UDIENZA DEL PAPA

15 novembre 1914
P.P. Albertone, quad. VII, 13-16
15 Novembre (Dell'andata a Roma)
Adesso non so più che cosa vi ho contato o no. Certo è una vera consola­zione, una vera soddisfazione. Vedete là a Roma ci credono un qualche cosa, cum nihil simus. Ieri ricevo una lettera dal Segretario di Propaganda che dice­va che una persona gli ha scritto mandandogli sessanta lire per far battezzare un giovane col nome di Giuseppe, ed egli ha pensato subito a noi. Ed io gli ho risposto ringraziando di tutto ed anche di questo, perché ci aveva già tenuti un paio d'ore là quando eravamo a Roma. È una dimostrazione di amore e di sti­ma. Il Card. Gotti non potete immaginare come ci ha trattati. Quando an­dammo il domestico ci ha detto: «Non ci sarebbe ma per loro c'è». S'è infor­mato di tutto; del numero che eravamo qui ed in Africa. Così pure si è infor­mato delle suore; perché è lui che ci ha dato impulso per questo e il suo impul­so per noi è un comando. Gliel'abbiamo detto che ne abbiamo già 53 senza contare quelle in Africa. E poi è venuto anche ai dettagli, e si vede che legge il periodico; e noi lo consideriamo come vero padre diretto, e ci ha trattenuti lungamente tutti e tre.
All'indomani fummo in Propaganda e ci hanno offerta subito un'altra missione; ma non abbiamo accettato perché non abbiamo mica l'ambizione di avere del territorio, era una missione doppio dell'Italia, che era affidata al Collegio S. Pietro e Paolo ed ora si ritirano per mancanza di soggetti. «Capi­rà, mi diceva il Direttore, se in coscienza possiamo lasciare un missionario a Pisa, uno a Napoli e uno a Milano». È una missione sotto il Messico; ma noi abbiamo domandato che ci dispensassero. Se fosse un vero comando, o anche solo un desiderio, ma si trattava semplicemente di un'offerta libera; ma ci hanno detto che quando l'avessimo voluta ce l'avrebbero data, ma abbiamo detto: «Noi vogliamo infedeli». Questo Istituto dei SS. Pietro e Paolo ha an­che un'altra missione in Cina e questa missione assorbe già tutto il personale. Hanno anche dei piccolini e dei chierichetti e pregavano bene. Quel buon Ret­tore pareva un po' scoraggiato. E già sotto Pio IX che hanno cominciato. Ed io gli ho domandato: «Ma come cominciò questo collegio? » (Qui il copista chiede venia se per difficoltà del discorso gli è stato impossibile di afferrare questo punto).
Fatto è che poco fa hanno fabbricato; ma non c'è l'estensione che c'è qui, ma non importa. E vedete dovremmo essere una cosa sola con essi. Quando la prima volta il Can. Boccardo era andato a Roma per il processo del Venerabi­le, un giorno che ero solo sono andato a vedere questo seminario.
Non c'era il Rettore; ed io ho domandato: «Ma alcuno almeno ci sarà. Potrei parlare con alcuno?». E mi hanno detto che c'era un Missionario venu­to allora dalle Missioni; ed io gli ho esposto il mio caso. Era Mons. Bonzano. Io gli ho parlato della mia intenzione sulle missioni; gli ho detto che io avrei formato dei soggetti e poi li avrei mandati a lui. E lui mi ha detto: «No, faccia una cosa sola, a parte». Ed io sono ritornato senza sapere che cosa fare, e fu poi allora che fui ammalato e sì è fatto questo. Un'altra volta poi sono andato a Roma e l'ho trovato e lui mi ha detto: «Vede che ho fatto bene a darle quel consiglio?».
Mons. Bonzano è poi stato nostro Procuratore finché restò a Roma ed ora lo è Mons. Barlassina. Mons. Bonzano la faceva praticamente ora Mons. Barlassina lo è in modis et formis.
Vedete come il Signore fa. Vedete S. Francesco di Sales voleva fare le sue suore, suore come quelle di carità e invece il Signore gliele ha fatto fare di clausura.
E quel bravo Rettore ci domandava se volevamo unirci; ma gli ho detto che per unirci era necessario che noi o loro ci distruggessimo perché abbiamo regole differenti. D'altra parte noi siamo piemontesi tutti; e non ne abbiamo della bassa Italia. Ma se qualcuno di voi ha voglia di andare là sono io il primo a mandarvi: dummodo Christus in omnibus glorificetur. In quanto poi ad af­fezione noi ci consideriamo come loro fratelli minori; non è il numero che fac­cia. Non è il numero, ma lo spirito.
Tutto questo è per contarvi tutto; vedete come faceva nostra buona ma­dre, quando veniva a Torino a trovare il Venerabile. E poi veniva a casa e ci contava proprio tutto, e così io. Quando vado a Roma ho le mie quattro idee e nient'altro. Mi rincresce di non aver potuto andare alla tomba di S. Stanislao Kostka e di S. Luigi. Pure non c'è stato tempo... le chiese le chiudono presto. Ma a S. Pietro andammo, e mezza giornata fu per S. Pietro. E abbiamo fatto un vero pellegrinaggio. Abbiamo detto un buon Credo, il Te Deum; e così ab­biamo fatto sì che questi giorni sono stati pieni. Ho sempre detto Messa nella camera di S. Caterina da Siena, buona gente, e uno che mi serviva messa par­lava piemontese e mi diceva che era contento di sentire a parlar piemontese.
Un altro ha saputo che veniva da Torino e mi diceva che la Consolata gli aveva fatto molte grazie.
Dicono che a Roma non fa freddo; ma poi bisogna mettere il pastrano sul letto.
C'era la festa in S. Giovanni in Laterano, e noi non abbiamo avuto tem­po perché avevamo motivi particolari per non fermarci. D'altro ho visto nien­te. C'è da ringraziare il Signore per tutto; cominciando dal Papa che era straordinariamente grazioso; mi ha riconosciuto e abbiamo parlato del Con­vitto, delle Missioni e dell'Istituto e di D. Cafasso, poi ci ha benedetti, ma sen­za fretta.
Riguardo al Venerabile, sono andato dall'Avvocato del diavolo, mi ha conosciuto, fu grazioso, mi ha mostrato il ritratto; con quella gente bisogna trattare senza superbia, ma anche senza paura. Mentre ero lì da Mons. Virili, c'è venuto il Dott. Sansalvadore, e abbiamo disputato, e quel galantuomo pre­tende troppo! Vuole forse che mi tagli un braccio... non sarebbe più miracolo ma sarebbe tentare Iddio. Mi ha negato quella dell'ernia dicendo che non era abbastanza provato, provato da uno solo. Mi scusi, gli ho detto, si vede che non ha neppur letto la relazione. Basterebbe uno quando asserisce sotto giura­mento, ma lì sono quattro. Bisogna anche essere un po' discreto! È stata una Provvidenza di Dio di averlo trovato! Quel galantuomo diceva del B... «se fossi stato io non lo avrei beatificato, perché non approvato un miracolo!». Il S. Padre mi ha detto che questi benedetti medici non vogliono più riconoscere i miracoli, pretenderebbero che si risuscitassero sempre i morti.
E poi S. Tommaso fu fatto santo senza miracoli. Non faceva miracoli ed il Papa ha detto: Ebbene, quot sententiae, tot miracula, e l'ha canonizzato.
Tuttavia si va via alla sera con una «stufia»...
Bisogna trattar bene e non essere folle e non pigliarli per traverso. Ma possiamo ringraziare il Signore. A Roma sta bene il proverbio: «Chi vuole va­da e chi non vuole mandi». E i fini eran quelli: le Missioni e D. Cafasso; dopo tanto tempo quei dottori si dimenticano; per ora non ho detto niente; ma do­manderò che quello che fu già dichiarato precedentemente serva anche pel fu­turo; perché i dottori si dimenticano e non vogliono più attestare; vedete la B. Alacoque... da tutto il mondo si desidera di vederla canonizzata; ... pure non trovano miracoli... così pure S. Geltrude era in vita una cosa sola col Signore, come nell'oremus sta scritto: «Jucundam mansionem in Corde Gertrudis praeparasti» e così la B. Alacoque ha fatto miracoli in vita e non ne fa più adesso.
Conclusione è che abbiamo la benedizione del Sommo Pontefice e di S. Pietro e Paolo e un buon sacco di spirito apostolico, e poi tutte le altre cose, benedizioni consigli ecc. non si deve dare importanza ai complimenti «non nobis Domine, non nobis, sed nomini tuo da gloriam». Se credessimo di essere qualche cosa più degli altri il Signore ci umilierebbe. In tanto siamo Istituto e individuo, in quanto c'è dello spirito, volontà energica e spirito di ubbidienza.
Come ho detto al S. Padre: «S. Padre, vengo a portare la piena, assoluta ubbidienza della Consolata, dell'Istituto e delle Missioni». Dobbiamo essere ubbidienti non solo ai precetti ma anche ai desideri. Se desiderasse che pren­dessimo quella Missione la prendiamo, ma era più un invito di fiducia che di altro. Abbiamo ancora del campo da coltivare.
Ringraziamo il Signore e preghiamo pel S. Padre; è molto pallido, men-trecché ha l'aria affabile ha un velo di malinconia... i fastidi che avrà. Ha le­vato gli occhi al cielo al nome del Card. Ferrata, e ha detto: «Come passano le cose del mondo» ed è morto. Il Signore lo ha lasciato eleggere e poi se lo è pi­gliato.
Si monta, si monta e poi si entra nell'eternità. Bisogna empire tutto di vir­tù.
giuseppeallamano.consolata.org