L'allamano e il Cafasso

1. L’Allamano diventa erede dello spirito del Cafasso. La scoperta del Cafasso l’Allamano l’aveva iniziata quando era ancora chierico, in seminario. L’ha proseguita da giovane sacerdote, approfondendola maggiormente in seguito, soprattutto attraverso la partecipazione alla causa canonica di beatificazione, praticamente fino alla fine della sua vita. La scoperta del Cafasso, per l’Allamano non si è limitata ad un esercizio di conoscenza intellettuale, ma è stata una vera assunzione della spiritualità, conformandovi la propria vita.1

Come Rettore del Convitto, l’Allamano ha come ufficialmente ricevuto in eredità lo spirito del Cafasso, del quale era successore, ed ha cercato di trasmetterlo ai sacerdoti convittori. Sappiamo quanto bene ciò si sia realizzato.

 

A proposito, mi piace ricordare un emblematico dialogo tra un giovane sacerdote convittore, certo don G.B. Ressia, e l’Allamano. In occasione della ricognizione della salma del Cafasso al Santuario della Consolata, questo convittore, osservando da vicino l’Allamano, ha saputo cogliere l’intima e santa gioia, che gli traspariva sul volto e nei movimenti della persona. Mentre si accompagnava la salma al sepolcro, l’Allamano ha sussurrato a don Ressia: «Vedi che belle feste riceve il Venerabile». Il giovane sacerdote, senza troppo pensarci, ha commentato: «Da qui ad alcuni anni…faranno anche a Lei così»; e lo disse così forte che tutti i compagni si misero a ridere. Un altro convittore lo ha ripreso: «Hai osato dire questo al Sig. Rettore? Sembra che tu lo voglia far morire già ora». «No – è stata la risposta – ma solo che verrà un tempo che faranno anche a lui questa festa, questo onore». L’Allamano, però, divenne subito serio e disse al Ressia: «Non dire queste sciocchezze, non sai che per avere questi onori bisogna essere gran santi, come lo era don Cafasso, ed io non lo sono». E don Ressia di rimando: «E Lei è un santo sicuro”». Ma l’Allamano con insistenza: «Ti dico di non parlare così, che non va bene»2.

 

Qui voglio sottolineare che l’interesse per il Cafasso e il fatto di essergli succeduto come Rettore al Convitto ha condotto l’Allamano a farsi promotore della causa di beatificazione, avviandosi in un cammino molto impegnativo da tanti punti di vista, ma sicuramente arricchente per lui e per quanti hanno avuto la fortuna di essere da lui educati.

 

 

2. Il nipote è convinto della santità dello zio. L’Allamano, dunque, si è sinceramente convinto della santità dello zio don Cafasso. Come lui stesso ha deposto al processo di beatificazione: ne sentiva parlare con grande ammirazione dai parenti in casa, dai compaesani a Castelnuovo, dai sacerdoti più anziani quando era in seminario, prima come chierico e poi come direttore spirituale, e infine durante il ministero nel Convitto e al santuario della Consolata.

 

Convinto della santità dello zio, l’Allamano ha pensato che sarebbe stato un grande dono alla Chiesa di Torino e non solo, diffonderne la figura, la dottrina e la spiritualità. Quando era direttore spirituale in seminario, dietro consiglio di esimi sacerdoti, l’Allamano ha coraggiosamente incominciato a stendere una biografia del Cafasso, ma poi, per diverse ragioni, ha desistito. Aveva riempito 33 fogli, arrivando fino all’ingresso del Cafasso al Convitto. Lui stesso ha ammesso che la ragione principale che lo aveva convinto a non continuare era «il vedermi incapace di ben esprimere la stima e la venerazione che osservavo in quanti l’avevano conosciuto»3.

 

 

3. Iniziative dell’Allamano per far conoscere il Cafasso. Le iniziative intraprese dall’Allamano in favore della conoscenza del Cafasso sono state molte: dalla esumazione e ricomposizione della salma (1891), alla raccolta degli scritti ed all’edizione delle meditazioni e delle istruzioni (1892-1893), alle biografie scritte dal Can. G. Colombero (1895) e dal Teol. Robilant ed, in fine, alla traslazione della salma dal cimitero al Santuario della Consolata (1896). Il vero impegno è stato richiesto dal processo, iniziato il 16 febbraio 1895 presso il tribunale ecclesiastico di Torino e trasferito a Roma nel 18994.

 

Riguardo, in particolare, alle biografie del Cafasso, anche Don Bosco aveva promesso di scriverne una, che poi non ha realizzato, perché gli avevano portato via i documenti. Prima di morire, Don Bosco si è come giustificato con l’Allamano, incoraggiandolo a non desistere. Il Cafasso meritava una biografia subito. L’influenza di Don Bosco, ma soprattutto il sincero apprezzamento per il suo straordinario zio hanno convinto l’Allamano ad impegnarsi. Lo ha spiegato lui stesso: «Accolsi con riconoscenza il consiglio di D. Bosco […] e lo mandai ad effetto; ed ebbi davvero tante memorie che il Can. Colombero, Curato di S. Barbara, poté scrivere la prima vita del Cafasso»5. In effetti la biografia scritta dal Colombero uscì nel 1895, dopo complicate vicende. L’impronta della mano del Fondatore, assieme a quella del Camisassa, è evidente. Lo stesso autore, scrivendo all’Allamano, riconosce che il volume « è in gran parte opera sua»6.

 

E riguardo agli scritti del Cafasso, prima della biografia, erano state pubblicate le meditazioni, nel 1892 e, un anno dopo, le istruzioni che il Cafasso aveva tenuto durante gli esercizi spirituali al clero. Lo scopo di queste pubblicazioni è dichiarato nella prefazione al testo delle meditazioni, a firma dell’Allamano: «[…] Prive ora queste prediche del calore e della vita che traevano dall’accento e dal gesto del sacro oratore, esse non parranno più che una pallida figura di quelle mirabili Meditazioni, le quali […] scuotevano profondamente le stesse anime più fredde, e lasciavano un’impressione incancellabile in chi le udiva anche una sola volta»7.

 

Così concludeva: «Nutro fiducia d’aver fatto cosa gradita ed utile ai venerandi colleghi nel Sacerdozio […], e così di poter cooperare in qualche modo alla continuazione del bene fatto dal venerato mio zio nella sua missione provvidenziale a vantaggio del clero»8.

 

 

4. L’Allamano come educatore di missionari e missionarie. Come fondatore ed educatore, l’Allamano ha spontaneamente trasmesso ai suoi missionari e missionarie uno spirito che ormai faceva parte di se stesso, per cui possiamo affermare che nei nostri ambienti è molto radicata la spiritualità del Cafasso, però filtrata dall’Allamano.

 

Ad un attento esame, risulta che lo spirito del Cafasso è presente nell’Allamano più di quanto sembri a prima vista. Dopo Gesù e la Madonna, probabilmente il Cafasso è stato il modello che ha inciso più in profondità nell’identità dell’Allamano. Credo che questa affermazione risulterà evidente dalle meditazioni di questi giorni.

 

 

L’ALLAMANO È UN ALTRO DON CAFASSO

 

Per illustrare la somiglianza spirituale tra il Cafasso e l’Allamano, inizio dalla testimonianza di mons. G. Giorsino, che ha conosciuto il Fondatore: «Il Can. Allamano è un altro D. Cafasso» (In arch. Postulazione, Testimonianze, 1, B; per altre testimonianze cf. TUBALDO I., o. c., I, 542, n. 1).

 

Tra il Cafasso e l’Allamano c’è stato soltanto un incontro, che però ha lasciato un’impronta in entrambi. Per quanto riguarda i sentimenti del Cafasso verso il nipotino, abbiamo una sola testimonianza nella lettera della maestra Benedetta Savio, che aveva avuto il Cafasso come confessore e direttore spirituale. Così scriveva all’Allamano nel 1895: «Lei che ne è quel prezioso tralcio che me ne aveva parlato quella S. Anima del Suo Amato Zio D. Cafasso, ho bisogno d’una grazia, e la spero per mezzo anche di Lei, che ne porta un sì bel nome di S. Giuseppe come il suo S. Zio, che ne è anche un degnissimo Ministro» (Lett., II, 73; cgf. Anche la testimonianza di P. Sales, che così riporta le parole della Savio: «di lei mi parlava sovente quella santa anima del suo amato zio» (Processus Informativus, III, 301). Stando a queste parole entusiastiche della maestra, sembrerebbe che il Cafasso avesse presagito, in qualche modo, l’avvenire luminoso del nipote.

 

Non si sa altro del Cafasso, ma si conosce l’impressione riportata dall’Allamano nell’unico incontro avvenuto a Castelnuovo. Così lo descrive P. Sales nella biografia: «Nel 1925 il can. Allamano, recatosi a Castelnuovo, appunto per le solenni feste della beatificazione, volle ricordare e rivivere, fra i parenti superstiti, quella scena. Fattasi portare una sedia, la collocò nel luogo preciso dive, 68 anni prima, Don Cafasso s’era seduto a ricevere l’omaggio dei nipotini, e con voce commossa disse: “È qui che ebbi la sua benedizione”» (SALES L., o. c., 14).

 

Come elevatezza di vita sacerdotale, il Cafasso è un modello di prim’ordine. Oltre alle virtù eroiche, conosciamo il valore del ministero del Cafasso nell’insegnamento della teologia morale ai giovani sacerdoti, al Convitto; nelle frequenti predicazioni di esercizi spirituali al clero, a S. Ignazio; nell’esercizio del ministero al confessionale, al letto dei moribondi ed accanto ai condannati a morte (cf. Lett., I, 448).

 

L’Allamano ha compiuto molte, ma non tutte le attività pastorali che hanno reso famoso lo zio, ma ne ha condiviso in pieno lo spirito apostolico. Non è esagerazione affemare che lo spirito del Cafasso si è posato sull’Allamano. Lo ha riconosciuto lo stesso Sommo Pontefice Pio XI, che, nel commovente Breve indirizzato all’Allamano per il 50° di sacerdozio, ha scritto queste memorabili parole: «In te, infatti, […] pare abbia lasciato erede del suo spirito l’illustre zio Giuseppe Cafasso […]» (cf. SALES L., Il Servo di Dio Canonico Giuseppe Allamano…, p. 488).

 

I giovani sacerdoti, che hanno avuta la fortuna di avere l’Allamano come educatore al Convitto, si erano accorti che tra il Cafasso e il loro Rettore esisteva una buona intesa di vita. I principi morali e ascetici, i consigli pratici per la vita pastorale, gli atteggiamenti, ecc. del Cafasso, di cui sentivano continuamente celebrare le meraviglie e che veniva presentato come il modello per eccellenza dei sacerdoti, li vedevano in certo modo rispecchiati nelle parole e nello stile di vita del loro Rettore.

 

A proposito, mi piace ricordare un emblematico dialogo tra un giovane sacerdote convittore, certo don G.B. Ressia, e l’Allamano. In occasione della ricognizione della salma del Cafasso al Santuario della Consolata, questo convittore, osservando da vicino l’Allamano, ha saputo cogliere l’intima e santa gioia, che gli traspariva sul volto e nei movimenti della persona. Mentre si accompagnava la salma al sepolcro, l’Allamano ha sussurrato a don Ressia con intima soddisfazione: «Vedi che belle feste riceve il Venerabile». Il giovane sacerdote, senza troppo pensarci, ha commentato: «Da qui ad alcuni anni…faranno anche a Lei così»; e lo disse così forte che tutti i compagni si misero a ridere. Un altro convittore lo ha ripreso: «Hai osato dire questo al Sig. Rettore? Sembra che tu lo voglia far morire già ora». «No – è stata la risposta – ma solo che verrà un tempo che faranno anche a lui questa festa, questo onore». L’Allamano, però, divenne subito serio e disse al Ressia: «Non dire queste sciocchezze, non sai che per avere questi onori bisogna essere gran santi, come lo era don Cafasso, ed io non lo sono». E don Ressia di rimando: «E Lei è un santo sicuro”». Ma l’Allamano con insistenza: «Ti dico di non parlare così, che non va bene» (cf.. “Tesoriere”, 3, 1980, pp. 12-13, TUBALDO I, o.c., IV, 34 - 35).



L’Allamano stimava molto la santità dello zio, lo proponeva come modello ai sacerdoti ed ai suoi allievi, e soprattutto si impegnava ad imitarlo nella propria vita. Questo era evidente a tutti. Lui non si riteneva affatto al livello del Cafasso, ma gli altri sì!



Se leggiamo le lettere ricevute dall’Allamano in occasione del giubileo sacerdotale, troviamo che in diverse di esse c’è un cenno che allude a questa speciale comunione tra lui e il Cafasso. Sarebbe assurdo pensare che quanti gli hanno scritto si siano messi d’accordo prima. La verità è che tra il Cafasso e l’Allamano c’era davvero una forte somiglianza di spirito.



Per tutti riporto quanto scrissero due Cardinali. Anzitutto, il Card. Gaetano Bisleti, allora Prefetto della Congregazione dei Seminari e delle Università degli studi: «Nel giorno non lontano del 20 settembre, tutti noi ci riuniremo intorno al Suo Venerabile zio e gli faremo dolce violenza perché interceda per Lei grazie opportune: […] per Lei che ce lo fa ricordare nella sua santa vita sacerdotale» (Lett., IX/2, 157). Poi il Card. Camillo Laurenti, allora Prefetto della Congregazione dei Religiosi: «Erede dello spirito del Santo su Zio, Ella ha svolto il Suo grandioso lavoro nei santi nascondimenti dell’umiltà» (Lett., IX/2, 178; per i Card. Cf. Lett., IX/2, 181 per il Card. A. Vico; 189, per il Card. G. Bonzano).



Ci sia piacevole sentire ancora un delicato accostamento del Cafasso all’Allamano tramite la Consolata. Un ex allievo del Convitto, il teologo Carlo Milano, inviando all’Allamano le congratulazione per il 50°, assicura le sue preghiere all’altare della Consolata, «ove la S.V. Veneratissima ha effuso il Suo Cuore nella preghiera, ove Maria le ha ispirato l’opera mirabile dell’Istituto Missionario, parlando al Suo spirito come un tempo parlava a quello del Venerabile suo Zio Don Giuseppe Cafasso» (Lett., IX/2, 214 – 215).

 

Noi siamo fieri di questo accostamento tra i due “nostri” santi. Lo riteniamo vero ed un onore per entrambi. La Chiesa, elevandoli agli onori degli altari lo ha confermato, come lo stesso Santo Padre Giovanni Paolo II ha detto nell’omelia pronunciata in Piazza S. Pietro durante la solenne funzione della beatificazione: «Il Beato Giuseppe Allamano, succedendo a suo zio, S. Giuseppe Cafasso, nella direzione del Convitto ecclesiastico della Consolata, ne emulò l’amore verso i sacerdoti e la sollecitudine per la loro formazione spirituale, intellettuale e pastorale».

 

 

 

1 Cf. TUBALDO I., Giuseppe Allamano, Il suo tempo – La sua vita – Le sue opere, ed. Missioni Consolata, Torino 1982, I, 542.

2 cf. “Tesoriere”, 3, 1980, pp. 12-13, TUBALDO I, o.c., IV, 34 – 35; cf. Archivio Postulazione, cart. Testimonianze.

3 Cf. Arch. Postulazione; TUBALDO I., o.c., I, 90, n. 228.

4 Cf. TUBALDO I., o.c., II, 377-411.

5 Cf. TUBALDO I., o. c., I, p. 544.

6 Lett., I, 561.

7 Lett., I, 448 – 449.

8 Lett., I, 449.

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