ESAME DI COSCIENZA

26 Febbraio 1911
Quad. VII, 8-9
Dom. di Quinquagesima (26 Febbr. 911) Sull'esame di coscienza
Mi pare che noi non diamo abbastanza importanza alla pia pratica dell'esame di coscienza, e quindi non si faccia bene e non se ne tragga­no i frutti di conversione e di santificazione per cui desso è ordinato. Nell'orario abbiamo quattro tempi per l'esame di coscienza: al mattino nella meditazione quello di revisione, prima del pranzo e della cena e delle orazioni della sera. Perché mai quattro esami ogni giorno, se non perché tale pratica è di speciale importanza? Sentite come ne scrive il S. Padre Pio X nell'esortazione al Clero "Haerent animo" (Vedi Lett. 4 Ag. 1908). Vedete gli esempi qui detti del mercante, dell'agricoltore e del vignaiolo. Tutti gli Ordini Religiosi danno grande importanza a quest'esame. I Santi: S. Giov. Gris., S. Bernardo (V. lett. S. Padre e Scaram.) e specialmente S. Ignazio di Lojola (V. Dubois; Santo Prete), S. Franc. Borgia (ib.).
Ciò di tutti gli esami; ma dell'esame particolare il Dubois (Guida p. 360 del Sem.) scrive: ogni prete (così dei chierici, religiosi, ecc.) che fa bene tutti i dì il suo esame particolare, sarà un santo prete incontra­stabilmente. Il prete che non fa l'esame particolare non è punto un san­to prete: sarà sempre con difetti, senza che mai pensi a correggersene (1). E nel Santo Prete p. 421, scrive: Senza l'esame particolare non ci correggeremo mai dei nostri difetti. Facendo l'esame particolare ci cor­reggeremo senza fallo dei nostri difetti. Vedete la necessità degli esami di coscienza.
(1) Nota in margine a matita: «Cicerone Pitagora {che facesti? Come fu? che tralasciasti?)»
 
Tutto ciò deve farci stare attenti a farli e non ometterli quando per qualche motivo non ci troviamo in comunità, procurando di supplirvi dove ci troviamo, o dopo al primo tempo libero. In pratica non si fa l'esame o senza frutto perché non si fa con metodo: state attenti al mo­do che vi suggerisco e ricordatelo. Dice lo Scaramelli (V. Es. Cosc.) che si fa l'esame come si fa la Confessione; gli stessi atti colla differenza che non c'è il Sacerdote, ma Dio. Cinque cose debbono farsi: 1) Mettersi al­la presenza di Dio, e ringraziarlo dei benefizii ricevuti, specialm. di averci conservati in vita dall'ultimo esame. - 2) Domandare lume per ben conoscere i nostri peccati e le loro radici e cause; e le incorrispon­denze alle divine grazie. - 3) Esaminare dall'ultimo esame i nostri pen­sieri, parole, opere ed omissioni; - pel generale, come mancammo sul vizio dominante e perché... 4) Eccitare in noi il dolore non solo in gene­rale, ma sui particolari mancamenti; domandare a Dio perdono, ed an­che imporci penitenze. 5) Proponimenti pratici, minuti per l'avvenire...
Ma ciò tutto farà poco frutto se dopo non ci terremo attenti su noi medesimi; se ci daremo alla dissipazione od a pensieri troppo profani. I Santi si fissavano i tempi di ricordo; e poi non si davano intieramente alle cose esterne; ma presenti a se stessi nel fare e parlare. Perciò si os­servi bene il silenzio di regola e nelle ricreazioni, calma e non chiasso;
nel parlare poi di cose anche spirituali: si quis loquitur, quasi sermones Dei. È vergognoso che in una casa religiosa si parli di cose di mondo ed inutili, e non si abbia il coraggio di introdurre discorsi di Dio; e chi lo faccia quasi paja singolare e darsi importanza. Non così facevano i mo­naci antichi, ed i Santi uomini dei nostri tempi che sovente fanno entra­re Dio... Così noi.
 
P.U. Costa, quad. II, 2- 7
Domenica - 26 Febbraio 1911 (Quinquagesima)
Come è bello festeggiare il carnevale come facciamo noi qui (tutti: chieri­ci, coadiutori e giovani erano riuniti in una scuola).
O quam bonum et quam jucundum habitare fratres in unum! Com'é bel­lo starcene tutti assieme, non mangiandoci l'un coll'altro, come bestie in una gabbia, non come in una prigione, ma come fratelli in una casa!
Stassera voglio parlarvi d'una pratica molto importante che abbiamo, e dobbiamo avere nel nostro Istituto: l'esame di coscienza.
Quel gran maestro di spirito che è S. Ignazio di Loyola, preferiva l'esame di coscienza a tutti gli altri esercizi spirituali, all'orazione vocale, e perfino alla meditazione, perché, diceva, nella meditazione il Signore ci fa vedere quello che dobbiamo fare, ma è solo l'esame che ci dice se lo mettiamo [in] pratica.
Lo stesso S. Padre, in una Esortazione al Clero mandata alcuni anni fa, lo inculcava caldamente; s'intende ch'ei parla ai chierici, ai sacerdoti, ma ser­ve anche per voi. (Ne legge alcuni tratti, specialmente una citazione di S. Gio­vanni Crisostomo e un'altra di S. Bernardo).
Degli esami di coscienza c'è l’esame generale e l'esame particolare, di cui parleremo dopo. Si comincia a far l'esame al mattino nella meditazione, e quello che si chiama esame di previsione: si prevedono le occasioni in cui uno si troverà in quel giorno, e si propone di diportarci bene. P. es. prevedo che avrò da fare con il tale o tal altro compagno, dovrò trovarmi nello studio, nel­la scuola, dovrò venire in chiesa, andare a tavola, fare ricreazione...
Poi prima di mezzogiorno si fa l'esame della prima parte del giorno, e se uno trova che ha mancato, propone di rimediarvi nell'altra parte. Così pure prima di cena vi esaminate sulla seconda parte del giorno.
Alle orazioni della sera poi fate l'esame generale su tutto il giorno, e se vi trovate dei mancamenti, procurate di rimediarvi il giorno dopo.
Ma per far bene l'esame, sapete cosa si richiede? Postici alla presenza di Dio (basta uno sguardo al tabernacolo, e dire: Signore, son proprio qui da­vanti a Voi!), bisogna: 1° ringraziare il Signore dei benefizi che ci ha fatti: il Signore da sempre nuove grazie a chi è riconoscente pei benefizi ricevuti; 2° pregare il Signore ad illuminarci, domandar lume per conoscere tutte le man­canze commesse; 3° qui viene il buono, esaminarci sui pensieri, parole ed ope­re ed omissioni di quel tratto di tempo di cui facciamo l'esame. E bisogna fare un esame minuto, su tutto, e non contentarci di star sulle generali: sono stato superbo, poco caritatevole, ecc... E poi i proponimenti degli esercizi, il demo­nio vorrebbe persuadervi che ve li ricordate, ma voi richiamateli alla memoria. Bisogna insomma che facciate un esame come quel che fate per confessarvi.
Per confessarvi voglio che vi prepariate bene; non andate mica là diretti a dar [ = dire] quel che vi vien in mente... ma prima riflettete bene a tutti i pec­cati che avete commessi nella settimana. Dovete fare un esame come quello, con questa differenza che, invece di confessarvi poscia al sacerdote, vi confes­serete a voi stessi, pone te contro te - stabilite in voi come due persone, chia­mate voi stessi al vostro tribunale. E poi nell'esame per la confessione cercate solo i peccati, in questo invece vi esaminate anche sui difetti, sulle imperfezio­ni, sulla purità d'intenzione, sulle grazie ricevute, ecc...
domandare perdono, se c'è tempo recitare anche l'atto di contrizione intero e adagio, se no con altre parole; 5° infine venire al taglio, proporre (commento).
Se poi dopo aver proposto mancassimo ancora, non dobbiamo mai sco-raggirci, ma sempre ricominciare; anche se cadessimo 50 volte al giorno, dice S. Teresa, dobbiamo sempre rialzarci dicendo: Nunc coepi!
Così voi avete da fare 4 esami al giorno, ma bisogna farli bene, e allora non troverete lunghi quei 5 minuti, 10 minuti, 1/4 d'ora: non bisogna leggere o meditare - tutte buone cose, ma in quel tempo il regolamento prescrive l'esa­me, e bisogna farlo. I santi non si contentavano di farlo 4 volte il giorno: S. Ignazio lo faceva si può dir tutti i momenti, sì che quasi lungo il giorno era in continuo esame di [se] stesso; ed avendo una volta, prima di sera, incontrato un suo padre, gli domandò quanti esami avesse già fatti quel dì. Al che rispon­dendo quegli che sette, il santo riprese: "Non basta, bisogna farlo più sovente".
S. Francesco Borgia lo faceva ogni ora, così tutti i santi. Ricordiamoci delle persone che abbiamo conosciuto noi, così gravi sempre in ogni cosa: il Ven. D. Bosco..., D. Cafasso poi, si esaminava dopo ogni azione, in un minu­to: dopo la S. Messa, una confessione..., ho parlato bene; ecc..
Essi lasciavano parlare gli altri senza interromperli, e quando aggiunge­vano la loro parola, essa era sempre grave, pesata.
Voi direte, altro che farlo così sovente l'esame, non ci ricordiamo nean­che, in quelle poche volte che lo facciamo, di quanto abbiamo fatto nel tempo antecedente... E questo sapete perché? Perché si è dissipati. Si comincia nella ricreazione a gridare forte da stordire, da far anche di fuori sentire un gran clamore. Non si dovrebbe mai sentire a gridare dall'esterno, in una casa reli­giosa come questa: si parli in quel tono di voce che basta a farci sentire da quelli a cui parliamo: altrimenti se uno incomincia a gridare, gli altri gridano più forte, egli ancora più forte, finché si fa un tafferuglio che rintrona la testa a tutti, specialmente qui nel salone.
E poi bisogna osservare il silenzio, qui non se ne fa ancora abbastanza;
fuori del tempo di ricreazione non bisogna più dire che le pure parole necessarie; nei lavori manuali si capisce bisogna parlare, ma il solo necessario.
Taluni si dissipano proprio del tutto: quando sono in ricreazione si per­dono completamente nel giuoco, così nello studio, pensano solo allo studio e vi si perdono: non bisogna mai darci completamente alle cose esteriori, ma ri­servare sempre una parte del cuore a Dio; anche nello studio non è proibito di­re una giaculatoria, e soprattutto purificare l'intenzione, pensare a Dio.
E poi anche perché nei discorsi [non] parlare anche un poco delle cose di pietà? Ed invece se uno dicesse, p. es. dimmi un po' qual è stato l'argomento della meditazione di questa mattina, non me ne ricordo più bene; o, che im­pressione ti ha fatto la lettura spirituale di oggi; che bel fatto si è letto oggi a tavola; ... lo si guarderebbe in faccia: "o che stranezza! gli gira a parlar ades­so di queste cose". Non è vero che avviene così? Si ha rispetto umano, non c'è nessuno che osi far il primo: via il rispetto umano!... "Diranno che voglio far­mi vedere, che voglio fare il maestro..." Che maestro... voglio imparare...
I nostri discorsi non dovrebbero essere mai d'altro che di studio o di pie­tà.
Non dico che non vi si possa mescolar altro, ma...
Poi abbiamo anche altro da parlare: le lingue - l'inglese, il gikuiu, il fran­cese, se sapeste quanto è necessario: quindi parlatele volentieri nei tempi pre­scritti, non come un peso...; e se è un peso, lo sia pure, tolleriamolo in peni­tenza dei nostri peccati, ma con risoluzione; - ma ritorniamo a noi.
I nostri discorsi devono sempre avere tre qualità: prudenza - carità - pie­tà.
1 °. Devono essere prudenti: non tutto ciò che è vero è da dirsi,... certe co­se non si dicono...; 2°. caritatevoli: quanto facilmente si manca nella carità, in parlar d'altri... le persone di spirito non parlano mai male degli altri, o ne par­lano bene, o tacciono; 3°. pii: è così facile da tutte le cose portarci alla pietà;
non si senta da noi la parola fatalità; niente è per fatalità - tutto è voluto o permesso da Dio. Dobbiamo fare della pietà come si fa del sale, spargerla un po' dappertutto.
Oltre l'esame generale, v'è ancora l'esame particolare sul vizio dominan­te, su quello contro cui abbiamo fatto i proponimenti degli esercizi spir., e se alcuno non sa qual sia, prenda la superbia, ne abbiamo tutti.
Su questo vi dirò solo poche parole (erano già le 7.30). Il Dubois, parlando ai preti dice: "II prete che è fedele nel fare ogni dì l'esame particolare, sarà incontestabilmente un santo prete; e quello [che] non vi sarà fedele, non sarà mai un santo prete, ma resterà sempre coi suoi difetti".
Ed altrove: "Chi non farà l'esame particolare non si correggerà dei suoi difetti, chi invece lo farà si correggerà senza fallo e presto di tutti i suoi difetti".
giuseppeallamano.consolata.org