IL MAESTRO DEI NOVIZI — VINCERE LA GELOSIA

25 febbraio 1915
P.V. Merlo Pich, quad. 417-421
P.P. Albertone, quad. VII, 198-200
Giovedì 25 Febbraio 1915 - Ai novizi
Il P. Sales andando in Africa ha lasciato qui tutte le grazie, e tutte le gra­zie le ha prese il nostro bravo D. Ferrero, e perciò spero che avrete trasportato in lui tutta la confidenza che avevate in P. Sales. L'Ufficio di maestro dei no­vizi è uno dei più difficili, perché non si deve soltanto sgrossare le statue, ma si deve andare a quelle finezze, alla perfezione delle statue. E in pratica esso è più importante di qualunque altro in una comunità, perfino di quello di Supe­riore generale. Perché tutto dipende dal Noviziato: quali si formano Novizi ta­li saranno professi, e così per tutta la vita. Perciò voialtri in questo tempo do­vete formarvi e stabilirvi bene nella virtù. E da questo Noviziato se uno è en­trato già buono deve uscirne migliore e se uno è entrato con molti difetti, deve togliere tutti questi difetti, e farsi buono, ed avanzarsi per quanto più può nel­la santità a cui uno è chiamato. Poiché ognuno è chiamato a un grado di santi­tà particolare; tutti siamo però chiamati ad essere perfetti come il Padre che è nei cieli.
Perciò dovete avere col vostro maestro quell'intimità... egli deve cono-scervi; anzi qui dentro dovreste dir tutto tra di voi, conoscervi per potervi aiu­tare, sempre tutto segreto, sicuro, il segreto del noviziato; ma dovreste cono­scervi; e così dovete anche prendere in bene le osservazioni e metterle in prati­ca.
Vedete: qualche tempo fa i Barnabiti hanno tolto dalla Parrocchia di S. Dalmazzo (questo avvenne un 10 o 12 anni fa) hanno tolto un santo parroco che faceva molto bene e i parrocchiani si sono lamentati. Ed io che ho dovuto parlare allora con uno dei Superiori, ho anche parlato di questo, e lui mi disse: «Ah, ma il maestro dei novizi è prima di tutto. Quando noi abbiamo da sce­gliere un Maestro dei Novizi, non guardiamo a nessun'altra cosa».
Così quando ero direttore del Seminario, Mons. Gastaldi diceva nel Re­golamento del Direttore: (regolamento proprio adatto che ha fatto stampare) diceva: «Cuius judicium maxime faciendum est». E infatti quando si trattava di promuovere qualcuno agli ordini sacri, e radunava a consulta tutti i Supe­riori, il giudizio che aveva più importanza era quello del Direttore, e si faceva poi secondo esso: anzi talvolta consultava nemmeno i professori, ma unica­mente il Direttore.
Perciò confidatevi nel vostro Maestro, fatevi conoscere bene da lui, e sia­te contenti che vi avvisi e che venga anche al particolare ed alle piccole cose. Così dovete anche conoscervi tra di voi ed aiutarvi a perfezionarvi. Son con­tento che quotidianamente ci sia sempre qualcuno che dice in pubblico le sue miserie, come mi riferisce il vostro maestro, (di quelle pratiche più importanti mi riferisce sempre); e va bene, non bisogna lasciarla perdere questa bella pra­tica, farla con spirito, venire poco per volta a farla con soavità. Non dico che non ci sia ripugnanza, questa c'è sempre ed ha più merito, ma bisogna venire a farla con una certa soavità, per propria umiliazione, e a edificazione di coloro che sentono.
Così potete conoscervi a vicenda e badare ognuno anche al bene di tutti i compagni. Purtroppo che la pratica della correzione fraterna si fa un po' trop­po poco, perché, finché si è qui il Superiore, costi o non costi, (perché costa sempre al Superiore di avvertire, e prima di dire una parola ad uno si prega e si pensa: chissà come prenderà la correzione) ma, costi o non costi fa la correzio­ne. Ma usciti dall'Istituto quando sarete in Africa che non ci sarà più il Supe­riore, se uno vede che l'altro sbaglia qualche cosa dicendo la Messa, o qualche altra piccola Cerimonia vorrebbe avvertirlo, ma dice: «oh! se lo avverto di qualche cosa guai, salta...». Invece bisogna abituarci a prendere bene la corre­zione fin di qui. Ma di questo parleremo un'altra volta.
.... Bisogna che procuriate di essere tutti della terza classe di quelli che ho detto domenica, poiché quello che ho detto domenica scorsa, mi veniva pro­prio dal cuore, l'avevo meditato prima, e ho creduto di dire il vero, ed è vero. E ho avuto di mira di dirlo a voi, novizi in particolare; ma poi, via, ho voluto dirlo a tutti. Tuttavia non voglio lasciar di dirvelo.. Ma là non potevo mica di­re a ciascuno: tu sei della prima, e tu della seconda. Quantunque a coloro che me lo chiamano lo dico, perché il Superiore è illuminato da Dio.
Certamente ce ne sono anche qui della terza classe (fervorosi), di coloro che danno tutto per Dio, ricevono in bene gli avvisi dei Superiori e li mettono in pratica, poiché non bisogna solo riceverli bene, ma bisogna anche praticar­li.
Ci sono taluni, vedete, che ricevono sì in bene la correzione, gli avvisi, stanno lì in silenzio quando sono avvertiti, ma poi fanno di nuovo come pri­ma, e obbligano il Superiore ad avvertire sempre sulla stessa cosa. No! biso­gna sforzarsi di metterli in pratica, prendere i mezzi.Come dico, bisogna sforzarsi di essere tutti della terza classe: e per questo ci vuole prima di tutto una volontà ferrea; e poi ci vuole costanza nello sfor­zarsi giorno per giorno per riuscirvi.
...Tra voi dovete avere una carità più intima che non cogli altri, che non con tutta la Comunità, e non portare gelosia l'un coll'altro. Ah! questa gelo­sia bisogna stare attenti: c'è in tutti un poco. Generalmente non si ha gelosia con quelli superiori a noi, (adesso parlo del clero fuori) non si ha gelosia con quelli più anziani e neppure cogli inferiori, ma si ha gelosia cogli uguali, con quelli dello stesso corso. Così, se a uno più anziano viene dato una carica più onorifica, vien fatto canonico o Vescovo, «ma bene, bene!». Anche se un 'in­feriore, un po' d'amor proprio in principio magari, ma poi anche: «bene!». Ma se è un uguale, uno del medesimo corso ehhh! quella gelosia, quell'invidia salta su: «quel tale in seminario era più indietro di me, era uno degli ultimi...» e così via.
Così voi, per esempio, se a uno danno un ufficio meno onorifico che ad un'altro, p.e. l'ufficio di gasista, subito: «Oh, potevan darmi l'ufficio che ha quel tale o tal altro». Oppure uno gode di qualche sbaglio di un altro, p.e. la lettura in refettorio... uno gode perché l'altro sbaglia e vien corretto. La cor­rezione a tavola, vedete, raccomando sempre che si faccia, non solo per l'utili­tà pratica, ma per esercizio di umiltà in colui che legge e di carità negli altri.
Esaminatevi dunque bene su questo punto, perché tutti o quasi tutti, (o meglio, diciamo pure tutti) siete gelosi, sicuro! ... e se qualcuno dice di non esserlo, ma dice: «sì, si io son d'accordo con tutti, voglio bene a tutti» non dice la verità, non è vero. Esaminatevi dunque bene su questo punto; fatene ogget­to dei vostri esami. Con questo non voglio che lasciate da parte i proponimenti che avete fatto negli esercizi e nel ritiro mensile; ma potete esaminarvi anche un poco su questo punto.
Prima esaminatevi di qualcuno con cui incontrate un po' di ripugnanza ad andare insieme, che invidiate di più, e poi passerete anche a tutti gli altri. E poi come fare? Prima di tutto pregate per lui, che il Signore lo benedica, anda­tegli insieme, aiutatelo anche a far bella figura: come sarà aiutarlo a prendere un bel voto ad un esame, a far bene qualcosa che ha da fare, come un discor­so, e così via. E poi bisogna anzitutto pregare il Signore che ci faccia conosce­re che siamo gelosi ed in che punto. Perché noi abbiamo certe volte una specie di pigrizia di non voler andare a fondo nei nostri esami di coscienza, per paura di conoscerci troppo e poi doverci emendare: come diceva quel sant'uomo di Mons. Gastaldi di santa memoria — che certe volte non abbiamo voglia di an­dar a far visita a Gesù Sacramentato e stare davanti a Lui, perché abbiamo paura che il Signore ci rimproveri la nostra freddezza, e che ci chiami un sacrifizio che noi non vogliamo fare.
In secondo luogo bisogna aiutarci a vicenda a fare un lavoro o che so io, usarsi ogni tanto qualche piccola gentilezza, certe industrie che la carità sa tro­vare. Non siamo mica tante statue qui dentro che ognuna non tocchi l'altra, ma se ne stiano tutte a sé al loro posto. Oh come è brutto in una comunità l'es­sere come tante statue! Voi avete già fatto il sacrifizio di lasciare il paese, i pa­renti, che è un sacrifizio che costa, e infatti alcuni non han voluto venire, ap­punto per questo distacco... non ci sono più vacanze, ecc.; quindi bisogna an­che rinunziare a quelle piccole ripugnanze che ci possono essere. Altrimenti in Africa come sarete pronti a dare la vita uno per l'altro di cui: «majorem dilectionem nemo habet» se uno non comincia di qui a fare quei piccoli servizi, a praticare la carità nelle piccole cose, laggiù, quando un confratello sarà in pe­ricolo, invece di dare la vita per lui, scapperà. E perciò bisogna cercare di vin­cere quelle piccole gelosie, e prego anche il Maestro che vi corregga anche in pubblico quando vede in qualcuno di voi qualche atto che riveli un po' di gelo­sia. Questo è piuttosto un sentimento interno, ma tuttavia qualche volta può manifestarsi anche all'esterno... Così facendo otterrete anche il fine del Novi­ziato.
giuseppeallamano.consolata.org