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Scritto da Beato Giuseppe Allamano
21 gennaio 1917
Quad. XII, 31-32
N.S.G.C. — Esempio di Povertà
(21
Gennaio 1917)
Nostro Signore venne su questa terra per redimerci, ed insieme come mezzo
principale farsi nostro modello. L'Eterno Padre: Quos
praescivit, praedestinavit conformes fieri imagini Filii sui. Gesù: Exemplum dedi vobis, ut quaemadmodum Ego
feci, ita et vos faciatis. E S. Paolo diceva:
Imitatores mei estote, sicut et ego Christi. Dunque Gesù è nostro esemplare: Ego sum via,
veritas et vita; e noi dobbiamo ricopiarlo in noi. In
Lui habemus quem miremur, quem amemus, quem imitemur.
Orbene Gesù volle essere modello specialmente di
Povertà. Dice S. Bernardo che N.S. ebbe tanto amore alla S. Povertà, che non avendola trovata in Cielo,
venne a cercarla in terra. S. Paolo ai
Cor.: Propter nos egenus factus est, cum esset dives.
La povertà, aggiunge S. Bernardo, se la prese per compagna e sposa della sua vita. Perciò Egli
fu pauper in nativitate, pauperior in vita, pauperrimus in
Cruce. Consideriamo.
1. Pauper in nativitate.
Gesù nacque quanto più potè povero; e notate di propria volontà non per necessità che ne avesse. Discendente di Davide e Salomone
aspettò che questa stirpe regale fosse ridotta in istato povero, e scelse per Madre una donna povera, e per padre
putativo e custode S. Giuseppe che doveva col
lavoro materiale guadagnare a sé, alla madre ed al
S. Bambino il necessario. Esaminiamo la capanna di Betlemme, niente di più povero, giacché: non erat eis locus in diversorio, da tutti a Betlemme rigettati,
parenti e conoscenti, perché poveri. Visitiamo la
capanna; una mangiatoia con poca paglia e pochi poveri pannilini portati da Nazaret... Habemus quem miremur... S. Francesco d'Assisi, nostro Protettore
dell'anno, il più fedele imitatore della
povertà di Gesù, meditava spesso tanta
povertà della nascita di Gesù e godeva di averlo imitato con nascere egli pure in una stalla (V. Vita).
Lasciò in eredità ai suoi Frati la pratica del S. Presepio.
2. Pauperior in vita. Il Salmista disse diGesù: Pauper sum Ego, et in
laboribus a juventute mea. Visse povero e di professione povero, cioè lavorando materialmente colle sue mani, e
stendendo anche la mano all'elemosina. Così santificava il lavoro e l'elemosina. In Egitto dovette patire la fame come straniero, e subire le umiliazioni
proprie dei poveri specialmente stranieri. Osserviamo la Casa di Nazaret. Io la visitai...
Quivi passò
lavorando sino a trent'anni, come figlio del fabbro per aiutare e sostenere la S. Famiglia. — E nei tre anni di
vita pubblica filius hominis non habet ubi caput reclinet...;
mangia pane d'orzo... Si sceglie poveri gli Apostoli. Tanto stima la povertà che la proclama per prima
Beatitudine: Beati pauperes spiritu... e Vae
divitibus... Habemus quem... Pauperior in vita. Quanti Santi al suo esempio...
3. Pauperrimus in Cruce. Gesù nudo sulla Croce; e le sue stesse vesti divise tra i carnefici. Per essere sepolto abbisogna
dell'elemosina d'un lenzuolo... Habemus... (V. P.
Bruno, Conf. p. 77 e seg.).
S. Francesco d'Assisi nel Capitolo generale (V. Vita) essendo alcuni insorti per far
mitigare la pratica della povertà, dicendola
insostenibile, ajutati dallo stesso Card. Protettore, il Santo (V.). (P. Bruno:Conf.).
P.P. Albertone, quad. VII, 14-19
Conferenza
del 21 Gennaio 1917
(a tutti i chierici)
Avete fatto la predica
inglese, neh?... Chi l'ha fatta? (Ch. Sales G.). Hai ancora fatto la predica?... Ah! La Madonna ti proteggerà!
Raccomandati alla Madonna delle grazie: non fai torto alla Consolata. In Africa c'è una stazione dedicata alla
Madonna delle grazie. Ha già fatto tanti miracoli, e ne farà anche qui!... Bene! Adesso sentiamo un
po' il nostro Veneziano (a D. Cavallo venuto in licenza da Venezia). Non sa più a parlare il nostro piemontese,
parla già veneziano: hanno il loro tono speciale, neh? Hanno un modo di fare l'interrogazione loro
particolare. Come i Genovesi e i Romani e simili: pare sempre che questionino. Già una volta che sono andato a
Venezia, a sentire coloro che conducevano le barche credevo che questionassero, si dicono tanti di quegli improperii
ma poi mi dicevano che quelli è il loro modo di fare, che fanno sempre così... gridano, fanno tanti di quei
versi!...
So che quest'oggi avete pregato per me, ve ne ringrazio. Quest'oggi è il mio anniversario
di nascita, proprio adesso, alle sei di sera di quest'oggi. Quando ero ancora un piccolino avrei mai creduto che il
Signore volesse conservarmi fino a quest'età, per tanti anni; sono 66 anni sapete. «In charitate
perpetua dilexi te, ideo attraxi te miserans tui». È tutta misericordia del Signore: Egli da tutta
l'eternità ha pensato a noi. Noi non avevamo nessun merito, perché eravamo niente; eppure il Signore ha
sempre pensato a noi e ci ha amato: «dilexit te» proprio te e non un altro, no, no, te. Il Signore non
aveva nessun bisogno di noi, anzi sapeva che l'avremmo fatto andar matto, e che non avremmo corrisposto alle sue
grazie, eppure «dilexi te»!
Poteva creare tanti S. Luigi che avrebbero corrisposto alle sue
grazie, prima della creazione e poi della Redenzione; invece no, te! E questo per pura sua misericordia. Vedete un
po' quante grazie ci ha fatto il Signore: prima c'è quella della creazione e poi tutte le altre, specialmente
quella della vocazione, a tanti altri non l'ha data, e l'ha anche tolta a qualcuno. Invece a noi
dall'eternità pensava a darcela; e noi dobbiamo ringraziare il Signore e corrispondervi. Chi non
corrispondesse a queste grazie non andrà in Paradiso, o almeno dovrà passare in Purgatorio.
Certo che non si corrisponderà mai abbastanza; ma facciamo quello che possiamo e il Signore
aggiungerà lui il resto: basta che abbiamo buona volontà e poi il Signore conosce la nostra miseria:
«Ipse cognovit figmentum nostrum» sa che siamo miserabili.
Quest'oggi
io ho fatto il ritiro mensile, naturalmente e ho ringraziato il Signore, ed ho supplicato il Signore a perdonarmi quando
dovrò rendere conto di tutte le grazie che ho ricevuto. Ne avrò tanti rendiconti da rendere io
sapete! Tuttavia non mi affliggo per questi rendiconti. Ho sempre fatto la volontà di Dio, di questo non
ne dubito; dunque Signore, supplite voi! Questo sono certo che ho sempre cercato di fare la volontà di Dio in
tutto, senza guardare in faccia a nessuno... Ma ad ogni modo non tocca a me fare il mio elogio; non c'è che
da ringraziare il Signore.
Bisogna fare sempre tutto per il Signore, cercare il Signore in tutto. Non
facciamo come Giona che è scappato via, altrimenti ... lui, il Signore l'ha poi preso... Basta: ringraziamo il
Signore di tutto.
Un religioso quest'oggi mi diceva: «Non credevo mai più che lei giungesse
fino a quest'età!». Che bel complimento neh?... E veramente da chierico ho fatto una gravissima malattia. E
poi dopo, la famosa malattia di 17 anni or sono: ero proprio già spedito; ma il Signore mi ha conservato per
voi, come diceva il Cardinale. E infatti perché non potevo morire, come era morto il Ven. Cafasso? Avevo
l'età del Ven. Cafasso proprio, senza averne i meriti... ma il Signore non ha voluto.
«Charitate perpetua dilexi te» anche in questo, anche a questo pensava il Signore da tutta
l'eternità, a darmi le forze sufficienti, e adesso sono già passati diciassette anni. Come passa in
fretta il tempo! ... Quello che il Signore vuole è la buona volontà e poi il Signore aiuta. E difatti mi ha
sempre aiutato, materialmente e moralmente. Tutto per il Signore!... Coll'aiuto del Signore ho lavorato sia alla
Consolata come qui ed in Africa. Adesso sta a voi a compire i disegni di Dio: non posso far tutto io, a ciascuno la
sua parte. Non basta corrispondere così... Ciascuno deve venire un Apostolo del Signore, un Missionario della
Consolata, e quindi corrispondere a tutte le grazie che il Signore ci ha destinate da tutta l'eternità. Se noi
corrispondiamo a tutte le grazie che ci ha dato, Egli è disposto a coronarle con altre. Pensateci a queste cose:
con queste idee in testa non sarà facile che vi perdiate per istrada.
Adesso voglio parlarvi un poco della virtù di cui vi ho promesso di parlare ogni tanto quest'anno: della
virtù della santa povertà. Vi ho portato quella lettera; si leggerà; e poi la studierete; bisogna che
la facciate una materia di studio. Ma vi dirò solo qualche parola per questa volta.
Una cosa che
voglio dirvi, ed è che questa virtù dobbiam praticarla non solo come religiosi, come cristiani, ma anche
solo come uomini; tanto più poi per noi!... Basterebbe l'esempio di N. Signore. Noi dobbiamo imitarlo; è il
nostro esempio. N.S. Gesù Cristo è venuto in terra non solo per salvarci, ma anche per essere nostro
esempio; e l'eterno Padre ha stabilito che coloro che dovranno salvarsi si conformino a N.S. «Quos praescivit et
praedestinavit conformes fieri imaginis Filii sui». Vuole che tutti quelli che devono salvarsi siano conformi al suo
Divin Figlio. Egli è il nostro esemplare e noi dobbiamo essere simili a Lui.
Lui stesso l'ha detto:
«Ut quemadmodum ego feci ita et vos faciatis». Nostro Signore ci ha dato l'esempio e vuole che facciamo come
ha fatto Lui. E S. Paolo dice di sé: «Imitatores mei estote sicut et ego Christi». Siate miei imitatori
come io lo sono di Gesù Cristo. Questo è uno dei principali fini per cui N.S. è venuto su questa
terra e si è fermato 33 anni.
E in che cosa dobbiamo imitarlo? Egli ha praticato tutte le
virtù; ma c'è una virtù che Egli ha prediletto sopra tutte le altre, e questa virtù è
la povertà. L'ha amata tanto che come dice S. Bernardo, non trovandola in Paradiso, è venuto a cercarla in
terra: «Cum dives esset, pro nobis pauper factus est». Essendo ricco si è fatto povero per noi. In
Paradiso non poteva trovarla perché era Dio che infinitamente ricco, e perciò è venuto in terra per
poter essere povero, per poter patire. E in terra ha poi sempre praticata la povertà in tutta la vita. N.
Signore fu «Pauper in nativitate, pauperior in vita, pauperrimus in morte». È stato povero nella
nascita, più povero in vita, poverissimo in morte. Considerate bene queste tre cose.
N. Signore fu
pauper in nativitate. Infatti ha voluto che la sua nascita coincidesse proprio in quei giorni in cui la casa di Davide era
decaduta. Poteva nascere in tempi in cui erano ancora ricchi, come erano ai tempi di Salomone. Invece no! Ha voluto
aspettare che questa famiglia fosse decaduta, che la loro nazione fosse caduta sotto i Romani, e che i suoi genitori
fossero proprio poveri. Così in tutte le circostanze della sua nascite. In Betlemme, là nell'albergo
non c'era luogo per loro perché erano poveri, «non erat eis locus in diversorio» e quindi hanno dovuto
ritirarsi là in quella povera capanna, privi di tutto, di caldo, avevano solo quei pochi pannilini che Maria SS. si
era portato con sé apposta; del resto erano privi di tutto. Il Signore voleva essere povero; e se avesse trovato un
altro luogo più povero di quello, sarebbe andato a nascere là...
Nella vita poi fu ancora
più povero: «Pauperior in vita». Non parliamo di quando andavano in Egitto: i contemplativi si
immaginano di vedere N. Signore che ha fame e che va a chiedere l'elemosina, per santificare anche i
poveri.
E a Nazaret? Bisognerebbe che vedeste quella povera casupola! Io l'ho vista; ed è
proprio misera, fatta di mattoni, proprio ... non so come potessero vivere là dentro. E il mestiere! Proprio da
povero: N. Signore appena che è stato un po' alto ha subito cominciato ad aiutare S. Giuseppe a lavorare. E poi
quando S. Giuseppe era vecchio era Lui che manteneva la famiglia. Infatti lo dicevano tutti: «Hic est faber, fabri
filius».
E nella vita pubblica era poverissimo! Come diceva già il profeta
Davide: «Ego sum pauper et in laboribus a juventute mea». Quando ha cominciato a darsi al suo ministero
della predicazione, l'apostolato, era povero, non aveva neppure dove posare il capo: lo diceva anche Lui: «Le volpi
hanno le loro tane... ma il Figliuolo dell'uomo non ha nemmeno dove posare il capo». E poi tanti fatti che ci
racconta il Vangelo, come quando gli Apostoli avevano fame e raccoglievano le spighe e le mangiavano così... E
così è stato in tutta la vita: «Pauperior in vita».
Nella morte poi fu poverissimo, «pauperrimus in morte»; per [che] le vesti che aveva ancora addosso
gliele hanno tolte, ed è morto là senza niente: «pauperrimus in morte».
Questo
esempio deve bastare a farci concepire una grandissima stima della santa povertà; tanto più che noi
dobbiamo imitarlo in tutto N. Signore. Il mondo gode delle ricchezze e di tutte queste cose; ma N. Signore tutto al
contrario; egli ha detto: «Guai ai ricchi; vae vobis divitibus!... È più facile che un cammello
passi per la cruna di un ago che un ricco si salvi». E diceva questo per la difficoltà che per (sic) i ricchi
di salvarsi, per le tentazioni grandissime che hanno.
Nel discorso che ha fatto sulla montagna, per prima
cosa ha detto: «Beati pauperes spiritu». Questo esempio di N. Signore noi dobbiamo imitarlo: tanti santi che
l'hanno seguito su questa strada della povertà. Questa è una di quelle virtù che N. Signore ha
insegnato di più mentre è stato su questa terra e noi dobbiamo praticarla anche per mantenere le sante
promesse che abbiamo fatto o che faremo. Non ci dev'essere niente che ci spinga di più alla pratica di questa
virtù, che l'esempio di N. Signore. N. Signore nacque, visse e morì povero; la Madonna era povera: S.
Giuseppe era povero: se non ci fissiamo anche noi in questo...
C'è un santo che dice che in N.
Signore noi abbiamo «Quem admiremur, Quem amemus, Quem imitemur». E noi dobbiamo imitarlo specialmente
nella povertà. Quando saremo poi in Paradiso vedremo quale premio ci sarà per chi ha lasciato tutto per
N. Signore: «Centuplum accipiet», ma il centuple è in questa vita e poi la vita eterna. Questa
però è promesso (sic) ai poveri di spirito; bisogna essere poveri per amore di N. Signore. Anche gli
antichi filosofi «Et Crates philosophus divitias contempsit». Si, ma non per amore di N. Signore; e noi
dobbiamo farlo per suo amore, dobbiamo imitarlo per suo amore. A questo bisogna dare tanta importanza...
S. Francesco d'Assisi era proprio povero; e si gloriava di essere nato in una stalla come N. Signore. Già,
è proprio nato in una stalla; io ho visto il posto; adesso non è più una stalla, ne hanno fatto
una cappella; ma anche adesso si insegna ancora un buco là, dov'è nato. Ed egli non se ne vergognava mica,
anzi era contento; chiamava la povertà sua sposa, la sua consolazione.
E quando in quell'adunanza
che qualcuno dei suoi frati proponeva di mitigare un poco la povertà della regola; quantunque fossero
sostenuti dal loro Cardinale a cui veramente quella povertà sembrava troppo rigida; ebbene, egli ha risposto:
«Il Signore mi ha ispirato questa regola ed io non toglierò mai nulla»; e se n'è andato via
lasciandoli là... Ed infatti questi Cappuccini, Francescani, insomma sono la migliore immagine della
povertà di N. Signore... Questi qui hanno capito la povertà di N. Signore; e se qualcuno se n'è
partito... eh!... ha perso lo spirito...
L'altra sera è venuto a
trovarmi un Colonnello che è già stato a combattere qua e là; era stato ferito e adesso è
guarito, ne era stupito: l'attribuiva alle vostre preghiere, ed era venuto a ringraziare la Consolata; ebbene io gli
ho detto:
«Voi i soldati dovreste trattarli un po' meglio: dar la carne solo più una volta
alla settimana!...». Ed egli mi diceva: «Lassù al fronte nelle trincee hanno tutto; non caldo, no,
perché non si può; e si sta dei mesi senza mangiare niente di caldo; ma da mangiare e bere ce
n'è». — Ma e gli altri?! ... poche noci... Questa mattina il Teol. Tamietti ha portato a casa una
manata di castagne bianche, dure! le facessero almeno cuocere! Invece no! Si possono mettere in bocca per far
saliva e allora durano tutto il giorno. Ne aveva là una manata, e io gli ho chiamato: «Tutto questo,
possibile che ti abbiano dato tutto questo?!» — Ah, mai più! Stamattina sono andato io in cucina e mi
sono servito io! Adesso misurano perfino i cucchiai di minestra: ne danno tanti cucchiai; almeno minestra dovrebbero
darne!... E lui mi diceva: «Noi abbiamo le idee sbagliate riguardo a questo qui. In Germania, ancora prima della
guerra, ai soldati non si dava carne ai soldati (sic) che due volte alla settimana e questo ancora prima della guerra.
Solo che vengono lì dalla campagna abituati a mangiare giù; e naturalmente non si può fare
diversità tra quelli della città e quei di campagna. Quei di campagna vogliono empirsi, ma non mangiano
carne tutti i giorni; e quindi se si vincono un po' in principio dopo va bene e ne hanno basta. A casa mangiavano
dell'insalata, già che ne mangiavano magari un griletto ma non roba sostanziosa come hanno adesso. Io
conosco i miei là, dei Bergamaschi che da principio non potevano resistere, ma dopo un poco si
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sono messi a mangiare bene, ed hanno messo su un bel colorito, stan bene, sono venuti più robusti.
Sono giovani; ma quando saranno un po' più d'età si metteranno a posto».
Forse parlava
così perché è soldato, tuttavia dell'interesse non ne ha anche per l'Italia, ne avrà
lui come gli altri, ne hanno tutti lo stesso; ma vede, diceva, che se sanno astenersi un tantino in principio, dopo
vanno bene...
Bisogna sapere che adesso prendono tutte le patate; e chi ha più di 200 Mg. di patate
vengono a portargliele via. Mi hanno detto che uno qui a Torino in questi giorni aveva fatto arrivare più di 30
mila miriagrammi di paste, mi hanno detto 30 mila; e appena le avevano messe a posto, sono andate le guardie a
portargliele via subito tutte. E naturalmente il popolo si lamentava che ci portano via le paste, ci portano via la roba
da mangiare.
Di zucchero non se ne trova più; vi avevo detto che lo misuravano, e adesso nemmen
più quel lì. Anzi adesso ci misureranno anche il pane, tanto a ciascuno, secondo l'età... e
secondo la corporatura, io non so: guarderanno anche la corporatura?... Mi diceva che là in Austria, quando
andavano avanti un anno fa (era ancora nel 1915) eravamo in quei monti e trovavamo del grano e tanta roba; ma in tutto
quest'anno passato non abbiamo più trovato niente. Eppure la prima cosa è il pane: si vede che c'è
la miseria anche là.
Insomma c'è dei fastidi dappertutto. Se invece mettiamo l'amor di Dio,
approfittiamo della necessità per farci dei meriti. Del resto state sicuri che non morremo di fame; e anche se
morremo, saremo martiri della santa povertà: sicuro! Un missionario che non ha da mangiare, muore martire
della santa povertà. Ma non verremo fino a questo punto. In tanto però noi dobbiamo accontentarci,
non lamentarci: «Dominus sollicitus est mei». Il Signore ci pensa lui! Quest'oggi vedevo là gli
uccelli che venivano a beccare le briciole: vedete, il Signore non li lascia morire di fame, ce ne muore qualcuno di
freddo, ma non di fame. Siamo solo fedeli ai nostri doveri ed il Signore non ci lascierà mancare niente.
E D. Cavallo, cosa ci dice di lassù?... Fa del bene, anche senza essere cappellano... Qualche volta
dice due Messe, riceve due volte N. Signore, fa due pranzi! Quando venga poi qui troverà poi che non potrà
più dire due Messe. Non potendo più fare due Comunioni, chiameremo al Papa di poterne fare due al giorno per
non perdere l'abitudine.
Il Signore provvede a tutto. Oggi ho ricevuto una lettera di Ch. Occelli, e mi ha
fatto molto piacere, mi fa piacere di trovarlo tutto tranquillo. Bisogna avere confidenza nella Consolata, bisogna averne
molta. Ho anche ricevuto una lettera dei Borelli: scrivono da Mestre, leggila un po'...
Coraggio!... Non
temete! Vedete, Carlo è già tornato dalle patrie battaglie. E l'altro, Ch. Carmine si è fatto molto
onore. (Andando al distretto per la visita militare passò al suo seminario di Arona dove a suo onore fu tenuta
un'accademia, e si raccolsero per le missioni più di 100 lire tra i Seminaristi). E adesso chi ci deve andare?...
(Ch. Perino e Bazzoli). Ah, Bazzoli! Bisogna che vinca!...
Non bisogna inquetarsi, lasciar fare al Signore;
fare quello che si può... Non fare gli entusiasti come i Socialisti e che poi vanno a nascondersi in cantina
per non partire... Il Signore ci ha sempre voluto bene e ci proteggerà. Certo non possiamo pretendere tutti
miracoli: qualcuno bisogna ben che passi di lì... Ma il Signore saprà fare!... Coraggio!...
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Pubblicato: Martedì, 30 Novembre -0001 00:00