CARITÀ FRATERNA

9 novembre 1913
9 Nov.
Sull'Epistola odierna (V post Epiph.)
S. Paolo al Colossesi cap. III dice: Induite vos... Queste parole letteralmente sono per i novelli convertiti, che S. Paolo dopo tolti dai vizii e fatti fratelli: neque judeus..., anima alle vir­tù cristiane, specialmente del perdono, virtù sconosciute agli antichi, che N.S. tanto inculca: ego autem dico vobis: benefacite...;
Applichiamo a noi, veramente usciti dal mondo, in una famiglia, prescelti, e chiamati in modo particolare alla santità. Dobbiamo avere viscere di misericordia, cioè il cuore pieno...; formare un sol corpo nel vincolo della pace. In particolare fermiamoci sul dovere di sopportare i difetti dei compagni, sia fisici, come morali, l'altrui carattere - ajutandovi a correggervi in bel modo, e perdonandovi. L'amore di corpo e del bene comune tutto ciò esige: Quid vides festucam in oculo fratris tui et trabem... - Talora tutti vedono o sanno un nostro difetto, e solo chi l'ha non se ne accorge: non sempre i superiori, e... e poi per costoro è sempre duro il correggere tutto; una parola d'un compagno come fa­rebbe bene al fratello, il quale se non subito più tardi ne sarebbe ricono­scente. E perciò non è da fare una predica, né da mettersi in sussiego, ma basta uno sguardo, un silenzio, un non ti sbaglierai, un avanti in Domino e simili...
In Comunità non bisogna solo pensare a farci santi noi, ma ancora aiutare gli altri... Via poi le freddezze o preferenze...
 
 
P.P.Albertone, quad. V, 150-153
9 Novembre 1913
(Dopo la conferenza inglese sull'umiltà)
S. Paolo mette l'umiltà ma mette anche altre virtù. L'Epistola di stamat­tina era il tratto della Lettera ai Colossesi. Parla ai Colossesi convertiti e dice che fra di loro non vi è più né Gentile, né Giudeo, néScita, né sapiente né insi­piente, né signore né schiavo, ma sono un solo corpo in Nostro Signore Gesù Cristo.
Esorta a svestirsi dei vizi passati, e vestirsi di umiltà "Benignitate, miseri­cordia, patientia, supportantes invicem" e la stessa cosa la ripete già in altra lettera, agli Efesini dice: "Cum omni humilitate et mansuetudine, cum patien­tia, supportantes invicem in Charitate".
Vi siete svestiti della veste cattiva, ed ora vestitevi di nuovo con un nuovo abito di virtù, che sono la misericordia, ecc. di amore pieno e cordiale; beni­gnità, umiltà, modestia, pazienza e specialmente "supportantes invicem" sop­portare i difetti di ognuno, perché anche convertiti non siamo subito santi, ma chiamati alla santità
Alle volte il carattere, alle volte si dice, è il modo che mi dà sui nervi; no, stiamo assieme a quel compagno; dei difetti ne abbiamo tutti, ma non li cono­sciamo i nostri. Non pretendere che gli altri sopportino i miei: "Vides festucam in oculo fratris tui, et trabem quae in oculo tuo est non consideras".
Il compagno ha quel difettuccio e tu hai una trave. Dobbiamo vedere la virtù negli altri.
Se hai dei difetti, o fisici o morali, non favorirli, tutti ne abbiamo: ma correggerci, non siamo buoni ad usarci la carità di correggerci. Dite che non prenderà in bene; no, cercate il momento opportuno. Non dobbiamo giudi­carci, non quando è chiaro, dobbiamo correggerci.
Quando un Superiore sa che un inferiore non piglierà la correzione in be­ne deve farlo lo stesso; vuol dire che il suddito rinsavirà. Dopo anni magari, ma si ravvederà e sarà contento.
C'era un Vicecurato che mi diceva: "Non ho creduto allora, ma m'è pro­prio capitato così". Vedete, forse quando gli ho fatto l'avviso non avrà preso in bene, ma ha preso in bene dopo.
In una Comunità è tanto brutto pensar ognuno per conto suo... Vedete:
quando un braccio, una mano duole, tutto il corpo ne risente. È brutto volersi far tanti (sic) da sé, ma dobbiamo essere interessati: Carità, carità, "supportantes invicem" pel bene della Comunità, anche il compagno sarà contento.
Io per me non voglio rispondere di niente, se so qualche cosa non voglio portarmi questo scrupolo, e vi avviso e così dico di fare al Sig. Economo, al Sig. Prefetto. Alle volte tutti ci accorgiamo di un difetto del tale e se tutti vo­lessero dirlo, tutti lo saprebbero, e perché non lo si corregge? Bisogna farlo "ad invicem" non è necessario che ci fissiamo il tale od il tal altro.
Tutti dobbiamo farci questa carità: Amiamoci fraternamente l'un l'altro, come in famiglia quando c'è qualche cosa, c'è subito la sorella, che va cercare a destra ed a sinistra per mettere le cose a posto.
Insisto su di questo, così...! Oh, potessi dire: "O come si amano! Dareb­bero la vita l'un per l'altro", sarebbe carità eroica. In Comunità non basta farsi santi da sé; non va stare lì come tante statue; ma non fare santi gli altri col fare loro sopportare i proprii difetti, la propria superbia. Al primo atto di non prendersela: come alle volte andate a dire ad un compagno che ciarli trop­po: "oh" vi risponde, Ma!
Vorrei che questo proponeste tutti di correggervi dei difetti. Ma mi direte che a (sic) contro a quello che ho detto, di sopportarci, no, imitiamo le virtù e correggiamo i difetti. Non costa tanto dire ad un compagno: "Usa un po' più di delicatezza! "
Dunque sopportare i difetti, e l'un l'altro correggerci e perdonarci. Possi­bile noi non perdonarci? Eppure sapete quella frase sciocca: "Perdono ma non dimentico". Uno che dovrebbe chiamare scusa e non la chiama, ebbene, si fa quell'atto di umiltà, si va a chiamare a lui, per lucrarlo; è tutta una cosa di Nostro Signore. Gli antichi volevano mano per mano, N. Signore invece domanda perdono per i suoi crocifissori. "Amor Charitatis, quod est vinculum perfectionis".
Se ci fosse umiltà, umiltà. Se conoscessimo la nostra miseria, non ose­remmo alzar la testa. Umiltà è "vera sui ipsius cognitio" non solo conoscere il bene non nostro, ma il male nostro: "Si acceperis quid gloriaris quasi non acceperis?"
Sopportarvi ad invicem. Sono tante cosette che vengono ogni dì, senza che stiamo a fare il "protoquamquam".
Don Cafasso, bastava vederlo! il pittore Reffo era entusiasta: dice che aveva quegli occhi... Egli (il Reffo) andava in Chiesa e sapeva che D. Cafasso alle 7 discendeva, faceva la sua genuflessione e l'adorazione colla berretta in mano, per tutta la navata fino al fondo, egli si edificava a vederlo passare, e andava a casa che aveva veduto don Cafasso.
Non dobbiamo essere egoisti, gelosi. Spirito di veri fratelli: Spiritum fraternitatis!...
giuseppeallamano.consolata.org