SS. Consolata. E ciò, senza parlare delle grazie concesseci lungo l'anno, anche d'ordine temporale, come il pane quotidiano. Sì, anche per questo lascio l'incarico alla Madonna. Per le spese ingenti dell'Istituto e delle Missioni non ho mai perduto il sonno o l'appetito. Dico alla SS. Consolata: "Pensaci tu! Se fai bella figura, sei tu!".
Ho letto che un prete di Torino, Giuseppe Giacobbe, diceva di lui: "E' un santo che consola e porta la Consolata in saccoccia". E il biografo precisava: "O è don Giuseppe a essere nelle tasche della Consolata?". Il segreto dell'Allamano è la sua profonda e autentica pietà mariana.
Quando lo vogliono chiamare fondatore egli reagisce: "Mi dicono fondatore, è uno sproposito. Fondatrice è la Madonna... io sono il fonditore, fondatrice è la Consolata. (E aggiunge con un pizzico di umorismo): Io sono il fonditore perché faccio fondere le offerte dei benefattori".
Dalla Consolata don Giuseppe ha avuto ispirazione, consolazione e coraggio perseverante, confidava: "E' una devozione che va al cuore.
Se dovessi fare la storia dei miei incontri con la Madonna negli anni passato al suo santuario direi che sono stati anni di consolazione. Non che non abbia avuto da soffrire: lo sa Iddio quanto. Ma lì, di fronte al tabernacolo e vicino alla Consolata, sì è sempre aggiustato tutto.
Prima di tutto bisogna che guardiamo a Maria SS.ma come vera nostra Madre. Maria è madre nostra tenerissima, che ci ama come la pupilla degli occhi suoi, che ideò il nostro Istituto, lo sostenne spiritualmente e materialmente ed è sempre pronta a tutti i nostri bisogni.
Siamo figli della Consolata e figli prediletti. Ne portiamo il titolo come un nome e un cognome: ci ha presi sotto il suo manto. Noi siamo un
miracolo vivente delle grazie della Madonna".
Siamo vicini alla festa della visitazione, penso che sia il mistero che meglio illumina la storia di Allamano: Maria parte con Cristo e non si distacca da Cristo. Porta le gioie necessarie nella casa di Zaccaria e vi resta a servire. Poi torna a Nazareth, restando fedele alla sua missione.
3. I tempi dell'Allamano
L'Allamano non è vissuto in tempi facili.
- Dal punto di vista politico il Risorgimento ha acuito in Italia il contrasto con la Chiesa iniziato dalla Rivoluzione francese. In Piemonte si giunse subito ad un'aperta rottura. Diventò agnostico e laicista, lo Stato promulgò una serie di leggi evasive.
- Questo oppose irreparabilmente il governo di Torino alla S. Sede fin poi a partire dal 1859 lo sviluppo della chiesa romana che per vari decenni assorbì le energie di cattolici italiani, li divise e ne distrasse l'attenzione da altri problemi importanti. Altre conseguenza fu il progressivo aumento delle sedi episcopali vacanti o sprovviste (ben 108 su 225 nel 1864), tra cui anche Torino.
- Con il decollo industriale del paese e la grave crisi della campagna di fine secolo, non tardò a prodursi una spaccatura tra vecchia e nuova generazione.
- Il Concilio Vaticano I generò la divisione dell'episcopato subalpino in due blocchi opposti anche se articolati al suo interno sul modo di concepire l'autorità del Papa e dei Vescovi.
- I Vescovi che si succedettero a Torino ebbero diverse sensibilità. Mons. Castaldi stimò Allamano. Allamano lo considerò il "suo" Vescovo, che insieme allo zio S. G. Cafasso gli fu maestro e padre, ma ne conobbe anche i contrasti per le controversie di teologia morale e la chiusura del Convitto, illustrato dal magistero dello zio don Cafasso, così come soffrì per il contrasto del suo Arcivescovo, con don Bosco. Non ci fu intesa facile col Card. Alimenta e anche il progetto di un istituto per le missioni dovette attendere per 10 anni, nella serenità: non turbetur cor vestrum - ripeteva - fino al ritorno alla stima e fiducia di Mons. Davide dei conti Ricardi e alla amicizia del Card. Richelmy suo condiscepolo. Quando come fulmine a ciel sereno venne la grave malattia del 1900 e i giornali davano la fine per scontata, Richelmy accorse al capezzale dell'amico.
- "Ebbene che cosa facciamo?
- Andiamo in paradiso.
- E l'Istituto?
- Ci penserà un altro!
- No, non morrai, si deve fondare l'Istituto e devi fondarlo
tu."
Il 29 gennaio l'ammalato fu dichiarato fuori pericolo e non ci si meraviglia che tutti parlassero di miracolo.
Si deve affermare, come fa Divo Barsotti (Primato della Santità, Bologna 1976, 76,51) che l'Allamano ispirandosi all'esempio dello zio Don
Cafasso, "vide il suo ideale nel sacerdozio diocesano... e rimase per questo sacerdote del presbiterio diocesano per tutta la vita. Non seguì l'esempio di don Bosco o di S. Leonardo Murialdo. E ciò per una scelta precisa, non per ragioni di comodo. Caso singolare della storia della Chiesa - prosegue D. Barsotti - Pur fondando due Congregazioni 'religiose, egli ne rimase fuori; volle essere fino alla morte un sacerdote del presbiterio di Torino. Questo naturalmente lo fu in un rapporto più profondo, più intimo e costante col suo arcivescovo di tante altre grandi anime che ebbe Torino in quest'ultimo secolo. E anche questa scelta non restò senza difficoltà, incomprensioni, sofferenza.
Mi piace citare anche a voi uno stralcio di una predica del Card. Pellegrino:
"Ciò che io ho sempre rilevato nell'Allamano -e mi pare sia interessante notarlo come motivo di meditazione per il prete e per la comunità d'oggi, è che egli, ideando l'opera missionaria, non ha mai pensato di staccarsi dalla diocesi. E' sempre rimasto radicato nella diocesi di Torino, sempre rettore del santuario e del convitto della Consolata. Ma, di là, ha saputo guardare lontano...
Ebbene, questo fu, a mio avviso un carisma particolare di Giuseppe Allamano. Siccome io non conosco abbastanza i suoi scritti, non so se egli abbia teorizzato questa concezione, ma certo l'ha intuita e l'ha vissuta. Cioè, la missione non è una specie di appendice delle Chiese di antica tradizione cristiana, e nemmeno un'intuizione che la Chiesa locale deve appoggiare, ma è qualcosa che concresce, che cresce insieme con la Chiesa locale. Riconosciamo, allora che se la Chiesa locale è chiamata a portare un aiuto alle missioni - e mancherebbe a un preciso dovere se non lo facesse -, è anche vero che le nostre Chiese possono ricevere e ricevono molto dalle giovani Chiese: è un vero scambio quello che si fa giorno per giorno.
Ora sono proprio uomini come l'Allamano, aperti alla voce dello Spirito, che nel momento storico fissato dalla Provvidenza sanno interpretare il piano di Dio e rispondono, cosi al suo disegno di salvezza".
Ogni cristiano, ma prima ogni prete, deve sentire e vivere la passione missionaria.
4. L'apertura missionaria
I biografi dell'Allamano parlano della sua "vocina flebile e sommessa", ma quella 'vocina' si fece sentire ai suoi Vescovi, arrivando " fino al Papa perché proclamasse il dovere dell'evangelizzazione di tutta la gente e istituisse una giornata missionaria da celebrarsi ogni anno con obbligo di una predicazione intorno al dovere e ai modi di propagare la fede in tutto il mondo in obbedienza al comando del Cristo Redentore risorto:
"Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura" e in continuazione del cammino apostolico: "Allora essi partirono e predicarono dappertutto". (Me. 16,15-20).
La sua vocina sommessa, che usciva da una bocca sempre sorridente, usa però dei verbi forti e intensi:
empirsi di zelo
spasimare
avere la febbre
sentire il fuoco.
Lascio a lui di parlare dalle sue "Istruzioni spirituali" Se c'è Amore. . .
L'Allamano definisce il missionario come colui che ama e che si dona. La missione è questione di amore. Si può, si deve dire: è questione di passione per Cristo, passione d'amore che conduce fino alla passione della vita.
Se c'è un motto con cui accompagna i missionari: "Prima santi e poi missionari". Li vuole come Gesù, che il Padre prima ha santificato" e poi ha "mandato nel mondo" come dice Gv. 10.36.
"Tutti siamo chiamati e dobbiamo essere apostoli e possiamo ciascuno nella sua sfera fare conoscere e amare Gesù e la sua santa religione. Fortunati quelli che hanno il coraggio di lasciare ogni cosa per andare lontano in paesi infedeli, dove Gesù non è conosciuto. Tutti dunque quelli che vogliono possono essere apostoli e missionari tra gli infedeli".
Infatti:
"L'amore del prossimo ci deve spingere a salvarlo. Empirsi di zelo per salvare anime. Non essere apatici, ma avere come Gesù sete di anime. Il Signore vuole tutti salvi, ma anche per mezzo nostro. Pensiamo a questa volontà di Dio, meditiamo queste cose, facciamole succo e sangue".
"Spasimare che il Signore sia glorificato, che sia conosciuto! Avere la febbre, il fuoco dell'amore di Dio... Ci vuole fuoco per essere apostoli. Essendo né caldi, né freddi, cioè tiepidi, non si riuscirà mai a niente. L'uomo vive in quanto è attivo per amor di Dio. Se c'è amore, c'è zelo: e lo zelo farà sì che non poniamo riserve o indugi nella dedizione di noi stessi per la salvezza delle anime. Quel che si può fare oggi, non bisogna lasciarlo per domani. Ah, non sarà mai missionario chi non arde di questo fuoco divino... Accendiamo dunque in noi lo zelo per la salvezza della anime".
"Bisogna avere zelo, bisogna lavorare, sacrificarci per le anime, bisogna fare nostre le parole dell'Apostolo: 'Tutto faccio per il Vangelo! Tutto, tutto! Mi spenderò e mi sacrificherò! Se morissimo senza aver lavorato, non potremmo presentare al Signore che degli affetti, dei desideri. No, dobbiamo presentare dei fatti, delle opere".
"S. Giuseppe Cottolengo avrebbe potuto starsene tranquillo. Era canonico al Corpus Domini e poteva condurre una vita non faticosa: dire il suo Breviario, passeggiare, leggere il giornale, andarsene a cena senza preoccupazioni... E invece sapete quello che ha fatto. Anch'io potrei starmene tranquillo: andrei in Coro, poi me ne andrei a pranzo, poi leggerei la gazzetta, poi mi metterei a riposo... e poi... e poi me ne morirei da folle! E' questa la vita che si deve fare? Siamo destinati ad amare il Signore e dobbiamo fare il bene, il maggior bene possibile! ".
Infatti:
"II sacerdote è più di tutto l'uomo della carità, ed è assai più a vantaggio dei suoi fratelli ch'egli è prete che di se steso... Il sacerdote che non sente viscere di carità e che tutti i prossimi si stringa al seno con accesa carità, manca di certo ad uno dei suoi doveri più gravi... Tutto nel sacerdozio chiama carità dei prossimi: l'altare, dove come vittime di espiazione, ci offriamo al Signore nel perdono dei popoli; il tribunale della penitenza, dove si dovrà spiegare l'eroismo della carità paziente e compassionevole; così dicasi di ogni altro esercizio del ministero sacerdotale".
"In forza dell'Ordinazione noi siamo i continuatori della Missione del Signore, che venne nel mondo per noi uomini e per la nostra salvezza... Il sacerdote è l'operaio che Gesù Cristo condusse a lavorare nella sua vigna... Non è vero sacerdote chi non zela la salute delle anime... Questo è come un quarto voto fatto all'Ordinazione".
In questa dimensione del sacerdozio scaturisce logicamente l'impegno missionario: "E' meno in forza di una intuizione teologica, che in quanto vive il suo sacerdozio in piena dipendenza dallo Spirito Santo che l'Allamano diviene missionario per il mondo". (D. Barsotti).
Di conseguenza, ritiene che:
"La vocazione missionaria a di quanti, sacerdoti e religiosi, amano molto il Signore e bramano farlo conoscere e amare, disposti a qualsiasi pur di conseguire questo nobile fine. Non si richiede nulla di più. Tutti i Santi hanno sempre bramato di andare in Missione: S. Francesco di Assisi, S. Romualdo, S. Teresa, S. M. Maddalena de' Pazzi e ultimamente S. Teresa del Bambino Gesù, proclamata dalla Chiesa patrona di tutte le missioni". "Invero, che differenza c'è tra il predicare il Vangelo nei nostri paesi e l'annunziarlo ai pagani? Non è la stessa vocazione? Non è questo uno stretto dovere di tutti i sacerdoti?" "Ogni sacerdote è missionario di natura sua,; la vocazione ecclesiastica e quella missionaria non si distinguono essenzialmente; non si richiede che un grande amore di Dio e zelo per le anime. Non tutti potranno effettuare il desiderio di recarsi in missione, ma tale desiderio dovrebbe essere in tutti i sacerdoti. L'apostolato, tra gli infedeli è, sotto questo riguardo, il grado superlativo dei sacerdozio".
Leggiamo dai punti 67-68 della Redemptoris Missio:
"Collaboratori del Vescovo, i presbiteri in forza del Sacramento dell'Ordine sono chiamati a condividere la sollecitudine per la missione: "II dono spirituale che i presbiteri hanno ricevuto nell'Ordinazione non li prepara ad una missione limitata e ristretta bensì ad una vastissima e universale missione di salvezza, "fino agli estremi confini della terra", dato che qualunque ministero sacerdotale partecipa della stessa ampiezza universale della missione affidata da Cristo agli Apostoli". Per questo motivo, la stessa formazione dei candidati al sacerdozio deve mirare a dar loro 'quello spirito veramente cattolico che li abitui a guardare oltre i confini della propria diocesi, nazione o rito, per andare incontro alle necessità della missione universale, pronti a predicare dappertutto il Vangelo. Tutti i sacerdoti debbono avere cuore e mentalità missionaria, essere aperti ai bisogni della Chiesa e del mondo, attenti ai più lontani e, soprattutto, ai gruppi non cristiani del proprio ambiente. Nella preghiera e, in particolare, nel sacrificio eucaristico sentano la sollecitudine di tutta la Chiesa per tutta l'umanità....".(R.M. 67)
"Nell'Enciclica Fidei domini Pio XII con intuito profetico incoraggiò i Vescovi a offrire alcuni dei loro sacerdoti per un servizio temporaneo alle Chiese d'Africa, approvando le iniziative già esistenti in proposito. A venticinque anni di distanza volli sottolineare la grande novità di quel Documento, "che ha fatto superare la dimensione territoriale del servizio presbiterale, per destinarlo a tutta la Chiesa". Oggi risultano confermate la validità e la fruttuosità di questa esperienza: infatti, i presbiteri detti Fidei donum evidenziano in modo singolare il vincolo di comunione tra le Chiese, danno un prezioso apporto alla crescita di comunità ecclesiali bisognose, mentre attingono da esse freschezza e vitalità di fede. Occorre certo che il servizio missionario del sacerdote diocesano risponda ad alcuni criteri e condizioni. Si devono inviare sacerdoti scelti tra i migliori, idonei e debitamente preparati al peculiare lavoro che li attende. Essi dovranno inserirsi nel nuovo ambiente della Chiesa che li accoglie con animo aperto e fraterno e costituiranno un unico presbiterio con i sacerdoti locali, sotto l'autorità del Vescovo. Auspico che lo spirito di servizio aumenti in seno al presbiterio delle Chiese antiche e sia promosso in quello delle Chiese più recenti". (R.M. 68)
L'Allamano li ha vissuti e offerti come profezia.
Mons. Giovanni Saldarini