SULLA LINGUA

25 maggio 1919

 

XIV. 28-29

Nella passata settimana la S. Chiesa fece leggere a' suoi ministri un pezzo ogni giorno, l'Epistola di S. Giacomo. In essa l'Apostolo tra le altre cose parla a lungo del bene e più del male che si può fare coll'uso della lingua (V. cap. 1, 19-26; cap. 111, 5, 9).

La lingua può dire parole oziose, cioè non necessarie, non utili o convenienti (S. Greg.) - parole contro la verità, e quanto! - parole contro la carità, come mormorazioni e calunnie; - parole di vanità e superbia ecc. Quanta leggerezza nel parlare, specialmente in chi ha la smania di chiacchierare e di non saper tener niente nel gozzo, flno ad interrompere i compagni ed i superiori. Dice lo Sp. S. che in multiloquio non deerit peccatum. Di qui malumori, discordie e ripugnanze, massime in comunità. Quante conseguenze e danni! Fatto di S. Filippo Neri della gallina. Fatto di S. Domenico.

 

Per le anime pie e religiose la dissoluzione della lingua dissipa lo spirito,. svoglia dall'orazione e la perdere il gusto delle cose celesti. S. Bern.: 0 quantum aufert devotionis, quantum aufert dissolutionis intrinsecus, frequens linguae resolutío (La perf. crist. p. 131).

 

Il Signore ci diede due orecchie aperte ed una sola lingua, e dice S. Franc. di Sales questa pose sotto due custodie, dei denti e delle labbra per insegnarci di pensare bene e due volte prima di parlare. Lo Sp. S. ci mostra perciò a pregare: Pone, Domine, custodiam ori meo et ostium círcurnstantiae labiis meis...

Dobbiamo perciò fare sempre silenzio come fece S. Romualdo per sette anni e S. Giovanni il silenziario per 47 anni? Dobbiamo divenire muti, come interroga S. Ambrogío: Quid igitur, mutos nos esse oportet? E risponde: Minime. Ma con S. Giov. Gris.: Aut tace, autdic meliora silentio. Il che spiegando S. Fr. di Sales, scrive: Il nostro parlare sia poco e buono, poco e dolce, poco e semplice, poco e caritatevole, poco ed amabile. In poche parole: parliamo con moderazione, con prudenza, con carità e con pietà. V. Es. S. Ignazio di L. (La perf. p. 135).

In conclusione, per ottenere l'abito di ben parlare: 1) bisogna amare il silenzio, specialmente quello di regola: In silentio proficit anima devota.

2) Farne materia speciale all'esame di ogni giorno, specialmente nelle confessioni, imponendoci anche qualche penitenza, per. es. una croce per terra...

Nota: Appartiene pure a questa materia il parlare troppo alto in ricreazione. Ciò è contro l'educazione, e dà causa a molti inconvenienti. Non facevano cosi i Santi.

(V. P. Bruno p. 13 e fasc. VII p. 2-3).

VII. 2-3

Mortificazione della lingua - La nostra lingua ha due uffizii; quello del gusto, di cui già abbiamo detto, e quello del parlare, più nobile del primo, non comune agli animali bruti. - Essa è modícum membrum, sed magna exaltat come dice S. Giacomo. Per essa si può fare molto bene o motto male (S. Giac. 1119 e 10). Possiamo con la lingua parlare bene e con edificazione, pregare Dio vocalmente e cantarne le lodi... Invece possiamo servircene per dire parole oziose o contro la carità (ira, sdegno, impazienza nel modo; mormorazione e calunnie nella sostanza), per vanità e superbia; per non dire delle bestemmie ecc. Eppure è tanto facile peccare colla lingua. S. Giacomo (vers. 2): si quis non offendit in verbo, hic perfectus est vir; e l'Ecclesiastico: beatus qui non delíquerít in lingua sua. Vedi tutto il capo della lett. di S. Giac. Esempio del demonio comparso a S. Domenico T. Scar. vol. II p. 141) ed applicarlo a noi: hic locus totus meus est - luogo di ricreazione. Come fare a vincerci e non peccare colla lingua? Vuole il Signore che la freniamo; perciò mentre ci diede due orecchie e libere, ci fornì di una lingua sola, e questa la serrò tra due steccati, i denti e le labbra, per avvertirci di parlare poco e pensare prima di parlare. Non fare come gli sbadati che gettano fuori quasi prima di pensare... Ci vuole il freno come ai cavalli (S. Giac. l.c.).

 

Bisogna: 1) pregare: pone, Domine, custodiam ori meo et ostium circumstantiae labiis meis. Come per ogni virtù, così specialmente per parlare bene... 2) specialmente esaminarci prima delle ricreazioni e del parlatorio come dobbiamo parlare ed ogni mattina, applicando la meditazione in quelle mancanze di lingua che ci arrivano più sovente nel giorno. 3) Considerare le conseguenze delle parole del mormorare o calunniare... 4) Imporci una penitenza quando cadiamo, es. una croce per terra con la lingua (es. S. Franc. Z.) o nel vino ecc. (V. Scaramelli l.c.). 5) Amare il silenzio e [evitare] la curiosità. 6) Parlare col Signore.

Silenzio. Per non mancare colla lingua sarebbe più comodo stare sempre in silenzio. Così fecero certi Santi: S. Romualdo per 7 anni e S. Giovanni il silenziario per 47 anni senza dire parola con alcuno. Ma non così vuole Iddio nel nostro stato, e perciò sebbene abbia messo alla lingua due porte non vi pose un muro.

S. Ambrogio: quid igitur? mutos nos esse oportet? Ifinime. Ma con S. Giov. Grís: aut tace, aut dic meliora silentio. E San Franc. di Sales spiega meglio il nostro parlare: « il nostro parlare sia poco e buono, poco e dolce, poco e semplice, poco e caritatevole, poco ed amabile » (La Perf. Crist. p. 134). Esempio S. Ignazio (Id. 135). Per acquistare tale abito bisogna assuefarsi ad osservare rigorosamente i silenzií prescritti dal regolamento « in silentio... proficit... ». 2) Fare uno studio di parlare sottovoce e non alto, a cenni, facendo meno rumori possibili anche coi piedi (La perf. p. 136; e Scaram. l.c.).

 

SR. CARMELA FORNERIS

Ebbene, conservate ancora lo spirito degli Esercizi? che cosa facciamo? lasciamo venir la polvere sui proponimenti?

In questa settimana la Chiesa ci fa leggere nel Breviario la lettera di S. Giacomo Apostolo. S. Giacomo il Minore era Vescovo di Gerusalemme e verso la fine della sua vita scrisse una lunga lettera ai cristiani invidiosi dei Giudei, e la Chiesa ce la fa leggere un po' per giorno. E’ così bella! Tratta principalmente della lingua. E sapete che cosa dice? Io vi dico solo qualche cosa. Incomincia così: Sit autem omnis homo velox ad audíendum; tardus autem ad loquendum... Sia ogni uomo pronto ad ascoltare; lento a parlare... Poi continua: Si quis autem putat se religiosum esse, non refrenans linguam. suam, sed seducens cor suum, hujus vana est religio. Se uno si crede di essere religioso senza raffrenare la propria lingua, anzi seducendo il proprio cuore, la religione di costui è vana. Se qualcuno non pecca nelle parole, costui è un uomo perfetto. Perciò, non essendo uomini perfetti, cadiamo nelle parole. Poi dice ancora: Et lingua ignis est, universitas iniquitatis. Lingua constituitur in membris nostris, quae maculat totum corpus, et infiammat rotam nativítatis nostrae, inflammata. a gehenna: e la lingua è un fuoco, un mondo di iniquità. La lingua è posta tra le nostre membra e contamina tutto il corpo, ed essendo accesa dall'inferno, la ruota del nostro vivere accende. - Pensiamo un po' quando si appícca il fuoco ad una casa, ad un fienile, quanto male si fa. Così è della nostra lingua: manda fuori una parola ed il male che fa non si può più raccogliere.

 

In ipsa benedicimus Deum et Patrem: et in ipsa maledicimus homines, qui ad simílitudinem Dei facti sunt. Con essa benediciamo Dio e Padre: e con essa malediciamo gli uomini, che son fatti ad immagine di Dio. Ex ipso ore procedit benedictio et maledictio. Dalla stessa bocca esce la benedizione e la maledizione.

Lo sapete il fatto di S. Filippo Neri? C'era una donna tanto solita a parlare, a mormorare della gente e S. Filippo non trovava modo di correggerla. Un giorno gli venne un'idea; la mandò per la strada a spennacchiare una gallina íngiungendole di ritornare da lui non appena l'avesse fatto. Quella donna andò, e tutta Roma la credette pazza. Compiuto quest'atto, ritornò dal Santo il quale le disse: Ora vada a raccogliere tutte le piume che ha sparso per la città. Ma essa rispose: Oh! non posso più raccoglierle, il vento le ha sbandate tutte: è impossibile. Il Santo allora soggiunse: Come è possibile allora raccogliere tutte le parole che ella va dicendo? Vede come si fa presto a spargere le parole, ma come è impossibile raccoglierle dopo?

 

Questo è l'argomento di cui tratta la lettera di S. Giacomo. Non parla che della lingua e dei mali che essa produce.

E’ proprio bella questa lettera! Dice ancora: Si autem equis frena in ore mittimus ad consentiendum nobis, et omne corpus illorum circumferimus. Ecce et naves cum magnae sint, et a ventis validis minentur, circumferuntur

a modico gubernaculo, ubi impetus dirígentis voluerit. E se noi mettiamo ai cavalli il freno in bocca perché ci siano ubbidienti, raggiriamo ancora tutto il loro corpo. Ecco, come le navi, essendo grandi e spinte da venti gagliardi sono voltate qua e là da un piccolo timone, dovunque ordini il movimento di chi lo governa...

Spesso parola oziosa è parola contro la verità. Oh! quante volte si ingrandiscono le cose, o non si dicono con precisione. Quante volte si dicono delle parole contro la carità! Si dicono delle parole di sdegno, di impazienza, di vanità, di superbia, di leggerezza. C'è sempre una smania di parlare ... ; se viene una cosa in testa si sente subito il bisogno di dirla, magari si pensa già dalla chiesa: se andrò là... se farò quella cosa... dirò poi così e così. Non si può tener niente nel gavas [gozzo]. E questo non è mica un vizio tanto singolare, è comune. Se abbiamo qualche cosa da dire, bisogna a qualunque costo farlo entrare, o per diritto o per traverso, purché si dica e non resti lì ... ; si gira e si rigira il discorso, finché si trova modo di intrecciare quella cosa che ci è venuta in mente, perché non si può più tenere. Ah! la lingua è una cosa mortifera! Quel che si è detto non si può più togliere.

 

Nelle Comunità alle volte ci son delle disunioni che son qualche cosa. Con una si sente un po' di ripugnanza, con un'altra si dicono delle parole grossolane..., tutte cose che feriscono. Ah! la lingua! la lingua!

Non bisogna fare un silenzio perfetto, continuo, ma farlo quando si deve fare. Non dire, dopo di aver parlato: Ma io non ci ho pensato. - Ma devi stare attenta, devi pensar prima.

Dice S. Bernardo che la lingua toglie la devozione, dissipa lo spirito, toglie la voglia dell'orazione e fa perdere il gusto delle cose celesti. Infatti quando si parla un po' e poi si va in chiesa a pregare, la testa corre ancora a quel che si è detto e non si è detto; va pensando se ha detto le cose precise ed altre simili cose. Quando poi si va in parlatorio, si porta su un canestro di roba. Si vuol sapere tutte le cose del paese... tutto quel che succede e non succede... di modo che la testa ne resta piena.

 

Non avete letto il fatto che c'è sullo Scaramelli? S. Antonio racconta che a S. Bernardo una notte, mentre stava in chiesa pregando, comparve il diavolo, e che questi l'interrogò come tentasse i suoi frati in chiesa; alla qual domanda il diavolo rispose: Li tento a venir un po' in ritardo e metto loro addosso la smania di uscir presto. Vedete che cosa fa il diavolo in chiesa? Il Santo allora gli chiese ancora: Ed in dormitorio come li tenti? Li tento col non lasciarli addormentar subito, così al mattino non si svegliano. - Voi, per non lasciarvi tentare, fate come faceva mia madre: dite delle Ave Maria. Essa diceva: Bisogna recitar delle Ave Maria finché l'uomo resta secco. - Ed in refettorio come li tenti? - Qui li tento col farli mangiare avidamente od attaccarli troppo, ed alcuni li tento col non lasciarli mangiar tanto, di modo che non possono poi attendere ai loro doveri, per mancanza di sostentamento. E qui, dove si fa ricreazione, come li tenti? A questo punto il diavolo non voleva più parlare, ma il Santo gli impose di parlare in nome di Dio, ed allora il diavolo rispose: Hic locus totus meus est. Qui è il posto in cui m'aggiusto. In ricreazione, in parlatorio, dappertutto dove si chiacchiera il diavolo si aggiusta; questi luoghi sono tutti suoi. Uno lo fa parlare troppo, l'altro lo fa parlare con superbia, l'altro contro la carità: híc locus totus meus est! - Possibile che il diavolo abbia ad avere un luogo tutto suo? E lì c'è ben anche la Madonna... eppure egli fa le sue vendemmie, le sue mietiture. Fa orrore questa cosa.

Stiamo attente che la lingua è qualche cosa!... Voi mi direte: Allora faremo silenzio, faremo come i Trappisti, i Certosini, non parleremo più. Vedete, se doveste sempre stare qui, vi direi: Sì, siamo d'accordo. Ma voi non avete professato queste cose. (Intende dire che non siamo Cettosine). S. Romualdo è stato sette anni nel deserto senza dire una parola, e S. Giovanni il Silenziario è stato quarantasette anni senza parlare, e per questo l'han chiamato il Silenziarío.

 

Voi invece dovete esercitarvi bene; certo però la lingua bisogna moderarla, frenarla. Il Signore ci chiuse la bocca con due cancelli, mentre lasciò aperte le orecchie; sicuro, due cancelli: i denti e le labbra, e perché? Perché andiamo adagio nel parlare. Quindi non: tacere addirittura, ma: riflettere prima di parlare.

S. Ambrogío chiede e risponde a se stesso: Mutos nos esse oportet? Minime. Aut tace, aut dic meliora silentio. Conviene che noi siamo muti? Niente affatto, risponde. Ed io con S. Ambrogio dico: o tacere o dire cose migliorí del silenzio.

S. Francesco di Sales dice come si fa a parlare bene: « Il nostro parlare sia poco e buono, poco e dolce, poco e semplice, poco e caritatevole, poco ed amabile ». Insomma, bisogna parlare con moderazione, con prudenza, con carità, con pietà; l'ho già detto altre volte.

 

Con moderazione: non aver la smania di parlare. Quando parla un'altra persona bisogna star zitti, lasciar che parlino gli altri; non si dovrà poi rendere conto di quel che non si è detto; stiamo zitti, ascoltiamo: velox ad audiendum, tardus ad loquendum... pronti a sentire, tardi a parlare... Prima di parlare pensare ed aprire adagio i due cancelli; ad ogni cancello fate una considerazione e così poi parlerete bene. Non fare come quelli là che per lasciarsi sfuggire un sì od un no, impiegano del tempo, ma non essere smaniosi.

Con prudenza: alle volte non sarà male dire una cosa, ma è meglio ometterla.

 

Con carità e pietà: noi religiosi non dovremmo mai dire cosa alcuna senza che c'entri la carità. Il Ven. Cafasso e così tutti gli altri santi, anche in cose indifferenti, per,quanto potevano, facevano entrare qualche cosa di spirituale. Non entrare negli affari della gente... in discorsi lunghi ... ; ma che bisogno c'è di essere tanto curiosi? Certa gente non sanno resistere, han sempre bisogno di parlare e mettono... mettono fuori... Eppure, dice lo Spirito Santo che il parlar molto non va mai esente da peccato: In multiloquío non deerit peccatum... Noi che in Missione avremo bisogno tutti i giorni di parlare, diciamo: Pone, Domino, custodiam ori meo: o Signore, poni una custodia alla mia bocca.

 

Dunque, come fare per non far addirittura silenzio (questo facciamolo solo quando è necessario) e riuscire a parlar bene, poco ed a proposito? Era, dicono, un piacere sentir parlare S. Ignazio: parlava con tranquillità, senza affettazione; si conosceva che stava attento a dir le cose sempre vere, non le ingrandiva, non le diminuiva; in questo modo non diceva altro che la verità. Questo era un distintivo di quel santo. Tanti si prendevano il piacere di conversare con lui per vederlo così misurato, senza affettazione, tanto dominato nella lingua. Non lasciava trascorrere niente; diceva tutta roba utile. Di omni verbo otioso [ogni parola oziosa] dovremo render conto al Signore. S. Gregorio dice: La parola oziosa è quella che non ha nessun bisogno di essere detta.

Parlare con utilità, con necessità, con convenienza. Con ciò non voglio già dire che si debbano anche sopprimere quelle parole che servono a tenere un po' allegri, quelle lì no...

 

P. Bruno diceva che in generale, nelle confessioni, non si accusano mai di aver parlato poco, ma sempre di aver parlato troppo. Per poter imparare a frenar la lingua, a parlar bene, bisogna fare due cose.

Prima: amare il silenzio ed amarlo soprattutto quando è un silenzio di regola, quando si deve fare; perché nel silenzio e nella quiete l'anima cristiana profitta nella virtù: in silentio et quiete proficít anima devota... (Imit. 1 - XX - 6). Facendo silenzio. s'impara a parlare. E poi bisogna parlare sottovoce, non gridare, non è mica necessario gridare. Se poi devo parlare a qualcuno che si trova un po' distante, mi avvicino e poi parlo; non gridare per farmi sentire da una parte all'altra. Dunque amare il silenzio e, quando si deve parlare, parlare sottovoce. Anche nei giuochi non è necessario, non bisogna gridar tanto; il gridar forte rompe la devozione e dissipa.

 

In secondo luogo: esaminarci qualche volta per vedere se proprio parliamo troppo; se parliamo contro la carità, contro la prudenza. Questo è materia di esame, vedete. Bisogna dirlo in confessione; bisogna far penitenza per questa lingua; vuol sempre avere soddisfazione nel parlare e bisogna castigarla. Anche quando andate a Rívolí, lungo la strada bisogna parlare poco e, quando si deve parlare insieme, fate secondo la regola. Sta così male quando si vedono delle religiose per le strade che ridono e si muovono per parlare, per vedere. Vidi una volta una suora in tram la quale mancava veramente al contegno. Certe suore per parlare tra di loro si muovono ed il velo va tutto per traverso e non va niente bene. Io non intendo che non si dica niente, qualche parola va bene, ma dirla sottovoce ed in modo da conservare sempre il contegno decoroso, religioso. E così anche a Rivoli quando siamo in casa; non gridare, vicino c'è gente che sente, bisogna aver riguardo.

Adesso impongo a quelli là (i ragazzi studenti) di non più gridare e voi anche non fatelo più. Bisogna essere allegri a tempo e luogo e far le cose bene.

 

SR. EMILIA TEMPO

[La prima parte è uguale al sunto precedente].

S. Bernardo dice che la dissoluzione della lingua toglie la divozione, dissipa lo spirito, toglie la voglia dell'orazione e fa perdere il gusto delle cose celesti. Infatti, quando si parla un po' e poi si va in chiesa a pregare, la testa corre ancora a quel che si è detto e non detto...

 

A S. Bernardo apparve il demonio, ed avendogli il Santo chiesto il modo col quale tentava i suoi monaci nei luoghi del suo monastero, giunto a quello della ricreazione rispose: hic locus totus meus est. In ricreazione, in parlatorio, dappertutto dove si chiacchiera, il diavolo s'aggiusta: uno lo fa parlar troppo, l'altro con superbia, l'altro contro la carità... Ah!, possibile che il diavolo abbia ad avere un luogo tutto suo?!... ah, stiamo attenti, la lingua è qualche cosa... Voi mi direte: allora faremo silenzio, faremo come i Trappisti, i Certosini, non parleremo più. Vedete, se doveste sempre stare qui, vi direi: sì, siamo d'accordo; ma voi non avete professate queste cose (non siete Certosine). Vi dico con S. Ambrogio: o tacere, o dire cose migliori del tacere.

S. Francesco' di Sales dice come fare per parlar bene: « Il nostro parlare sia poco e buono, poco e dolce, poco e semplice, poco e caritatevole, poco e amabile ». Insomma, bisogna parlare con moderazione, con prudenza, con carità, con pietà.

1° - Con moderazione; non aver la smania di parlare; quando parlano gli altri star zitti, non interrompere; prima pensare e poi parlare.

2° - Con prudenza; non dire sciocchezze; alle volte non sarà male dire una cosa, ma è meglio ometterla.

- Con carità e pietà. Noi religiosi non dovremmo mai dire cosa-alcuna senza che c'entri la pietà. Il nostro Venerabile, e così gli altri Santi, non dicevano mai cosa alcuna, anche indifferente, senza far entrare, per quanto potevano, qualche cosa spirituale. Però, non sempre prendere l'aria di predicatore, ma mettere quelle parole... Poi non essere curiosi, non aver la smania di sempre parlare. Dice lo Spirito Santo che nel parlare non si va mai esenti da peccato. E noi che in Missione avremo tanto da parlare, diciamo: 0 Signore, poni una custodia alla mia bocca.

S. Gregorio dice: « La parola oziosa è quella che non ha nessun bisogno di essere detta ». Di ogni parola oziosa dovremo render conto al Signore. E notate, non d'una parola cattiva, ma oziosa. Non voglio dire che non si possa più dire una parola per tenere allegri quando è tempo, no!

 

P. Bruno diceva che nelle confessioni non si accusano mai di aver parlato poco, ma troppo. Per imparare a frenar la lingua, a parlar bene, bisogna:

l° - amare il silenzio, e soprattutto quando è silenzio di regola, poiché nel silenzio e nella quiete profitta l'aníma cristiana nella virtù - Parlare sottovoce; non gridare. Non è necessario; e anche nei giochi. Il gridar forte rompe la devozione e dissipa.

2° - esaminarci qualche volta per vedere se parliamo troppo, se parliamo contro la carità, la prudenza.

Anche per le strade, parlar piano, senza muovere la testa ecc. Bisogna essere allegri a tempo e luogo e far le cose bene.

 

 

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