DISTACCO DALLA PROPRIA VOLONTÀ

 26 novembre 1916
Quad. XII, 25-26
Volontà propria
(26 Nov. 1916)
Per corrispondere alla vocazione e tendere alla perfezione è neces­sario distaccarsi dalla volontà propria (S. Alf. Op. St. Rei. 405). Que­sta è la cosa più necessaria (l.c. 408); che si dice ad ognuno prima di en­trare: lascia fuori la testa, ti taglieremo la testa. S. Filippo diceva: date­mi due dita, e vi darò un santo. Eppure il voglio domina nel mondo ed anche vive nelle Comunità; e peggio non si considera il male che fa que­sta volontà propria. Chi non si distacca dalla propria volontà fa una vi­ta senza pace, senza meriti - inutile.
1. Senza pace. S. Bernardo pronunciò una grande sentenza: Cesset propria voluntas, et infernus non erit. Spiegandola S. Alfonso dice che la propria volontà non solamente ci conduce all'inferno nell'altra vita, ma anche in questa ci fa soffrire un inferno anticipato. Infatti nell'in­ferno si è privi d'ogni sorta di beni e si soffre ogni sorta di mali. Così chi attende a far la propria volontà perde ogni bene e fa tanto male (Rep.). (P. Bruno — Conf. vol.). Questo è il motivo per cui una religio­ne, che dovrebbe essere l'anticamera del Paradiso, riesce quasi un in­ferno di pene e di inquietudine.
2. Senza meriti e con molti demeriti. S. Anselmo dice che la volon­tà di Dio è sorgente d'ogni bene, la propria d'ogni male. S. Bernardo paragona la propria volontà alla sanguisuga ed alla vipera: Fuge hanc sanguisugam, propriam voluntatem; haec enim omnia trahit ad se. — Caveamus ab illa tanquam a vipera pessima et nequissima. Come la sanguisuga succhiando il sangue indebolisce e riduce all'estremo delle forze, così la propria volontà ci toglie il principio di tutti i meriti che è la volontà di Dio... Come la vipera avvelena tutto il sangue, così la pro­pria volontà guasta i pensieri, e tutte le nostre azioni, e ci conduce alla morte dell'anima: possit damnare animas vestras (P. Bruno l.c.). Lo stesso S. Bernardo conchiudeva: Grande malum, propria voluntas, qua fit ut tua bona, tibi bona non sint. Al tempo di Isaia gli Ebrei pro­vati da molte tribulazioni invocarono la misericordia di Dio, e non esauditi, se ne lamentavano: jejunavimus, et non aspexisti... E Dio ri­spose: Ecce in die jejunii vestri invenitur voluntas vestra.
Quante buone opere senza frutto perché si cerca solo la soddisfa­zione.
3. Senza utilità, anzi con danno della Comunità. Gli attaccati alla propria volontà sono il tormento di se stessi e dei Superiori, i quali non possono servirsene. Vogliono fare ciò che loro talenta, e se piegano alla volontà dei Superiori, si vede che lo fanno per forza, disapprovando anche, almeno nel loro interno, ogni ordine. Costoro se sono ancor no­vizi devono mandarli via perché non sanno che farne; e se già professi perpetui lasciarli in un canto, come un ingombro perché non vogliono mai adattarsi a nulla. Quanto male fanno questi sussurroni nelle Co­munità! (P. Bruno l.c.).
Ma più di questi motivi devono spingerci a combattere la nostra volontà l'esempio ed i detti di N.S.G. Cristo. Egli prefissasi la sola vo­lontà del suo Eterno Padre, scritta nel libro del decreto dell'Incarnazio­ne si propose di farne norma di tutta la sua vita mortale: S. Paolo agli Ebrei: In capite libri scriptum est ut faciam, Deus, voluntatem tuam...;
tunc dixi: Ecce venio, ut faciam Deus voluntatem tuam. Non mai fece la propria volontà, ma quella del Padre: veni non ut faciam vol. meam, sed Ejus qui misit me... Christus non sibi placuit... Quae piacita sunt Ei facio semper. Non mea voluntas sed tua fiat. — Non basta ciò per ani­marci a vincere i capricci della nostra volontà? Ma a noi Gesù rivolse una parola speciale: Qui vult venire post me, abneget semeptipsum. Che vogliono dire queste parole? Risponde S. Gregorio: Avendo il Si­gnore proposto ai suoi seguaci di rinunciare omnibus, fa un passo in­nanzi, e dice che bisogna rinunziare a sé: Ibi dicitur ut abnegemus no­stra, hic ut abnegemus nos. Et
fortasse laboriosum non est homini relinquere sua, sed valde laboriosum est relinquere semetipsum.
Il  nostro proponimento di sfosserà, che dovremo rinnovare tutti i giorni si è di dar guerra a morte alla volontà propria, e sepellirla nel se­polcro dell'obbedienza, come dice S. Gio. Climaco: obedientia est se-
pulcrum propriae voluntatis. Dobbiamo ubbidire corde et animo ai Su­periori, facendoci davvero indifferenti agli impieghi, agli studii, ai la­vori ecc.; e non mai raggirarci per ottenere quanto la nostra volontà vorrebbe. Facciamoci la santa abitudine di non mai riflettere sugli ordi­ni e disposizioni dei Superiori; ma che l'anima e la mente sin dal primo istante pensi ad eseguire come voce di Dio ogni comandamento. Si dice di S.M. M. de Pazzi, che in tanti anni mai non si potè conoscere la sua volontà. (V. P. Bruno C. Vol. pr.).
P.P. Albertone, quad. VII, 182-186
Conferenza del 26 Novembre 1916
Chi è che ha fatto la predica? (Ch. Manfredi) Bene! Bisogna fare la voce grossa... Eh! infirma mundi elegit Deus ut confundat fortia. Già, mi ricordo che queste parole le ha dette una volta il Vicario Generale al Canonico Giorda­no, che era un famoso predicatore, ma era già vecchio, e perciò quando faceva una predica dopo doveva stare a letto... era piccolino, e stava sempre ritirato...: non aveva salute. Per fare una predica, dopo era sfinito... la voce non poteva farla venire fuori...: era una creatura così esile! Eppure andava sempre a S. Ignazio, ed aiutava nella predicazione; ma poteva far poco, pove­retto!... Un anno ha predicato il quaresimale in Duomo, e c'era sempre la chiesa piena... per obbedienza aveva accettato di farlo... ma ecco che negli ul­timi giorni, il giovedì Santo, quando si trattava di far la chiusura lui era a let­to. Allora c'è andato il Vicario generale e vedendolo in quello stato, gli ha det­to: Infirma mundi elegit Deus ut confundat fortia e gli ha comandato che si al­zasse, che assolutamente doveva farla lui la predica. A quelle parole, come di­ceva poi lui nel quaresimale che si è stampato, a quelle parole mi alzai e sono andato a predicare... Io allora ero ancora studente, e mi ricordo che in chiesa non c'era proprio più un filo di vuoto. C'era tutta la chiesa gremita...
Ah! facciamo la volontà di Dio! Otterremo la salute eterna. Sitivit in te, arsi di sete di fare quanto vuole il Signore. E questo non solo per la scelta dello stato in genere, ma anche in ogni minima cosa. Stassera voglio appunto parlarvi della propria volontà.
È vero che voi avete già tagliata la testa, come ho detto a qualcheduno di voiquando è venuto, neh?... Una volta che dicevo quel lì ad un piccolino, mi diceva: «Non voglio !...».Non capiva. Ad altri poi dico quello che diceva già S. Filippo, segnando la fronte: «Datemi queste due dita, ed io ne farò un santo». E voleva dire la volontà. Altre volte diceva a quelli che entravano in religione:
«Se ami di lasciar fuori la tua volontà, riuscirai». Io ne sono convinto: tutto per un poco di volontà.
La propria volontà è un gran male, un grande ostacolo che si oppone alla corrispondenza alla vocazione, l'essere attaccati alla propria volontà. E di propria volontà ne abbiamo tutti, dobbiamo persuaderci di averla: non ci esa­miniamo mai abbastanza.
Prima di tutto vediamo che se non si combatte la propria volontà, non avremo mai la pace; 2°. Non ci faremo mai nessun merito, anzi ci faremo dei demeriti; in 3° luogo: Non solo nella comunità saremo inutili, ma forse anche dannosi. Queste sono tre verità, sapete, che si possono provare con gli esempi dei santi.
E prima di tutto, se non rinunciamo alla volontà propria, se non distrug­giamo la volontà propria, non avremo mai la pace. Qui non si tratta della fa­coltà, quando sta a suo posto, ma di quelle velleità...Queste assolutamente bi­sogna metterle da parte se vogliamo avere la pace; S. Bernardo diceva: Cesset propria voluntas, et infernus non erit: cessi la propria volontà e non ci sarà più inferno. E S. Alfonso lo spiega e dice: Che non solo non ci sarà più inferno nell'altro mondo, ma non ci sarà più inferno anche in questo mondo. Se uno non rinnega la propria volontà, ha sempre dei fastidi, questa volontà non ha pace; si trova sempre contraddetta, agitata; ha sempre da trovare a dire ai su­periori. Ed in comunità questo avviene dalla mattina alla sera. Basta che il su­periore abbia comandata una cosa, perché l'altro ne abbia subito un'altra: è una catena che lo tiene continuamente legato. Allora uno è poi obbligato a fa­re le cose per forza: ma il nostro cuore non è contento: è roba fatta per forza.
Dalla mattina alla sera la volontà di Dio si oppone a quella dell'uomo. Prima del peccato originale non era così; ma dopo il peccato originale, la na­tura si è ribellata. E per togliere questo male bisogna tagliare via la nostra vo­lontà, rinnegarla. Altrimenti si conduce una vita infelice. Dobbiamo farlo an­che solo per avere un po' di pace in questo mondo. Allora facciamo ogni cosa bene e siamo contenti, non sentiamo nessun rimprovero in cuore; altrimenti non c'è pace: non est pax impiis. Non solo soffrono l'inferno di là, ma anche qui ogni cosa riesce loro gravosa, soffrono l'inferno anche in questo mondo. Tenete bene a mente queste parole: cesset propria voluntas et infernus nonerit.
Ecco il motivo per cui nelle Comunità che dovrebbero essere l'anticamera del Paradiso, c'è sovente tanta inquietudine: si vuol fare la propria volontà, si giudica i comandi dei superiori. Non giudicate e non sarete giudicati. Chi non è obbidiente, diceva il P. Bruno, riesce un inferno, riesce di peso e d'inquietu­dine in una comunità. Dunque esaminiamoci: Ho sempre fatta la volontà di Dio? Oppure ho fatto quello che volevo fare io? S. Teresa diceva che vale più il sollevare da terra una paglia per obbedienza che il digiunare per un'intera quaresima. E non esagerava, sapete, perché il Signore non guarda alla cosa in sé; il Signore vuole il cuore, la volontà. Dunque dobbiamo rinunciare alla no­stra volontà per avere un po' di pace in questo mondo.
Questi medesimi, diceva anche il P. Bruno ai suoi Filippini, sono vittime della banderuola della loro testa, la loro testa è una banderuola. Dunque dob­biamo fare questo per avere la pace; e quindi fare la volontà di Dio con la mente e col cuore, mente et corde. E quindi sarà scopare, fare il ciabattino, Deo gratias! Pensare che anche lavorando si giunge alla perfezione; fare medi­tazione. Mons. Massaia diceva una volta: Queste scarpe me le son fatte io. Si­curo! Tutto è nobile, niente eccettuato...
In secondo luogo dobbiamo rinunciare alla nostra propria volontà per farci dei meriti. S. Bernardo paragona la nostra volontà ad una sanguisuga. Dice così: Fuge hanc sanguisugam, idest propriam voluntatem; haec enim omnia trahit ad se. Fuggite la propria volontà perché tira tutto a sé. Cosa fa la sanguisuga? Tira, tira, e se la lasciate li succhia via tutto il sangue. Così fa la propria volontà: ci porta via tutti i meriti. Quando vi costa un poco fare l'ob­bedienza, pensate alla sanguisuga che porta via ogni opera buona, il merito ti­ra via tutto il buon sangue.
Poi paragona anche la volontà propria ad una vipera: Caveamini ab illa tamquam a vipera pessima: fuggite la propria volontà come una vipera pessi­ma. Non solo ci toglie il bene, ma ci infiltra il male, il veleno. Anche le opere che sono buone, la nostra volontà non ce le lascia fare per Dio, ma ci mette la cattiva intenzione. Ci fa fare le cose per nostro capriccio, non per obbedienza. Si giudicano i comandi dei superiori...: non ne abbiamo il diritto; è superbia! Vorrebbe fare un'azione invece di un'altra... Veleno! Veleno! Veleno! ... È una vipera che ci tira via tutto il bene: Caveamini ab illa, cioè la propria vo­lontà, tamquam a vipera pessima.
Vedete questo fatto, ve l'ho già ricordato altre volte: gli Ebrei facevan tante penitenze, eppure il Signore continuava sempre a castigarli. Allora anda­vano a dire: Nonne jejunavimus? ... Cosa ha risposto il Signore? «In jejuniis vestris invenitur voluntas vestra». Nei vostri digiuni, fate i vostri capricci. Io voglio che facciate la mia volontà, non la vostra. Io non voglio che facciate penitenza, voglio altro. Cosa vale che uno digiuni tutto il giorno se l'obbe-dienza vuole che vada a mangiare? Non è la cosa in sé che io guardo, ma vo­glio che facciate quello che voglio io.
Voi basti che potete sempre sapere quale sia la volontà di Dio! diceva S. Giovanni Avila ai religiosi. Voi fortunati che siete sempre sicuri di fare la vo­lontà di Dio. Nel mondo si sta sempre lì, mi posso ingannare, ho paura che l'amor proprio mi tradisca, e quindi devo sempre stare attento. Invece voi altri religiosi siete sempre sicuri.
C'era una che mi diceva: Io andrei a farmi religiosa, ma non posso più sentire le mie dieci Messe che sentivo, non posso più sentirne che una o due. Questo non è un motivo per non farsi religioso; il non poter più sentire tante Messe: basta una messa. Certo che è una bella cosa il sentire tutte le messa che si dicono alla Consolata... tutte belle cose ma non per te... S. Bernardo dice­va: Grande malum propria voluntas (Si vede che doveva anche lui battere so­vente su questo punto coi suoi frati!) qua fit ut tua bona tibi non sint bona: per la quale i tuoi beni non sono più beni per te. Se non siamo ben attenti è proprio così. La tal cosa è bene in sé, ma non è bene per te. Vedete S. Bernar­do batteva sovente su tutto questo.
Facendo la volontà dei superiori perdiamo ogni responsabilità davanti a Dio, se la prendono loro. Se sbaglio, si aggiustino loro. Quando ho da confes­sare qualche scrupoloso dico sempre quelli: Fa quello che ti dico io, non sei tu responsabile, me la prendo io. Se non vogliono poi lasciarti entrar in Paradi­so, dì così che rendo poi conto io. E se son poi già là mandami poi a chiama­re. Il Signore ha detto: Qui vos audit me audit. E quindi dì poi a S. Pietro, a S. Michele o via, se non ti vogliono poi lasciare entrare, dì loro che rispondo io... La vostra volontà è un gran male davvero, ne son convinto!...
Il terzo motivo è che se non si rinuncia a questa volontà propria, in una comunità uno è inutile se non dannoso. In certe comunità vogliono sempre ri­petere qualche osservazione, vogliono sempre fare quello che hanno in testa e quindi trascinano le cose... sono inutili. Il superiore comanda una cosa, ed al­lora se sono religiosi di spirito fanno la cosa bene; se no, si mettono in un an­golo. In comunità, non voi, ma in altri posti... Ebbene ci son tanti posti: c'è da fare scuola, una cosa ed un'altra. Quello lì non fa bene in nessun posto. Bi­sognerebbe crearlo per lei un posto. Si dirà che è buona a niente. Dappertutto trovano qualche cosa da dire. Un superiore non guarda abbastanza alla sua anzianità, un altro ha un'altra cosa da dire: sono un vero supplizio nella co­munità. In questi casi, un superiore che cosa deve fare? Bisogna vedere: Sono vecchi? Ed allora bisogna avere pazienza. Oppure son giovani? Allora bisogna che li scuota. Una volta ne ho scosso una in regola. Ero superiore di un Istitu­to di suore e ce n'era una che non faceva mai niente, era sempre a letto. Finché una volta io ho detto: Ormai è tempo di finirla questa storia: l'obbedienza fa miracoli. E ho pregato, e poi ho detto che da mangiare non se ne doveva più portare in camera; se voleva mangiare andasse in refettorio. «Ma... non posso discendere...». La porteranno giù! Le prepareranno una minestrina in regola; ma d'ora innanzi non mangerà più se non in refettorio. Ebbene è guarita! Ed è ancora viva adesso e ha sempre fatto scuola, e adesso è superiora. Essa dice che è un miracolo della Madonna di Pompei; ma sia quello che si vuole... ma bisognava scuoterla, ed essa mi ringrazia sempre... Era un capriccio!... Voi non andate a questo punto. Tuttavia ci potrebbe essere qualcuno che per un po' di male vorrebbe questo e quello... E allora si dice che il superiore non ha cuore... E poi in Africa si metterà uno in un posto; ed allora un posto non pia­ce tanto, l'altro anche. Allora i superiori lo tolgono e lo mettono in un altro posto e li sarà di nuovo la stessa storia... Guai!
Bisogna proprio distruggerla questa volontà propria. Dell'esperienza ne ho tanta, sapete! Delle comunità ne ho già dirette, sia di donne che di uomini!... Quando c'è da fare una cosa, non bisogna fare la nostra volontà;
anche quando si prova ripugnanza. Se è una cosa che ci fa piacere, farla piut­tosto perché siamo obbligati. E se non ci piace, farla ancor più volentieri per amor del dovere. E quando c'è da andare in un posto, si va, si abbia voglia o no. Se quando io ho da andare in Duomo, dicessi che non ho voglia, dove an­dremmo?... Non ho voglia?... ebbene vado ancor più volentieri.
Si è più soddisfatti quando si è fatto il proprio dovere, senza trovare da dire. Il giudicare così facilmente le disposizioni dei superiori è cattivo segno. Va così bene il vedere a far le cose con prontezza! Invece tante volte in comu­nità basta che il Superiore comandi una cosa perché ci sia subito da fare un'obiezione, troviamo subito da dire qualche cosa, si trova subito un difetto da mettere fuori: e questo è contro la vera obbedienza. S. Ignazio dice che questo è segno di spirito cattivo. Invece quando il superiore dice una cosa bi­sogna subito chinare la testa e poi se c'è da fare un'osservazione si fa con umiltà; ma non appena detta una cosa, subito l'obiezione. Siamo inclinati al male!... Questo rende pesante l'individuo alla comunità.
È così bello vedere di quelli che obbediscono subito, che il superiore di­ce: Se ho una cosa da far fare, son certo che vado da quelli e me la fa bene... è malleabile, pieghevole. Invece il tal altro fa subito delle difficoltà, obbedisce con delle smorfie. E quelli fa male al superiore. Tante volte comanderebbero qualche cosa, ma hanno sempre paura:«Preferisco farlo io». Invece no! devo farlo fare dagli altri; questo è anche un loro dovere. Certo che i superiori preferiscono farle loro le cose, ma devono farle fare dagli altri. Ma io spero che qui i superiori non devono mai dire così. Noi dobbiamo ubbidire cieca­mente, non mai trovare a dire... dobbiamo sacrificare quelle due dita. Guai a chi vuol trinciare negli ordini dei superiori. I superiori ci hanno pensato prima di comandare e non sono obbligati a dire tutto. Diranno solo: Fate questo e non quest'altro; e noi dobbiamo fare tutto come ci dicono...
N. Signore Gesù Cristo sia cogli esempi che coi detti ci dichiara che non c'è altra strada per salvarsi che quella di fare la volontà di Dio, dell'eterno Pa­dre. Su questa terra Egli ha sempre fatto la volontà di Dio, mai la propria, fin da principio egli diceva: «In capite libri scriptum est de me ut faciam voluntatem eius qui misit me». N. Signore fin da principio, nella sua incarnazione ha fatto la volontà del suo eterno Padre. Quelli è stato il suo punto di partenza. Il Suo eterno Padre voleva l'Incarnazione ed Egli ha risposto: «Tunc dixi: Ecce adsum: eccomi pronto!». Queste parole sono il compendio di tutta la vita di N. Signore Gesù Cristo su questa terra.
Il suo eterno Padre gli aveva dichiarato la sua volontà ed egli l'eseguiva. Questa volontà era in mezzo del suo cuore: «in medio cordis mei». In tutta la sua vita ha sempre avuto davanti questa volontà. «Non veni ut faciam voluntatem meam sed voluntatem eius qui misit me». Diceva che questa volontà era il suo cibo: «Cibus meus est ut faciam voluntatem Patris»: mangiava di questa volontà. Quae placita sunt ei facio semper. E S. Paolo diceva di lui: «Christus non sibi placuit» non faceva le cose per piacere a se stesso ma per piacere al suo eterno Padre. E poi tutta la vita di N. Signore è così: basta leggere il S. Vangelo per vederlo: a tutte le pagine si trova che faceva la volontà del suo eterno Padre. Andate a cercare nella «Catena aurea», oppure anche nella con­cordanza biblica alla parola «Voluntas» e ne troverete tanti di questi testi che dicono che N. Signore faceva sempre la volontà del suo eterno Padre... Così dobbiamo anche fare noi perché questa è l'unica via.
E poi l'ha detto Egli stesso: «Si quis vult post me venire abneget semetip-sum»: rinneghi se stesso. E S. Gregorio su queste parole dice che prima aveva detto di rinunciare ai parenti ed agli averi, e adesso ci comanda di rinunciare a noi stessi: «Ibi dicitur ut nostros abnegemus, hic nos» — prima diceva di rin­negare i vostri averi, al mondo, adesso a noi. E poi soggiunge: «Portasse (e ve­ramente) labor non est» non è tanta fatica la prima cosa, il rinnegare alle altre cose; ma è molto più difficile, molto più pesante rinunciare a noi stessi.
La conclusione è che tutti ci persuadiamo che abbiamo tutti un poco di nostra volontà. Spero che non l'abbiamo più tutta, ma un poco ne abbiamo tutti, chi più, chi meno...: la volontà propria c'è. Il demonio ci spinge, ci met­te innanzi dei pretesti per non lasciarci mettere in pratica i comandi dei superiori. Perché è lui che eccita la gelosia, e tutti i vizi principali colle loro figlie. Dobbiamo esaminarci e andare a fondo.
Bisogna sempre avere avanti agli occhi questa cosa che se non rinuncio al­la mia volontà, in comunità non solo sarò inutile ma dannoso; e quindi voglio esaminarmi bene, e poi operare, in modo da venire ad avere la propria volontà conforme a quella di Dio, uniforme con quella di Dio, deiforme. Chi si unisce strettamente alla volontà di Dio, ci resta una sola volontà, sì che si può dire: Non ho più la mia volontà; essa è deiforme, essa è così pura, ha un fine così santo, che non son più io che vivo, ma è Gesù Cristo che vive in me: Vivo autem jam non ego, vivit vero in me Christus: ho Gesù stampato in me, io non son più che uno strumento della grazia di Dio. Dobbiamo dare molta impor­tanza a questo anche per avere un po' di pace in questo mondo; come abbia­mo già visto. Fate così e troverete la felicità in questo mondo.
La gente non può capire la dolcezza che si prova nel sacrificio, nel fare la volontà di Dio, come dicevano i Santi: Allora io godo quando posso soffrire per il Signore: «Pati et contemni pro te». Come quella santa che avrebbe sof­ferto fino alla fine del mondo per salvare un'anima: quanto amore! Diciamo anche noi a N. Signore: «Pati et contemni pro te...».
Esaminiamoci sovente su questo punto, affinchè il Signore al giudizio particolare ed anche all'universale non ci dica: Non vi conosco: «Nescio vos» — Sì, avete fatto penitenza ma l'avete fatta per capriccio: «In jejuniis vestris invenitur voluntas vestra» — Invece procuriamo di fare sempre la volontà del Signore: «Quae placita sunt ei facio semper: faccio quello che devo fare, lo faccio bene, e senza ragionamenti interni».
S. Giovanni Climaco diceva che l'obbedienza è il sepolcro della nostra volontà. Di queste espressioni io ne faccio profitto; fatene profitto anche voi: «Obedientia est sepulchrum nostrae voluntatis». Procuriamo che la pietra che chiude questo sepolcro sia molto spessa.
S. Maria Maddalena de' Pazzi in tanti anni che è stata in religione, non si è mai potuto conoscere quale fosse la sua volontà. Così dovrebbero essere tut­ti i religiosi, anche noi. Vedete un po' se ciascuno rinunciasse alla sua volontà, saremmo tutti felici... dipende da voi; ma bisogna cominciare subito, non aspettare di andar in Africa. Un giorno c'era un missionario (non è dei nostri) ebbene era tanto attaccato ai parenti; ed io gli ho detto di lasciarli una buona volta. Ed egli mi diceva: Adesso fa ancor bene che voglia loro bene; quando partirò, allora mi staccherò. Ma io gli diceva: Fallo adesso quelli, non aspetta­re allora...
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