ORAZIONI VOCALI

13 febbraio 1916
Quad. XI, 23- 24
(13 Febbr.) Orazioni vocali
Le orazioni vocali, già abbiamo detto (V. p. 13), si distinguono in pubbliche e private, secondo che si fanno a nome della Chiesa coll'au-torità di suoi ministri, come la S. Messa ed il S. Uffizio; oppure no. Le private si suddividono in comuni o particolari, se si recitano insieme co­me in comunità e da questa regolate, o scelte solo da ciascuno secondo la propria devozione, in continuate e giaculatorie (V. Schouppe).
Parliamo della loro necessità e del modo di farle.
1. 1. Le preghiere vocali sono necessario com'è necessario il culto esterno. I) Questo è necessario perché l'uomo consta di anima e di cor­po e tutti e due devono dimostrare la loro dipendenza da Dio; così non basta la preghiera mentale dell'anima, si esige anche partecipino le po­tenze del corpo, specialmente la lingua per manifestare esternamente gli affetti interni verso Dio. - 2) È necessario come spontanea e quasi ne­cessaria conseguenza dell'interno culto; e così la preghiera vocale. 3) è pur necessario l'esterno come naturale aiuto e sostegno del culto inter­no; e così della orazione mentale (V. Marengo T.F. p. 50; V. Scaramel­li I. N. 257).
2. In generale le Indulgenze sono concesse alle sole orazioni vocali. S. Bernardo: Meditatio docet quid desit, oratio ne desit obtinet; illa viam ostendit, ista deducit; meditatione agnoscimus pericula, oratione evadimus.
II. Sul modo di recitare le orazioni vocali, noto 1) Non basta colla sola lingua e labbra. Il Signore per Isaia rimproverò il popolo giudaico:
populus hic labiis me honorat, sed cor ejus longe est a me. È necessaria l'attenzione. Questa è di tre sorta (Scaram. l.c. n. 260). Vedi fatto di S. Bernardo (Scar. l.c. N. 261). Quindi adagio. Es. S. Teresa.
2) Bisogna recitarle intiere non mozzicarle sia d'obbligo perché il demonio non abbia da raccoglierle per nostra condanna, sia libere, per­ché si manca di riverenza alla preghiera.
3) Le comuni siano cantate e recitate da tutti perché tutti diamo a Dio gloria e maggior gloria, senza tanta paura della sanità. I canonici se non cantano e recitano non soddisfano, e non faciunt fructus suos.
4) In posizione di rispetto, e non occupandosi di altro. Si può tut­tavia pregare lavorando purché i lavori lascino pensare e non si tratti di preghiere strettamente obbligatorie. Anche Gesù pregava lavorando nella Bottega di Nazaret (V. Ven. Da Ponte — Vita priv. di Gesù).
5) Notiamo ancora che le orazioni comuni debbono preferirsi alle particolari, e non potendolo farle tutte lasciare piuttosto le particolari. Le particolari possono in chi vi si sente attratto cambiarsi colle mentali, non le comuni (V. Scar. N. 271) od almeno le obbligatorie.
Le particolari è meglio poche e ben dette, che molte e dette con fretta e senza attenzione (Id. N. 267) -; infine vi sia costanza, non trala­sciandole troppo facilmente (Id. N. 268). Vedi quivi fatto del Kempis.
P.P. Albertone, quad. VII, 63-66
13 Febbraio
È arrivata oggi dall'Africa una lettera di Monsignore, tuttavia non ve la leggo: voglio piuttosto dirvi qualche cosa sul Battesimo di Karoli. Monsignore nella lettera, che è del 1° Gennaio, dice solo i preparativi che facevano; natu­ralmente dopo essersi assicurati bene, hanno progettato di battezzarlo su uno spianato che vi è vicino a Tusu, il luogo stesso dove hanno celebrato la prima Messa, quando sono entrati nel Gekoio. Dice che la funzione si sarebbe fatta lì, e questo per desiderio di Karoli. Dice che prenderebbero parte tutti i princi­pini, poi tutti i Seminaristi, poi tutti i Catechisti, e tutti i Padri e tutte le Suore, e la farebbero appunto in giorno feriale perché tutti possano venire, e furono anche invitati tutti i Capi del Gekoio. Da parte sua Karoli dice che ha messo a disposizione otto buoi e capre, ecc. ed ha incaricato noi della farina e del re­sto. Poi ha messo in ordine tutta la casa; le mogli via tutte, ha dato loro il ne­cessario, perché potessero vivere, e ha ritenuto la sola vera moglie. Ha dispo­sto tutto bene, aggiustato tutto come Zaccheo: «Se ad alcuno ho defraudato rendo il quadruplo»: così, egli dice, che ha appianato tutto.
La preparazione prossima pare che sia stata per questo. Un bambino di tre anni era ammalato e un giorno si è messo a chiamare: — Babà, babà! — Karoli lo amava molto questo bambino, e quando è arrivato lì dice che l'altro si rizza in piedi, si attacca al palo della capanna, poi dà una mano a Karoli, e l'altra alla mamma, e allegro dice: «Vado, vado». Non si sapeva ancora bene, allora, quando Monsignore scriveva, ma dice che ci deve essere qualche cosa lì sotto, che abbia dovuto dire: Vado in Paradiso! o qualche cosa di simile. Ci deve essere qualche cosa di soprannaturale. Dice che ha subito dato ordine a P. Benedetto e P. Cravero di scrivere bene tutte queste cosette. Questo è stato l'ultimo colpo, e Karoli dice che voleva annunziare il suo Battesimo a tutti i principi del mondo. Hanno anche invitato il Console di Mombasa, da padrino sarebbe stato il medico che vi è a Fort-Hall, e parecchi altri Ufficiali del Forte. Quindi avrebbero fatto una gara di catechismo, dopo in Processione sarebbe­ro andati ad una Cappella della Consolata che vi è a Tusu; e là avrebbero data la benedizione. Per questo giorno l'automobile l'avrebbero aggiustata bene, e doveva condurre i due sposi dallo spianato alla Cappella. Dice che avrebbero fatto tutto il possibile per rendere solenne la funzione. E va bene. Cosi gli altri capi diranno: Se Karoli che è il primo capo, si è fatto Cristiano, anche noi vo­gliamo seguire il suo esempio. Vi è ancora un altro ragazzo di Karoli, che vuo­le a tutti i costi ricevere il Battesimo insieme a suo Padre: ma dice che non glie­lo avrebbero ancora dato: è ancora da provare. E quanta gente si sono ralle­grati per questo telegramma della conversione di Karoli!... È un gran passo nella via della conversione. Voialtri però ne avrete ancora, e poi vi è il Kaffa; il tempo in cui vi sia «unum ovile et unus Pastor» non è ancora arrivato. Ah, Deo gratias!
Abbiamo detto l'altra volta che l'orazione si divide in mentale e vocale. Qualche parola l'abbiamo detta sull'orazione mentale, ora parliamo un poco della vocale. Le orazioni vocali si dividono in pubbliche e private. Pubbliche quando si fanno a nome della Chiesa: per esempio la S. Messa è sempre pub­blica, il Breviario è una preghiera vocale, ma pubblica, perché si dice a nome della Chiesa. Orazioni private invece sono tutte le altre, escluse queste che si fanno a nome della Chiesa. Sono private quelle che facciamo in Comunità, tolto la Messa e Breviario. Poi le vocali, si suddividono ancora in comuni e particolari: comuni sono quelle che recitate nella Comunità al mattino e lungo la giornata, private quelle che ognuno recita secondo la propria divozione. Queste sono preghiere private particolari. Dico questo perché diate importan­za alle comuni e particolari.
Ora la preghiera vocale è più nobile della mentale? O piuttosto non basta pregare solo con la mente, tenendo le labbra chiuse; non basta?... No, non ba­sta... S. Tommaso dice che non vuol andare a vedere fino a qual punto biso­gna pregare colle labbra, ma basta l'esempio di N. Signore, che tante volte ci ha insegnato a pregare vocalmente, non solo meditando. E quando N. Signore dice: «Pregate, pregate» non intende solo la preghiera mentale, ma anche la vocale. Non basta la lingua; perché il Signore non esige solo da noi le potenze dell'anima ma anche del corpo. Quindi dobbiamo tributare a N. Signore la preghiera sia dell'anima, e sia del corpo, e la prima potenza del corpo che pos­siamo dargli è la lingua, poi la posizione. Sapete che si domanda in Teologia se basta nella preghiera il culto interno, se oltre il culto interno sia necessario avere anche quello esterno, e naturalmente tutti dicono di sì. E l'orazione vo­cale è necessaria per tre motivi: Prima di tutto la preghiera vocale eccita, aiuta l'orazione mentale; è conveniente che il culto esterno aiuti il culto interno:
tante volte abbiamo la testa in aria, ebbene il culto esterno aiuta quello inter­no. Quindi è necessaria l'orazione vocale, per aiutare l'orazione mentale. E poi l'orazione mentale, quando è ben fatta, da come frutto l'orazione vocale. Quando uno è pieno di amor di Dio, si sente tutto infervorato, viene di sua na­tura il bisogno di manifestare i sentimenti interni, e questo si fa coll'orazione vocale. In terzo luogo noi non abbiamo solo l'anima, ma anche il corpo: quin­di non solo l'anima deve dare lode a N. Signore, ma anche il corpo in quello che può. Per questo terzo motivo è necessaria la preghiera vocale oltre a quella mentale. Tenete a mente questo, che la preghiera vocale è di somma necessità. Uno che dica: Non voglio fare che l'orazione mentale direbbe uno sproposito. Questo è proibito persino dalle preghiere pubbliche che impone la Chiesa. Di­re la Messa come fare?... È una preghiera pubblica. Così pure il Breviario, in qualche modo bisogna dirlo esternamente. C'è qualcuno che dice che certi fra­ti avevano il privilegio di fare continuamente orazione mentale; ma lasciamo stare questo, la Messa e il Breviario, certo è che non basta l'orazione interna, ma ci vuole anche l'esterna. S. Bernardo dice che la meditazione mostra la strada, e poi l'orazione vocale conduce: «Illa viam ostendit, ista ducit». Lo stesso P. Segneri contava al punto di sua morte che si doleva di non aver sti­mato abbastanza l'orazione vocale. Mica che non facesse proprio niente, ma escludeva solo quello che era obbligato a dire. Ma intanto in punto di morte se ne lamentava. Lui stesso ha confessato che quando era ancora studente di Teologia preferiva l'orazione mentale, e voleva quasi tenere solo quella, ma poi che gli sia venuta un'ispirazione o cosa, ha cambiato idea. Una aiuta l'al­tra. Ricordate questa idea generale dell'orazione vocale e mentale.
Adesso diciamo qualche cosetta sul modo di farla l'orazione vocale. Non basta con la lingua, se no, facciamo come diceva là N. Signore del popolo d'Israele: «Populus hic labiis me honorat, cor autem eorum longe est a me». Questo popolo mi onora ma soltanto con le labbra, e il loro cuore è lontano... da me. Non basta formulare tanti Pater noster soltanto con le labbra, ma la preghiera suppone l'attenzione del cuore, se no, che vale che diciamo Pater noster a N. Signore?... Se preghiamo solo lì così... è inutile, peggio, che inuti­le. Quindi ci vuole attenzione. «Attentio ad verba — ad sensum — ad Deum». Far attenzione alle parole, non masticarle. Attenzione a quel che si dice, capi­re il senso. E poi ad Deum: parliamo a Dio. Una volta che ci vuole le parole; dirle bene; al senso, penso a quel che dico; questo ad Deum l'è il più bello. Di­ciamo il Rosario, sebbene le parole non si riferiscano direttamente a Dio, pos­siamo rivolgere la mente a Dio. Le Suore, tanta buona gente dicono il Rosa­rio, e non capiscono le parole: tuttavia intendono di onorare N. Signore come è espresso nella preghiera. Sanno che qui ci sono espressioni di onore, di lode, di ringraziamento a N. Signore, e basta. Ricordatevi di questo ad Deum; aiuta tanto. Quando diciamo i Salmi, si capisce, non possiamo star lì a far attenzio­ne a tutte le parole, ma di tanto in tanto fermarci a qualche frase che ci colpi­sce di più. Per esempio quando diciamo: Sit nomen Domini benedictum! Che il nome del Signore sia benedetto. Che il Signore sia benedetto da tutti quelli che lo maledicono, e in tutti i posti. Quindi recitatele con attenzione le pre­ghiere; se si dicono, dirle bene. C'era in Coro l'abitudine di accompagnare le preghiere del Sacerdote dal principio della Messa: In nomine Patris, ecc. Una mattina c'erano due Canonici che le recitavano, ma così in fretta... ma per­ché?... Che bisogno c'è di andare così in fretta?... Oh, tanto non siamo obbli­gati...». Ma se non siete obbligati non ditele... Che rispetto alla presenza di Dio?... Non masticatele mai le parole, che il diavoletto non le porti via... State attenti a questo. Avviene certe volte che mentre si prega tre o quattro dicono le preghiere, e gli altri non si sentono. Ieri abbiamo fatto la sepoltura del Can. Casalegno, ed è anche venuto un Istituto di ragazze, ve lo dico subito, l'Istitu­to delle Orfane, le sole che vengono alle sepolture dei Canonici. Saranno state un 60 in tutto, ma più che un otto o dieci non cantavano, e si vedeva che tene­vano proprio la bocca chiusa. Che qualcuna non stesse bene concedo, ma che tutte non potessero perché malate non credo. E qualcuno ha fatto qualche os­servazione su questo, e va bene. Questo può anche succedere in Comunità, e credo che il Sig. Prefetto abbia già dovuto farlo notare qualche volta. Questo non abbiate tanta paura che faccia male. Mi ricordo che il Can. Soldati diceva a noi Chierici del Seminario: Il Canto della Settimana Santa non ha mai fatto intisichire nessuno, e per le funzioni del Venerdì Santo e del Giovedì Santo è mai morto nessuno. In Comunità bisogna che cantino tutti, e non cantare in modo che non si percepiscano neppure, ma cantare quanto si deve. Così acca­de tante volte che in Comunità qualcuno dice piano, piano da farsi appena sentire. Ma su, diamo lode a Dio, al Signore, col corpo, con la lingua: Bisogna che ci diano spinta? Facciamo noi coro. Ho già provato che quando alcuno ri­mane così, e non dice, se noi per parte nostra diciamo forte, ciò eccita anche gli altri a dir forte, e scuotersi. Perciò prego il Sig. Prefetto che quando qual­cuno non muove le labbra pregando lo avvisi pure. Ma non facciamo come quella vecchierella che è là alla Consolata. Costei viene sempre là al suo posto vicino all'altare, e non lo lascierebbe... E là risponde forte al Rosario, canta, ma con una voce che nessuno la può soffrire. Non voleva che uno andasse a dar lui la benedizione, ed ha fatto tutto il possibile per farlo andar via; adesso colui è già andato via. Portava sempre con sé un campanello per dare il segno, e lo metteva proprio là; cosicché una volta io son passato là, visto quel campa­nello ho creduto che qualche sacrestano l'avesse dimenticato, e l'ho portato via; quella tale se n'è accorta e... pareva la fin del mondo!... Ebbene, quella tale vuole essere presente a tutti i Rosari che si dicono, a tutte le benedizioni che si danno, mattina e sera, e poi quando è là canta, fa tante di quelle stramballate che è insopportabile. Il Teologo Boccardo diceva: Ma se almeno an­dasse lontano a cantare, ma è sempre lì attorno al mio confessionale, non si può più resistere. L'hanno già avvisata, ma si... si offende subito. Una volta l'ho dovuta avvertire io, che cantasse pure, ma con moderazione... ed essa ha risposto: «Tuti a devo pie norma da mi». Vedete, quella lì ha troppo buona volontà. Noi alla Consolata abbiamo detto: Se potessimo prendere un poco da quella tale, diamone a tanti altri che sono l'opposto, e allora andrebbe bene.
Sapete che S. Bernardo ha avuto una visione. Mentre i suoi frati erano in coro, egli ha visto un Angelo che scriveva il nome dei frati, ed alcuni li scrive­va in oro, altri in argento, altri in nero, ad altri scriveva niente. Quando tutto è stato fatto gli ha dato la spiegazione: quelli in oro erano i frati che recitava­no bene il Breviario, con la divozione interna, con fervore, e dicevano tutte le parole. Quelli in argento lo dicevano anche bene, ma meno. Quelli in nero era­no quelli che — labiis me honorant — facevano le cose materialmente. Quelli di cui scriveva niente erano quelli che dormivano, facevano niente. Le pre­ghiere guardate di dirle bene. Se c'è tutta la Comunità che prega, bisogna dire insieme. Se il Signore in quel momento vi manda delle estasi, dite: lasciatele stare le estasi, ora ho da pregare in comune. Gli altri fanno meditazione, fate anche voi meditazione; fanno preghiera vocale, recitate anche voi preghiera vocale.
E durante i lavori manuali? Direte: Qui non si può più far attenzione a quel che si dice: No, fate tanto bene a pregare durante i lavori manuali; un po­co si può tenere l'attenzione a Dio. In ogni luogo si può pregare: Orate in omni loco. N. Signore nella casa di Nazaret pregava tutto il giorno. La Ma­donna e S. Giuseppe mentre lavoravano parlavano mica del vento e della piog­gia; recitavano i Salmi. Non come dice qualcuno, che il lavoro è preghiera: ho da dire il Breviario, e mi metto a lavorare, questo è preghiera, no... Si può qualche volta interrompere, per esempio, quando vado in Confessionale pren­do un Salmo e ne dico metà, poi viene una persona a confessarsi e interrompo. Si capisce dopo riprendo il Salmo da metà e continuo. Questo è lasciar Dio per Dio e non Dio per lavorare.
Riguardo alle nostre preghiere particolari non bisogna che siano troppe. Quel testo del Vangelo: «Nolite multum loqui orantes» non va inteso di pregar poco, come qualcuno ci fa dire. S. Agostino dice: Non vogliate pregare molto colla bocca e poco col cuore, se no, pregate pur molto. Ci vuole costanza quando facciamo le novene: la Madonna ha più caro poco, ma che sia costan­te: «Quidquid parvi dummodo constans». Lo Scaramelli racconta che il Da Kempis era molto divoto della Madonna. Un giorno che era nello studio vide la Madonna che veniva dal Cielo, e abbracciava tutti i suoi compagni, e quan­do è stata vicino a lui l'ha guardato un po' brutto, e poi se ne è andata. Egli le ha domandato il perché ed Essa ha risposto: «Perché una volta dicevi bene le preghiere in mio onore, e poi le lasciavi; mancavi di costanza. Guarda di ri­prenderle di nuovo, e allora quando venga abbraccerò poi anche te».
Guardiamo anche noi di dare importanza alla nostra preghiera, che non sia un vero fantasma. Oltre a questo serve a incoraggiarci a pregare bene le in­dulgenze che concede la Chiesa. E di regola la Chiesa nel dare queste indulgen­ze, esige, eccettuato qualche raro caso, che vi sia l'orazione vocale. Se dite qualche preghiera a cui sia annessa qualche indulgenza, per guadagnarla biso­gna che la diciate vocalmente. Non par vero che in Comunità ci sono tanti che recitano Pater noster, e li dicono giù... solo per la fretta di andare alla fine. No, che non c'è fretta!... S. Teresa, sapete, una volta recitava l'Angelus, e una Suora rispondeva le Ave Maria in fretta in fretta. Ed essa sapete che cosa ha fatto? Si è fermata, ed aspettava che la fretta andasse via, per riprendere poi quando la fretta fosse stata fuori di Chiesa. Il Sig. Prefetto se si accorgerà che qualcuno vada in fretta farà poi anche così. Ah! che quel diavoletto è sem­pre pronto a portare via qualcosa! Non avete paura?...
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