ALBUM

TENERO E ACCONDISCENDENTE

Questa foto riprende l’Allamano all’età di 64 anni. È stata scattata nel giardino della villa di Rivoli da un seminarista, dietro promessa che avrebbe tenuto viva la corrispondenza con i missionari in Africa. Sappiamo quanto l’Allamano ci tenesse alla corrispondenza tra i suoi figli, come mezzo per conservare e fare crescere lo spirito di famiglia. Diceva in una conferenza: «E se siamo anche lontani l’uno dall’altro, la lontananza non deve portare via questa unione: si scriva frequentemente: gli scritti servono a cementare questa unione…si comunicano le proprie idee…specialmente se si scrive di cose di perfezione. Quindi è bene che voialtri scriviate a quelli che sono in Africa, e quelli di laggiù scrivano a voi… siamo tutti fratelli, facciamo una cosa sola… siamo divisi dallo spazio, ma facciamo una cosa sola».

Era sua abitudine leggere le lettere dei missionari agli allievi all’inizio delle conferenze. Lui stesso scriveva volentieri, specialmente ai missionari in Africa, constatando dai diari quanto queste sue lettere fossero attese.

Tenuto conto che l’Allamano non ci teneva ad essere fotografato, possiamo ritenere questa fotografia una sua paterna concessione proprio per incrementare nei suoi missionari il desiderio di vivere tra di loro lo spirito di famiglia. Ecco il commento a questa foto che si trova scritto a matita su di un pezzo di carta, conservato nell’archivio del nostro Istituto: «Giovedì primaverile 1915. I chierici in passeggiata a Rivoli, dove trovano il Padre Fondatore. Conferenza del Padre. Lettura di lettere d’Africa dei confratelli missionari. Accorata raccomandazione del Padre a tenere viva e frequente la corrispondenza nostra con quelli del campo missionario. Ci commosse. Finita la seduta il Chierico B.M. (Borello Mario) che tiene in mano una macchina fotografica prega il Fondatore a lasciarsi fotografare. Lui cede alla volontà che il chierico avvalora promettendo una personale corrispondenza tra Torino e le Missioni».

Anche questa foto è stata valorizzata nell’Istituto attraverso immagini e cartoline. Possediamo anche alcuni disegni e pochi dipinti di un certo interesse.

Dipinto ad olio su tela (cm 45 x 70), opera eseguita nel 1942 dal pittore G. Fasciotti, italiano deportato nel campo di concentramento di Koffiefontein, in Sud Africa. A partire dal 1942, appena dichiarata la guerra, gli italiani, che si trovavano in Africa, sono stati riuniti dagli inglesi nei campi di concentramento appositamente allestiti in diversi paesi africani. Nel campo di Koffiefontein erano stati internati molti Missionari della Consolata prelevati dalle missioni del Kenya, assieme a numerosi civili.

I missionari sacerdoti hanno ben presto assunto la cura spirituale dei prigionieri, creando vere comunità cristiane, con cappelle proprie e un programma di vita cristiana e sociale. Ecco, per esempio, come p. Michele Camisassi descrive la Pasqua del 1942, celebrata nella nuova cappella fabbricata dagli stessi prigionieri: «Le feste pasquali furono un vero trionfo di cerimonie, liturgia, canto. Non è facile immaginare un campo di concentramento con la possibilità di eseguire una Messa a quattro voci con accompagnamento d’orchestra! (…) Il coro era composto da più di sessanta elementi». Come era logico, in tale situazione i missionari divennero ben presto un punto di riferimento per i prigionieri, con molti dei quali strinsero una buona amicizia, che spesso è continuata anche dopo la liberazione. Naturalmente, i nostri confratelli, anche senza volerlo, agivano con lo stile proprio dei Missionari della Consolata, e con lo spirito ereditato dal Fondatore il beato Allamano. Ecco come si spiega l’origine di questo prezioso dipinto dell’internato del Campo N. 5 di Koffiefontein, sig. G. Fasciotti, eseguito già nel 1942.

Di questo artista non si hanno notizie. La buona qualità dell’opera fa capire che si tratta di un pittore di notevoli capacità. Per noi questo quadro non è solo la riproduzione di una familiare fotografia del Fondatore, ma anche un prezioso cimelio, che ricorda quegli anni dolorosi, quando i nostri confratelli furono strappati dalle loro missioni. Inoltre, questo quadro è il segno che anche l’Allamano, “segretario e tesoriere della Consolata”, come lui stesso amava definirsi, era spiritualmente presente in quei campi di sofferenza, diventando guida e conforto per i suoi figli e, attraverso di essi, per quegli uomini strappati dalle loro famiglie a causa di una guerra crudele. L’Allamano è stato prigioniero tra i prigionieri.

Attualmente questo quadro è posto all’entrata della cappella della casa generalizia, in Roma.

Negli anni sessanta, si è ispirato alla stessa fotografia dell’Allamano il pittore Pier Luigi Baffoni. Di questo quadro, di buona qualità, purtroppo non si conosce l’attuale sistemazione. Nella speranza di ricuperarlo, ne riproduciamo un disegno a matita, che lo stesso autore aveva fatto per preparare l’esecuzione definitiva dell’opera, ad olio su tela (cm 50 x 80 circa).

Nell’archivio della Postulazione è conservata una fotografia di questo interessante disegno dell’Allamano. Non se ne conosce l’autore, né si possiede l’originale. Tenuto conto dello stile e della pregevole qualità, si potrebbe attribuire al Baffoni, ma solo con qualche probabilità. È l’opera più fedele alla fotografia di Rivoli.

Alla stessa fotografia di Rivoli si è ispirata la pittrice Clelia Kostas-Lanteri, di cui riproduciamo l’acquarello in bianco e nero. Questa pittrice, in passato, aveva disegnato alcune copertine di nuovi libri editi dal nostro Istituto. Anche di questo disegno, che possiamo immaginare potesse servire come bozzetto per una copertina, non si possiede l’originale, ma solo una fotografia.

QUALE VOLTO È “IL PIÙ FEDELE”?

Il p. Giuseppe Caffaratto, Missiona-rio della Consolata, novantenne, uno degli ultimi confratelli che hanno conosciuto il Fondatore, lascia questa testimonianza a proposito di un dipinto che ritrae l’Allamano di mezza età, eseguito da Pietro Favaro, pittore di origine veneta che viveva a Torino: «Siamo nel 1956. Si presentava una questione: quale immagine del Fondatore scegliere tra le diverse esistenti, per avere una certa unità e veridicità? Il Superiore Generale di allora, p. Domenico Fiorina, interpellò il suo amico Rettore Maggiore dei Salesiani, domandando come fossero giunti a quell’immagine di Don Bosco diventata tipica e subito riconoscibile. La risposta fu: abbiamo scelto una fotografia del tempo della sua piena attività, non tanto giovane e neppure tanto vecchio, ed abbiamo sentito il parere degli anziani che l’avevano conosciuto. E nacque quell’immagine tipica.

P. Fiorina maturò la stessa idea: dalle fotografie dell’Allamano di mezza età, nel pieno delle sue attività apostoliche, ritrarre una figura reale, che diventi in certo modo ufficiale. Allora c’erano ancora diversi confratelli che avevano conosciuto l’Allamano e che avrebbero potuto collaborare con il loro parere.

Venne scelto il pittore Pietro Favaro, amico di p. Vittorio Merlo Pich, il quale accettò non solo l’incarico, ma anche di ascoltare i pareri ed i suggerimenti degli anziani. Come fotografia base da cui partire è stata scelta quella in cui l’Allamano scrive, seduto alla scrivania, nella villa di Rivoli. Tra coloro che diedero suggerimenti durante l’esecuzione del dipinto, oltre a p. Merlo Pich, ci furono mons. Carlo Re e mons. Giuseppe Nepote; i padri Giovanni Ciravegna, Guglielmo Airaldi, Gaudenzio Barlassina, Michele Camisassi; i fratelli Benedetto Falda e Cesare Balagna, e diversi altri, come pure molte tra le prime suore.

Risultò così un Allamano che, al dire degli interpellati, appariva come era in realtà, sia quando veniva in Casa Madre, come quando lo si incontrava alla Consolata, con la sua espressione serena, composta, che ispirava rispetto e confidenza». Attualmente questo dipinto ad olio su tela (cm 38 x 48) si trova nella sala consigliare della casa generalizia in Roma.

A titolo informativo: nonostante questa bella iniziativa, il dipinto del Favaro non ha sortito l’effetto desiderato, in quanto neppure oggi è considerato ufficiale. Infatti, come questa rivista ha cercato di documentare con la rubrica “Album”, dell’Allamano abbiamo molti dipinti (così pure molte statue, busti, disegni, schizzi, e addirittura vignette), più o meno artistici. Ognuno di essi esprime un aspetto della sua personalità come è stata interpretata dalle diverse persone e nelle diverse parti dove la gente gli vuole bene e prega per sua intercessione. Pazienza se non abbiamo un quadro ufficiale dell’Allamano. Per adesso, ci accontentiamo di avere di lui un album molto ricco!

Così si presenta l’ufficio generale della Postulazione, in Roma, allo sguardo di chi vi entra. È come un album murale dell’Allamano, soltanto un saggio delle moltissime interpretazioni del suo volto. Le quattro pareti dell’ufficio non basterebbero a contenerle tutte.
Appunto perché le interpretazioni sono moltissime, o-gnuno può scegliere quella che più gli parla al cuore e così sentire più facilmente l’Allama-no vicino, come padre, maestro e protettore.

giuseppeallamano.consolata.org