RICORDI

LA PRIMA COMMEMORAZIONE DELL’ALLAMANO

La prima commemorazione dell’Allamano è stata tenuta da Mons. G.B. Ressia, Vescovo di Mondovì, il 23 marzo 1926, durante il solenne funerale di “trigesima” nel santuario della Consolata. Tra l’Allamano e il Ressia si era creata una profonda amicizia, fin dal tempo del seminario. Il Ressia ha sostenuto l’Allamano in tutte le sue iniziative, specialmente per la fondazione dei due Istituti Missionari. Assieme ai loro compagni di corso, essi hanno celebrato il 50° anniversario di ordinazione sacerdotale al santuario della Consolata.

Il rapporto di spontanea amicizia tra i due si intravede nella simpatica espressione che l’Allamano ha scritto al Ressia per convincerlo a celebrare le nozze d’oro a Torino e non a Mondovì: «Siamo vecchi e sciancati; a Mondovì daremmo ammirazione…In Torino invece e nella Consolata resteremo ignorati». È sempre commovente rileggere questo discorso commemorativo del Ressia, anche perché è stato  pronunciato in quel santuario da dove pareva che l’Allamano non si fosse mai allontanato. Ne presentiamo qualche brano ai nostri lettori, per far vedere da quanto affetto e da quale ammirazione fosse circondato l’Allamano da vivo e da morto, a cominciare dai suoi compagni di corso.


«È Gesù, che lontano da Betania e nascosto nelle solitudini di Gerico, annunziava agli Apostoli la morte di Lazzaro con queste tre parole: Amicus noster dormit – l’amico nostro dorme. […] L’ho ricordato a me stesso quell’Amicus noster dormit, quando il 16 febbraio, vigilia del Pulvis es (mercoledì delle ceneri) mi giunse un telegramma ad annunciarmi la morte tua, o carissimo Canonico Giuseppe Allamano, mio compagno di Seminario e di Sacerdozio, modello a tutti di virtù e di opere sante. […] Sì, il Can. Allamano fu un vero amico di Gesù, un amico nostro, un amico che si è addormentato nel Signore. Perché non consolarci?

L’AMICO DI GESÙ

[…] Nessun dubbio che tale sia stato il Can. Allamano prima e dopo l’ordinazione sacerdotale; lo direi anzi un Beniamino di Gesù, un sacerdote suo prediletto. Aveva da pochi giorni vestito l’abito chiericale, e per sette anni divisi con Lui e con gli altri compagni di corso la vita nella scuola, nello studio, nelle ricreazioni e passeggi, nelle opere di pietà. […] Non so tuttavia se altri godesse come me delle sue confidenze. Pareva preferirmi perché di carattere a Lui più contrario, e più bisognoso della sua carità. Ed ho potuto così scoprire anche meglio le industrie sante colle quali restituiva a Gesù le grazie ricevute; nel che sta appunto il segno dell’amicizia: la reciproca comunicazione dei beni. Dicevami adunque un giorno: Che fortuna per noi! Possiamo farci molti meriti col fare tutto e sempre alla presenza del Signore e per amor suo; il piccolo diventa grande…[…]

Venne intanto il giorno della nostra ordinazione sacerdotale (6 giugno 1873). Il Diacono Allamano per mancanza di età dovette attendere a settembre, e toccò a me celebrare la prima Messa in Seminario, e distribuire la prima comunione. Sicché il primo cui diedi Gesù venuto allora nelle mie mani, fosti tu, Diacono Allamano! E ricordo la commozione reciproca quando poco dopo ti avanzasti coi chierici di camerata a baciarmi le mani. Tre mesi dopo anch’egli era inginocchiato ai piedi dell’Arcivescovo Mons. Lorenzo Gastaldi, che gli ripeteva in nome di Gesù: Non vi chiamo più servi, ma amici miei e si alzava sacerdote […].

Lo rividi cinquant’anni dopo , qui, a quell’altare (della Consolata), circondato dai compagni superstiti, da beneficati, da amici, da popolo divoto, pel suo giubileo sacerdotale. Aveva la fronte coronata di bianchi capelli, ma in tutto era ancora lui, raccolto, divoto, maestoso, preciso nelle cerimonie, e ripeteva a ragione: Entrerò all’altare di quel Dio che rallegra la mia giovinezza.

L’AMICO NOSTRO


Col salire al Sacerdozio l’amico di Gesù era diventato anche Amicus noster (amico nostro)… delle anime per le quali consumerà la vita. Sognava come ognuno de’ suoi compagni di passare dal Convitto Ecclesiastico ad una Vicecura in qualche paesello, sotto esperta guida per iniziare la sua carriera. Ne fece breve prova edificando e attirandosi tutti i cuori; ma l’obbedienza lo richiamava presso il Seminario a continuare l’opera dell’indimenticabile Canonico Soldati, nell’ufficio delicatissimo di Direttore dei Chierici […]. Se qui si trovasse chi allora gli era stato suddito, dica qual Angelo buono incontrò nel Teol. Allamano, qual padre amoroso a provvederlo in tutte le necessità, qual tenera madre a compatirlo e consolarlo! Trovò quasi un altro Gesù che preparava i Discepoli all’Apostolato. E il Direttore era felice nella carica assegnatagli dall’obbedienza.

Altri disegni aveva su di lui la Provvidenza Divina. Si facevano sentir vivi in quei giorni nuovi bisogni in Torino e nella vasta Archidiocesi. […] “Va, disse un giorno una voce misteriosa a Francesco d’Assisi, va e ripara la mia chiesa”. Andò, ristorò prima la chiesa di S. Damiano; poi la chiesa delle anime colla istituzione di tre Ordini religiosi. “Va alla Consolata e ripara” disse la obbedienza all’Allamano. Ed eccolo in giovane età già Rettore qui, dove una pena gli stringe il cuore, un pensiero lo assilla del continuo. “Ripara, ripara”. La decisione è presa Non ostante gravissime difficoltà finanziarie e tecniche…e dopo pochi anni ecco ristorato e ampliato il Santuario, ricco di ori e marmi, servito da santo e numeroso clero, frequentato dalla città a dal Piemonte, tornato alla sua vita di prima Basilica e trono degno della Regina e Madre, Consolatrice degli afflitti.

Mancavano tuttavia i Paggi d’onore, i messi da spedire attorno, onde riparare il tempio morale delle anime comprate a prezzo di sangue divino. Ed ecco l’altro miracolo: il Convitto Ecclesiastico presto si riapre, i giovani sacerdoti di nuovo attorno alla Sede della Sapienza, e il Rettore ne sarà per anni anche Maestro di Conferenza pratica e modello di virtù […].

Dopo tali conquiste poteva il Can. Allamano l’Amicus noster dire a se stesso: “Basta”. Ma il fuoco non dice basta mai; o si dilata o si spegne. […] Fin da chierico aveva sognato le Missioni e chiesto di recarsi a Genova nel Collegio Brignole-Sale. Impedito allora dai Superiori, provvisto ora alle più gravi necessità, ecco il tormento della sua giovinezza. Ne soffre ed ammalato, ma invierà falange di giovani missionari e missionarie sotto lo stendardo della Consolata a illuminare e consolare i negri dell’Africa, loro porterà la luce e la civiltà cristiana, aprirà un campo vastissimo a quanti desiderano glorificar Dio e salvare le anime dei più infelici fra i nostri fratelli.

Ed ora non basta forse, o Amico? Sì, ma desiderava ancora di dare un Protettore celeste alle sue Opere. Chi dal cielo aveva ispirate queste opere e sostenute le sue forze fisiche e morali nel compierle? Per lui nessun dubbio che fosse il proprio zio materno, il Giuseppe Cafasso che tutti dicevano santo, che stabilì il Convitto su forti basi, e il Santuario della Consolata frequentò con amore. Non mancavano le prove dei miracoli o verranno. Perché dunque non collocarlo sugli altari? Lo volle con fiducia a vi riuscì.

Or fa un anno Torino, Castelnuovo e il Piemonte erano in S. Pietro a Roma, per l’apoteosi di quel santo Sacerdote, gemma del Clero italiano e gloria delle nostre popolazioni. Era presente il nipote Can. Giuseppe Allamano, che al canto del Te Deum, come rapito, fissò a lungo gli sguardi nella figura gloriosa del Neo Beato; ma quando li abbassò, i suoi occhi erano pieni di lacrime, il suo volto pallido e sfinito, mentr’egli mormorava forse come Gesù: Padre, ho compiuto l’opera che mi hai dato da fare.

Preparò ancora le feste solenni dello scorso luglio, lo rividi una seconda volta in ottobre alle Conferenze dell’Episcopato Piemontese, e mi salutava accennando alla nostra vecchia carcassa tenuta su per miracolo…e più non ci siamo incontrati quaggiù. Era l’ultimo addio. L’Amico di Gesù e l’Amico nostro stava per addormentarsi nel bacio del Signore.
 
L’AMICO DORME

[…] Chi nel visitare la salma in quella stanzuccia o nella camera ardente fra pochi lumi e sotto lo sguardo del Beato Cafasso;…nell’osservare l’aureola dei bianchi capelli, i lineamenti del volto immutati, le bianche mani stringenti una corona e il Crocifisso, tutto in un’atmosfera di santità e di pace, che non ha ripetuto a se stesso: Amicus noster dormit? – Suora, questo morto non fa paura; e sono tutti così i morti? R. Sì, quando la loro anima è già in paradiso. – Mamma, perché tanti fan toccare le medaglie e corone al Canonico? R. Perch’egli è un santo (Cronaca del giorno).

Quanta fiducia che l’anima grande del nostro amico addormentandosi quaggiù abbia aperto gli occhi alla luce del cielo! […] Egli però raccomandava fino all’ultimo di non dimenticarlo, ma di pregare per lui, mentr’egli avrebbe pregato poi sempre per i suoi amici e figli. Perciò anche questo sacrificio di trigesima pel suo riposo, e le preghiere e le lacrime vostre, o ammiratori, amici e figli del Can. Allamano […].

Ma tu, o Canonico Allamano, non dimenticare poi quanti rimasero quaggiù desolati a piangere; e prega anche per chi depose, soffrendo, un sì misero fiore sulla tua tomba; e tieni lontano da lui la minaccia evangelica: Erano due che lavoravano nello stesso campo: Uno è stato preso e l’altro lasciato».

giuseppeallamano.consolata.org