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Scritto da Beato Giuseppe Allamano
9 novembre 1913
9 Nov.
Sull'Epistola odierna (V post Epiph.)
S.
Paolo al Colossesi cap. III dice: Induite vos... Queste parole letteralmente sono per i novelli
convertiti, che S. Paolo dopo tolti dai vizii e fatti fratelli: neque judeus..., anima alle virtù
cristiane, specialmente del perdono, virtù sconosciute agli antichi, che N.S. tanto inculca: ego autem dico
vobis: benefacite...;
Applichiamo a noi, veramente usciti
dal mondo, in una famiglia, prescelti, e chiamati in modo particolare alla santità. Dobbiamo
avere viscere di misericordia, cioè il cuore pieno...; formare un sol corpo nel vincolo della pace. In
particolare fermiamoci sul dovere di sopportare i difetti dei compagni, sia fisici, come morali,
l'altrui carattere - ajutandovi a correggervi in bel modo, e perdonandovi. L'amore di corpo e
del bene comune tutto ciò esige: Quid vides festucam in oculo fratris tui et trabem... - Talora tutti
vedono o sanno un nostro difetto, e solo chi l'ha non se ne accorge: non sempre i superiori, e... e poi per costoro
è sempre duro il correggere tutto; una parola d'un compagno come farebbe bene al fratello, il quale se non
subito più tardi ne sarebbe riconoscente. E perciò non è da fare una predica, né da
mettersi in sussiego, ma basta uno sguardo, un silenzio, un non ti sbaglierai, un avanti in Domino e simili...
In Comunità non bisogna solo pensare a farci santi noi,
ma ancora aiutare gli altri... Via poi le freddezze o preferenze...
P.P.Albertone,
quad. V, 150-153
9 Novembre 1913
(Dopo la conferenza inglese sull'umiltà)
S. Paolo mette l'umiltà ma mette anche altre virtù.
L'Epistola di stamattina era il tratto della Lettera ai Colossesi. Parla ai Colossesi convertiti e dice che fra di
loro non vi è più né Gentile, né Giudeo, néScita, né sapiente né
insipiente, né signore né schiavo, ma sono un solo corpo in Nostro Signore Gesù Cristo.
Esorta a svestirsi dei vizi passati, e vestirsi di umiltà "Benignitate,
misericordia, patientia, supportantes invicem" e la stessa cosa la ripete già in altra lettera, agli
Efesini dice: "Cum omni humilitate et mansuetudine, cum patientia, supportantes invicem in
Charitate".
Vi siete svestiti della veste cattiva, ed ora vestitevi di
nuovo con un nuovo abito di virtù, che sono la misericordia, ecc. di amore pieno e cordiale; benignità,
umiltà, modestia, pazienza e specialmente "supportantes invicem" sopportare i difetti di ognuno,
perché anche convertiti non siamo subito santi, ma chiamati alla santità
Alle volte il carattere, alle volte si dice, è il modo che mi dà sui nervi; no, stiamo assieme a
quel compagno; dei difetti ne abbiamo tutti, ma non li conosciamo i nostri. Non pretendere che gli altri sopportino i
miei: "Vides festucam in oculo fratris tui, et trabem quae in oculo tuo est non consideras".
Il compagno ha quel difettuccio e tu hai una trave. Dobbiamo vedere la virtù negli
altri.
Se hai dei difetti, o fisici o morali, non favorirli, tutti ne abbiamo:
ma correggerci, non siamo buoni ad usarci la carità di correggerci. Dite che non prenderà in bene; no,
cercate il momento opportuno. Non dobbiamo giudicarci, non quando è chiaro, dobbiamo correggerci.
Quando un Superiore sa che un inferiore non piglierà la correzione in bene
deve farlo lo stesso; vuol dire che il suddito rinsavirà. Dopo anni magari, ma si ravvederà e sarà
contento.
C'era un Vicecurato che mi diceva: "Non ho creduto allora, ma
m'è proprio capitato così". Vedete, forse quando gli ho fatto l'avviso non avrà preso in
bene, ma ha preso in bene dopo.
In una Comunità è tanto brutto
pensar ognuno per conto suo... Vedete:
quando un braccio, una mano duole, tutto
il corpo ne risente. È brutto volersi far tanti (sic) da sé, ma dobbiamo essere interessati: Carità,
carità, "supportantes invicem" pel bene della Comunità, anche il compagno sarà
contento.
Io per me non voglio rispondere di niente, se so
qualche cosa non voglio portarmi questo scrupolo, e vi avviso e così dico di fare al Sig. Economo, al Sig.
Prefetto. Alle volte tutti ci accorgiamo di un difetto del tale e se tutti volessero dirlo, tutti lo saprebbero, e
perché non lo si corregge? Bisogna farlo "ad invicem" non è necessario che ci fissiamo il tale od
il tal altro.
Tutti dobbiamo farci questa carità:
Amiamoci fraternamente l'un l'altro, come in famiglia quando c'è qualche cosa, c'è subito la sorella,
che va cercare a destra ed a sinistra per mettere le cose a posto.
Insisto su di questo, così...! Oh, potessi dire: "O come si amano! Darebbero la vita l'un per
l'altro", sarebbe carità eroica. In Comunità non basta farsi santi da sé; non va stare
lì come tante statue; ma non fare santi gli altri col fare loro sopportare i proprii difetti, la propria superbia.
Al primo atto di non prendersela: come alle volte andate a dire ad un compagno che ciarli troppo: "oh" vi
risponde, Ma!
Vorrei che questo proponeste tutti di
correggervi dei difetti. Ma mi direte che a (sic) contro a quello che ho detto, di sopportarci, no, imitiamo le
virtù e correggiamo i difetti. Non costa tanto dire ad un compagno: "Usa un po' più di delicatezza!
"
Dunque sopportare i difetti, e l'un l'altro
correggerci e perdonarci. Possibile noi non perdonarci? Eppure sapete quella frase sciocca: "Perdono ma non
dimentico". Uno che dovrebbe chiamare scusa e non la chiama, ebbene, si fa quell'atto di umiltà, si va a
chiamare a lui, per lucrarlo; è tutta una cosa di Nostro Signore. Gli antichi volevano mano per mano, N. Signore
invece domanda perdono per i suoi crocifissori. "Amor Charitatis, quod est vinculum perfectionis".
Se ci fosse umiltà, umiltà. Se conoscessimo la nostra
miseria, non oseremmo alzar la testa. Umiltà è "vera sui ipsius cognitio" non solo conoscere
il bene non nostro, ma il male nostro: "Si acceperis quid gloriaris quasi non acceperis?"
Sopportarvi ad invicem. Sono tante cosette che vengono ogni dì,
senza che stiamo a fare il "protoquamquam".
Don
Cafasso, bastava vederlo! il pittore Reffo era entusiasta: dice che aveva quegli occhi... Egli (il Reffo) andava in Chiesa
e sapeva che D. Cafasso alle 7 discendeva, faceva la sua genuflessione e l'adorazione colla berretta in mano, per tutta
la navata fino al fondo, egli si edificava a vederlo passare, e andava a casa che aveva veduto don Cafasso.
Non dobbiamo essere egoisti, gelosi. Spirito di veri fratelli: Spiritum
fraternitatis!...
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Pubblicato: Mercoledì, 07 Giugno 2006 23:00