TESTIMONIANZE

“NELLA CELEBRAZIONE DELLA MESSA SEMBRAVA UN ANGELO”

Una delle caratteristiche dominanti della personalità spirituale dell’Allamano è la sua pietà eucaristica. Tutti i testimoni, interrogati durante il processo diocesano, sono concordi nel rispondere al n. 19 del questionario, che domandava appunto notizie circa il livello della sua vita eucaristica.

Nelle testimonianze emergono elementi comuni, che possiamo definire qualificanti, quali: l’edificante celebrazione della Messa, la dignità del comportamento di fronte al tabernacolo, la frequenza e la durata delle visite e adorazioni eucaristiche in chiesa, la sua sapiente pedagogia eucaristica, specialmente in favore della comunione frequente, l’ardente desiderio di moltiplicare i tabernacoli nelle missioni, ecc.

Coloro che gli sono stati vicini hanno avuto la fortuna di sperimentare che cosa significhi per un sacerdote essere “innamorato” dell’Eucaristia. Se poi potesse parlare quel coretto che esiste ancora nel Santuario della Consolata, dove l’Allamano trascorreva lunghi periodi di adorazione, certo verremmo a conoscere delle meraviglie circa l’intesa che si era instaurata tra il Signore e l’Allamano.

Non potendo riferire integralmente le meravigliose testimonianze, ci limitiamo a riportare solo alcuni brani di sacerdoti, che ci sembrano appunto qualificati per capire l’Allamano su questo punto. Non evitiamo le ripetizioni, proprio perché fanno capire come l’Allamano abbia lasciato trasparire la semplicità del suo spirito a quanti erano in sintonia con lui.

Mons. Edoardo Bosia, sacerdote diocesano: «Dimostrava il suo fervore verso la SS. Eucarestia col modo con cui celebrava la santa Messa. Aveva un modo di celebrare pacato, tranquillo, senza movenze appariscenti; portava un’esattezza impeccabile nel compimento delle cerimonie, e dimostrava nello stesso tempo un garbo da vero santo. […] Io l’ammirai fin dal tempo del Seminario, quando era nostro Direttore».

Can. Luigi Coccolo, sacerdote diocesano: «Circa la devozione del Servo di Dio al SS. Sacramento, sono in grado di riferire questo episodio di cui io fui testimone. Un mattino andai a cercare di lui, ed il domestico mi disse che il Servo di Dio si trovava nel coretto del santuario. Io gli dissi di non disturbarlo nella preghiera. E il domestico mi rispose: - no, no, è meglio che vada a chiamarlo perché è da parecchio che si trova in preghiera e non sta troppo bene. E così fece».

Can. Antonio Bertolo, sacerdote diocesano: «Il Servo di Dio dimostrava la sua vivissima devozione al SS. Sacramento anche solo col modo con cui faceva la sua genuflessione dinnanzi al SS. Sacramento. Il contegno che teneva in chiesa, quanto nella celebrazione della santa Messa dimostrano quanto viva fosse la sua fede nella presenza reale. Era osservantissimo di ogni cerimonia».

Mons. Emilio Vacha, sacerdote diocesano: «Il Servo di Dio era dotato di grande pietà eucaristica; lo dimostrava col contegno che teneva davanti al SS. Sacramento, e particolarmente con la genuflessione fatta in modo inappuntabile. […] Ho notato che nella celebrazione della Messa sembrava un angelo; era edificante il suo contegno in ogni cerimonia e nell’attendere alla santa orazione».

Can. Giuseppe Cappella, sacerdote diocesano: «Il Servo di Dio ebbe un’anima fervorosamente eucaristica.[…] Se era obbligato a tenere il letto, diceva: “Il Signore lo sa come starei volentieri al suo cospetto, e come mi sarebbe caro a passare delle ore là nel coretto, inginocchiato ad adorarlo… è per me un vero sacrificio, una mortificazione il privarmi di queste visite” […]. Verso la fine [della vita], fu lui a chiedere con sollecitudine il Santo Viatico, che ricevette con grande fervore ed edificazione. Ricordo che prima di ricevere il Santo Viatico, volle domandare perdono a tutti; poi si raccolse in completa intimità, e dopo la comunione volle rimanere solo, per sfogare gli ardori del suo animo, e testimoniare la sua riconoscenza al Signore».

Mons. Nicola Baravalle, sacerdote diocesano: «Sentii sempre dire che il Servo di Dio era un’anima profondamente eucaristica, ed io ebbi occasione di constatarlo personalmente durante la lunga convivenza che ebbi con lui. Posso accertare che la S. Messa era il centro della sua giornata sacerdotale. […] Il suo fervore eucaristico poi lo dimostrava nelle raccomandazioni che faceva a noi, per la devota celebrazione della S. Messa, in modo che fosse di edificazione ai fedeli, e di esempio ai convittori. […] Fu un vero apostolo della Comunione quotidiana […], prevenendo le disposizioni che furono poi emanate più tardi, da S. Santità Pio X di s.m. Questa sua pietà eucaristica cercava di trasfonderla nei Convittori, onde a loro volta se ne facessero apostoli in mezzo alle popolazioni alle quali sarebbero stati destinati ad esercitare il loro ministero sacerdotale».

P. Tommaso Gays, il primo Missionario della Consolata: «Ritengo che il Servo di Dio si possa legittimamente chiamare una perfetta anima eucaristica; cercava pure di rendere tali tutti gli allievi affidati alle sue cure. […] Quando noi dell’Istituto s’andava alla Consolata – e ciò accadeva assai frequentemente – lo trovavamo sovente nei coretti del Santuario, raccolto in preghiera per la visita al SS. Sacramento. […] Sua preoccupazione continua era che i Missionari potessero celebrare quotidianamente la Santa Messa. Allo scopo studiò a lungo un sistema di altare portatile resistente alle intemperie, fornito di tutto il necessario perché i Padri potessero, pure in carovana, celebrare la S. Messa».

Mons. Filippo Perlo, primo vescovo Missionario della Consolata e primo Superiore Generale dopo il Fondatore: «Il Servo Dio era certamente animato da vivissima devozione alla SS.ma Eucarestia. […] Aveva un inginocchiatoio nel coretto prospiciente all’Altare Maggiore, dove egli passava in adorazione delle lunghe ore, tanto di giorno quanto nelle ore serali. […] Nella sua cappellina privata, io ebbi la fortuna di celebrare più volte, prima, o dopo di lui la S. Messa, ed anche di servirgliela. Ho potuto constatare come osservasse a puntino la cerimonie; facesse fino a terra le genuflessioni, si segnasse lentamente. Ogni suo atto dimostrava il fervore eucaristico da cui era animato».

Mons. Giuseppe Nepote Fus, Missiona-rio della Consolata e Vescovo nel- l’Amazzonia brasiliana: «Mi confidò un giorno: “L’Eucarestia, la Madonna e la castità furono sempre i miei tre amori”. E difatti l’Eucarestia fu il suo primo amore. […] Edificava al solo entrare in Chiesa; fissava il suo sguardo al Tabernacolo come se vedesse l’amico più amato. La sua genuflessione era sempre esemplare, e ci teneva a farla bene, non solo come espressione della sua viva fede, ma anche per dare esempio ai fedeli. […] La Santa Messa era il momento più bello della sua giornata. Vi si preparava fin dalla sera, e il suo ringraziamento durava tutto il giorno. […] Visitava il SS. Sacramento. Nei suoi viaggi soleva fare una visita spirituale al SS.mo Sacramento conservato nei tabernacoli di tutti i paesi attraverso i quali passava».

P. Giuseppe Gallea, Missionario della Consolata e primo economo generale dell’Istituto: «La devozione a Gesù Sacramentato fu come il centro di gravitazione della sua vita spirituale. Era il modo ordinario con cui teneva la sua mente e il suo cuore unito a Dio. […] Ogni affare di certa importanza lo studiava alla presenza di Gesù Sacramentato. Si portava per questo scopo su di uno dei coretti del Santuario della Consolata donde era ben visibile il Tabernacolo ed il quadro della Consolata. Quel coretto doveva frequentarlo con assiduità, perché, quando mi recavo al Santuario per parlare con lui, e non lo trovavo nello studio, mi rivolgevo al portinaio, il quale mi rispondeva quasi sempre: “se non è in camera, sarà nel coretto”.[…] Quando entrai nell’Istituto, fui bene impressionato dal fatto che di tanto in tanto un compagno ricordava all’altro di fare una comunione spirituale. Era un’usanza introdotta dal Servo di Dio».

P. Lorenzo Sales, Missionario della Consolata e primo biografo dell’Allamano: «Senza Eucarestia, spiritualmente parlando, non poteva vivere. Un anno andò in campagna al Pian della Mussa, ma non ci tornò mai più. “Lì non c’era il Signore”, spiegava, e cioè non c’era Gesù Sacramentato. […] Ho già detto come in Seminario fosse l’unico, o quasi, a fare la Comunione quotidiana. Nominato poi Direttore Spirituale, come si ricava dai suoi scritti, si adoperò in tutti i modi per portare i chierici alla Comunione quotidiana; della quale, con verità egli deve dirsi un apostolo zelante. […] Dopo che fu sacerdote, la sua passione eucaristica ebbe per centro la S. Messa […]. Soleva dire che la Messa era il tempo più bello della sua vita. […] Diceva, e ridiceva, che ci voleva “sacramentini” al cento per cento. Egli ce ne diede un mirabile esempio».

P. Antonio Borda Bossana, Missionario della Consolata: «Durante la celebrazione era così concentrato, e fissava con sguardo così fisso e penetrante le Sacre Specie, che a qualcuno pareva che egli vedesse realmente il Signore. Sentii poi dire che quando cadde gravemente ammalato, il suo più grande dolore era quello di non poter celebrare il Santo Sacrificio. Si può ben affermare che la devozione al SS.mo Sacramento era la devozione principale del Servo di Dio».

P. Gaudenzio Barlassina, Missionario della Consolata e secondo Superiore Generale dell’Istituto dopo il Fondatore: «Il Servo di Dio era animato da vivissima devozione verso la SS.ma Eucaristia; devozione che praticava egli personalmente con grande fervore, e che inculcava a tutti con calda parola, espressione della sua ardentissima fede. […] E per il carnevale dispose che vi fosse per tutti e tre i giorni l’adorazione continua».

P. Domenico Ferrero, Missionario della Consolata: «Una volta che fui a riceverlo al suo arrivo da Roma, gli chiesi se aveva fatto buon viaggio e se non era stanco. Mi rispose che stava bene, ma che non aveva punto dormito, e che durante la notte aveva fatto la notte eucaristica […]. Rispondendo ad una mia lettera, scriveva: “Quante volte in certi giorni e momenti di mia vita, quando mi sentivo solo, senza nessuno con cui sfogare la piena delle mie angustie, andavo da Gesù. Egli mi consolò sempre, e mi rese anche non più desideroso di altri consolatori”».

Facendo un’eccezione, riportiamo anche la testimonianza di Sr. Emilia Tempo, missionaria della Consolata, che ci descrive come la chiusura della vita eucaristica dell’Allamano: «Anche quando dovette mettersi a letto per l’ultima malattia, dimostrò il proposito di celebrare ogni giorno, e diceva a me: “Prega perché possa celebrare la santa Messa fino all’ultimo” – Il Prof. Battistini, suo medico curante, gli ordinò un periodo di riposo per tre giorni. Al terzo giorno, non essendo venuto il medico, tentò di alzarsi, ma gli mancarono le forze.
Quando venne il medico, che gli ordinò altro periodo di riposo, egli guardandolo, gli disse: “Professore si ricordi che lei ha già sulla coscienza tre Messe da me non celebrate”. – “Lo so, lo so, - rispose il Professore – ma abbia pazienza!” In seguito io mi permisi di fargli osservare che aveva la fortuna di fare ogni giorno la santa Comunione, ed egli mi rispose: “Sì, è vero; ma tu non sai che cos’è celebrare una Messa!”».

E per concludere, ecco la testimonianza extra- giudiziale di Sr. Paola Rossi, missionaria della Consolata, che riporta queste indimenticabili parole dell’Allamano sul letto di morte: «Non ho mai fatto sacrifici così grossi: non celebrare la Messa e fare la Comunione non digiuno… ma tra poco, diremo la Messa eterna».

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