Dai giovani

L’ALLAMANO GIOVANE VISTO DA UN GIOVANE
L’AMBIENTE DELLA SUA PREPARAZIONE AL SACERDOZIO

Da tempo questa rivista non ospitava scritti riguardanti il periodo giovanile dell’Allamano. Si tratta di un periodo molto ricco, che va conosciuto per essere in grado di capire lo spirito e le proposte dell’Allamano adulto. Un seminarista del nostro Istituto, Nicholas Muthoka Nyamasyo, di cui abbiamo già pubblicato un articolo nel fascicolo di gennaio 2007, ha avuto la simpatica idea di rileggere le principali biografie del Fondatore focalizzando il periodo della sua gioventù, specialmente quello del seminario. Ha intitolato il proprio studio: “Formazione alla santità - Il giovane seminarista Giuseppe Allamano”. Per potere penetrare in profondità le proposte formative del proprio “Padre”, Nicholas ha voluto conoscere meglio come lui stesso si era formato. È come se un figlio ancora giovane volesse saperne di più sul proprio padre quando anche lui era giovane. È un modo di facilitare la mutua intesa sul piano delle convinzioni, della vita e dell’impegno missionario. Offriamo volentieri questo interessante studio ai nostri lettori; ma, data la sua ampiezza, lo dividiamo in due puntate.

La santità è la cultura degli uomini e donne di Dio, delle persone che vivono e si esprimono spontaneamente attraverso il vangelo con il criterio dell’amore; è una cultura che si forma nell’uomo di Dio con l’assiduo ascolto e il discernimento di tutto quello che riguarda Dio, l’uomo e la vita. I santi dunque vengono formati nella grande scuola della santità che è la Chiesa. La santità non si acquisisce automaticamente, ma attraverso il processo di tutta la vita, imparando, lavorando, sbagliando, vincendo ecc. Si può dire che essi acquistano questa ‘cultura’ sotto quella nube che, durante il giorno, stava sopra la tenda nel viaggio degli israeliti attraverso il deserto e quel fuoco che splendeva nell’accampamento durante la notte (Es. 40, 36-38).

Nel beato Giuseppe Allamano vediamo una “cultura soprannaturale” che viene acquisita e sviluppata con il tempo, attraverso tutta l’esperienza vissuta. Possiamo dunque leggere il suo pensiero a partire dalla sua vita. Vogliamo far vedere che le cose che lui insegnava ai propri figli e figlie, specialmente nella formazione, non erano astratte, e che egli stesso, durante gli anni della sua formazione, le ha assorbite e fatte sue, potendo così autorevolmente trasmetterle.


Il sistema di formazione nei seminari al tempo dell’Allamano.

Certo, il tempo di Giuseppe Allamano non è il nostro tempo, la società e la mentalità non sono le stesse, ma c’è un filo che non si rompe, una continuità propria del cristianesimo che non muta con i tempi. Sfogliando le pagine che descrivono i suoi anni di formazione, come vengono spiegati dalle diverse biografie, e opere su di lui, colpisce l’ambiente e il metodo in cui venivano formati i candidati al sacerdozio che, se vogliamo dirlo, erano fondamentalmente diversi dai nostri. Padre Igino Tubaldo, nella sua voluminosa opera in quattro volumi sull’Allamano, li descrive così: «Il clima della controriforma, la particolare concezione di società sacrale, il terrore della laicità del mondo determinarono nel sistema educativo dei seminari una spiritualità basata eminentemente sulla fuga del mondo. […]. Sullo sfondo è sempre presente l’immagine ideale del sacerdote, cui il seminarista deve tendere, con le sue funzioni e il suo posto nella società; uomo di preghiera, di vita ritirata e sacrificata».

Il giovane seminarista Allamano si trova in un ambiente di questo tipo quando nel novembre 1866, a meno di sedici anni, entra nel seminario metropolitano di Torino e si immerge nel suo ritmo di vita e studi. È importante tenere presente che egli viene dall’Oratorio di Valdocco, fondato e guidato da Don Bosco. «Oratorio e seminario: due realtà diverse per natura e per realizzazione, ma simili per la missione tra gli uomini. Sul piano metodologico l’Oratorio si presenta come un tentativo di snellimento delle forme spirituali, educative, pedagogiche e pastorali, divenute ormai obsolete per una società avviata sulla strada di modernizzazione in chiave agnostica, liberale, laicista e anticlericale; il seminario metropolitano esprime, con la fedeltà ai valori della pietà, dello studio e della disciplina il suo attaccamento all’ortodossia cattolica, minacciata da correnti di pensiero progressiste» (P. G. Tebaldi). In parole semplici, non c’è nel seminario quel rumore, quei giochi, quel movimento che erano propri dell’Oratorio; invece, c’è ordine, disciplina e regolamento fino all’ultimo minuto.


Come l’Allamano si integra.

Le due istituzioni sono evidentemente diverse, ma il giovane chierico non fa paragoni, non si lamenta. Egli conosce bene le ragioni per cui è in seminario e ci mette tutta la buona volontà per raggiungere la meta. Infatti, poco a poco scoprirà che quella precisione del seminario ha assonanza con la formazione ricevuta a casa propria sotto gli occhi della mamma Maria Anna. Insomma, gli andranno bene anche quelle dettagliate di-sposizioni che tutto intendono prevedere e codificare e per le quali a molti suoi compagni, oltre che a non piacere, hanno creato qualche peso di ordine psicologico (cfr. P. I. Tubaldo). Ma non fu così per l’Allamano. I santi hanno saputo trarre il meglio anche da situazioni non ottimali. Certo che, come dice San Paolo, «ogni cosa giova al bene di coloro che amano Dio» (cfr. Rm 8,28).

L’Allamano trascorre intensamente sette anni in seminario come studente e altri sette come prefetto e poi come direttore spirituale. Ama il seminario. Alla fine, dice: «certo, dopo 14 anni di seminario, al lasciarlo ho pianto». Ma il suo amore per il seminario non significa che si lasci condizionare dal sistema. Anche se, in qualche modo, c’è una sintonia tra quel sistema del seminario e il suo carattere, egli non si conforma, ma si forma, stando al di sopra delle pressioni di un tale sistema. Quando, a sua volta, sarà lui direttore spirituale del seminario e poi rettore del convitto ecclesiastico e superiore dei Missionari e Missionarie della Consolata, sprigionerà la sua dolcezza. Il suo metodo non è quello dell’imposizione, della rigidità, ma quello della persuasione. Questo suo atteggiamento è frutto di una integrazione matura con l’ambiente.


L’ambiente dottrinale a Torino.

L’Allamano si trova in un ambiente di studio molto problematico, soprattutto dal punto di vista della teologia morale. Nel Convitto Ecclesiastico, c’è come docente un certo mons. G. B. Bertagna, in seguito fatto vescovo, che viene accusato di lassismo, mentre in seminario c’è la figura del direttore spirituale di nome G. M. Soldati (che poi diventerà rettore) e l’arcivescovo di Torino stesso, mons. L. Gastaldi, che «rappresentavano la maniera forte, la disciplina rigida, il metodo assoluto» (P. I. Tubaldo).

L’Allamano si stacca intellettualmente da ambedue le tendenze. Si sa che egli non segue né approva del tutto la linea di azione del Soldati, che riteneva troppo esigente. Ma in definitiva, i due erano amici, e sarà l’Allamano a consolare il Soldati quando verrà improvvisamente tolto dalla guida del seminario. Dunque, l’Allamano, dal punto di vista della teologia morale, raggiunge un buon equilibrio dottrinale, quello dello zio san G. Cafasso. Nelle sue impostazioni e nei suoi rapporti, con la sua caratteristica dolcezza, sa farsi amare. Il suo posto di azione come formatore è nelle conversazioni; lì sa muoversi, convincere ed educare.


La capacità a discernere dell’Allamano.

Il nostro seminarista, dunque, non è un ribelle che rifiuta qualsiasi pensiero, no; egli ascolta e assorbe tutto, anzi, per dirlo con una sua parola, “rumina”. C’è da meravigliarsi davanti ai suoi appunti presi durante le omelie, negli esercizi spirituali, nelle conferenze, ecc. Prende tutto ciò che è buono e lo fa suo. Egli è uomo del suo tempo, che cita i suoi maestri. «Si nota che egli poneva una cura speciale a raccogliere ciò che aveva udito e giudicava utile alla sua vita spirituale» (P. C. Pera).
Anche la sua spiritualità è quella del suo tempo, ma in qualche modo la supera. I personaggi che vengono citati dall’Allama-no sono quelli che hanno un contatto diretto con lui. Egli sa imparare da chi è messo a sua disposizione dalla Provvidenza: mons P. Gastaldi, il can. G. M. Soldati, lo zio sacerdote G. Allamano, ecc. I pensieri che l’Allamano raccoglie sono presi da 37 persone.
Da questi pensieri, insieme ai testi di disciplina e del regolamento della vita del seminario, di cui l’Allamano aveva pure imparato qualche tratto a memoria, compose il suo “Regolamento di vita”. Si è formato al sacerdozio utilizzando tutti questi strumenti. Quelli del seminario sono anni di ascolto, della ruminazione e dell’integrazione. La sua è una vita serena. Uno dei suoi compagni, mons. G. B. Ressia, poi vescovo di Mondovì, dice che lui era il più allegro di tutti, che per lui lo stile educativo e di vita del seminario non era un sistema pesante. L’Allamano non ritiene esigenti i superiori. Più avanti potrà dire: «Sarò sempre riconoscente ai miei superiori anche se mi hanno mutilato».

(Continua nel prossimo numero)
Nicholas Muthoka Nyamasyo
giuseppeallamano.consolata.org