UN FIGLIO “SAPIENTE” DELL’ALLAMANO P. MARIO BIANCHI
A SERVIZIO DELLA MISSIONE
Padre Mario Bianchi (1925 – 2003) è uno dei
Missionari della Consolata che, durante la vita terrena, non ha incontrato il Fondatore, e tuttavia lo ha conosciuto
intimamente, perché ne ha compreso e condiviso gli ideali e lo spirito.
Entrato nell’Istituto
dal seminario diocesano di Rimini, dopo l’ordinazione sacerdotale e il conseguimento del dottorato
nell’università “Angelicum” in Roma, gli fu affidato l’insegnamento della teologia nel
seminario maggiore dell’I-stituto, a Torino.
Questa dell’insegnamento, a dire dei suoi allievi, era la sua vera vocazione, che svolgeva in modo piacevole
e profondo. Ma la Prov-videnza lo chiamava anche ad altri importanti servizi. Rallentando necessariamente l’impegno
dell’insegnamento, per una decina d’anni lavorò nella nostra stampa come redattore e poi come direttore
della nostra rivista “Missioni Consolata”. Finalmente, nel 1966, il suo più grande desiderio fu
appagato e venne destinato alle missioni del Kenya. Purtroppo questa fortuna gli durò poco, perché nel
Capitolo Generale del 1969 fu eletto Superiore Generale dell’Istituto, servizio che svolse per 12 anni. Dopo altri
incarichi di responsabilità nell’Istituto, fu nominato dal cardinale Prefetto di “Propaganda
Fide” Segretario Generale della Pontificia Unione Missionaria, con l’incarico di animare lo spirito
missionario dei sacerdoti diocesani nella Chiesa.
L’11 agosto 2003, improvvisamente venne chiamato alla casa del Padre, all’età di 78 anni.
Così lasciò scritto nel testamento: «La SS. Con-solata, che mi volle nella Famiglia dei suoi Missio-
nari, mi ottenga dal Si-gnore la corona dell’apostolato per le preghiere del Padre Fondatore e di coloro che, fedeli
alla loro vocazione missionaria e religiosa, hanno già terminato il loro servizio alla Chiesa e si sono ricongiunti
al Padre della nostra Famiglia». Come Superiore Gene-rale, p. Bianchi scrisse molte lettere
circolari su diversi temi e per diverse circostanze. Leggendo questi scritti, si nota come la presenza dell’Allamano
fosse costante nella sua mente e nel suo cuore. Sembra che, prima di scrivere, per avere una garanzia di
autenticità e anche per aumentare la forza di quanto proponeva ai confratelli, confrontasse il suo pensiero con
quello del Fondatore.
Nonostante che tutte
le lettere circolari abbiano un carattere interno all’Istituto, confidiamo di fare cosa gradita e utile ai lettori -
diversi dei quali, forse, hanno conosciuto p. Bianchi o ne hanno sentito parlare -, riportando alcuni brani di una bella
lettera circolare sulla Madonna. È datata 8 dicembre 1978, e porta il titolo significativo “Rinnoviamo la
caratteristica mariana dell’Istituto”. Le parole di p. Bianchi possono servire per vivere bene questo mese di
maggio, in onore della Madonna, e anche come preparazione alla festa della Consolata, il 20 giugno
prossimo.
La presenza di Maria nella vita e
spiritualità del Fondatore.
La vita dell’Allamano si svolse sotto lo sguardo e la protezione materna di Maria. Le
tappe principali e più significative della sua formazione sacerdotale portano il segno e il nome della Vergine. Fa
la vestizione clericale nella festa della Maternità di Maria; prima del Suddiaconato, nella festa della Madonna del
Carmine, depone nelle mani di Maria il voto di castità; alla vigilia del Diaconato, nella festa
dell’Annunciazione, si consacra alla Madonna, che chiamerà sempre sua “carissima Madre”; ordinato
Diacono, nella solennità dell’Assunta tiene la prima predica in suo onore; Sacerdote, celebra la prima Messa
nella festa dell’Addolorata.
Non si tratta di fortuita coincidenza, perché la vita spirituale del
Chierico e del Sacerdote Allamano rivela una crescente tensione verso la Madonna. Nella “Regola di vita
sacerdotale” l’Allamano propone di fare ogni anno, nel mese di maggio, la meditazione sulle virtù della
Vergine; prepararsi con novena alle principali sue feste; recitare ogni giorno il Rosario e altre preghiere mariane.
«La devozione alla Madonna è il centro, la base, la sostanza del suo ministero: direi, la piattaforma di
lancio della sua fecondità spirituale» (can. A. Bretto).
Il campo di apostolato, che la Provvidenza
assegnò all’Allamano nei cinquant’anni del suo sacerdozio nella Chiesa di Torino, fu tra i più
belli e più importanti che un apostolo – e un apostolo mariano – possa desiderare. Assistente e poi
Direttore spirituale in seminario, fu responsabile della formazione spirituale e sacerdotale dei Chierici; Rettore del
santuario della Consolata per 46 anni (1880 – 1926), fu il restauratore materiale e l’animatore instancabile
del principale centro mariano di Torino e del Piemonte; Rettore del Convitto per 44 anni (1882 – 1926),
preparò il giovane clero al ministero pastorale; poi Fondatore, Padre e Formatore dei Missionari e delle
Missionarie della Consolata.
L’apostolato sacerdotale dell’Allamano fu caratterizzato da
continuità e crescita d’irradiazione e responsabilità nella sua Chiesa Torinese e, con la fondazione
dei due Istituti Missionari, nella Chiesa universale. La Madonna fu sempre più la presenza unificante e stimolante
del suo sacerdozio, soprattutto da quando fu incaricato del santuario della Consolata.
Se si esamina
l’insegnamento e la formazione mariana che l’Allamano diede ai Chierici del seminario, si riscontrano due
aspetti, che saranno costanti nel suo apostolato e nella sua azione formativa anche dei Missionari. Il primo è
questo: la Madonna è modello del Sacerdote nella sua missione. Infatti «avendo con Maria somiglianza di
ufficio, dobbiamo pure averla nella virtù».
Il secondo aspetto si riferisce all’impegno della predicazione mariana,
la quale per essere efficace deve scaturire dalla propria esperienza e testimonianza di vita: «Sì, o miei
cari, un giorno dovrete predicare molto sulla Madonna. Ma perché le vostre parole non siano poi solo voci e suoni,
ma passino nei cuori e li inducano a vera devozione, bisognerà aver di essa ripieno il cuore».
«Per capire l’Allamano, la sua spiritualità e la sua opera, occorre situarlo accanto alla
Consolata, la sua carissima Madre, nel santuario a lei consacrato, dove egli rimase tutta la vita» (can. A. Bretto).
Mons. Ressia, coetaneo e amico dell’Allamano, scrisse di lui: «Ebbe in retaggio la Madre come Giovanni:
“La prese nella sua casa”».
E il p. Sales, primo biografo del Fondatore, afferma che la «Consolata è il
palpito che dà unità alla sua vita». Del resto, la migliore testimonianza a questo riguardo la diede
l’Allamano stesso confessando un giorno ai suoi Missionari: «Se avessi da fare la storia dei miei incontri con
la Madonna nei 40 anni che sono al santuario, direi che sono 40 anni di consolazione».
La presenza di Maria nella fondazione e formazione dei
Missionari.
Il card. Agnelo Rossi, chiudendo l’Anno Giubilare del Fondatore nel santuario della Consolata, il 16
febbraio 1977, disse: «È qui, in questo santuario, che l’Allamano maturò il suo modo
caratteristico di servire la Chiesa nella sua opera di evangelizzazione».
La Consolata preparò colui di cui volle servirsi
per suscitare nella Chiesa i Missionari, che dovevano portare il suo nome e annunziarne la gloria alle genti. Fu una
preparazione lunga, costante, graduale e completa, così che, considerando la fondazione dell’Istituto in
questa luce e prospettiva mariana, viene naturale pensare che il cuore della Madre dispose gli eventi, le persone, i tempi
e i luoghi perché tutto si svolgesse bene, secondo la massima cara all’Allamano: il bene va fatto
bene.
L’idea e il progetto della fondazione non furono nell’Allamano una intuizione istantanea
né un sogno profetico, piuttosto la maturazione fino alla pienezza di una personalità sacerdotale, che aveva
ereditato, scoperto e fatto suo il messaggio apostolico ed ecclesiale di S. Giuseppe Cafasso. Dopo anni di riflessione
(esiste un progetto dell’opera con il suo Regolamento, del 1891), nel 1901, l’Istituto venne
all’esistenza, per opera della Consolata, che al Fondatore diede il segno della sua volontà guarendolo quasi
miracolosamente.
L’Allamano era certo di questa origine consolatina; per questo i suoi Missionari li
chiamò “della Consolata”. «È lei che ha voluto l’Istituto», diceva, e
rimarcava quelle parole «che ha posseduto fin dall’inizio», e concludeva: «Io sono solo il
guardiano, e se sapessi che la Consolata non lo vuole più, metterei la chiave sotto l’uscio, e abbandonerei
l’impresa».
Ma non è soltanto il titolo che rivela il carattere mariano e
consolatino dell’Istitu-to. La volontà del Fondatore si manifesta chiaramente in ciò che fece, disse,
e specialmente nella formazione che diede ai Missionari e nello spirito apostolico che loro trasmise.
Ricordiamo i mezzi e i segni
principali, con i quali l’Allamano volle aiutare i suoi figli ad avere «il cuore ripieno di Maria»:
compose l’Ufficio della Consolata e lo diede loro quale preghiera ufficiale dell’Istituto; ordinò che
tutte le feste mariane fossero celebrate con la massima devozione e solennità; fece collocare l’immagine
della Consolata in tutti i locali della casa; personalmente benedisse e intronizzò la statua della Vergine sotto il
porticato del cortile della Casa Madre; dichiarò la Consolata Regina e Patrona di tutte le sue opere; pose il
noviziato sotto la protezione di Maria presentata al tempio e il postulato sotto il mistero della Purifica-zione;
proclamò il Rosario, insieme con l’Ufficio della Consolata, la preghiera ufficiale e pubblica delle due
Famiglie missionarie.
Per comprendere e gustare la profondità spirituale e la paternità
del nostro Fondatore, bisogna accedere alla fonte fresca delle sue conferenze ai Missionari. Chi legge ciò che il
Padre Fondatore disse sulla Madonna rimane colpito dal senso di tenerezza e di totalità, che la devozione mariana
aveva nella vita dell’Allamano e che egli cercava di trasfondere nei suoi figli.
Per lui «chi non ha vera devozione alla
Madonna, non sarà mai un santo Religio-so, un santo Sacerdote, un santo Missio-nario»; «Che bella vita
quando si è devoti di Maria! Chi vuol giungere alla santità senza la Madonna vuol volare
senz’ali».
L’amore alla Consolata pervade tutto il suo insegnamento mariano; ma
quando ne parla espressamente in relazione alla fondazione e allo spirito dell’Istituto, le sue parole assumono una
vibrazione affettiva e rivelano una fiducia straordinaria. «Non v’ha dubbio che ciò che si è
fatto qui, tutto è opera della SS. Consolata. Ella ha fatto per questo Istituto dei miracoli quotidiani; ha fatto
parlare le pietre; ha fatto piovere denari. Nei momenti dolorosi, la Madonna intervenne sempre in modo
straordinario… Ho visto molto, molto…». «Ah, la Madonna! Essa continua a far vedere che vuol
bene al nostro Istituto. L’ho messa a Custode e Patrona, e fa Lei!»: e, per questo, l’Allamano anche
nelle difficoltà più gravi non perde la serenità. A Lei si affida totalmente: «l’opera
è tua. Pensaci tu».
Ma vi è un significato più radicale, che appare nelle esortazioni
del Fondatore e che, credo, meriti oggi di essere approfondito e sviluppato. Si tratta dell’influsso che la
devozione alla Consolata e la caratteristica mariana debbono avere nella nostra formazione apostolica e nel nostro stile
di apostolato missionario.
Parlando del desiderio che la Madonna ha di salvare anime, il Fondatore
dichiara che: «Ella ha voluto dare il suo nome all’Istituto, perché si salvino più anime che
è possibile».
Questa dichiarazione, in sé semplicissima, è molto importante, perché il titolo “della
Consolata” è messo in relazione con la funzione di Maria che, come dice il Concilio, «cooperò in
modo del tutto singolare all’opera del Salvatore», continua la sua opera materna nella formazione dei fedeli
di Cristo, è «modello di quell’amore materno, del quale devono essere animati tutti i fedeli, che nella
missione apostolica della Chiesa cooperano alla rigenerazione degli uomini» (LG 61, 65). La Madonna è la
“Stella dell’evangelizzazione”.
L’Allamano, apostolo della SS. Consolata e del santuario
a lei dedicato, ha vissuto in profondità questa ispirazione e animazione mariana dell’evangelizzazione, e
l’ha voluta a fondamento dell’apostolato dei suoi Missionari. Nella loro formazione religiosa e apostolica, cercava di educarli nello
spirito e nelle qualità proprie della Madre Consolata. Ed è significativo che l’abbia fatto, oltre che
per l’ispirazione fondamentale, anche per atteggiamenti caratterizzanti il suo spirito di Fondatore, come la
“delicatezza” nella vita comunitaria: «La nostra Consolata è delicata, e vuole che anche i suoi
figli siano delicati», e la “energia”, dote caratteristica della Madonna e del
Missionario.
La Chiesa ha sempre riconosciuto in Maria un modello eccellentissimo di santità, di
adesione a Cristo e di amore per gli uomini. Formati alla scuola dell’Allamano, che nella Madonna Consolata
trovò l’ispiratrice e il sostegno per il suo straordinario impegno apostolico e missionario, ai suoi
Missionari spetta un particolare dovere e grazia di ispirarsi a Maria Consolatrice per vivere la loro consacrazione alla
missione.
Il nostro Fondatore, che ci è modello di amore e consacrazione alla Vergine
Consolatrice, ci ottenga la fedeltà al suo spirito. Ispiriamoci al suo esempio e al suo insegnamento, e ricordiamo
queste parole che sono un programma: «Noi siamo un miracolo vivente della Madonna. Cerchia-mo di meritarci ogni
giorno più il bel titolo che ci ha dato, e stare attenti che un giorno non ce lo tolga per la nostra in
corrispondenza e ci dica “non siete più consolatini”. Per carità, no, no!
»
Questa lettera porta la data dell’Imma-colata, «una festa che va al cuore»,
dice il Padre Fondatore. L’insegnamento del Fondatore sulla festa dell’Immacolata termina con questo pensiero
semplice, ma bello, nel quale mi pare di leggere lo spirito, la vita e il destino dei Missionari della Consolata:
«Noi siamo i figli prediletti della Madonna e un giorno dovremmo essere come tanti brillanti della sua
corona».