DOPO LA PARTENZA DEI MISSIONARI

11 dicembre 1906

Quad. III, 19
(12 D. 906). Ai chierici dopo la partenza dei Missionari

La funzione e la partenza dei nostri Missionari avrà suscitato in voi tutti un vivo desiderio di partire ed al più presto. E questo è bene, poiché questo è lo scopo a cui dovete tendere e pel quale siete qui entrati: a questo mira tutta l’educazione che vi s’impartisce in questa casa. Il vostro cuore dev’essere in Africa, ve lo dico tante volte. Tuttavia questo desiderio non dev’essere solo, ma accompagnato dallo spirito di timore. Non basta desiderare di partire; ma alla partenza è assolutamente necessario essere preparati: sia quanto agli studi, sia principalmente quanto alle virtù. E come ci troviamo al presente - e come vorremo e dovremo essere in quel punto? Ecco il giusto timore che anima pure quelli che hanno spirito e comprendono lo stato del missionario: desiderano ma temono. Perciò si preparano con tutte le forze per rendersi idonei all’apostolato, e non si angustiano di dover ancora aspettare un anno, due e più. E che dire di colui, che non credo tra voi, il quale desiderasse la partenza per sfuggire alla disciplina dell’istituto, credendosi dopo più libero? A costui direi le parole dello Sp. S. : Qui abjicit disciplinam, infelix! E senz’altro gli direi che lo stato del missionario non è fatto per lui, e neppure l’istituto; e ne deve uscire senza esitazione. I degni missionari amavano la vostra disciplina, e partendo loro rincresceva di doverla lasciare, ed ora operano bene. Non voglio credere che tra voi alcuno abbia nel cuore questo falso sentimento; se talora lo assalisse tale tentazione, la cacci da sé, altrimenti si esca. È qui, o miei cari, che vi dovete formare nella scienza sacra e nello studio delle lingue, ed in ogni cosa utile al missionario; in Missione raccoglierete il seminato e nulla più. È qui che dovete formarvi gli abiti delle virtù di carità, d’umiltà, di castità, d’obbedienza e di pietà, che resistano poi a tutte le prove nel ministero apostolico. Infelix, vi ripeto, chi si annoia, chi non ama la propria formazione per mezzo delle regole e dei Superiori! Infelix! I superiori pensando alle conseguenze dell’educazione che vi danno, come veri vignaiuoli, non risparmiano di potarvi e drizzarvi perché cresciate prosperosi in tutto e possiate poi dare frutti copiosi in tempore suo. Lasciatevi coltivare, amate la vostra correzione e perfezione secondo la natura dell’istituto, di cui sono maestri e giudici i soli superiori. Pensate ponderatamente a quanto vi ho detto, e proponete sì di desiderare l’Africa, ma quando sarete ben preparati; accelerate voi questa preparazione. ..

P.U. Costa, quad. I, 144-146
Rev.mo Sig. Rettore 11-12-1906 - Torino

È già la 7° partenza; ormai fra poco non le conteremo più. E che impressioni ha lasciato? Un grande desiderio, una santa invidia, ma questo non basta: un santo timore: Ne cum aliis praedicaverim ipse reprobus efficiar; Confige timore tuo carnes meas. Tanto più poi se alcuno desiderasse d’andare in Africa per fuggire alla disciplina, all’educazione di qui; guai, guai! costui non è chiamato per essere Missionario: Infelix qui abiicit disciplinam, lo dice lo Sp. S.

E credete che là non vi sia disciplina? Vi è più di qui. Uno però potrebbe figurarsi maggior libertà, non più quell’obbedienza, quel silenzio, lavar i piatti ecc...

Ve lo dico: mi hanno sempre edificato quelli che, partendo, desideravano di fermarsi ancor qui; alcuni lo dicevano colla bocca, altri nel loro cuore. Difatti quanti Missionarii andati per salvare le anime altrui perdettero la loro, si perdettero; ritornarono (o anche non ritornarono), ma con che anima!

Per esser pronti a partire bisogna avere grande scienza, grande virtù. Desiderare sì, ma nello stesso tempo temere. Come avviene pel Sacerdozio: si sospira, oh, si! per arrivarci; e che chierico sarebbe quello che non vi sospirasse? lo si sospirava fin da bambini; eppure quanti ne ho visto io a piangere per non essere preparati all’Ordinazione! Alcuni era per umiltà, altri invece per verità.

Questa è l’impressione che mi fa ogni partenza; e dopo di essa ritorno più presto che posso fra quei che rimangono.

Io dico a me stesso: alla prossima partenza sarò io così contento? potrò dire a me stesso: io ho fatto quello che ho potuto - son ben preparati, oppure: c’era quel tale, non si lasciava troppo... bisognava aver pazienza...

Quanto mi dispiace che un superiore sia obbligato a misurar le parole: un superiore deve tagliare, tagliar questo, tagliar quello... Questo per me ed il Sig Prefetto. Ma e per voi? Senza di voi non possiamo far nulla. È a voi che tocca lasciarvi formare.

Come ben diceva quel vostro compagno (in un componimento letto in occasione della partenza): Sarò io preparato? Se ad uno non garba quell’obbedienza assoluta, quel silenzio stretto, scopar i cessi ecc... , egli non avrà quello spirito di sacrifizio, di abnegazione anche interna per far l’obbedienza di andare in quel luogo, troverà a dire che gli han preposto uno ch’era stato ordinato dopo, ecc...

Io faccio quel poco che posso, anzi sono obbligato, mi son preso degl’incarichi e Vae mihi si non fecero! Così pure il sig. Prefetto, e mi raccomando che si facciano, anche più sovente, quelle mortificazioni pubbliche, lettura in refettorio, ecc.

Talvolta uno si crede umile, ma bisogna vederlo quando è sgridato a torto: che difficoltà c’è ad umiliarsi quando si è sgridati con ragione? Il difficile sta quando ciò ci vien fatto a torto. Come quando il superiore fece leggere a S. Tommaso una parola con pronuncia falsa: che importa, diceva il Santo, che la parola si pronunzi così o così; quel che importa è che io obbedisca.

Bisogna essere poi sinceri, schietti, aperti coi superiori. Nessuno fu mai mandato via per essersi così conosciuti i suoi difetti, anzi...

Similmente quando vengono certe malinconie e tentazioni; avanti al S. Tabernacolo bisogna esser generosi, passarvi sopra: questo non mi veniva; il superiore non mi vuol bene... Ma se non vi volessimo bene non staremmo qui...

Su dunque, buona volontà; guardate di non perder nulla cominciando dalla lettura del refettorio; e poi le lingue; specialmente adesso che si tratta di metter su scuole; tutto, insomma, tutto. Badate, io ve lo dico: che alla vigilia della partenza vi verrà poi una pena, ed io non voglio poi mica togliervela con parole, voglio fatti: Su, animo, hai fatto quanto hai potuto ed il Signore ti aiuterà. Ma non ho fatto quel che ho potuto! Ebbene, il Signore supplirà. Dica dunque ognuno: ho un gran desiderio di andar presto in Africa, ma temo di andarvi impreparato, dunque..., se mi resta sol più un anno voglio darci entro a procurarmi grande scienza, grande pietà, grande virtù; se mi restano due, tre, cinque anni, me beato! ho più tempo a prepararmi, e non già: ho ancor tempo, mi metterò più tardi; no, no, subito, che non ce n’è mai basta.

giuseppeallamano.consolata.org