GLI INCONTRI DOMENICALI CON L’ALLAMANO

Tra le testimonianze riguardanti i primi anni dell’Istituto, sono particolarmente interessanti quelle che riferiscono le reazioni entusiastiche dei giovani allievi alle conferenze e agli incontri domenicali con il Fondatore. Ne riportiamo alcune, scelte sia dalle testimonianze scritte che da conversazioni pronunciate familiarmente in occasione del 16 febbraio, che ci suggeriscono quali atteggiamenti possiamo avere anche noi, oggi, quando leggiamo la parola sempre viva dell’Allamano.

LA SUA PRESENZA ERA SEMPRE UNA GIOIA

P. Gaudenzio Panelatti (1884 – 1961) fu tra i primissimi allievi accolti dall’Allamano nel 1902, quando la comunità si trovava nella prima casa, detta “La Consolatina”, in corso Duca di Genova. Fu valido missionario per 27 anni ininterrotti in Kenya e Tanzania.
Rimpatriato nel 1934, svolse varie mansioni in diverse comunità in Italia, tra cui quella di cappellano del noviziato delle Suore Missionarie. Ecco le sue impressioni degli incontri domenicali con l’Allamano alla “Consolatina”, espresse in una conversazione tenuta alla comunità delle Novizie a Sanfrè (CN), il 16 febbraio 1946.
«Il Padre, anche se non era sempre presente, era Lui che dava vita alla Casa. Noi, per suo volere, lo chiamavamo semplicemente Rettore. Egli veniva regolarmente alla Consolatina nel pomeriggio di ogni domenica, qualche rarissima volta al mattino; né sempre alla medesima ora. Se ci trovava occupati in qualche cosa, si recava direttamente dalle Suore per gli accordi necessari e rivolgeva anche a loro un breve fervorino. Poi ripassava da noi, che, nel frattempo, c’eravamo radunati o in cortile, durante la buona stagione, o in salone.
La sua presenza era sempre una grande e attesa gioia. Egli ci faceva alla buona (ma non alla bell’a meglio) la sua conferenza, di cui s’era fatto antecedentemente uno specchietto scritto, chiaro e ordinato.
C’intratteneva familiarmente e c’infervorava, quasi senza che ce accorgessimo, nella nostra vocazione; ci parlava dei nostri doveri per corrispondervi bene, e lo faceva senza lasciarsi distrarre da notizie del Convitto, del Santuario, o d’altro, tranne che fosse in relazione con quanto intendeva dirci. […]. A volte ci leggeva lettere o brani di lettera scritte dall’Africa da coloro che noi avevamo conosciuto, e di qui prendeva lo spunto per le sue considerazioni e per le sue esortazioni così pratiche e incisive che non si son più potute dimenticare.
Vivevamo in un’atmosfera pura, lontana dal mondo, perché giammai ci dava notizie di fuori, o dei suoi lavori, o di amministrazione economica. Una sola volta, riferendoci che a Roma avevano domandato su che cosa l’Istituto poteva vivere, ci disse: “Abbiamo il Periodico fatto dal Sig. Vice Rettore, il quale mette tutti i suoi proventi per l’Istituto, e anche il suo Canonicato”. E senza aggiungere altro, concluse: “Se ne avremo bisogno, un giorno il Signore farà piovere sterline”. […].
A me dava l’impressione ch’Egli avesse giammai niente da fare. Da noi occupava molto bene il suo tempo, poi partiva per andare alla Consolata; mai che mostrasse avere impegni o urgenza, e più tardi soltanto seppimo che dirigeva mezza diocesi ed era occupatissimo».

RESTAVAMO INCANTATI DAVANTI ALLA SUA PAROLA

Ecco le reazioni alle conferenze del Fondatore di P. Vincenzo Dolza (1880 – 1946), espresse in una conversazione pubblica tenuta a Revigliasco (To) il 21 gennaio 1945. Entrato nell’Istituto nel 1902, accettato direttamente dal Fondatore, fu missionario entusiasta in Kenya, in Somalia ed in Etiopia.
La sua vita è stata definita “un poema di apostolato”. Prima della partenza per le missioni, che avvenne solo nel 1922, fu richiesto dall’Allamano di collaborare con il confondatore Can. Giaco-mo Camisassa, nelle sue molteplici attività di carattere materiale. Fu rimpatriato dall’Africa a causa della seconda guerra mondiale.
«Il Fondatore ci voleva santi! Questa era la sua costante preoccupazione per noi. E ogni volta che ci parlava, di qualsiasi argomento trattasse, Egli ci ricordava questo fine.
Questo è il quadro più vivo che di Lui sia scolpito nel mio cuore. Il suo zelo per la nostra formazione e santificazione si manifestava soprattutto nelle meravigliose conferenze della domenica. Arrivava sorridente, sedeva, tirava fuori un bigliettino: e noi restavamo incantati davanti alla sua parola. Quanto desideravamo quei momenti, sempre troppo brevi per noi!
Era un incanto per noi il suo dire nelle feste del Signore e della Madonna; era per noi un incanto la sua parola nelle varie ricorrenze dell’anno e in mille altre occasioni. E ogni volta ci diceva che potevamo ben differire l’uno dall’altro nella scienza, ma che nella santità dovevamo essere tutti uguali; che dovevamo grandemente stimare la nostra vocazione e mettere tutto l’impegno per corrispondevi.
E quante volte sentì la necessità di precisare che non si scambiassero i punti: “prima santi e poi missionari… Credere di poter sacrificare lo spirito per la conversione delle ani-me è un inganno che porterebbe a rovina il missionario”.
E non solamente a quelli che erano ancora nella formazione Egli insegnava queste cose, ma anche ai Missionari che già si trovavano sul campo del lavoro apostolico. Fin dal 1903 scriveva in una Circolare: Ognuno tenga sempre dinnanzi agli occhi della mente l’ad quid venisti? [perché sei venuto?]. Non per motivi umani siete venuti in Africa, ma solo per farvi più santi e con voi salvare molte anime, e così meritarvi il Paradiso riservato agli apostoli”».

CHE BELLA ORA SI PASSAVA LA DOMENICA

Il Fr. Alfonso Caffo (1890 – 1976), accolto dal Fondatore come aspirante coadiutore nel 1921, fu missionario in Etiopia per 10 anni. Rimpatriato per motivi di salute, visse il suo calvario dell’artrite deformante, durato 40 anni, che lo ha limitato nell’attività, ma sublimato nella spiritualità. Ecco la sue reazioni alle conferenze del Fondatore, manifestate in una conversazione fatta ai fratelli coadiutori, nella loro casa di Comotto (TO), il 16 febbraio 1936.
«Quale festa non era quando all’improvviso arrivava all’Istituto. Cominciava dai Missionari, finiva poi dalle Suore o viceversa. Alla prima sua vista tutti accorrevamo come pulcini corrono alla voce della chioccia, e lui sempre buono e affabile, a tutti rispondeva, a tutti sorrideva, non avrebbe più voluto distaccarsi. Vi era poi sempre anche quello che aveva un cruccio, una difficoltà o qualche permesso da chiedere. Lui pazientemente ascoltava, si pendeva dal suo labbro come da un oracolo.
Un giorno, discorrendo con una Suora Missionaria della Consolata, mi diceva: “Quando morrà il Padre Fondatore morrò anch’io”; quando lui morì essa dovette adattarsi a vivere nell’esiglio, non essendo ancora giunta la sua ora, ma questo può dimostrare come lo si amava e come si temeva di perderlo.
Che bella ora si passava la domenica dopo i vespri alla sua consueta conferenza. “Voi sarete la mia corona in cielo e formeremo il reparto della Consolata”. Quale la sua gioia di trovarsi in mezzo ai suoi figli e alle sue figlie. Oh, sì veramente beate ore; ancora oggi quanto si rimpiangono.
Ebbi anche la rara fortuna di accompagnarlo dall’Istituto alla Consolata, ed alle volte avevo desiderato di trovarmi davanti ad un santo, per poter vedere come si comportava, cosa faceva e come lo faceva. Uscimmo dall’Istituto e subito, appena fuori porta, si concentrò e mi parve assorto immantinente in profonda preghiera. Salimmo sul tram, mi sedetti di rimpetto a lui, così non dovetti fare alcuna fatica per osservarlo meglio. Potei così accertarmi che tutto quello che lo circondava gli era estraneo, tanto era assorto. Lo osservai attentamente dalla punta dei cappelli alla punta dei piedi. Mi dissi: ecco un santo davanti a me e tutto il suo comportamento me lo diceva. Questo sì che è un santo e non può essere che un santo».

BEVEVAMO LA PAROLA DEL PADRE CON AVIDITÀ

Questa testimonianza è del P. Borello Pietro (1902 – 1966), missionario prima in Etiopia e, dopo la seconda guerra mondiale, in Argentina. Proveniente dal seminario di Cuneo, è stato accettato nell’Istituto, nel 1920, direttamente dal Fondatore, nonostante il parere contrario dei medici, che non lo consideravano idoneo alle missioni per motivi di salute.
È edificante ascoltare da lui stesso come partecipava alle conferenze domenicali dell’Allamano.
«Il quadro più bello del Veneratissimo Fondatore è raffigurarmelo fra noi Missio-nari in erba, la domenica per la conferenza: quel suo viso trasfigurato, con quel suo sguardo caratteristico e il tono della voce paterno. Per me quei tre quarti d’ora erano il Paradiso. E quanto bene hanno fatto all’anima mia le sue parole di Padre. Conservo e custodisco gelosamente alcune righe da lui vergate proprio per me in calce alle lettere confidenziali che ogni anno per il suo onomastico ciascuno di noi gli indirizzava. Quanta forza alla mia anima da quelle poche parole!
La parola del Padre la bevevamo tutti con avidità: sentivo che mi scendevano in fondo all’anima, mi scuotevano, mi entusiasmavano, mi facevano più buono.
Seguendo il mio naturale e stimando preziose quelle sue parole, non mi sono accontentato di udirle, ma le volli scrivere, onde sovente richiamarle alla mia considerazione, specie durante gli Esercizi spirituali e nel Ritiro mensile. E scrissi dapprima vagamente qualche pensiero, così come potevo ricordarlo il giorno appresso ad una conferenza; poi incominciai a prendere alcuni appunti durante le sue conferenze come vedevo fare da altri confratelli più anziani; finalmente scrissi il più fedelmente possibile le esortazioni che ci andava facendo… senza pensare nemmeno che cooperavo così a perpetuare la parola del Padre nell’Istituto. Sono infatti possessore di un quaderno di conferenze, che è andato a ruba fra i Confratelli.
Terminata la Confe-renza, lo assediavamo… ed uno ad uno passavamo al bacio di quella mano diafana… e così quel suo sguardo penetrante si fissava per alcun secondi nei nostri occhi… e scandagliava in fondo la nostra anima. Io ho sempre creduto che avesse il dono di penetrare in fondo all’anima e per me quello sguardo aveva il valore della parola… se nella mia coscienza non vi fosse stato tutto il candore e il fervore della corrispondenza alla vocazione missionaria, confesso che non mi sarei presentato a baciargli la mano ed a subire la potenza del suo sguardo… sicuro che avrebbe indovinato ogni cosa… e quel suo sorriso si sarebbe mutato in una espressione di profonda tristezza».

giuseppeallamano.consolata.org