Questo documento contiene la sostanza di quanto l'Allamano pensava e diceva dello zio materno, S. Giuseppe Cafasso, su alcuni temi della vita cristiana e sacerdotale. È diviso in nove punti che potrebbero diventare materia per una meditazione giornaliera durante una novena “sui generis”. Da queste pagine emerge come l'Allamano non solo conoscesse bene lo spirito dello zio, ma anche come se ne fosse impossessato in profondità e lo comunicasse con spontaneità.
PRIMO GIORNO
«CRESCEVA SEMPRE PIÙ LA MIA STIMA VERSI IL SERVO DI DIO»
Piero Dalle Ceste – Disegno 1938 - “Il Cafasso benedice l'Allamano”
«Io vidi una sola volta il Servo di Dio a Castelnuovo d'Asti avendo allora io poco più di sei anni, cioè nel 1857. […]. Mia madre nel condurmi a vedere mio zio don Cafasso mi avvertì di baciargli la mano nel presentarmi a lui». (Allamano, Deposizione al processo del Cafasso). Ritornato al paese per le feste della beatificazione nel 1925, indicando un punto della stanza di casa sua, disse: «È qui che ebbi la sua benedizione»
«Fin dalla prima età, al sentir parlare così bene in casa e dai compaesani del Servo di Dio [G. Cafasso] come di un sacerdote modello e caritatevole, lo ammiravo; questa ammirazione aumentò quando, trovandomi all’oratorio salesiano per gli studi ginnasiali, lo udivo proposto come modello da Don Bosco. In seguito, da chierico, per il maggiore contatto con i sacerdoti della diocesi, si accresceva sempre più la mia stima verso il Servo di Dio. Fatto poi sacerdote nel 1873, per l’accresciuta comunicazione con i sacerdoti, massime al convitto, ove andavo per udire le conferenze, appresi a stimarlo ancora di più. […] Da quanto ho detto, non posso negare di avere una certa affezione ed anche venerazione per il Servo di Dio.: Desidero pure la sua Beatificazione per il gran bene che ne verrebbe al Clero principalmente, ed anche ai fedeli tutti, essendo stato egli, a mio parere, modello di ogni virtù sacerdotale e cristiana» (Can. Allamano Giuseppe, Deposizione al processo del Cafasso».
SECONDO GIORNO
«È MIO DOVERE SEGNALARE LA SANTITÀ DEL CAFASSO»
Sr. Emily Casetta MC - Disegno - Il Cafasso benedice l'Allamano
«Ho introdotto questo processo, posso dire, non tanto per affezione o parentela, quanto per il bene che può produrre l’esaltazione di questo uomo, affinché quelli che leggeranno le sue virtù, divengano bravi sacerdoti, bravi cristiani e voi bravi missionari» (Conf. IMC, I, 192).
Durante la discussione della causa lo si sentì dire: «Io, come parente, dovrei neppure occuparmene, e non è questo lo spirito che mi spinge; io lo faccio come rettore del convitto per cui, essendo succeduto a lui nell’insegnamento e nella direzione del clero, è mio dovere segnalare al clero le virtù e la santità del Cafasso e fare quanto sta da me perché Egli possa risplendere a loro coll'aureola che si merita» (Can. Nicola Baravalle, Testimonianza).
«Se fosse perché è mio zio, non farei tutto questo; ma per la gloria di Dio e dei santi si fa questo ed altro» (Sr. Chiara Strapazzon MC, Testimonianza).
«Nessun motivo umano mi induce alle mie deposizioni, ma unicamente la gloria di Dio e il bene delle anime» (Can. Allamano Giuseppe, Deposizione al processo del Cafasso).
TERZO GIORNO
«ASPETTIAMO CHE FACCIA UN MIRACOLO»
Gruppo giovani - Disegno - Atrio della chiesa-oratorio di Castelnuovo
«Bene, bene! Vi siete rallegrati per la beatificazione del Ven. Cottolengo? […]. Adesso tocca al Ven. Cafasso... bisogna fargli fare dei miracoli grossi. È tanto umile che non vuole fare “piazzate” [schiamazzi], perciò miracoli ne fa, ma non in pubblico» (Conf. SMC, II, 68).
«Pregate anche per la nostra cara sr. Amalia che è già nell'anticamera del Paradiso. Andai a vederla; si sente solo più poco a parlare. Edifica proprio vedere com'è preparata. Abbiamo pregato, fatto novene, ma il Venerabile non lo vuol fare questo miracolo; si vede che non è nei disegni di Dio; forse non sarà bene per lei» (Conf. SMC, II, 609).
«Pregate anche per questo. Aspettiamo che faccia un miracolo e lui non vuole farlo. Quando era su questa terra era tanto umile, che nemmeno adesso che è in cielo non vuole fare un miracolo. Eppure adesso non ha più paura di insuperbirsi”» (Mondino Caterina, Testimonianza).
«Oh, del resto, io non perdo mica la pace, la tranquillità per questo! Noi abbiamo fatto tutto quanto si poteva; se il santo non vuol manifestarsi, non vuole questa gloria in terra, oh ben! Pazienza! Io ho più interesse a salvare anche una sola anima di un non cristiano, che a riuscire in un processo di canonizzazione: perché penso che anche Iddio ne è più contento e ne riceve maggior gloria» ( P. Domenico Ferrero IMC, Testimonianza).
QUARTO GIORNO
«AVEVA TANTA SPERANZA DA INFONDERLA NEGLI ALTRI»
Gruppo di giovani - Disegno - Atrio della chiesa dell'oratorio di Castelnuovo
«Il nostro Venerabile aveva tanta speranza, sua caratteristica, da infonderla anche nelle anime disperate, come scrisse D. Bosco» (Conf. IMC, II, 337). «Quando si trattava di rispondere alla domanda: quale fosse la sua virtù principale, s’imbrogliavano; tutto era principale, poi hanno detto che la principale era lo zelo per la salute delle anime. Altri dicevano che era la confidenza in Dio: infatti di confidenza ne aveva per sé e per gli altri» (Conf. IMC, III, 530).
«Il Venerabile Cafasso chiama la mancanza di confidenza in Dio: il peccato dei folli: perché non confidare? Persuadiamoci che egli [Gesù] è morto per noi» (Conf. IMC, II, 157). «La confidenza è la quintessenza della speranza. I sacerdoti devono averne un magazzino per darne agli altri come il Ven. Cafasso di cui si dice che la sua parola cambiava la disperazione nella più bella speranza. […]. Quando al Ven. Cafasso dicevano che la porta del Paradiso è stretta, rispondeva: “ebbene passeremo uno alla volta”» (Conf. IMC, I, 457- 458).
«Possiamo farci santi e non dobbiamo aver paura di sperare molto. Il carattere del Venerabile era la confidenza in Dio. E l’ho deposto anch’io nei processi. Il Signore voleva cancellare per mezzo suo gli ultimi avanzi del giansenismo e perciò lui aveva questa virtù e ne aveva tanta da infonderla anche negli altri, e l’infondeva anche nei disperati, e lui li faceva andare dritti in Paradiso» (Conf. IMC, II, 339).
«Non si spera mai troppo, perché la confidenza in Dio non toglie, anzi aumenta il bene che si fa. E quindi perché non confidare in Dio? Dio può e vuole aiutarci, ma vuole che siamo spogli di noi» (Conf. IMC, II, 157). «Sperare per far piacere al Signore» (Conf. IMC, II, 448).
QUINTO GIORNO
«RICORDATEVI CHE AVETE UNA SECONDA MADRE»
Composizione al computer di P. Sergio Frassetto IMC per la rivista Da Casa Madre
«Come pure D. Cafasso diceva spesso, specialmente in confessionale, “Ricordatevi che avete anche una seconda Madre, Maria, che vi ama molto più che non la prima; s’intende però che non le prende il posto”. […]. In una madre si ha fiducia, le si vuole bene» (Conf. IMC, I, 397).
«Il Ven. Cafasso diceva che la Madonna bisogna prenderla come nostra socia in tutto. Socia in tutto. Prendiamola anche come modello di tutte le nostre azioni; questo vuol dire fare tutto con Maria SS.: prenderla per socia, per modello» (Conf. IMC, II, 594).
«Don Cafasso diceva ai suoi sacerdoti: Quando andate a predicare, associatevi con la Madonna. Andate a predicare tutti e due, e dite così: Io farò la voce, Tu farai la predica. Egli diceva che la Madonna era la sua socia. Tra tutti e due facevano tutto. Diceva che l’aiutava a far del bene. Otteneva la grazia, perché la predica si imprimesse nei cuori. Io veramente volevo togliere questa parola “socia”, eppure è lui che l’ha detta» (Conf. SMC, II, 304).
«Desideriamo che Maria SS venga ad assisterci in punto di morte. I Santi lo desideravano. Il Ven. Cafasso diceva: “Ah se potessi averla accanto al letto di morte!... E l'ha avuta» (Conf. IMC, III, 169). «[L'Allamano] ricordava che il Beato Cafasso era solito recitare un’Ave Maria per ottenere la grazia di vedere la Madonna in punto di morte; ci suggeriva di fare altrettanto per avere anche noi quella grazia segnalatissima» (Sr. Emerenziana Tealdi MC, Testimonianza).
SESTO GIORNO
«DON CAFASSO ERA UN ANGELO»
Carmelo di Canicattini Bagni (SI) - Pergamena –-Consolata e santi
«Il Ven. Cafasso diceva al Signore: Vi ho già amato così poco in questo mondo, perché dovrò ancora aspettare nell’altro?» (Conf. SMC, I, 209). «Il Signore è geloso dei nostri cuori. Stacchiamoli questi fili, e se non sappiamo staccarli per amore, stacchiamoli per forza. Il Ven. Cafasso diceva al Signore: “Fate che io trovi il distacco dove sento più affetto; fate che io trovi le umiliazioni dove cerco la gloria; fate ch’io sia solo per Voi”» (Conf. SMC, II, 545).
«Leggete quel pezzettino delle Meditazioni del nostro Ven. Cafasso, quella dell’amor di Dio, dove parla della conformità alla volontà di Dio. Quel pezzettino vale un Perù [un tesoro]» (Conf. SMC, II, 412). «Uniformiamoci alla volontà di Dio, non solo in generale, ma nelle circostanze, non un filo, non una parola, non opera che non sia per voi [o mio Dio]. Quella bella preghiera di Don Cafasso: “Non voglio altro che la vostra volontà; via da me ogni altro fine che non siate Voi…o che sarei sciocco se buttassi così al vento tutte le mie fatiche…”. Leggetela quella preghiera…C’è oro! Eh, se si dice di cuore!» (Conf. IMC, II, 10).
«Il nostro Venerabile scrisse: “Unione di volontà di Dio è quanto dire: volere ciò che Dio vuole, volerlo in quel modo, in quel tempo, in quelle circostanze ch’Egli vuole; e tutto ciò volerlo non per altro se non perché così vuole Dio» (Conf. IMC, III, 254).
SETTIMO GIORNO
«SE SI PREGA DI PIÙ, SI LAVORA DI PIÙ»
Durante la processione del Congresso Eucaristico del 1922
«Il nostro Ven. Cafasso del Sacerdote, e noi diciamo tanto più del Missionario, diceva che doveva essere un uomo di preghiera; le parole sono un po' materiali, ma come si dice: un uomo è del tal mestiere, così possiamo dire per esprimere la necessità che ha il Sacerdote di pregare» (Conf. IMC, II, 117).
«Il Ven. Cafasso diceva: “Mi fan pena i sacerdoti che han troppo da lavorare”... Se si prega di più, si lavora poi di più, si studierà più in fretta... Ma non dire: Chi lavora prega... Non è vero; cioè è giusto e falso: è giusto se fatto per obbedienza, perché è volontà di Dio. […] Ma quando si fa per capriccio... quando uno si carica di lavoro, per volontà propria, che alla sera si sente stanco e si lamenta di non aver potuto pregare, allora…Possibile che in quei casi ci sia uno zelo così discreto, così puro? […]. Il Ven. Cafasso diceva: Il mestiere delle persone consacrate a Dio è pregare. - Bisogna che siamo persone di orazione, che tutto quel che facciamo l'indirizziamo a Dio» (Conf. SMC, I, 231).
«Domandate al Venerabile se ha lasciato qualche volta il breviario, il rosario, la meditazione perché aveva molto da fare! Se non aveva tempo di giorno, faceva di notte. […]. Insomma, è tanto facile scambiare le cose: prima di tutto fare santi noi, prima pregare e poi fare del bene agli altri, e non lavorare, lavorare, lavorare solo» (Conf. IMC, II, 608).
OTTAVO GIORNO
«IO HO L'IDEA DEL CAFASSO»
Guglielmino (scuola Reffo) - Particolare di pala da altare (l'Allamano è l'ultimo a sinistra)
«I miei anni sono più pochi, ma fossero pur molti, voglio spenderli in fare il bene e farlo bene; io ho l’idea del Ven. D. Cafasso, che il bene bisogna farlo bene e non rumorosamente» (Conf. IMC, I, 116). «[Come Gesù che] non solo nelle cose straordinarie, ma anche nelle ordinarie e comuni faceva tutto bene» (Conf. IMC, II, 668).
«Del nostro Venerabile è detto che fu straordinario nell’ordinario, cioè fece tante cose ordinarie in modo perfetto, ed operò tutte le cose in modo perfetto. Lo stesso Venerabile ci suggerisce alcuni pensieri che ci aiuteranno a fare tutte le cose bene» (Conf. IMC, II, 669).
«Si dice: Stamattina ho fatto la Comunione; ma l’hai fatta bene? Mi sono confessata; ma ti sei confessata bene? Quel che si cerca non è il fare, ma il fare bene. Il nostro Venerabile ha fatto pochi miracoli, e ancora non strepitosi, ma ha fatto tutte le cose bene e nello stesso tempo tanta di quella roba che sembra impossibile che un uomo possa far tanto. Il suo detto era questo: “Il bene bisogna farlo bene”. Una volta a S. Ignazio il Ven. Don Bosco disse a me che parlando egli con Don Cafasso circa l’istruzione della gioventù, diceva: “Oh! Basta che in mezzo a quei giovani si possa fare un po’ di bene”; e il nostro Venerabile: “Non basta fare un po’ di bene, ma bisogna fare tutto bene”. Don Bosco poi diceva a me che in quel momento avevano disputato un poco…» (Conf. SMC, I, 419).
«Qual è il modo, i mezzi per fare tutte le cose bene? Vediamo i pensieri del Ven. Cafasso per passare bene la giornata. E se si passa bene la giornata, si passano bene anche le settimane, i mesi, gli anni…» (Conf. SMC, I, 419); «(1) Fate, cioè, ogni cosa come la farebbe Nostro Signore; (2) in quel modo in cui vorreste averla fatto quando ve ne sarà chiesto conto al tribunale di Dio; (3) come se fosse l'ultima di vostra vita, e (4) come se non ne aveste altra da fare» ( LUIGI NICOLIS DI ROBILANT, S. Giuseppe Cafasso, Torino 1960, p. 787).
NONO GIORNO
«L'ESSERE EREDE DEL SUO SANGUE PER ME È UN'UMILIAZIONE»
Disegno della “Gloria del Cafasso” , in La Consolata, N. 6, 1925
«Adesso io ho finito, non ho più niente da fare. Il Signore mi ha dato la grazia insperata di vedere la beatificazione del Cafasso. Adesso devo andare in Paradiso» (C. Gilardini, Testimonianza).
«Il [3 maggio 1925] giorno della beatificazione fu per lui una fatica immane per la sua salute precaria. Pure prese parte alla funzione del mattino e poi del pomeriggio come trasfigurato senza dimostrare stanchezza né fatica. I suoi occhi guardavano pieni di lacrime la gloria del Cafasso e poi si chinavano in ardente preghiera curandosi poco o nulla della folla e dei dignitari che presenziavano. […]. Non è possibile descrivere la scena della presentazione ufficiale al Santo Padre […], (che) accolse con particolare effusione il can. Allamano. […]. Nessuno ha goduto come lui quella giornata» (Can. Nicola Baravalle, Testimonianza).
«[Al ritorno dalla beatificazione del Cafasso] si disse anche che ormai egli, il nostro Ven.mo Padre, era l'unico erede del suo sangue. Questa frase gli rimase impressa profondamente; perché rispondendoci, ad accademia finita, disse con un accento di piena convinzione, [...], tra l'altro: “L'essere erede del suo sangue per me è un'umiliazione”, perché nella sua umiltà credeva di non essere anche erede delle sue virtù» (P. Domenico Ferrero IMC, Testimonianza).
Ai missionari e alle missionarie dopo la beatificazione: «Io penso con ciò di avervi procurato un gran mezzo di perfezione, e di avere in parte compiuta la mia Missione a vostro riguardo. Pregatelo anche per me affinché il Beato mi ottenga di finire bene la mia carriera e possa, a suo tempo, raggiungerlo nel bel Paradiso» (Circolare dell'11 maggio 1925 in Lettere X, 285).
ZIO E NIPOTE
Santuario della Consolata – Altare di S. Giuseppe Cafasso con il quadro dell'Allamano
Lettera del Papa Pio XI all'Allamano per il 50° di sacerdozio: «In te pare abbia lasciato erede del suo spirito l'illustre zio Giuseppe Cafasso»
Beato Luigi Boccardo: «Si potrebbe ripetere di lui, quasi alla lettera, quanto fu scritto del suo santo zio”»
Don Edoardo Bosia: «[L'Allamano] conservò ed emulò lo spirito del Cafasso, tanto che lo si chiamava “Don Cafasso redivivo”»