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Scritto da Beto Giuseppe Allamano
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; 4 febbraio 1912
Quad. VII, 20-21
Settuagesima
(4 Febbr.
912)
La S. Chiesa da
quest'oggi veste violaceo, e lascia gli Alleluja. È tempo di maggior preghiera e di penitenza.
S. Franc. di Sales si teneva più raccolto, e Mons. Galetti incominciava il digiuno quaresimale.
S. Paolo nel tratto della sua I Ep. ai Corinti, che la Chiesa ci
fa oggi leggere nella S. Messa descrive la vita dei cristiani sulla terra: vita di corsa, di lotta e
pellegrinaggio. Paragona i cristiani a quelli che corrono a cavallo ed a piedi nello stadio, ai gladiatori ed atleti, ed
agli Ebrei nel deserto per 40 anni. Tutti costoro faticano per arrivare al premio; ed un solo vi giunge, il vincitore; e
due soli, Caleb e Giosuè, partiti dall'Egitto pervennero alla terra promessa. Tutti costoro lavorano per una
corona corruttibile, d'alloro ecc., e per un po' di terra sia pure fluentem lac et mel; ma sempre cosa caduca
ed incerta, come si vede dalla storia degli Ebrei. I Cristiani invece vivono per una corona incorruttibile, il
Paradiso e tutti non un solo possono e debbono conseguirla.
In domo patris mei mansiones multae sunt - Corona justitiae, quam reddet... Sic currite ut comprehendatis:
correte in guisa da ottenerla. Ma praticamente tutti arriveranno alla meta? Purtroppo no. Gli Ebrei partiti
dall'Egitto ebbero tutti il benefìzio di passare a piedi asciutti il Mar Rosso, tutti godettero del benefizio
della nube, tutti bevettero della stessa vivanda, l'acqua miracolosa della pietra, tutti mangiarono la manna del
Cielo (V. Martini). Eppure non in pluribus eorum beneplacitum est Deo: non tutti contentarono Dio, ma pochi, e
solo due partiti dall'Egitto entrarono nella terra promessa, e gli altri tutti morirono nel deserto. Che significa S.
Paolo con questa similitudine? Vuol dire che non basta essere cristiani, godere dei benefìzi della
Religione; ma bisogna corrispondere alle grazie ricevute; altrimenti non che conseguire il premio, avremo
ancora il castigo per la nostra ingratitudine. Veniamo a noi. Nella vita generale cristiana è compresa la
nostra vita di religiosi e di missionari, colla giunta che a noi Dio dà maggiori grazie,
quindi dovere di maggior corrispondenza.
Noi in questo istituto siamo
come gli Ebrei colmati di grazie speciali: la religione è un nuovo battesimo, per cui siamo dall'Egitto del
mondo trasportati in ambiente tutto soprannaturale. Quivi la nube dell'ubbidienza e delle regole ci libera dai raggi
cocenti delle passioni, e specialmente della propria volontà. Qui siamo nutriti della manna celeste della
divina parola (V. Imit. C.5) nelle prediche, meditazioni, letture sp. ed ammonimenti dei superiori: e specialmente
ogni giorno possiamo satollarci della manna celeste della S. Eucaristia. Qui le grazie divine come acqua da
fontana permanente cadono ogni istante su di noi per ajutare a fare in noi germogliare e crescere le
virtù...
Con tanti mezzi di santificazione come non dovremmo noi
tutti farci santi? E dovrà dirsi di noi come degli Ebrei: non in pluribus coram benep. est Deo?
Vi risponde S. Paolo, e dice che l'esito nefasto proviene da ciò
che:
1) Non si tiene in mira continuamente il fine per cui siamo qui
venuti, che è la nostra maggior santificazione per essere poi idonei stromenti alla maggior conversione degli
infedeli. S. Paolo dice: sic curro non quasi in incertum, non quasi aerem verb.
2) Si vive in comunità così alla buona, contenti di essere buoni e non cercando ed usando
i mezzi per farci santi. Sempre gli stessi difetti, senza il coraggio di darci una volta generosamente a quella vita
di perfezione, a cui Dio ci vuole. Quindi se non nausea nelle pratiche di Comunità, come gli Ebrei della
manna, non si corre come vuole il Signore: sic currite, ut comprehendatis. Costoro in Comunità hanno tutti
benefizi di Dio, come nube continua, e non ne approfittano, e di più dovranno renderne conto a Dio; non si
renderanno idonei alla conversione di quel numero d'anime per cui Dio li ha qui chiamati... Es. S. Franc.
Zaverio.
3) Che S. Paolo ci dice necessario per conseguire il premio degli
Apostoli? È la mortificazione e lo spirito di sacrifìzio; ci propone l'esempio dell'Atleta che ab
omnibus se abstinet, e proprio: castigo corpus meum, et in servitutem redigo; perché aggiungo ne cum aliis praed.
ipse reprobus efficiar. Omnia facio propter Evangelium. Bisogna informar ci a questa vita di sacrifizio se... Che dire
di chi non cerca che i suoi comodi...; anche come gli Ebrei, alle cipolle d'Egitto; se può correre ad un
pranzo, a bere una bottiglia, ad avere un cibo più scelto... Infelici non riusciranno veri religiosi e
missionari, lo dice S. Paolo, che per predicare agli altri e salvarsi come loro, è
necessario castigare il corpo...
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Pubblicato: Martedì, 06 Giugno 2006 23:00