SUPERBIA E UMILTA’

17 agosto 1919

 

XIV. 37-38

La superbia secondo S. Tommaso proprie est inordinatus appetitus propriae excellentiae. - L'umiltà, secondo S. Bernardo est virtus, qua quis ex verissima sui cognitione, sibi ípsí vilescit.

L'odierno Evangelo ci dà un esempio pratico del vizio e della virtù, nel fariseo e nel pubblicano. Nel primo si riscontrano i quattro segni della superbia, o come dice S. Gregorio le quattro specie di superbia.

Aestimare bonum a seipso habere, - desuper sibi datum pro suis suscepisse meritís credere - gloriari se habere quod non habet, - et caeteris despectis appetere videri singulariter habere quod habetur (S. Thom. 2-2, Q. CLXII art. V).

Remedia contra superbiam tríplex: Consideratio propriae infirmitatis; - magnitudinis divinae; - imperfectionis bonorum, de quibus superbit homo (Ib. art. VI).

S. Anselmo espone sette gradi per essere umili, che possono concentrarsi in quattro: 1) Cognoscere contemptibilem se esse; et hoc confiteri; - 2) Ut boc ab aliis velit credi; - 3) Ut patienter sustineas ab affis hoc dici, et tractari; - ut hoc amet. S. Agostino a Dioscoro sull'umiltà. (S. Tomm. ibid. Q. CIV art. VI) (V. Pred. Sem.).

 

 

SR. CARMELA FORNERIS

Il Vangelo di quest'oggi tratta della superbia e dell'umiltà. Il Signore ci fa un quadro del superbo e dell'umile. E’ necessaria l'umiltà? Un certo Dioscoro domandò a S. Agostino qual'era la prima virtù, ed il Santo rispose: La prima virtù è l'umiltà, la seconda è l'umiltà, la terza è l'umiltà. - Il Combattimento Spirituale dice: « Se ci fosse un'anima umile come la Madonna, sarebbe santa come la Madonna ». L'umiltà è la virtù di N. Signore: virtus Christi.

 

Il Signore non aveva bisogno di umiliarsi e s'è umiliato. Ora osserviamo il fariseo e il pubblicano descritti nel S. Vangelo: Phariseus stans. Il fariseo stava in piedi. Là, lo stare in piedi non era gran male, perché gli Ebrei usavano pregare così. Allora si usava digiunare al lunedì e al giovedì, ed il fariseo digiunava. Bastava pagare la decima di qualche cosa ed egli invece: decimas do omnium quae possideo: pago la decima di tutto quello che posseggo.

Il fariseo faceva buone opere, eppure non è uscito giustificato. Non sono cattivo come quello là, diceva riguardando il pubblicano. Egli era superbo; ecco perché non ritornò giustificato. Qui se exaltat humiliabitur. [Chi si esalta sarà umiliato].

Non.capita che in comunità si dica, se non colle labbra, col cuore: « Io sono più sapiente, più santa di quella là...»? Ah! agli occhi di Dio chi sa come quella là sarà santa!

S. Tommaso dice che la superbia è un disordinato appetito della propria eccellenza. Tenerci al nostro posto non è male, ma il male sta nell'attríbuire a noi quei po' di doni che il Signore ci ha concessi. S. Paolo nella sua prima lettera ai Corinti dice: Quis enim te díscernit? Quid autem. habes, quod non accepisti? Si autem accepistí, quid gloriarís quasi non acceperis? Chi è che ti fa distinguere? E che cosa hai tu, che tu non l'abbia ricevuto? E se l'hai ricevuto, perché te ne glori come se tu non l'avessi ricevuto? (I Cor. IV, 7).

Se tu hai più salute di quella sorella, eh! non è per niente roba tua, quindi ringraziane il Signore. Domani il Signore può permettere che tu la perda.

 

Che cos'è l'umiltà? S. Gregorio Magno dice: « L'umiltà è quella virtù per la quale, conosciutici bene come siamo, per naturale conseguenza, ci teniamo bassi e disprezziamo noi medesimi ». Il Signore ci ha dato dei beni e noi li teniamo come nostri, ne vantiamo dei diritti. Anche se guadagnato a forza di studio e di fatica, è tutta grazia di Dio.

 

Le qualità della superbia sono: 1° Si crede un bene che non è suo come suo. 2° Quando si attribuisce un bene maggiore di quel che ha. Ecco, per esempio, è riuscito in qualche cosa un po' bene, e su, l'ingrossa. 3° Quando crede di avere un bene e disprezza gli altri che non l'hanno e vuol essere creduto qualche cosa. Egli è come il fariseo che diceva: Ti ringrazio o Dio, che io non sono come gli altri uomini.

Le qualità dell'umiltà invece sono, come dice S. Anselmo:

1° - Riconoscere che siamo disprezzabili in noi medesimi. Infatti che cosa siamo nei doni naturali e soprannaturali? Io ero niente. Se son divenuto qualcosa, non è per opera del Signore? Riflettiamo un momento a noi. Non siamo pieni di miserie e di acciacchi? E nello spirituale poi, che cosa siamo? Siamo disprezzabili.

2° - Essere contenti che gli altri pensino che siamo un niente.

3° - Sostenere pazientemente che dicano e ci trattino da niente.

4° - Amare che ci trattino come roba disprezzabile.

Non è mai troppo pensare sull'umiltà. Non andiamo mai al fondo di questa virtù. Perché facciamo qualche piccolo atto di umiltà, ci crediamo di essere all'ultimo grado dell'umiltà. Ah! se uno amasse di essere il fruciun [lo straccio] della comunità, di essere calcolato per un nulla... Dinanzi a Dio siamo niente, dinanzi agli uomini siamo poco o niente.

 

I mezzi per acquistare l'umiltà sono:

l° Considerare le nostre miserie, i nostri difetti. Non scoraggirci, ma riconoscere di averli. 2° Considerare la grandezza di Dio; substantia mea tamquam nihil ante Te: il mio essere è come un nulla dinanzi a Te. Mi piace tanto l'espressione di S. Francesco di Sales: Se il mio niente potesse fare più grande N. Signore, sarei contento di essere un niente. 3° Considerare l’imperfezione delle nostre buone azioni. E’ S. Tommaso che insegna questi tre mezzi.

Questo è quanto dovete tenere a mente in questi giorni. Anzitutto persuadervi che siete tutte superbe. Capisco che siamo miserabili, ma ciascuna deve dire: Io ho questa superbia. In comunità ciascuna dovrebbe essere contenta che nessuno si curasse di lei. Non fare apposta a far la folle... ma... essere contenti che nessuno ci guardi.

 

Una volta ad un Filippino, il P. Fontana, Direttore Spirituale al Cottolengo, fecero una calunnia grossa grossa. E lui non si discolpò mai, tanto che già si diceva: P. Fontana n'ha fane úna grosa [P. Fontana ne ha fatta una grossa]. Si venne poi in chiaro della cosa, ma lui fu tranquillo tanto prima come dopo. Così S. Francesco di Sales è stato due anni sotto il peso d'una atroce calunnia riguardo alla castità. A chi l'invitava a discolparsi rispondeva: « No, il Signore sa quanto ho bisogno di stima per fare il mio dovere ». Noi invece ci saremmo subito discolpati, e mica per la gloria di Dio!... Quando il Signore andò a morire, gli Angeli non han mica gridato: E’ un innocente! No, il Signore andò a morire come un malfattore comune. - S. Valerico per non aver stima fuggì in un altro monastero. Talvolta il nostro amor proprio ci fa velo e ci fa vedere la gloria di Dio, il bene delle anime, dove invece è la gloria dell'IO. Oh! il Signore ha cura Lui del nostro buon nome, non sta a noi il preoccuparcene.

giuseppeallamano.consolata.org