POSTULANDATO: SEGUE COMMENTO AL DECRETO

1 marzo 1914
Quad. IX, 23-24
Del Postulandato
Ricevuti i giovani nell'istituto al postulandato, alla prova, è neces­sario subito da principio compenetrarli dello spirito religioso e proprio della casa: necesse est, ut statim ab initio eorum animum spiritus reli-giosus et Ordinis totum pervadat (Decr. cit.).
Questo è dovere dei superiori che devono porti sotto la guida di un padre o maestro di provata vita ed esperienza. I postulanti che non si danno subito con diligenza alla disciplina, difficilmente dopo vi si ap­plicheranno e difficilmente dopo deporranno la forma imperfetta rice­vuta prima (S. Bon.).
E quale sarà questa educazione? Il Decreto dice: saepe ab ipsa civi­li educatione initium ducendum est. Bisogna incominciare dal galateo o buona creanza. Non si tratta di romiti o cenobiti che come S. Paolo eremita vivano isolati, ai quali sta bene il non cercare pulizia nelle vesti;
ma viviamo in società, dove l'educazione civile, la carità e la stessa edu­cazione dell'animo richiedono che si osservino le regole dell'urbanità.
Il Decreto: Corporis, habitusque mundities, comite semper mode­stia ac simplicitate, erit summopere curanda.- Sordidi habitus, quos rudis negligentia foedavit non olent spiritum Christi.- Inurbanitas, quae ex studio sui commodi procedit cum aliorum neglectu, non potest quia molestiam aliis inferat, detque occasionem, patientiae. Invece, Externe haec si habendi compositio viam sternet animo plenius educando, iis scilicet nobilibus sensibus infundendis, quibus mens trahitur ad alio­rum levem quacumque offensionem vitandam, desideria praevenienda, gratum animum facile demonstrandum, alios sibi praeferendos. Esem­pio il Monastero della Visitazione e le Suore della Misericordia di Savona ed i Cappuccini... L'urbanità è mezzo a conservare la carità nelle
Case religiose; e questa poi informa, regge e nobilita l'urbanità.
E qui il Decreto nota che tanto più a queste cose devono por mente i religiosi sacerdoti e che vi aspirano per essere di esempio ai laici. Quin­di, soggiunge il Decreto: Inurbanitas in agendi modis, in responsionibus dandis, in incessu, in ipsa corporis sumenda refectione, erit paulatim, sed omnino tollenda. V. Conc. di Trento e pred. sulla Modestia del Ven. Cafasso.
E non sarà diffìcile ottenere l'emendazione rudiorum in urbanos et amabiles convertere mores ac modos, monitis, hortamentis, patientia ac praesertim exemplo; sicché dopo breve tempo di religione possa dirsi di loro con S. Bernardo: induerunt... (V. Decreto) sibi faciem disciplinatam, et bonam totius corporis compositionem; sermo rarior, vultus hilarior, aspectus verecundior, incessus maturior. Questo si vede in tut­te quelle Congregazioni in cui si dà la dovuta importanza all'urbanità;
così nelle famiglie...
Si dovrà però continuare sempre questo studio per non ritornare alle grossolanezze di prima. S. Bernardo soggiunse: verum quia haec noviter coepere, ipsa sui novitate flores censenda sunt et spes fructuum, magis quam fructus.
(V. Il Coadiutore perfetto.)
Il Decreto passa agli studii ed istruzioni da darsi ai laici; e poi parla delle principali virtù loro necessarie, e ne indica quattro: l'umiltà, l'ob-bedienza, lo spirito d'orazione e la santificazione del lavoro. Parliamo­ne, che a tutti sono necessarie, specialmente come missionarii.
P.P. Albertone, quad. V, 221-226
1° Marzo 1914
Ritiro Mensile. Fatelo proprio bene, fa subito prendere la mira per tutto il mese. Il tempo passa. Ecce nunc tempus acceptabile, ecce nunc dies salutis. Il tempo che siete qui è accettevole.
Continuando su quel decreto, ci sono tante belle cose che servono benissi­mo per noi. Il decreto del 1° Gennaio 1911 esige soprattutto nel fine rettitudi­ne. E quando siamo entrati necesse est ut statini ab initio eorum animum spiritus religiosus et particularis totum pervadat, e addirittura lo trasformi. Tutto il tempo che siamo qui è tempo di riempirci di spirito religioso. «Qui ab initio disciplinam negligit postea ad eam difficile applicatur» (S. Bern.). Bisogna darsi interamente, e chi non ha cominciato, cominci subito; e dice non sola­mente che è difficile che lo pigli dopo, ma che è difficile che lo deponga: for­marsi allo spirito religioso dell'Istituto, e sapete che tutto quello che si fa e si dice è per quello.
Dove cominciare? Spesso, dice il Decreto, dalla stessa educazione civile, come noi in Africa, vix ab ipsa civili educatione. L'inurbanità nei modi e ri­sposte, nel camminare, nel mangiare, poco per volta bisogna assolutamente toglierla. La Chiesa, vedete, va al particolare.
Dunque, quei modi inurbani tagliarli completamente nel modo di operare ecc.
2) In responsionibus dandis; non: sì, no, ma sissignore, nossignore, poi una risposta umile, e non insistere in modo inurbano.
3) In incessu, non troppo in fretta e non troppo adagio.
4) In ipsa corporis refectione sumenda. - A questo si sta appunto dapper­tutto, tutti guardano se uno è educato: tenere la forchetta, non tenere i gomiti sul banco; e D. Cafasso, come insegnava ai convittori a fare il segno della cro­ce, così insegnava a stare a tavola ecc...
Non sono tanti anni fa, un missionario non sapeva mangiare, e faceva cattiva figura. Ma io non posso venire a questo, ci sarà il galateo anche per voi, io non posso venire a questi particolari che s'insegnano dai superiori.
Un abito sporco non dà odore dello spirito del Signore. Povero, rattop­pato, va; ma la povertà è una cosa e la sordidezza è un'altra. Una veste ad uno ci dura, un altro invece dopo poche settimane non è più da vedersi. La roba della comunità pare di nessuno. Anche per lavorare, anche per dieci minuti, anche per poco tempo, l'abblouse (sic); è contro lo spirito di povertà e sta ma­le veder macchie. La pulizia bisogna amarla, come dicono tutti i libri. Comin­ciando dal collo: certi seminaristi, diceva un galateo, pare che escano dall'of­ficina tutte le mattine; questo bravo teologo che scrisse questo galateo parla di tutto. E questo farlo perché è regola di civiltà, se fossimo, come S. Paolo, nel deserto, ammetto, ma ora questo impedisce molto il fare il bene.
Un sacerdote che non tenga tutta quella civiltà non resta stimato. Certa gente non vanno alla Comunione in quella Chiesa perché il Sacerdote non ha tutta la pulizia. Tagliarsi le unghie ecc... per civiltà, ed anche per carità frater­na. In comunità ci vogliono dei riguardi. Certuni non pensano che alla loro comodità.
A carnevale, in mezzo a voi, c'era uno che teneva la carta di musica tutta per sé, cantando, e non faceva attenzione al compagno che si sforzava di vede­re. E lo avvertirò in particolare; l'altro allungava il collo per vedere, e lui l'aveva in permanenza: non ci ha badato, ma bisogna badarci, e se fate atten­zione, è egoismo. La Chiesa non crede di perder tempo a venire a queste cose. I superiori paiono pedanti: pure, bonum ex integra causa. Ebbene, quando ca­pita qualche cosa, il compagno l'avverta, e se si offende, avvertire ancora di più. Più le correzioni sono di cose piccole, e più non vogliono essere corretti. Non dire: «Devo solo andare in Africa». Anche gli africani, come vedono la diversità tra chi ha la barba e chi non l'ha, così pure per il resto.
La modestia è una vera virtù, anche per la castità. Diamo anche uno sguardo a noi, se proprio non abbiamo niente di riprovevole. Se dovesse uno stare davanti al papa, al cardinale: e queste cose esteriori, queste esteriorità fanno strada ad educare il cuore completamente. Questa delicatezza di sentire ci prepara la strada a pensare più umilmente di noi, a non fare offese agli altri, ad essere grati, ed a preferire gli altri a noi. Quella comunità dove sono così ci­vili, è dove sanno amarsi di più. Dove si comincia con una parola grossolana, e poi si finisce col mancare alla carità. Una volta, fuori di Torino ho veduto una suora che sbadigliava forte in chiesa, e, ho da dirlo? ruttava fortemente. C'era uno che voleva andarsi a fare frate in un convento, e gli ho detto: non avrà la forza di sopportare perché lei è troppo fino. Fino con fino, e grossola­no con grossolano. E tutto abbia per fondamento la carità.
Dopo un po' di tempo, diceva S. Bernardo, che i monaci sono qui, hanno presa una faccia disciplinata, ed una buona composizione di tutto il corpo:
parlano meno, hanno volto più ilare, l'aspetto più verecondo, camminano con passo grave: ecco, definisce ciò che deve essere una comunità. E dove queste cose si sono imparate è facile a prenderle, sono solo fuori (sic), i frutti veri do­vrà portarli la cultura spirituale.
40
Questo è che abbiate un'idea di quello che vuole la Chiesa: e non ha cre­duto di perdere tempo, così i Superiori. Si faceva da qualche cattivo qualche appunto alla memoria del Can. Soldati, che diceva che fare due gradini per volta era segno di non vocazione: ed è morto sacrificato. Noi prima di entrare in Seminario dovevamo guardarci se eravamo puliti, guardava tutto: se il col­lare era per traverso, se mancava un bottone, e diceva: «farebbe ben più co­modo per me lasciarli andare, ma no, è mio dovere, e capiranno poi loro in av­venire, quando saranno vicecurati ed avranno poi dei dispiaceri per aver par­lato forte in canonica: e noi siamo proprio riconoscenti. Dunque, desiderio di riformarci. Non bisogna essere gente che si studiano, diceva quel D. Baricco nelle regole dei chierici; certa gente mettono mezz'ora ad alzarsi, — essere lin­di. Un forestiero vede subito la comunità. Quando viene un Superiore guar­darlo subito da testa ai piedi...
Certe comunità che mettono la mantellina sulle spalle.
Ed il Signore ci benedirà, e sarebbe ben impiegato questo tempo se cia­scuno desse a se stesso uno sguardo: «ho niente che dia angustia agli altri?».
Così farà pure effetto in noi, e così verrà una comunità disciplinata.
giuseppeallamano.consolata.org