19 ottobre 1906
Quad. III, 12-13
17 Ottobre 1906 Sulla mortificazione corporale
Ai nostri giorni non si vuol più sentir parlare di
mortificazioni esterne, corporali, materiali. Si dice che bisogna mortificare lo spirito non il corpo: non essere queste
mortificazioni corporali più confacenti alle deboli sanità presenti: - essere queste proprie degli anacoreti
dell’eremo. E fosse vero che cotesti modernisti non deridessero questi atti che formarono tanti santi e diedero
tanto splendore alla Chiesa. - Voi, miei cari, non la penserete come cotesti infelici.
Vediamo:
1)
bisogna mort. lo spirito? Sì, chi lo nega; anzi prima è la mortificazione spirituale, poi la corporale: come
prima è il culto interno. Ma questo non basta, è necessario anche il culto esterno. E qui ricordate tutti
gli argomenti della necessità del culto esterno; ed applicateli alla mortificazione esterna. (Veditr.). S. Vincenzo
de’ Paoli diceva: "chi fa poco conto delle mortificazioni esteriori, dimostra che non è mortificato
né esteriormente, nè inferiormente". S. Luigi Gonzaga a quel cotale che gli disse che la perfezione non
consiste nella macerazione della carne, ma bensì nell’annegazione della volontà, gli rispose con
quelle parole del Vangelo: haec oportuit facere, et illa non omittere.
2) Non più confacienti...
Anzitutto non bisogna esagerar la nostra debolezza corporale... Poi non tutti potranno e dovranno fare certe
austerità dei Santi... Certe mortificazioni non debbono farsi per conservare la sanità al bene delle anime e
nostro; e perciò è necessario il consiglio. Ma sono innumerabili le mort. corporali che non nuociono alla
sanità, anzi alcune la conservano e l’accrescono. Il cibo moderato ed il vino modico allontanano malattie...;
così la pensano anche i medici. S. Paolo ordina a Timoteo di bere vino perché era debole di stomaco, ma
modicum, poco...
Non fa male alla sanità, lasciare un po’ di vino nella bottiglia..., lasciare un
pezzo di grissino, essere contenti di dover ritardare a mangiare perché si ha da servire o far la lettura; e poi
fare ciò che dice il Direttorio con M. Gastaldi "la colazione è...". E così degli altri
sensi. (V. Pagani -. Scuola di Crist. Perf.).
3) Solo proprie degli... - No, anche al presente tante anime che
vogliono farsi sante, digiunano, dormono poco, si danno la disciplina, portano il cilicio... Papa Ben. IX scrive che non
si tratta la causa di B... (V. Vita D.C.)
Nostro Signore digiunò 40 giorni... S. Paolo castigava... Ecco
i nostri modelli che servono per tutti i tempi. S. Franc. di Sales non era un vecchio anacoreta, eppure si flagellava sino
all’effusione del sangue. (V. Pagani ivi)
Premesse queste osservazioni:
Dobbiamo praticare e farci
l’abito delle mortificazioni corporali:
1) perché cristiani, che dobbiamo anche col corpo peccatore
fare penitenza, essendo scritto: nisi poen. egeritis, omnes s. per.", notate nisi, simile a quello "nisi quis
renatus fuerit...,” di necessità assoluta a noi peccatori.
2) perché religiosi, i quali
devono continuamente tendere alla perfezione; e la mortificazione, dice S. Filippo è l’abicì della
perfezione; e chi accarezza il corpo avrà mai spirito. Questi due vanno in ragione inversa; caro concupiscit
adversus sp.; et sp. adv. carnem - sono due nemici, guai a chi supera l’altro. S. Paolo "castigo corpus
m",
3) perché missionari; come tali avete bisogno di gran santità, ed anche di grazie
straordinarie che solamente otterrete con grandi sacrifizi corporali. Es. S. Pietro d’Alcantara (v. oremus) che
colla sua ammirabile penitenza, ottenne altissima contemplazione, così noi carne mortificati, facilius coelestia
capiamus.
S. Francesco Zaverio ottenne tante conversioni perché andava a piedi nudi, si nutriva del cibo del
luogo, e non sospirava al ultramarinum, come dice la S.C. di Propaganda; vegliava la notte ai piedi di G. Sacramentato.
Adunque per questi tre motivi, e spec. per l’ultimo dovete abituarvi alle mortificazioni corporali; e
farlo fin d’ora nelle cose piccole, per poi avere la forza e virtù di sopportare i sacrifici inerenti alla
vita del missionario, forse senza pane, senza vino, ecc., ed anche i maggiori dei santi missionari perché la
grazia compia le vostre fatiche...
P.U. Costa, quad. I, 135-137
Rev.
Sig. Rettore - 19-10-1906 - Torino
L’altro giorno spiegando ai Convittori le loro regole dissi loro che essi
dovevano nel Convitto avvezzarsi alla vita di sacrificio, per corrispondere al fine dell’istitutore Teol. Guala, e
più per rendersi veri santi sacerdoti, la cui vita fu definita dal Ven. D. Cafasso vita di sacrifizio. Sacrifizio
nella pietà per rendersi santi, nello studio per rendersi dotti, nell’educazione per rendersi sacerdoti
educati e fare maggior bene alle anime.
Andando al Camposanto leggerete presso la tomba del Teol. Guala: Cum
Sacerdotio magnum sibi onus impositum arbitratus voluptatem in labore vitam in vigili... posuit.
Ora se
è tanto necessaria la vita di sacrifìcio per i semplici sacerdoti, che diremo dei Missionarii? Oggidì
però regna una falsa idea che la penitenza corporale non faccia più per i nostri giorni, per le nostre
deboli costituzioni, che basti la mortificazione spirituale ed interna. No, no, questo è falso; se non
c’è l’esteriore, diceva S. V. de’ Paoli, che è già un santo moderno, non
v’è neppure l’interna; ne si può tendere alla perfezione senza la mortificazione corporale; S.
F. Neri difatti la diceva l’abbicì della perfezione. Ora poi il religioso e specialmente quello che ha fatto
i voti è obbligato, non ad essere perfetto, bensì a tendere alla perfezione, nè a Roma approvano
alcuna Congregazione religiosa che non abbia alcuna pratica comune di mortificazione esterna.
Noi abbiamo
quella piccola del venerdì: non abbiamo però né cilici, né discipline (benché i
Filippini, i quali, pur non fanno voti, hanno la disciplina due, o tre volte la settimana), per ora, ma forse... quando
avremo qualche grande grazia da ottenere useremo anche noi cilici e discipline; ve ne porterò alcuni del nostro
Ven. D. Cafasso.
Una volta che fu detto a S. Luigi come la santità consiste nella mortificazione della
volontà e non in tutte quelle penitenze esterne, ei rispose: haec oportuit facere et illa non omittere; è
vero che morì giovane, ma che importa, si va in Paradiso.
Sì, fate grande stima della mortificazione
esterna; voi non potete vegliare, perché l’obbedienza vi obbliga a dormire le ore che vi son necessarie; ne
potete pregare molto a lungo, perché avete anche da studiare; neppur voglio che non mangiate, non si ricercano da
voi le mortificazioni dei Santi, no, ma vi sono tante piccole cose che potete fare senza danno della salute.
Per es. mezzo grissino, mezzo bicchiere di vino, non salare qualche volta, ecc. Così non lamentarci del caldo,
freddo o piccoli malesseri ecc.; non però far imprudenze e trascurar la salute, no, ma si possono tuttavia far
molti piccoli sacrifizi.
Vedete, non è per parlar di me, ma pur bisogna che si dica: io da giovane ero
molto più debole di salute che non ora; ogni quindici giorni un’emicrania che non mi lasciava più far
nulla. Allora andavo in refettorio e mangiavo più poco in modo che niuno se ne accorgesse; in studio me ne stavo
coprendo la fronte colle mani parendo che studiassi, insomma, niuno mai si accorse di questo mio male. L’ultimo anno
poi di seminario quand’ero prefetto, un mattino uscii di cappella e andai a gettarmi sul letto in camera. Il
Direttore venne per parlarmi e trovatomi, in tale stato me ne chiese la cagione, e saputala, stupito disse: ma è
soggetto a questo male lei? (Non s’era mai accorto). Oh, sì, risposi. Io sapeva che quel male non mi avrebbe
recato danno, che bastava osservare una dieta moderata ed aspettare che passasse.
Fate vostre quelle parole
dell’iscrizione del Teol. Guala, che senza mortificazione esterna non potrete mai tendere alla perfezione, non
avrete quegli speciali favori (lasciando da parte visioni, ecc., che il Signore concede solo alle persone quasi totalmente
spiritualizzate) di consolazioni ecc. che vi rinforzeranno e vi aiuteranno, ed il vostro ministero sarà sterile.
Anche qui i santi sacerdoti quando vogliono ottenere una conversione, passano, a seconda del loro potere, chi
mezza, chi tutta la notte dinanzi al SS. Sacramento; come il Ven. D. Cafasso il quale la notte antecedente il supplizio di
un condannato la passava tutta quanta in preghiera.
Pregate il Santo che festeggiamo domani, così magnificato
dalla Chiesa per la sua specialissima penitenza: S. Pietro d’Alcantara, ad ottenervi dal cielo questo spirito di
sacrifizio; vedete nel suo Oremus la correlazione fra la penitenza e contemplazione; cresce l’una cresce anche
l’altra, e viceversa.
Io vi parlerò sempre della mortificazione interna, ma ricordatevi che
l’esterna è anche necessaria.